Anticopyright & Copyriot
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ANTICOPYRIGHT E COPYRIOT

PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI SAPERI

 

di Gennaro Francione

 

(conferenza tratta dal libro editando

 

NO COPY, NO PARTY

 

(SENTENZA ANTICOPYRIGHT. PRIMA E DOPO)

di Gennaro Francione

 

 

1)LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA, BASE DELL'ANTICOPYRIGHT.

 

Il Primato del Sapere sull'Economia, da noi sostenuto sulla base dell'esperienza del cyberspazio trasfuso nell'ulespazio[1],  trova il fondamento nelle nostre intuizioni il cui humus è offerto direttamente dalla Costituzione e non certo dalla legge ordinaria. Le normative a tutela del diritto d'autore, civili e penali, sono, infatti, sorte per tutelare interessi di classi economiche dominanti, interamente impegnate nella realizzazione dei loro interessi materiali, disinteressate dell'elevazione morale, sociale  e spirituale dell'Uomo Debole.

Geometrizzare il discorso in fatto di anticopyright richiede, quindi, partire dalla Costituzione la quale offre nelle primissime norme i criteri per un bilanciamento sociale efficace al fine di creare una giustizia in re tra gli uomini.

Per inquadrare questo discorso dobbiamo partire dalla situazione come è.  Lo stato in cui viviamo è ancora sbilanciato: debole coi forti e forte coi deboli. Noi, vogliamo cambiarlo: renderlo forte coi forti e  debole coi deboli. Lo impone l'art. 3, 2° co. della Costituzione che affida alla Repubblica  di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà  e l'eguaglianza dei cittadini, impedisco il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Un dovere che impegna tutti i poteri dello Stato(politico, amministrativo, giudiziario, massmediale) per la realizzazione di una concreta libertà e uguaglianza tra gl'individui della Repubblica.

Rileggendo i primi principi della Costituzione (soprattutto artt. 2 e  3 della Cost.) riecheggiano nell'aria i tre principi espressi dalla Rivoluzione Francese: Liberté, Egalité, Fraternité.

La libertà è stato il baluardo delle destre. Una libertà che squilibra i forti surclassanti i deboli.

L'eguaglianza è stato il vessillo delle sinistre, che hanno schiacciato le individualità in nome di un becero egualitarismo.

Il nuovo modello, offertoci dal web  che noi proponiamo è la Fratellanza del Cybersocialism  che, sulla base della condivisione umanitaria del sapere e delle risorse, ridistribuisce le forze, indebolendo i forti e rafforzando i deboli.

Per attuare tanto il primo passo è affermare il primato del Sapere sull'Economia.

Questo principio è fondato sull'art. 41 della Cost. secondo cui l'iniziativa economica privata libera "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana", ribadendo il concetto all'art. 42 dove si pongono limiti alla proprietà connessi alla sua "funzione sociale". Ergo, nel campo che peculiarmente qui interessa del copyright, il Sapere non può essere compromesso da interessi economici. Infatti è ancora la Costituzione che ci aiuta là dove afferma che "l'arte e la scienza sono libere" (art. 33 della Cost.) e, perché siano realmente tali, nessun ostacolo di ordine politico, sociale, ma soprattutto economico possono essere frapposte alla loro diffusione.

 

2)PERCHE' LA STORIA DEL COPYRIGHT.

 

Fare la storia del copyright è non solo ripercorrere il diritto d'autore per come si è sviluppato nel tempo, ma creare controinformazione per comprendere come fin dall'inizio la difesa della proprietà artistica sia stata una semplice mascheratura.

"La storia del copyright ci spiega come esso sia nato per proteggere un modello di business e non gli interessi degli artisti".  E' Karl Fogel a scolpire lapidariamente il problema  nell'articolo saggio La promessa di un mondo senza copyright[2] proseguendo con: "L'industria editoriale ha lavorato duramente lungo tre secoli, per oscurare le vere origini del copyright e per sostenere il mito che esso è stato inventato da scrittori ed artisti. Ancora oggi essa continua la campagna per leggi contro la condivisione più dure, per trattati internazionali che obblighino gli stati ad adeguarsi alle più strette regolamentazioni sul copyright e soprattutto per assicurarsi che il pubblico non chieda mai chi, precisamente, questo sistema vuole favorire".

Il fine vero del sistema era ed è, quindi, garantire gli sfruttatori economici dei creativi e insieme le esigenze censorie dello stato, atte  a far sì che fossero veicolate solo forme di scrittura in linea col sistema e che primeggiassero solo i favoriti della classe dominante. Ciò nell'ambito di un sistema piramidale, che caratterizza l'avanzamento nell'arte  e in altre funzioni sociali, con quella figura geometrica non a caso prediletta dalla massoneria, in contrasto palese con lo stato democratico che esigerebbe una funzione sferica per cui tutti possono partecipare a  tutto in maniera realmente egualitaria.

Indubbiamente la tecnologia attuale, intendo informatica, si trova dieci passi avanti rispetto alla normativa ancorata a vecchi sistemi produttivi dell'arte.

La legislazione sul diritto d'autore appare simile a un dinosauro del mondo fisico che cerca maldestramente di entrare nel mondo virtuale facendo la figura di uno sgraziato pidocchio.

La verità è che il diritto d'autore è fedele a schemi antiquati di una proprietà intellettuale strettamente legata ai supporti materiali(il cartaceo, il CD etc.). Dopo gl'intenti originari censori del copyright, di cui parleremo, si è affermato il monopolio editoriale, che ha perpetrato nei secoli la tirannia degli editori e dei distributori. Questi hanno sfruttato gli autori, i quali avevano bisogno dei loro servigi per materializzare le loro opere in serie e per diffonderle. Il sistema piramidale dell'economia ha portato nei tempi a privilegiare pochi autori, e  neppure i più bravi, a scapito degli altri, con evidente antidemocraticità del sistema.

