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Al
teatro Agorà dal 30 settembre al 3 ottobre 2004
Ordalìa degl`interrati
di Gennaro Francione
regia di Loredana Veneri
con Antonio Lupi, Giovanni Silvestri, Anna Maria Percoto, Francesca
Ricciardi, Manilo Mattei,
Federico Ferrara, Daniele Garganese, Antonio Tambone, Kely De Rosa,
Sara Naso, Daniele Venti,
allestimento scenico, suoni e luci di Ettore Porcu
Il teatro Agorà ha riaperto la stagione teatrale il 30 settembre
con una commedia del giudice scrittore Gennaro Francione, Ordalìa
degl`interrati.
Gennaro Francione ha recentemente vinto il premio ``Pirandello in
breve`` indetto dalla Fondazione Ugo Betti;
e non a caso può essere visto come l`erede ideale del drammaturgo
marchigiano dato che ambedue conciliano la professione di magistrato
e la passione per la scrittura teatrale.
Ha inoltre vinto il Premio per la cultura della Presidenza del
Consiglio e, a maggio di quest`anno, la prima edizione del concorso
per commediografi ``Fermento teatrale`` Ideascena proprio con
quest`opera.
Ordalìa degl`interrati, diretto da Loredana Veneri, racconta di una
sfida tra don Vincenzo Mortorio, medico
barbiere, e Taniello Magnafave, contadino, consistente in una prova
di resistenza fisica per ottenere la proprietà
(rivendicata da entrambe) di una striscia di terreno coltivabile al
confine tra le loro terre.
La sfida vedrà quindi don Vincenzo e Taniello interrati davanti
alle loro case per ore dando vita a situazioni comiche, di quella
comicità che appartiene esattamente alla commedia dell’arte,
genere che l’autore intende consapevolmente far rivivere
attraverso le sue opere.
E dell’antico genere, Ordalìa degl’interrati possiede tutte le
caratteristiche.
Sullo sfondo fisso di una via popolare di una cittadina campana e
dei due ‘interrati’, obbligati a non muoversi dai loro buchi, si
avvicendano personaggi strambi e ridicoli, a commentare, con più o
meno senno, il fatto.
La moglie di Taniello e la madre di don Vincenzo sono le coscienze
dei nostri protagonisti, le assennate donne che vorrebbero
convincerli dell’assurdità dell’impresa. Il figlio di Taniello,
lo ‘scemo del villaggio’, Stellana il travestito e Don Liborio
il prete omosessuale, il giudice Don Calogero e sua moglie Donna
Grazia, i pazienti di don Vincenzo il quale, nonostante la difficoltà
nei movimenti, continua ad elargire le sue assurde diagnosi e le
altrettanto improbabili terapie a base di erbe; tutti questi
personaggi di contorno colorano la vicenda non solo coi movimenti
sgraziati e naturalmente comici che i loro ruoli richiedono ma
soprattutto grazie al vivace dialetto napoletano in cui parlano, con
sfumature diverse a seconda dell’origine e dell’uso:c’è
quello più semplice e volgare (nel senso etimologico del termine)
di Taniello e della sua famiglia, contadini poveri da molte
generazioni, e c’è quello di don Vincenzo, finto-colto, aspirante
ad una rispettabilità borghese (è un medico…) e per questo
intercalato da termini toscani o latini (usati quasi sempre
impropriamente, con esilaranti effetti sul pubblico!).
La caratteristica che maggiormente avvicina e assimila Ordalìa
degl’interrati alla commedia dell’arte è proprio l’accezione
carnevalesca della paradossale situazione che i due uomini vengono a
creare, senza ovviamente rendersene conto, nello sfidarsi per il
pezzo di terra: condividere la stessa sorte per raggiungere lo
stesso scopo.
In una sorta di ‘monde à l’envèrse’, il ricco e il povero si
ritrovano a combattere per gli stessi diritti, con le stesse armi,
senza differenza di ceto sociale. E si ritrovano ad avere identiche
necessità, quelle dettate dagli stimoli della fame e del sesso, e
identiche mancanze, ambedue sostanzialmente e prima di tutto uomini.
Infine da notare la fissità dei personaggi, la loro identità
uguale a se stessa, tipica della commedia medievale ma risalente
alla commedia antica latina e greca: in loro è del tutto assente
una qualsiasi psicologia e, come ho detto poco fa, rispondono
esclusivamente ai bisogni fisici.
Molto brava Loredana Veneri, e davvero simpatici molti degli attori,
nell’accompagnare gli spettatori in questo ‘viaggio indietro nel
tempo’, nella campagna napoletana di qualche secolo fa, dove
possiamo facilmente immaginare un teatrino ambulante e una
scalcinata compagnia di teatranti affiatati e senza troppe pretese.
Forse il loro merito più grande è poi quello di aver saputo
assecondare la volontà dell’autore di diffondere questo tipo di
teatro e di cultura, ma in particolare questo tipo di fruizione dei
prodotti culturali, ormai desueto e quasi dimenticato.
silvia moretti
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http://www.culturaespettacolo.com/rass_spec.asp?id=73 |
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