Epitaffio epistolare per Pino
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Da: Vincenzo ESPOSITO
Inviato: sabato 9 febbraio 2013 19.36
A: adramelek
Caro Gennaro, con dolore ti comunico la morte di Pino Turco avvenuta mercoledì scorso 7 febbraio 2013.
Carissimo fratello
Mi spiace tanto. Per quel poco che l’avevo conosciuto Pino era un ragazzo meraviglioso, onesto e trasparente come noi.
Che i nostri morti sul treno lo accolgano nella loro gloria di anime semplici e innocenti
Porta le mie condoglianze alla famiglia per favore.
Un abbraccio
Gennaro
 
 
Gennaro Francione Il maestro Pino Turco, musicista e autore, insieme all'operatore sociale Paolo Garofalo, dello spettacolo O' cunto d'o' quatto e' coppe del gruppo Uommene e tambure, frutto del laboratorio con i giovani reclusi dell'I.C.A.T.T. di Eboli (Istituto a Contenzione Attenuata per il Trattamento delle Tossicodipendenze - Ministero di Grazia e Giustizia).
Lo spettacolo racconta il tragico incidente ferroviario verificatosi nel 1944 a Balvano: vi trovarono la morte oltre 500 persone di cui non si seppe più nulla e che finirono seppellite in fosse comuni.  

                                                 

                                                  

 

 

 

                      EPITAFFIO EPISTOLARE PER IL FRATELLO  PINO TURCO

   Mondovì, 7 febbraio 2012.

 

      Caro Gennaro Francione, 

in questi giorni, mentre Pino Turco combatteva e soccombeva alla sua malattia, alcune iniziative editoriali e cinematografiche hanno ridestato l’attenzione sulle vicende del treno 8017 e sulle vittime della tragedia. È, questa, certamente opera meritoria ma, mi pare, che rimanga abbastanza isolata da quella rete di relazioni scientifiche, artistiche e soprattutto umane sviluppatesi tra coloro che si sono occupati professionalmente di tale immane tragedia, sempre in maniera rigorosa, da moltissimi anni, incontrandosi e trovando un luogo di dialogo sul tuo sito web “Treni di luce”. Speriamo che presto, gli autori di questi recentissimi lavori, trovino il tempo di confrontarsi con tutti quegli studiosi e quegli artisti che prima di loro, in tempi diversi ma sempre in relazione dialogica, critica e riflessiva tra loro, hanno contribuito alla costruzione ed alla rappresentazione del ricordo di questa vicenda nefasta. Così come, con rigore scientifico, passione artistica ed amore per gli uomini fece anche Pino il quale, come ricorderai, volle incontrarti personalmente per discutere con te di quei fatti che ci riguardano e ci appartengono e ci tormenteranno per sempre.

Ti prego, caro amico, di pubblicare questo mio ricordo del maestro Turco. Che possa trovare lì dove è andato qualcuna delle persone di cui si è così empaticamente occupato con i suoi attori e che possa, con loro, riposare in pace.

 Dunque, ieri sera, alle diciotto, l’intenso e feroce male che lo affliggeva l’ha ucciso. È così che Pino Turco è morto. Senza farne mistero, nemmeno a se stesso, in piena consapevolezza. Aveva voluto vedermi qualche giorno prima per ricordarmi i termini del nostro accordo intellettuale e umano.

Nei mesi scorsi, prima della diagnosi infausta, avevamo parlato spesso della morte. Avevamo pensato anche ad un progetto per uno spettacolo teatrale del quale lui sarebbe stato il regista ed io il suo consulente-antropologo. Avevamo parlato di Ernesto de Martino e del lamento funebre, della rivoluzione agricola del Neolitico e della “paura del vuoto vegetale”, della nascita del sentimento religioso e dei rituali della morte e della rinascita. Ne avevamo parlato spesso con la serietà che merita il tema e con la profonda leggerezza che Pino Turco adoperava per sottolineare le cose importanti. E così, con profonda leggerezza avevamo parlato anche della nostra personale natura mortale. Anche quando, qualche giorno fa, mi convocò per condividere con me la consapevolezza della sua prossima fine. Lucido ma non rassegnato. Tanto meno impaurito. Mi parve sereno. Si stava congedando in pace dalla sua vita – lo intuivo mentre mi parlava con faticosa lucidità. Dalla sua vita che si era incontrata, negli anni precedenti, con altre morti. Morti dimenticate. Aveva contribuito con il suo pensiero di uomo di cultura e di artista a ricordare i morti della tragedia del treno 8017 di Balvano, i seicento morti della Galleria delle Armi in provincia di Potenza. Pino aveva lavorato, negli ultimi anni, per ricordare quelle seicento persone, vittime del più grave incidente ferroviario italiano. Per ricordare la relazione spesso dimenticata tra la vita e la morte, tra chi vive e chi muore. Lo aveva fatto dapprima con i bambini della scuola elementare di Campagna, il paese in provincia di Salerno in cui viveva, dove ci eravamo incontrati per la prima volta. Io con l’incarico di antropologo culturale, lui con quello di animatore teatrale e drammatizzatore. La storia della mia ricerca sul treno 8017 colpì la fantasia dei bambini ed il suo talento di artista. Fu allestita una recita nella quale la morte per asfissia dei passeggeri intrappolati nelle carrozze, invase dal monossido di carbonio, bloccate sotto la Galleria delle Armi, fu resa drammaticamente visibile dalla poesia dei tanti lumini che si spegnevano, ad uno ad uno, per mancanza d’aria, sotto i bicchieri di vetro con i quali i bambini li ricoprivano. Magia della scena, costruzione di un ricordo da condividere.