Noi non dobbiamo lasciarci intimidire dalla offensiva legale, culturale e politica dei crociati della proprietà intellettuale.

La rivoluzione, che rovescerà la dittatura del molok editoriale, è in corso senza che nessuno muova un dito, grazie alla "gigantesca macchina per copiare"[3]  gratuitamente che abbiamo appena finito di costruire: Internet.

 

3)LE ORIGINI CENSORIE DEL DIRITTO D'AUTORE

 

Nel mondo antico, quando l'unico modo per copiare un libro era quello di farsene una copia a penna, non c'era il copyright. Chiunque sapesse scrivere poteva copiare un libro e, in principio, poteva copiarlo bene come chiunque altro; fare una copia era come fare cento copie.

Il copyright è stata una invenzione dell'era Gutenberg, un risultato dell'invenzione delle presse per la stampa risalente al 1476 circa.  Comunque il torchio tipografico non creò d'amblais il diritto d'autore, inteso come riproduzione autorizzata di un'opera.  All'inizio la gente stampava normalmente le opere che ammirava, quando ne aveva la possibilità, un'attività che è responsabile della sopravvivenza di molte di quelle opere fino al giorno d'oggi.

Al più in quel tempo primevo c'erano limitazioni o divieti di stampa perché un documento poteva avere un contenuto diffamatorio, o perché trattavasi di comunicazione privata, o perché il governo lo considerava pericoloso e sedizioso. Ma queste erano ragioni di salute pubblica o di danno alla reputazione; non si verteva certo in materia di diritto di proprietà artistica. In alcuni casi c'erano stati anche privilegi particolari (allora chiamati patenti) che consentivano la stampa esclusiva di certi tipi di libri.

Col tempo accadde che l'autore chiedesse sempre più al sovrano il diritto di esclusiva sulle proprie opere. Per diverso tempo questo diritto fu riconosciuto attraverso dei privilegi concessi dal principe alle singole opere. Si trattava, pertanto, di riconoscimento discrezionali.

In ogni caso la legislazione originale proteggeva gl'interessi degli stampatori e l'autore non veniva preso in considerazione, anche perché spesso poi i libri contenevano testi di antichi scrittori morti da secoli. Il libro più stampato, infatti, era la Bibbia.

L'idea che si debbano dare dei privilegi agli stampatori nasce alla fine del '400 a Venezia, basata sull'elementare considerazione che stampare uno libro costa, quindi il tipografo  deve avere uno scudo giuridico che lo protegga da un concorrente  che intenda stampare lo stesso libro.

Un'idea antropologica di sottofondo a quella mancanza di tutela era che le opere creative dell'uomo erano il frutto dell'umanità intera, e che ad essa dovevano tornare come fruizione. Quell'idea riprenderemo per affermare la mera detentio in nome dell'umanità dell'opera creata da parte dell'autore.

Il creativo in quel tempo era soggetto al mecenate o al principe di turno e la sua dignità di cittadino-autore, come pure lo sfruttamento commerciale della sua opera, erano rimessi all'azione  graziosa del signore che, innamorato delle arti, aveva tutto l'interesse a rifornire l'esteta dei mezzi di sussistenza e degli strumenti necessari alla sua arte.

Il concetto integrale di proprietà artistica si originò, invece, con la censura e nacque propriamente nel Seicento, in Inghilterra attraverso la London Company of Stationers(Corporazione dei Librai di Londra).

Il recente arrivo della macchina per stampare (la prima macchina per copiare del mondo) in Inghilterra aveva reso possibile stampare libri con facilità, il che era una manna per autori e lettori, ma non certo per il governo inglese che vedeva di cattivo occhio la diffusione di opere sediziose.

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Il metodo scelto dal governo fu di stabilire una corporazione privata di censori, la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra), i cui profitti sarebbero dipesi da quanto bene essi avrebbero realizzato il proprio lavoro. Agli Stationers fu concesso il diritto su tutta la stampa in Inghilterra, sia per le vecchie opere che per le nuove, come premio per mantenere un occhio stretto su ciò che veniva pubblicato. Il loro documento di concessione diede loro non solo il diritto esclusivo di stampare, ma anche il diritto di cercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati e addirittura di bruciare i libri stampati illegalmente. Nessun libro poteva essere stampato fino a che non era entrato nel Registro della corporazione e nessun'opera poteva essere aggiunta al registro finché non aveva passato il censore della corona, o era stato auto-censurato dagli Stationers. La Company of Stationers diventò, in effetti, la polizia privata, dedita al profitto, del governo[4].

 

Annota il professor Lyman Ray Patterson, Pope Brock Professor di Legge all'Università di Georgia, un noto studioso della proprietà intellettuale:

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Nella storia anglo americana del copyright l'evento che causò gli eventi formanti del diciassettesimo e diciottesimo secolo fu la Charter of the Stationers Company (Carta della Corporazione dei Librai) concessa nel 1556 da Filippo e Maria. La Carta diede agli Stationers il potere di fare ordinanze, condizioni e leggi per la gestione "dell'arte o mistero della scrittura", come pure il potere di cercare stamperie e libri illegali ed oggetti, insieme al potere di "requisire, prendere o bruciare i predetti libri e oggetti, e qualsiasi di essi stampato o da stampare in contrasto con la forma di ogni statuto, atto o proclamazione". _ Il potere di bruciare i libri offensivi fu un beneficio per il sovrano (un'arma contro le pubblicazioni illegali) ed un vantaggio per gli stationers (un'arma contro la concorrenza). La possibilità di bruciare i libri mostra così la motivazione reale della Carta, assicurare la fedeltà al sovrano degli stationers come poliziotti della stampa in un mondo incerto[5].

