Convegno Palaia
(16 settembre 2015)
Noi non possiamo tacere. Meditazioni su giustizia e dignità della
persona
Intervento di Annamaria Cotrozzi:
Processi in tv: dall'indizio all'elaborazione "letteraria" del pre-giudizio
(passando per gli artifici della retorica).
Non sono un'addetta ai lavori: per professione non mi occupo di diritto,
ma di testi classici. Mi sono accostata alle tematiche che oggi
affrontiamo per senso di dovere civico, in quanto sempre più sconcertata
di fronte alla deriva inarrestabile delle gogne mediatiche e dei "processi"
celebrati in tv, del tutto al di fuori sia dalle regole del diritto, sia
dal rispetto della persona e dai valori dell'humanitas. Di
recente, le motivazioni del verdetto di Cassazione sul caso Kercher
hanno esplicitato il condizionamento che sulle indagini, e di
conseguenza sull'iter giudiziario, può essere esercitato dalla
pressione mediatica. Dopo tale autorevole parere, direi che la questione
abbia ora il crisma dell'allarme ufficiale. Le sentenze televisive,
anticipate e costruite, giorno dopo giorno, sul pregiudizio
mediaticamente indotto, possono influire sull'esito dell'iter
giudiziario vero e proprio, e portare alla conferma, in sede di
tribunale, di condanne già da tempo date per scontate, sancite dalle
opinioni degli ospiti dei programmi di cronaca, e richieste a gran voce
dall'opinione pubblica che da tali opinioni è stata inevitabilmente
condizionata.
Fiction.
Quando un caso giudiziario sale alla ribalta della cronaca ed entra nei
"salotti" televisivi, si crea un circolo vizioso per cui,
paradossalmente, proprio l'indizio più vago, più labile e oggettivamente
meno significativo è quello potenzialmente più adatto ad essere
romanzato, ad avviare un racconto d'invenzione, a fornire spunti per la
fiction di intrattenimento con cui si riempiranno infiniti
pomeriggi: il tutto avviene mediante una serie di procedimenti retorici
che meriterebbero un'indagine specifica e dettagliata (magari anche da
sviluppare in tesi di laurea). Va anche detto che lo strapotere degli
opinionisti dei talk show - ognuno dei quali, odierno Minosse, "giudica
e manda secondo ch'avvinghia", in base, spesso, a una conoscenza
palesemente approssimativa del caso - è anche conseguenza della fine del
vero giornalismo, quello d'inchiesta, a cui si è ormai sostituito il
giornalismo ombra di se stesso, il giornalismo del "copia e incolla",
quello che si limita a raccogliere il gossip e a entrare nella catena
del tam-tam mediatico senza verificare la notizia (violando l'abbiccì
delle norme del giornalismo), e che ripropone all'infinito e amplifica i
presunti indizi filtrati dalle sedi giudiziarie, presentandoli come
verità assodate tramite la ripetizione parossistica delle frasi fatte,
capziose e e imbroglianti, alle quali il pubblico si abitua fino a
farle proprie (e fino a credere di averle pensate autonomamente, come
avviene con la pubblicità occulta). Evidente meccanismo di
manipolazione, che uccide il senso critico.
Avetrana.
A mio avviso, in questi ultimi anni, tutto questo è stato rappresentato
emblematicamente dal caso Scazzi, di cui mi sono occupata in modo
approfondito maturando il convincimento dell'innocenza delle due
imputate, Cosima Serrano e Sabrina Misseri, in custodia cautelare da
cinque anni e raggiunte, anche in secondo grado, entrambe dalla condanna
all'ergastolo. Il poco tempo a disposizione non mi consente ovviamente
di approfondire in questa sede l'analisi del delirio mediatico
verificatosi intorno a questo specifico caso, né di dedicare a questo
tragico fatto di cronaca, e alla sconcertante vicenda giudiziaria che ne
é seguita, tutto lo spazio necessario. Mi limito quindi a riferirmi a
questa vicenda allo scopo di esemplificare i suddetti procedimenti di
manipolazione retorica. La tv ha dedicato a questo caso montagne di ore,
un vero delirio senza precedenti: ricordo che fu la diretta
televisiva no-stop della sera in cui fu ritrovato il corpo della
giovane vittima a far schizzare in alto sia l'interesse per la vicenda,
sia, di conseguenza, l'audience.
Le immagini.
