Cari Amici,
esprimo le mie considerazioni a qualche giorno dall’evento, un po’
perché è bene stemperare l’intensa emozione che ha accompagnato la
rappresentazione: che sia lode o sia critica, assumono entrambe maggiore
rilevanza quando l’istante si è spento. Ed un po’ perché sono rimasto a
godermi il Friuli, un’escursione dopo l’altra.
Desidero ringraziare tutti coloro che sono venuti, ed in particolare
coloro che hanno assistito allo spettacolo in piedi, a causa
dell’afflusso superiore al previsto.
Il palco presentava come sfondo la Basilica Patriarcale di Aquileia ed
era montato sulle fondamenta del Palazzo del Patriarca. Non so se è
necessario aggiungere che Aquileia è sito universale Unesco, ove ad ogni
passo si inciampa letteralmente nella Storia.
Ho trascorso i minuti precedenti al ritorno in scena di Agrippina,
all’esterno del muro absidale della Basilica, dove anziani cipressi
custodiscono al fresco dell’ombra le ossa dei caduti della Grande
Guerra.
La maggior parte di questi sono ignoti agli uomini. Ma ben conosciuti a
Dio. Tra queste salme senza nome, una Madre che piangeva su tutte le
croci affinché le sue lacrime cadessero anche sulle ossa del figlio,
rimaste senza nome, scelse la salma che da allora è vegliata dai
commilitoni sull’Altare della Patria a Roma. Questi giovani soldati,
vergini da guerre, sorvegliano il fuoco eterno che sorge dalle ossa del
Milite Ignoto. Così in quel medesimo luogo, le Vergini di Vesta
vegliavano il fuoco eterno che univa in una sola famiglia tutti i
cittadini di Roma.
Questa dolorosa scelta materna fu compiuta a pochi passi da una Madre
che in quel nostro sabato stava per essere uccisa dal figlio…
L’entrata in scena di Agrippina è stata magicamente propiziata da
una rievocazione dell’antichissimo rito della danza dei Salii, emuli dei
Sacerdoti Arvali devoti ad Agrippina Augusta.
Se tutte le persone che son venute hanno resistito per un’ora ad un
imprevisto e temibile freddo, ebbene vuol dire che il merito di ciò va
diviso tra sensibilità del pubblico e passione degli attori.
Il testo, scritto da Loredana Marano, Salvatore Conte e Gennaro
Francione, si presentava non facile per la profondità della riflessione
e per il finale “a sorpresa”, che richiede di prestare particolare
attenzione a tutto il percorso di maturazione del “dubbio” sulla sorte
di Agrippina.
Ho quindi assistito ad un bellissimo gioco di squadra diretto dal
Maestro Tullio Svettini, che si è diviso tra questo suo ruolo molteplice
e quello di Nerone, soggiogando il pubblico con virtuose variazioni
espressive.
La voce profonda, ieratica, di Elena Bonanno ha mutato il freddo
in calore, prodigio degno di Agrippina, e come lei, bellissima,
appassionata. Sorprendente infine osservarla velata, avvolta dai Misteri
della Storia.
Lo spirito truce ed infido di Seneca è stato evocato sulle scene da
Romeo Mischis: confuso nel pubblico raccoglievo commenti compiaciuti per
un’interpretazione di grande effetto drammatico.
Alessia Galzignato ha declinato un fedele Plinio al Femminile
(coerentemente ai valori morali e politici di Plinio stesso), con un
esercizio molto controllato della voce: un’interpretazione
deliziosamente magnetica.
L’elegante adattamento di Tullio Svettini ed Elena Bonanno ha previsto
la partecipazione di Cinzia Borsetti ed Alessandro Rizzi, che con le
loro sinuose danze hanno espresso con efficacia immediata l’alternarsi
delle pulsazioni nel rapporto personale tra Agrippina e Nerone,
raffigurando emozioni intrecciate ed in movimento.
Si sarebbe forse sentita la mancanza della musica in una storia in
cui parole e movimenti non avrebbero potuto raccontare tutto, ed è credo
per questo che Ester Pavlich all’arpa e Sebastiano Titton al flauto
hanno lasciato al pubblico - attraverso la mediazione della loro musica
evocativa - la libertà di partecipare al destino dei due protagonisti.
Un lungo e caloroso applauso ha accompagnato il finale e salutato attori
e autori, invitati sul palco.
Petronius arbiter - Salvatore Conte
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