I compiti primari della difesa erano, quindi, non  a favore degli autori, ma contro di loro con intenti censori e persecutori ad evitare scritti che non fossero graditi al sistema. Il meccanismo era stato apertamente progettato proprio per servire i venditori di libri ed il governo, non gli autori.

I nuovi libri venivano immessi nel registro della corporazione sotto il nome di un membro della corporazione, non sotto quello dell'autore. Per convenzione, il membro che aveva registrato il libro manteneva il copyright, il diritto esclusivo di pubblicare quel libro sugli altri membri della corporazione, e la Court of Assistants della Corporazione risolveva le dispute su eventuali infrazioni[6].

Questo sistema funzionò per circa un secolo e mezzo. Verso la fine del XVII secolo, a causa di maggiori cambiamenti politici, il governo allentò le sue politiche censorie e fece terminare il monopolio degli Stationers che videro i loro guadagni scemare, avendo perso  la licenza esclusiva di produrre libri. Per questo elucubrarono una nuova strategia rimasta immutata fino ai giorni nostri, intesa ad affermare il diritto d'autore, trasferibile ad altre parti per contratto, come ogni altra forma di proprietà. 

Davanti al Parlamento sostennero la necessità di aiutare gli autori che non hanno i mezzi per stampare e distribuire le proprie opere. Per scrivere un libro bastano solo una penna, della carta e un  po'  di tempo. Ma la produzione  e distribuzione dell'opera è azione più complessa, perché richiede presse per la stampa, reti di trasporto ed investimenti iniziali in materiali e macchine compositrici. Insomma le persone che scrivono avranno sempre bisogno della collaborazione di un editore e di distributori per rendere il loro lavoro disponibile alla generalità delle persone.

Per questa via gli ex monopolisti della censura di stato si candidarono a diventare monopolisti dell'intermediazione fra autori e lettori.  Il loro argomento riuscì a convincere il Parlamento, portando seco mogli e bambini per provocare compassione e indurre i Lord a garantire loro una sicurezza legale. Alla fine riuscirono  a far approvare nel 1710 il primo copyright riconoscibilmente moderno, vale a dire lo Statute of Anne (Statuto di Anna), un'autentica "pistola fumante della legge sul copyright"[7].

Un vantaggio parziale per gli autori fu costringere gli editori a pagarli concretamente in cambio dei diritti esclusivi di stampa (sebbene in effetti gli Stationers a volte avessero pagato gli autori anche prima, semplicemente per garantirsi il completamento e la consegna di un'opera).

La testimonianza storica globale è chiara: il copyright fu progettato dagli editori e dai distributori per sovvenzionare se stessi, non i creativi. Questo è il segreto che l'odierna lobby del copyright non ha mai il coraggio di dire ad alta voce  perché,  una volta che venisse ammesso, diventerebbe chiaro in modo imbarazzante il vero scopo della successiva legislazione sul copyright. Lo statuto di Anna fu semplicemente l'inizio della tirannia editoriale moderna, mascherata da usberghi legali sapientemente posti come camicie di Nesso addosso agli autori.

 

4)DAL COPYRIGHT AL DIRITTO D'AUTORE. RIVOLUZIONE FRANCESE E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE.

 

L'idea di un diritto fondamentale dell'autore sul proprio lavoro - il nocciolo del moderno diritto d'autore - è stata diffusa prevalentemente da filosofi tedeschi e francesi del Settecento e venne implementata come una delle maggiori conquiste della Rivoluzione Francese.

Il diritto d'autore nasce insieme alla libertà di stampa e alla dichiarazione dei diritti dell'uomo. Il battesimo ufficiale viene celebrato nell'anno  1777, quando gli Editti che precedono la Rivoluzione Francese riconoscono il diritto d'autore, col che nasce la concezione moderna della tutela degli artisti.

Il diritto d'autore, ritenuto la proprietà più sacra in quanto si considera "inscindibile l'oggetto dal soggetto",   si instaurò in quel periodo come nuova dottrina legale al fine di rimpiazzare il vecchio sistema di monopolio orientato a favore degli editori.

Si riconosce finalmente la figura dell'artista e se ne tutelano i diritti. Chi ha creato un'opera possiede tutti i diritti per il semplice fatto di esserne l'autore. Può cederne   alcuni o tutti a terzi con un patto esplicito.

Se si tratta di uno scritto, in genere i diritti sono quelli di riprodurre il testo in un libro, eventualmente di farne delle traduzione e ancora delle ristampe. Se l'opera è un quadro, l'autore può cedere il diritto di copia dell'opera, per esempio per farne una copertina, o un manifesto.

I diritti d'autore sono ereditari, per cui gli eredi potranno goderne vantaggi economici anche dopo la morte dell'autore.

Un autore può tutelare la sua opera anche se ha ceduto i diritti di riproduzione. Può esigere che l'opera resti integra, o che non subisca modificazioni.

