Malinconico
umorismo e provocatorie verità venerdì sera all’ANFIBIO, circolo
estetico-culturale diretto con maestria dalla brava Caterina Russo.
La
rappresentazione de “L’Orgia del Terzo Potere” di Gennaro Francione,
e la forza interpretativa di Salvatore Gioncardi, hanno suscitato nel
pubblico emozioni contrastanti e fornito spunti riflessivi di ampio
respiro.
Scaranzano,
Giudice ultra-conservatore della Corte Suprema, sfoga, in un acceso
monologo, frustrazioni e astrusità della vita quotidiana, intravedendo
nelle “sane orge” l’unica scappatoia dalle ipocrisie legate al suo
ruolo istituzionale.
Ricorrendo
alla precettistica retorica antica utilizzata da Cicerone nelle “Partitiones
Oratoriae”, Scaranzano descrive le orge e dimostra come esse siano
un’ottima soluzione per disinnescare le tensioni sociali: esse liberano
“dalla voglia di condannare il mondo intero”, producendo un potente
effetto liberatorio e rigenerante.
Il
rispetto e la fratellanza tra gli uomini, in contrapposizione alle
convenzioni etiche legislativamente previste, richiamano nobili valori di
eguaglianza e condivisione, attraverso una comicità provocatoria e
grottesca. La partecipazione e, appunto, la condivisione di emozioni forti
ed estremamente intime realizzata nell’orgia, eleva gli animi
restituendo serenità ai rapporti sociali.
La
purezza dell’amore vince, dunque, la noia delle attività quotidiane,
vince la divisione creata dalla competitività, vince la parzialità e le
ingiustizie con cui il magistrato si ritrova spesso a dover competere.
Gennaro
Francione, Autore dell’Opera e Giudice presso il Tribunale Penale di
Roma, ripercorre la tradizione teatrale napoletana, riproducendo le ansie
e le tensioni quotidiane degli uomini in chiave tragi-comica, dimostrando
come l’etica convenzionalmente accettata sia preconfezionata a discapito
della libertà e dell’uguaglianza. La pia illusione che ne discende
rende, infatti, l’Uomo schiavo di una morale che non gli giova, creando
sterili tensioni sociali.
L’approccio
dell’Autore a temi politicamente scottanti colpisce e rigenera
effettivamente l’ascoltatore perché restituisce fiducia nella giustizia
fatta da Uomini che vivono il dramma del processo ed il rapporto con la
verità con autentico tormento. Tale sensibilità e raffinatezza estetica
creano spesso, tuttavia, solitudine ed emarginazione ed obbligano i due
magistrati (Scaranzano e Francione) a ricercare
nuovi espedienti per sopravvivere: l’arte e le orge. Queste
ultime da intendere, fuor di metafora, come capacità di ricreare il mondo
in chiave creativa, pacifica
e collettiva, ogni giorno come se fosse il primo dì del mondo.
(Piefrancesca
Metallo)
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