Poi, qualche tempo dopo, mi ritrovai in sua compagnia, insieme ad alcuni “momentaneamente detenuti” dell’Istituto a contenzione attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze (Icatt) di Eboli. Un carcere nel quale Pino si occupava di “Arte per la salute” facendosi promotore, autore e regista di un gruppo teatrale composto da detenuti per reati di droga. Un gruppo del quale ero diventato consulente con il beneplacito della Direzione, per ferma volontà di Pino Turco. L’argomento del laboratorio era quello dei diseredati, di chi non aveva nulla, degli infimi, dei dimenticati. Era ‘O cunto d’o quatto ’e coppe, il racconto di quella carta da gioco del mazzo delle napoletane, il quattro di coppe, che non ha valore alcuno; che non contribuisce al punteggio finale: non serve né per la primiera né per le carte d’oro; una carta inutile per il risultato finale senza la quale – ecco la verità – non è però possibile giocare. È evidente che, con queste premesse, la storia drammatica del treno 8017 non poteva non suscitare interesse tra la gente dell’Icatt. Ognuno, a suo modo, un “quattro di coppe” senza il quale non sarebbe stato possibile andare avanti nel lavoro di presa di coscienza, di auto-responsabilizzazione e di abitudine alla relazione ed al dialogo al quale Pino voleva condurli. Il mio documentario di ricerca – basato sui miei soggiorni etnografici “sul campo”, sulle memorie e sulle testimonianze dell’incidente del treno debitamente registrati, sui saggi storici di Mario Restaino e Gianluca Barneschi, sui romanzi di Gennaro Francione e Alessandro Perissinoto, sulla ballata di Terry Allen, su alcune sequenze del film Tutti a casa di Comencini, sulle pochissime foto della tragedia pubblicate dall’Europeo – divenne argomento di discussione quotidiana, di critica riflessiva, di occasione dialogica in cui le nostre diversità si proiettavano nel tentativo di dare un senso a ciò che un senso non lo poteva avere. “Seicento morti, nella mia testa non riescono ad entrarci” recitava uno dei personaggi del dramma messo in scena da Pino Turco e dai momentaneamente detenuti dell’Icatt. Quegli uomini incarcerati che riuscivano a intravedere le somiglianze e le differenze esistenti tra le loro vite e le vite perdute dei morti del treno che viaggiava nella notte del 3 marzo del 1944. Turco ha diretto una delle più intense performance teatrali e ha scritto una delle più belle canzoni sul tema: ‘O treno contro ‘o bbando d’o rre. E i momentaneamente detenuti dell’Icatt l’hanno eseguita magistralmente durante la performance mentre le decine di lumini soffocati dai bicchieri dei bambini erano diventati un’unica candela rappresentativa delle vite dei seicento del treno 8017 che si spegnevano inesorabilmente sotto un minaccioso vaso di trasparentissimo cristallo che l’andava a ricoprire per rispondere alla domanda, al grido che si levava nel buio nero del palcoscenico/Galleria delle Armi: “Ma comme so’ muorti?” “Accussì!” Seicento vite diverse inesorabilmente legate tra loro e a quelle degli attori e degli spettatori di una delle più emozionanti pagine di teatro alla quale io abbia mai assistito.

La morte. E la vita. E come fare a vivere quando si è morti materialmente ed anche socialmente. Ecco l’impegno costante della riflessione di Pino Turco, dei suoi attori e di tutti quegli studiosi e quegli artisti – seri, profondi, impegnati, rigorosi, appassionati, metodici, in grado di coltivare il dubbio più che le certezze – che l’autore teatrale e regista aveva voluto conoscere, studiare, interpretare, mostrare alla sua troupe e convocare sulla scena del suo lavoro teatrale. Ricordare trasformando la semplice memoria fisiologica in qualcosa di ancora più profondamente umano: il ricordo di ciò che è successo da consegnare agli altri, a quelli che rimangono aldilà del nostro personale impegno.

È questo ciò che mi ha raccomandato Pino Turco nel nostro ultimo incontro. Raccontare degli altri perché le loro vita è indissolubilmente legata alla nostra. Perché la loro vita e la loro morte costituiscano un ricordo comune che poi non è altro che il legame tra il passato, il presente e il futuro. Ovvero il senso della storia che si manifesta pienamente solo quando una rete di interesse, di affetto, di dialogo, di reciprocità e di scambio lo sorregge.

 Un abbraccio.

Vincenzo Esposito

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Carissimo  Vincenzo

Una lettera bellissima, commovente, che attraverso Pino dà il fondamento del messaggio offerto dai nostri morti del Treno 8017: praticare una fratellanza per vivere di più  nel rispetto reciproco e operoso.

Un epitaffio per Pino, ma anche un richiamo a una moralità naturale  e alla gioia di ridestare quelle anime attraverso l’arte e la cultura, esse stesse una forma di sopravvivenza alla morte e alla vita stessa che ci rende spesso cinici, vanagloriosi ed egoisti.

Possa Pino incontrarsi con quelle anime in morte come s’incontrò in vita.

Possa egli  essere di esempio in questo mondo  a chi voglia ricordare  quella tragedia, affinché lo faccia  all’insegna di un’etica  e solidarietà umanistica perenni.

Ricambio l’abbraccio

Gennaro