Queste in grandi linee le nuove tutele per gli artisti e le loro opere che risentirono degli sviluppi tecnologici in atto. Così il diritto d'autore è anche figlio della rivoluzione industriale, che nel corso dell'Ottocento sviluppò in modo esponenziale le possibilità di riproduzione tecnica di ogni opera dell'ingegno per via chimica (come per la fotografia e il cinema), meccanica (il disco), elettromeccanica (il telegrafo e il telefono) e, infine, attraverso le onde elettromagnetiche (la radio).  La rotativa e la linotype moltiplicarono le possibilità di stampare  ad alte tirature.

A livello distributivo la navigazione a vapore, le ferrovie e i cavi transoceanici resero immensamente più veloci i trasporti non solo delle materie prime e dei prodotti industriali, ma anche di opere e testi d'autore che cominciavano ad essere prodotti in massiccia forma seriale,  e, dunque, non soltanto artistica ma artigianale e in qualche caso industriale.

Per tutte nel 1902 il tenore Enrico Caruso incise l'aria Vesti la giubba da I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, che per la prima volta raggiunse ben 2 milione di dischi venduti[8].

 

5)COPYRIGHT E DIRITTO D'AUTORE.

 

Riportandoci al senso antico la parola inglese copyright, diffusa universalmente,  indica letteralmente  i diritti acquisiti da un editore(in seconda battuta dall'autore) di riprodurre legalmente copie di un testo letterario, musicale, ecc., vietandone ogni riproduzione, sia pure parziale, non autorizzata.

Si tratta, quindi, di un diritto squisitamente commerciale, non morale, tendente cioè ad assicurare introiti economici a chi si assuma l'incarico di riprodurre in più copie una creazione artistica.

A protezione di questo diritto si sono irrobustite  le leggi fino a creare  una protezione penalistica di chi riproduca un'opera altrui senza richiedere autorizzazione. L'autore del copyriot, la copia pirata, è chiamato ladro e così additato alla comunità.

Ma il problema di fondo è un altro. E' veramente l'autore autore della sua opera? Gli appartiene realmente in maniera così irrefragabile da far chiamare ladro chi lo copia?

E se il diritto d'autore gli venisse in concessione graziosa da parte dell'Umanità non sarebbe forse vero ladro chi quel diritto sfrutta in maniera esosa?

 

6)IL COPYRIGHT E' UN FURTO.

 

Ai tempi di Napster  si contavano in 25 milioni i visitatori del sito che consentiva di trasmettersi i contenuti dei compact disc e copiare musica gratis. Per le case discografiche americane si trattava di un autentico furto di massa a danno degli artisti, mascherato da "esproprio proletario". "Non sappiamo come fermarli" diceva al tempo il vicepresidente della casa discografica Atlantic Records, Val Azzoli. "E in ballo non c'è solo la musica ma ogni proprietà intellettuale. Se è lecito rubare musica, si può rubare tutto"[9].

E' una delle generalizzazioni terribili, in cui si dà per scontato che la musica può essere rubata. In materia un furto c'è di sicuro. Ma chi sono i veri ladri? Chi la copia o chi la produce pretendendo somme esose e immotivate?

Il filosofo rivoluzionario francese Pierre-Joseph Proudhon (Besançon 1809-Parigi 1865) è ritornato alle cybercronache col suo socialismo spinto grazie al libercolo Qu'est-ce que la propriété?(1840), un'opera vigorosamente antagonista pervasa da una semplice quanto efficace idea portante: "La proprietà privata è un furto".

Idea più che mai calzante per chi oggi entra in un negozio e compra un CD originale. Il prezzo è tale che molti riescono e vanno  a cercarlo dai marocchini o in internet. Chi vende CD a 50 euro è nella legalità; chi lo copia, perché non ha soldi sufficienti per comprarlo ed è affamato di sapere, è un pirata.

L'improntitudine del sistema si rileva anche dalla iperprotezione stabilita sui prodotti con norme amministrative e penalistiche, quasi che la creatività fosse oro materiale e non puro oro dello spirito, destinato ad alimentare le nostre anime e la cultura del popolo, al più a prezzo vilissimo.

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Su molti dei pur costosissimi CD musicali, ad esempio, è oggi possibile leggere la seguente dizione "RISERVATI TUTTI I DIRITTI DEL PROPRIETARIO DELL'OPERA REGISTRATA". E' l'etichetta di una strana concezione che, unita alle ultime norme emanate,  tende a far prevalere il diritto del "proprietario dell'opera registrata", la casa discografica (mai l'autore), e cioè chi vende il prodotto, sul diritto reale del "proprietario del disco fisico", e cioè chi compra il prodotto, il quale non potrà far altro che accettare supinamente le volontà del primo, come e "quando" gli verranno in mente!

Se da domani dovessero decidere che tra i diritti del proprietario dell'opera registrata rientri quello di imporre l'ascolto solo di mattina prima di colazione, un clandestino ascolto pomeridiano sarebbe una violazione di tale licenza d'uso. Già oggi l'acquirente di un CD musicale non può, secondo molti teorici dell'antipirateria, realizzarsene una copia per lo stereo dell'auto, o prestarlo ad un amico e, durante una festa in casa non potrà senza dubbio lasciarlo come sottofondo delle chiacchiere della propria comitiva, senza pagarne gli stessi diritti di esecuzione in pubblico a cui è tenuta una discoteca[10].

 

Proudhon  non aveva escluso la proprietà privata, intesa come possesso naturale dei mezzi di produzione  ma  ne aveva criticato la degenerazione quando essa venga ad accentrarsi nelle mani di pochi che finiscono per sfruttarla al massimo. Karl Marx criticò quel sistema ritenendo che, una volta sottratta la proprietà individuale alla persona, sarebbe stato necessario,  sulla base di un super-diritto di proprietà, annetterla a corporazioni estese anche al di là dei confini nazionali, alias si rimaneva nel campo della pura utopia.

