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"Processo alle idee: un insolito confronto all’Angelo Mai tra due affascinanti protagonisti della storia: Caravaggio e Pasolini".

Giovedi 26 e venerdi 27 aprile 2006, il laboratorio culturale dell’Angelo Mai ha ospitato un evento teatrale di straordinaria intensità ed elevatura intellettuale: il “Processo a Caravaggio e Pasolini” di Gennaro Francione, per la regia di Chiara Pavoni.

La chiesa sconsacrata, interna alla struttura del rione Monti, è risultata teatro ideale e altamente suggestivo di un singolare processo a due personaggi del passato, vittime entrambi della morale sociale diffusa nel proprio tempo.

L’amore profano e la sessualità “abnorme” tendono ad orientare la Bilancia della Giustizia sotto il peso del pregiudizio, ma la libertà e la forza intellettuale dei due artisti vince il pregiudizio stesso, laddove immortali saranno le loro opere ed il loro pensiero.

Fedele interprete delle contraddizioni ed incoerenze di Temi, l’Autore riesce a garantire l’interazione linguistica e antropologica tra personaggi storicamente lontani, ma moralmente e artisticamente paralleli.

Aldo Cerasuolo nelle vesti di Caravaggio, ne esprime aggressività ed irascibilità, frutto delle passioni estreme che vi aleggiano nell’animo e che si riversano nelle opere quanto nei rapporti sociali in cui l’istinto prende spesso il sopravvento.

Fabrizio Rendina, nelle vesti di Pasolini, pacato, intellettuale incredulo, critico furibondo, si scaglia con forza contro gli attacchi politico-ideologici perpetrati ai danni delle proprie opere cinematografiche – spesso censurate –, vera e propria censura crudele al suo stile di vita, alle sue frequentazioni, alle sue idee.

La solidarietà espressa nella condivisione di una condanna sociale, avvicina moralmente e intellettualmente i due artisti, difesi simbolicamente da un unico avvocato (Pierre Bresolin) che, tentando goffamente di pacare gli animi passionali dei suoi assistiti, mostra la propria rassegnazione, dinanzi alla gravità della valutazione giuridica e soprattutto morale dei fatti contestati; ma soprattutto personifica la sottomissione di fronte alla forza del pregiudizio verso idee decisamente rivoluzionarie.

La sentenza emerge dalle tenebre dell’animo umano e la leggiadra apparizione della Giudicessa (Chiara Pavoni) dai meandri del Terzo Potere, rende conto di un tormento interiore e di una idea anch’essa immortale: la Giustizia è un fantasma.

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