Nella civiltà dell'immagine, ha preso ovviamente campo anche la
retorica visiva (analoga a quella verbale). Effetti devastanti si
possono ottenere anche attraverso l'uso di fotogrammi fissati ad hoc
e riproposti all'infinito, a fine suggestivo, come avviene in
pubblicità: Sabrina Misseri con l'espressione tormentata o che piange (e
così si è dato credito al nonsense dell'espressione "lacrime di
plastica"), Amanda Knox e Raffaele Sollecito che si baciano all'indomani
della tragedia, Cosima Serrano che spinge il marito in garage per
sottrarlo all'assalto di giornalisti e fotografi, un gesto riproposto ad
arte come rappresentativo del presunto ruolo dispotico della donna, data
in pasto al pubblico come la"sfinge" e la "matriarca", in linea con
quanto richiesto dai ruoli e dalla trama del "romanzo a puntate" in cui
la l'evento tragico si andava trasformando. Come si vede, siamo
persino sotto la soglia dell'indizio, ma l'immagine trasmessa e
ritrasmessa mille volte è sufficiente a scatenare l'odio popolare, e
viene tradotta mentalmente: "lei è quella che ha ucciso la ragazzina e
ha ordinato al marito di far sparire il corpo". L'immagine capziosa non
resta inerte, ed infatti è divenuta la molla micidiale che ha portato
alle grida selvagge e agli applausi vigliacchi del momento dell'arresto,
offerto anche quello al pubblico come spettacolo. Una forma di
antifemminismo collettivo porta a trovare normale un fatto, a mio
avviso, di inaudita gravità, cioè che sulle donne coinvolte in quest
tragiche vicende si esprimano giudizi persino in riferimento al loro
grado di avvenenza fisica (!), e anche in ciò si pensi di trovare
riscontri per gli indizi di colpevolezza (Sabrina gelosa perché non
abbastanza bella, Amanda troppo bella e perciò manipolatrice, e altre
sciocchezze del genere: sciocchezze, certo, ma dalle devastanti
conseguenze).
I trucchi della retorica.
Sul piano del linguaggio e dei messaggi verbali, la formidabile
cassa di risonanza televisiva riesce a mettere in circolazione
assiomi fatti passare per verità provate, slogan la cui
vacuità è mascherata da deduzione logica: "allora si è uccisa da
sola" (frase che circola nel web in riferimento a tutti i casi di
cronaca divenuti famosi), "sono stati gli extraterrestri"; più
grave ancora l'ipocrisia ricattatoria con cui il colpevolismo
acritico e viscerale si accaparra la difesa della vittima tramite frasi
del tipo: "io sono dalla parte della vittima" (donde il
paralogismo: se difendi gli indagati o imputati, vuol dire che tu
non sei dalla parte della vittima) , "se fosse stata tua
figlia?".
Falsi sillogismi.
Si sono usati, nel caso di Avetrana, per dare consistenza al presunto
movente dellla gelosia: per crearli si diffondono notizie inesatte (la
storia, falsa, dei diari di Sarah che Sabrina avrebbe nascosto), si
insiste sull'aspetto fisico dell'imputata (era grassa, la cugina era
magra, dunque l'invidia e la gelosia sono possibili, dunque ha ucciso
per gelosia). Passaggio successivo sono le domande rivolte agli
"esperti": secondo lei si può uccidere per gelosia?" "Sì, certo che si
può" (lo sappiamo tutti che si può, non occorrono gli "esperti"):
ergo Sabrina ha ucciso per gelosia (esempio ricorrente di falso
sillogismo in questa vicenda).
Il lessico.
A farci caso, si riscontra la passione dei media per le espressioni
verbali dure, violente, quasi sadiche: incastrare, inchiodare,
torchiare. C'è sempre, in agguato, lo scoop riguardo a "prove" che
incastrebbero l'imputato di turno (poi si scopre, il più delle volte,
che si tratta in realtà soltanto di parvenze di indizi, o di elementi
irrilevanti interpretati come tali). Il sensazionalismo, comunque, si
manifesta soprattutto nell'abuso del termine "supertestimone",
ormai irrimediabilmente inflazionato, e riferito in genere ad autori e
autrici di banali "rivelazioni" da gossip paesano.
Va
aggiunto il "Vergogna"!, il grido preferito di giustizialisti e
giustizieri, quello urlato dalla folla inferocita accorsa a godersi gli
arresti, o davanti ai tribunali in caso di assoluzione, dovunque nel web.