Orbene Internet è la chiave utopico-reale per realizzare il progetto proudhoniano, in una prima fase proprio con lo scambio libero, gratuito ed egualitario delle capacità creative e dei loro prodotti, trasformando come specificheremo la proprietà dell'autore in detentio in nome dell'umanità.

In una seconda fase sarà possibile attraverso il webcyberleviatano scambiarsi informazioni globali anche per migliorare trasferimenti di beni, servizi, mezzi di produzione tra le varie aree del pianeta, al fine di realizzare la giustizia sociale nella redistribuzione planetaria delle cose materiali e spirituali.

Discorso esatto, d'avanguardia giusta, quello di Proudhon irrealizzabile al suo tempo in quanto mancava la metodologia informativo-operativa oggi rappresentata da internet, ripreso a pieno da Joost Smiers, il quale arriva specificamente a considerare la proprietà intellettuale un autentico furto[11].

In una sorta di catena di sant'Antonio l'autore viene derubato da quelli che dovrebbero aiutarlo a diffondere la sua opera a cominciare dal produttore.

I grossi editori prediligono solo pochi artisti e per farli affermare, sfruttandoli ed elevandoli  a star, sottraggono energie produttive alla massa degli autori. Questi, costretti a rivolgersi a piccoli produttori, vengono spennati per poter pubblicare le loro opere. L'alternativa è restarsene con l'arte nel cassetto e con le orecchie piegate.

La catena di furto legalizzato si alimenta coi distributori: quelli grossi ammazzano la piccola distribuzione, occupando spazi, vetrine etc. e praticando prezzi defraudatori che arrivano fino al 50 % del prodotto originario.

Anche nella fase massmediale e della pubblicità continua la catena di sopraffazione e di furto perché gli spazi su giornali, televisioni etc. vengono occupati dai forti e dalle loro star, a scapito dei deboli.  Sono pochi e sempre gli stessi ad apparire rubando spazio ai non affermati.

Questo il diritto d'autore "sacro". Lo sarà forse per gli autori di successo; di sicuro per i loro agenti, produttori, distributori. Ma non per la massa degli artisti, derubati di energie produttive e distributive, ma soprattutto di spazi fisici e massmediali di visibilità. Essi, del diritto sacro non sanno davvero che farsene!

Noi abbiamo le armi per sovvertire questo sacrilegio giuridico a partire dalla stessa costituzione (art. 42 Cost.)  la quale garantisce sì la proprietà privata ma con dei "limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile  a tutti". E quale proprietà privata può esserci mai per l'arte e la cultura che danno gioia a chi le produce ma servono all'elevazione spirituale e sociale dell'Umanità?

 

7)DETENTIO E DEPOTENZIAMENTO DEL DIRITTO D'AUTORE.

 

Andando al fondo delle cose, radicalmente da uomini di diritto e  umanesimo e  arte dobbiamo porci il quesito: "Esiste una proprietà intellettuale?".

Il termine "proprietà intellettuale"  comprende sia la proprietà letteraria e artistica, sia la proprietà industriale, cioè la protezione di brevetti, dei modelli di utilità, dei disegni industriali e dei marchi.

Nell'Ottocento i due concetti apparivano strettamente intrecciati e dobbiamo aspettare il Novecento per assistere a una scissione degli stessi. Anche nell'ordinamento amministrativo italiano solo nel 1936 le due materie furono distinte ed è questa la premessa della L. 22 aprile 1941, n. 633, che disciplina appunto unicamente le "opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia" (art. 1).

Orbene una premessa necessaria al nostro discorso è che non esiste in tema di inventio una proprietà assoluta ma solo relativa, sia in arte che nelle invenzioni scientifiche di talché va a porsi in nuce l'impredicabilità di una proprietà assoluta in capo all'inventore.

L'idea della originalità dell'invenzione creativa è stato un mito romantico, neppure radicale perché anche nel romanticismo gli artisti facevano parte di movimenti(es. gli Scapigliati, i bohemiennes etc.) e tutti si ritenevano tributari di idee, emozioni, stilemi  etc. nei confronti del gruppo di appartenenza. Tutti erano interessati, comunque, alla diffusione della loro arte più che alla commercializzazione della stessa.

Pur nel campo della creatività scientifica dobbiamo risalire all'Ottocento per incontrare le ultime invenzioni ad avere una paternità abbastanza certa. Anche in quel caso, però, menti brillanti agivano sulle invenzioni di altri, con idee che per così dire erano già nell'aria e, in una sorta di gara di velocità, veniva favorito nella gara dei brevetti chi arrivava per primo. Bastava registrare l'invenzione un giorno prima dell'altro che forse aveva escogitato il meccanismo prima e,  all'ufficio dei brevetti, il secondo diventava il primo. Fu il caso della guerra tra Lumière ed Edison per la scoperta del cinema, con la vittoria dei francesi. In questa disputa Georges Méliès, il prestigiatore che inventò i trucchi cinematografici, cercò di avere vanamente dai Lumière l'apparecchio per il suo Teatro delle Illusioni. Al che andò in Inghilterra dove comprò dall'ottico Robert William Paul un meccanismo che trasformò egli stesso, autonomamente, in macchina cinematografica[12].

Da quanto detto traspare l'estrema frammentarietà del meccanismo di attribuzione della paternità di un'invenzione, vieppiù evidente nel tempo dell'attuale tecnologia. Chi sa quale ricercatore ha inventato il televisore? E il computer? La verità è che più che mai le invenzioni non sono frutto del singolo ma di un lavoro di équipe, visibile  o invisibile. Basta talora la piccola invenzione di un ricercatore da cantina  a risolvere un problema che  un gruppo industriale non riusciva a sciogliere.

Questo discorso enantiodromicamente va rovesciato ancora sulla creazione artistica strictu sensu perché più che mai, nell'era della comunicazione globale e di internet, l'artista non è un'isola ma scrive, compone, disegna etc. sulla base di informazioni, emozioni, documenti, immagini etc, che l'intera umanità gli trasmette, il che implica un drastico ridimensionamento dei suoi diritti sia a livello morale che economico.

D'altra parte, già prima dell'avvento del WEB, il Novecento è stato il tempo della dissacrazione del testo e  del suo autore. Le avanguardie artistiche, dal cubismo al futurismo alla pop-art, hanno distrutto l'autorità e l'alone sacrale del testo usandolo come materia grezza per altre operazioni. Affascinate dalla riproduzione multipla, hanno preferito il "meticciato culturale all'autorialità"[13], non rifuggendo dai rapporti con l'industria e la pubblicità con ciò minando con la serialità e la commistione lo pseudonuminoso del fare artistico.

Anche la fotografia o il disco, pur partendo da un'immagine o da un suono, privilegiano sempre più il trattamento, l'artificializzazione del testo originario (anche qui attraverso un complesso di professionalità artistiche). Radio e televisione accentuano tale artificializzazione e, nel contempo, gli aspetti industriali dovuti ad una distribuzione capillare, di massa, in tutte le case.

Risalendo nel tempo all'archeologia dell'anticopyright nel 1958 nasceva l'Internazionale Situazionista ed il gruppo Fluxus. In un'atmosfera conseguente ai lavori svolti nel decennio precedente dal Lettrismo, dal gruppo Cobra, dal Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista e dal Laboratorio Sperimentale di Alba, così come dal lavoro delle avanguardie nella prima metà del secolo, i due gruppi posero una forte attenzione sulla necessità di rendere lo spettatore protagonista attivo dell'opera d'arte e auspicarono una partecipazione collettiva nell'atto creativo[14].

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L'internazionale situazionista rigettò per prima il concetto stesso di copyright concedendo a chiunque senza alcuna limitazione, se non quella della responsabilità personale, il diritto di riprodurre i propri testi[15].

 

Lo scrivente ha fondato il movimento Antiarte 2000 che predica la perenne incompiutezza del testo, che sempre si inserisce in filoni estetico-culturali preesistenti; solo formalmente e fittiziamente la struttura creata è perfetta mentre, invece, è sempre mutabile ad opera dell'autore e di altri che si pongono in simbiosi con la "presunta matrice".

Il decalogo   dal  manifesto  "Ipertransavanguardia   del   medioevo atomico"  al numero 7 recita: "L'Autore è solo il portavoce di cronache artistiche vissute e scritte in quel grande serbatoio cosmico che è l'Akasha e di cui l'Internet è un modello vivente. Essere privilegiati nell'usufruirne significa avere solo il mero possesso(detentio) delle forme artistiche iperuraniche, senza che chicchessia possa vantare alcuna proprietà né assoluta né relativa sul prodotto"[16]. 

A fronte della cyberagonia del diritto d'autore sono state proposte soluzioni alternative come le creative commons che noi riteniamo utili ma non sufficienti a  risolvere il problema. Ripetendo una metafora che facemmo a  Napoli il 9 aprile, [17], se il copyright è la destra del diritto d'autore, le creative commons rappresentano il centro moderatamente riformista.

In nome del prevalere del Sapere sull'Economia, solo un'autentica rivoluzione cybersocialista dell'arte, pacifica e gandhiana, può abbattere l'attuale sistema piramidale a favore di una nuova situazione sferica con artisti  e usufruitori davvero eguali e liberi. Rivoluzione non fuori dal sistema ma impregnata nello stesso,  avendola trovata predicata come dicemmo nella stessa Costituzione della Repubblica Italiana(soprattutto artt. 2, 3, 33 e 41).

Le creative commons danno, dunque, una soluzione parziale e riduttiva alle nuove  problematiche sul fatiscente diritto d'autore ma non risolvono la questione a monte, che richiede un drastico abbattimento del sistema copyright.

Ecco la soluzione proposta per i tempi internettiani. L'autore viene depotenziato ai minimi termini rimanendogli solo la detentio morale ed economica della sua opera.

Una soluzione da me avanzata, nella veste di giurista-artista fondatore del Movimento Utopist-Antiarte 2000, in una serie di convegni e via WEB, trovando l'appoggio di milioni di artisti sconosciuti e di usufruitori di arte e cultura sfruttati dall'attuale sistema pseudolibertario del copyright.

Nella nuova visione del non diritto d'autore sono pronto al sacrificio io stesso con le mie 160 opere scritte(55 commedie, 15 romanzi, 90 saggi). Cito me stesso per dimostrare quanto io credo in quello che asserisco e per evitare che si dica che vado a seminare furbescamente nel campo degli altri per non inaridire il mio.

Sacrificio. Termine sbagliatissimo, da me usato ma solo come modo di dire. Sì, perché io mi sento tributario all'Umanità di tutto quanto ho scritto e ritengo che le mie opere siano dell'Uomo, essendo io solo il privilegiato limitato portavoce di un gioco, di una forma, di uno stile.

L'arte va diffusa gratuitamente nel mondo, e ciò è possibile con le nuove tecnologie internettiane che devono fare da modello a  quelle tradizionali(cartaceo ad es.) per derivarne un nuovo sistema apparentemente rivoluzionario del vivere dove il Sapere prevale sull'Economia.