L'uso perverso della retorica,
soprattutto da parte di giornalisti e operatori televisivi, consiste
anche nell' illuminare il segmento che interessa oscurando
ciò che andrebbe a favore dell'imputato: è un procedimento, del resto,
canonizzato nei trattati di oratoria (le Controversiae di
Seneca il Vecchio ce ne rappresentano l'uso concreto e abituale nelle
esercitazioni delle antiche scuole di retorica); la retorica, si sa,
procede anche per omissioni: e così, per esempio, della questione
orari, dirimente nel caso di Avetrana, in tv non si parla quasi mai, e
mai con precisione: la retrocessione forzata degli orari, in base a
testimonianze – malcerte - di mesi dopo, è il vero scandalo di questa
vicenda giudiziaria. Naturalmente si parla invece moltissimo,
all'interno di affrettate analisi psicologistiche da due soldi, di
atteggiamenti ritenuti strani e sospetti, reazioni emotive, espressioni
facciali, presunta eccessiva agitazione, presunta eccessiva calma delle
persone imputate. Sì, per paradosso sia l'agitazione, sia la calma si
prestano a essere interpretate come indizi di colpevolezza: altro
espediente – di bassa lega, sia chiaro – della retorica televisiva.
Le condanne a furor di popolo:
cominciano dagli sms forcaioli letti in trasmissione.
A tutto questo bisogna opporsi, con le armi della civiltà e della
ragione, altrimenti secoli di progresso nel diritto saranno spazzati via
dallo strapotere mediatico, dalla grancassa televisiva, dalle urla
maleducate con cui, in quei "salotti", viene non di rado impedito e
interrotto anche il più timido tentativo di approfondimento:
un'inciviltà (travestita da voglia di giustizia), che, tra l'altro,
alimenta nel pubblico un modo di ragionare e di esprimersi primitivo,
rozzo e persino violento (si pensi al dilagante "gettate le chiavi":
perché allora non anche inchiodare la porta, “chiavar l’uscio di sotto”,
come si fece col conte Ugolino?).
Che cosa può fare, per esempio, la scuola? Con una tv così
diseducativa, con programmi che uccidono sia il senso critico che
il senso di umanità, a mio avviso deve fare quello che è da
sempre il suo compito: insegnare a pensare,
favorire l'autonomia del giudizio, lo smascheramento del trucco
retorico, la demolizione del pregiudizio alimentato ad arte, il
riconoscimento dei meccanismi di manipolazione e degli espedienti "pubblicitari"
a cui prima ho fatto riferimento.
Ci si può anche aiutare con la letteratura, dove tutto è già
stato detto:
Per esempio, sarebbe importante far riflettere i giovani sul fatto che
il linciaggio mediatico è la versione moderna del procedimento,
analiticamente descritto da Manzoni, della caccia agli untori; si
potrebbe proporre la lettura del capolavoro di Dacia Maraini, "La lunga
vita di Marianna Ucria", con la descrizione della folla che accorre a
gustarsi una barbara esecuzione di piazza; si potrebbe anche
ricordare loro che il percorso allucinante, da incubo, di un innocente
che finisce in arresto e sotto processo ce lo ha già raccontato
Kafka.
Per concludere: ma perché accade tutto questo? Perché mai
è così facile, da parte dei media, alimentare (irresponsabilmente,
visto che chi detiene il megafono televisivo avrebbe l'obbligo della
massima prudenza) il colpevolismo acritico e viscerale, e addirittura
l'odio, il linciaggio verbale che potrebbe persino diventare linciaggio
fisico, se gli imputati finissero nelle mani della folla (come si vede,
ripeto, dagli applausi, gli insulti e gli sputi agli arresti)? Anche qui
il mondo antico ci può suggerire delle risposte: forse per lo stesso
motivo antropologico, per le medesime pulsioni che facevano accorrere il
popolo agli spettacoli di sangue dell'arena (utile rileggere l'epistola
7 di Seneca), e forse anche per il medesimo istinto e intento
autopurificatorio, anch'esso di notevole interesse antropologico,
per cui una città proiettava sul malcapitato di turno (il pharmakòs,
una vittima sacrificale predestinata), tutti i mali che voleva
stornare da sé: versione mitigata e divenuta quasi simbolica,
secondo alcuni, di un precedente uso dei sacrifici umani. L'espulsione
violenta del poveretto dalla comunità, attuata con umilianti gesti di
maltrattamento rituale, aveva una funzione espiatoria di chiara valenza
apotropaica. Forse illustrare tutto questo alle generazioni che
cerchiamo di educare non guasterebbe.