Un principio non solo fondamentale nelle nuove elaborande costituzioni universali, ma già annidantesi con energia nelle pieghe della vecchia Costituzione repubblicana là dove, come già abbiamo detto e ribadiamo per scolpircelo nella memoria, si limita la proprietà privata a fini sociali(art. 42) ma soprattutto, all'art. 41 della Cost., si afferma che l'iniziativa economica privata libera "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana". Questo principio, coordinato con quello costituzionale dell'arte e la scienza libere(art. 33 della Cost.), comporta che l'Arte e la Cultura vanno offerte al Mondo. Il che non può che significare: arte libera e gratuita per tutti!

Ciò nel progetto di elevare l'umanità che ha il diritto di avere ciò che le spetta: quell'arte e cultura cioè che essa stessa ha ispirato e le appartiene in nuce, immediatamente, non dopo 70 anni dalla morte dell'autore!

Il creatore di arte e cultura, infine, ha tutto da guadagnare nel nuovo sistema della diffusione internettiana della sua opera perché il suo massimo profitto è di vederla diffusa, essendo solo secondario e conseguenziale il lucro, peraltro, realizzabile, comunque, secondo i principi della New Economy, attraverso minimi diffusissimi conseguenti al gift, al dono che egli ha fatto della sua opera.

Concludendo, le normative civili e penali a protezione del diritto d'autore sono incostituzionali e lo sono organismi come la SIAE, volta a tutelare non gli autori, ma gl'interessi commerciali dei produttori.

Nella nuova prospettiva dell'anticopyright l'arte e la cultura vanno diffuse liberamente  e gratuitamente a monte. Solo a valle, nell'ipotesi di prodotto confezionato, va pagato il prezzo del confezionamento che, però, deve essere sempre bassissimo, in linea con un'economia che fa dell'elemento umano (leggasi protezione dei deboli) il suo principio basilare.

Ecco che per questa via il copyriot non è più la copia pirata ma riappropriazione legittima e costituzionalmente protetta dei singoli di quanto culturalmente e artisticamente a loro spetta, in quanto esponenti dell'Umanità, la vera titolare di ogni diritto d'autore.

 

APPENDICE

 

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'ARTE(DUDDA)

 

firmata al Museo del Cinema di Roma Via Portuense 101 l'11 novembre 2002,  pubbl.  su http://www.antiarte.it

Preambolo

 

considerato che ogni creativo ha i propri diritti;

considerato che il primato dell'arte  e della cultura sull'economia rende la tutela del diritto all'arte e al sapere dell'uomo prioritaria di fronte ad ogni altro interesse materiale ed economico;

considerato che il riconoscimento da parte della specie umana del diritto alla creatività e al sapere, fondato su Liberté, Egalité, Fraternité,  costituisce il fondamento della coesistenza della vita nel Mondo;

considerato che un concreto diritto di accesso all'arte e alla cultura - inteso in rafforzativo quale diritto a non essere esclusi -  è fondamentale per l'elevazione dell'Uomo, il che si realizza sostituendo l'attuale modello gerarchico a Piramide della società con la nuova struttura Sferica di platonica memoria;

considerato che all'autore dell'opera, portavoce del sapere e dell'arte espresse in nome dell'Uomo in Grande, va riconosciuto il diritto morale d'autore e  solo un limitato diritto  di sfruttamento commerciale,  ciò al fine di conciliare la creatività individuale col diritto economico e morale di ciascuno di usufruire della sua opera;

considerato che la primarietà dell'arte sull'economia comporta l'affermazione di un diritto incondizionato all'espressione e all'informazione senza che alcuna censura possa essere praticata;

considerato in particolare che l'educazione alla creatività e al sapere è il fondamento della disciplina della nuova infanzia affinché impari  a osservare, a comprendere, a rispettare e amare il Mondo in uno spirito di libera eguaglianza, gratuità e solidarietà delle opere;

Considerato, infine, che l'Utopia del Nuovo Mondo è realizzabile soprattutto attraverso Internet e va coltivata sostituendo al modello dell'Uomo Burocrate la figura dell'Uomo Artista.

 

SI PROCLAMA

 

Articolo 1

 

Il Mondo è una Repubblica Democratica, fondata sull'Arte.

La sovranità appartiene agli Artisti  e al Popolo, che la esercitano nelle modalità indicate nella Carta.

 

Articolo 2

 

Il Mondo riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'Uomo Artista, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

 

Articolo 3

 

Gli Artisti nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all'esistenza estetica, senza nessuna distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali anche in relazione alla qualità delle opere tutte di pari dignità.

E' compito del Mondo rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà,  l'eguaglianza, la fratellanza  degli Artisti, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti gli Artisti all'organizzazione politica, economica e sociale del pianeta.

 

Articolo 4

 

Ogni Artista ha diritto al rispetto.

L'Artista ha il diritto di svolgere, secondo le proprie capacità e la propria scelta, un'arte che concorra al progresso spirituale della società.

Il Mondo riconosce a tutti gli Artisti il diritto al riconoscimento della loro opera e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

 

Articolo 5

 

L'arte e il sapere sono liberi e gratuiti, essendo consentite solo limitate eccezioni alla gratuità con prezzi comunque accessibili al popolo e particolarmente all'infanzia.

 

Articolo 6

 

All'autore dell'opera è riconosciuto il diritto morale d'autore e  il mero possesso a nome altrui(detentio) delle forme artistiche, con un ridotto diritto  di sfruttamento commerciale, senza che chicchessia possa vantare alcuna proprietà assoluta sul prodotto artistico.

Ogni limitazione posta  all'arte  e alla cultura dall'homo oeconomicus a fini puramente mercantili costituisce un attentato all'arte e al sapere dell'umanità.

 

Articolo 7

 

Tutti hanno pari diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione senza alcuna repressione penalistica di tale facoltà.

La pubblicazione di opere, la stampa, la televisione, internet  e ogni altro media diffusivo dell'arte e del sapere non possono essere soggette ad autorizzazioni o censure.

 

Articolo 7

 

Gli Artisti e il Popolo hanno uguale, concreto  e incondizionato diritto di accesso ai media pubblici e privati, tutti compresi e nessuno escluso, da garantire in ogni caso col sistema della rotazione.

 

Articolo 8

 

Gli Artisti hanno diritto all'equanime ripartizione delle sovvenzioni pubbliche da garantire in ogni caso col sistema della rotazione.

Il Mondo riserva trattamenti privilegiati ai Mecenati che privatamente e in maniera equanime sovvenzionino l'attività artistica.

 

Articolo 14

 

Gli artisti hanno il diritto alla Fratellanza e alla Cooperazione, attuata attraverso associazioni di mutuo soccorso col compito di garantire la loro vita materiale e spirituale.

Le associazioni di protezione e di salvaguardia degli Artisti devono essere rappresentate a livello governativo.

 

Articolo 15

 

L'Artista ha un unico dovere fondamentale: l'Uomo.


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[1]Dal greco ulè = materia, quindi "spazio materiale".

 

[2]Karl Fogel,  La promessa di un mondo senza copyright, traduzione di Comedonchisciotte.net,  rip. su http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=1509.

 

[3]L'espressione è di Fogel.

 

[4]Così Karl Fogel,  La promessa di un mondo senza copyright, cit..

 

[5]Lyman Ray Patterson, Copyright And 'The Exclusive Right' Of Authors (Il copyright e il Diritto Esclusivo degli autori), http://www.lawsch.uga.edu/jipl/old/vol1/patterson.html Journal of Intellectual Property, Vol. 1, No.1, Fall 1993.

 

[6]Benjamin Kaplan,  An Unhurried View of Copyright (Una visione serena del copyright),  Columbia University Press, 1967, pp. 4-5.

 

[7]Espressione di Karl Fogel,  La promessa di un mondo senza copyright, cit..

 

[8]Dati rip. da Enrico Menduni, Sopravviverà il diritto d'autore all'era digitale?, in "Info, Diritto d'autore e società dell'informazione", 15 gennaio - 15 aprile 1999, n. 1-7, p. 116 - 130, rip. in  http://www.mediastudies.it/dispense/dirittoautore.doc.

 

[9]Articolo di Federico Rampini,  Musica in Rete, scontro finale tra pirati e discografici - Internet, processo ai pirati della musica,  29 settembre 2000, rip. su http://www.repubblica.it/online/tecnologie_internet/napster2/vigilia/vigilia.html

 

 

[10]Emmanuele 'exedre' Somma, L'antipirateria dice: La proprietà privata è un furto(Come Proudhon divenne l'ispiratore della idee delle più grandi multinazionali della Terra), 30 maggio 2001,  su http://www.exedre.org/proudhon/

 

[11]Vedi Joost Smiers, La proprietà intellettuale è un furto, Joost Smiers, La proprietà intellettuale è un furto, artic.  pubbl.  su   http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2001/0109lm28.01.html. Stesso concetto fu espresso dal celebre hacker Andy Mueller-Maguhn, esponente del Chaos Computer Club tedesco e oggi membro eletto dell'ICANN, il quale sostiene che la proprietà intellettuale è un furto ai danni del pubblico (Mueller-Maguhn profeta dell'anticopyright, 24/11/00, http://punto-informatico.it/p.asp?i=34019)

 

[12]Per seguire questa vicenda vedi G. Francione, La  lanterna di Mephisto(Il meraviglioso Georges Méliès  acquista dal diavolo il segreto dell'arte cinematografica), Four Shakespeare and Company,  Roma, ottobre 1997. 

 

[13]Espressione di Enrico Menduni, Sopravviverà il diritto d'autore all'era digitale?, cit..

 

[14]Nel Web sono assai in voga le opere collettive, fatte ad es. da drammaturghi che scrivono ognuno un pezzo o una scena di un'opera. Ted Nelson fu l'ideatore in "Literary Machines" di un metodo per la tutela del diritto d'autore assolutamente originale attraverso la rete: Xanadu. Nel progetto, poi mai realizzato, si può ravvisare il sogno di una reale partecipazione di tutti alla costruzione della rete. I propositi democratici e libertari dello Xanadu lasceranno sicuramente perplessi i puristi della letteratura, ma soddisfano il sogno degli uomini di tutti i tempi di dare il proprio contributo cooperativo alla crescita del Sapere. Cfr. Copyright, http://www.liberliber.it/biblioteca/tesi/scienze_politiche/sociologia_dell_educazione/ipermedia_e_unita_didattiche/html/tesi43.htm

 

 

[15]G. Bessarione, I fiori di Gutenberg, tr. it. Scelsi, 1994, pag. 223. Rip. da http://www.mail-archive.com/copydown-news@inventati.org/msg00000.html. Su questa materia vedi Luther Blisset, Cyberunderground, cit. in bibl..

 

[16]Vedi Appendice.

 

[17]CREATIVE   COMMONS ITALIA SHOW CASE,  Chiesa di San Severo al Pendino nell'ambito di SINTESI - FESTIVAL DELLE ARTI.