Fernando Izzi nasce a
Torella del Sannio nel 1957.
Fin da piccolo manifesta una spiccata attitudine alla
manualità, che si esprime nella fabbricazione di oggetti di
gioco e primi rudimentali utensili.
Temperamento inquieto e passionale, dopo brevi esperienze
approda alla sua autentica passione: la lavorazione del
ferro battuto.
Fernando Izzi riesce con apparente disinvoltura a mediare
l’esigenza lavorativa con l’espressione artistica; anche il
suo lavoro di routine spesso rivela una tensione malcelata
verso più agili fantasie.
In bottega, di sera, nasce il presepe in lamiera battuta,
mirabile esempio di arte povera; è una rappresentazione
mistica di ispirazione medioevale che viene esposta, dopo
l’inaugurazione a Torella, alla Fortezza da Basso a Firenze,
alla mostra Internazionale dell’artigianato.
Dopo qualche mese viene alla luce la linea degli
oggetti-sculture nei quali l’artista approfondisce in
metafore di ferro il rapporto fra fuoco e materia: e tra
fuoco e materia, dubbioso e dolente, c’è l’uomo, colto
nell’atto di proteggere la fiamma, di accompagnarla,
fomentarla e limitarne talora la potenza distruttiva.
Esprimono, le sculture, una specie di sofferenza del fare,
arcaica proprio perché profondamente naturale, cui non è
estraneo, nostalgico e dialettico ad un tempo, uno sguardo
al passato.
In questo modo Fernando Izzi si ricongiunge, con una spirale
dove presente passato e futuro si compenetrano, all’antica e
nobile arte delle forge cui la fantasia degli uomini, lungo
la storia, ha sempre attribuito oscure fascinazioni
simboliche.
Viene dunque spontaneo l’accostamento delle sculture alle
figurette di pietra degli artigiani delle cattedrali
gotiche, tanto amate da Proust: piccole figure inoffensive
risuscitate, contro ogni speranza, da quella morte, che
sembra più totale delle altre, che è la scomparsa
nell’infinito del numero: sottratte all’oblio soltanto
dall’arte.
E la tradizione e il lavoro che si fanno arte attraverso
l’entusiasmo e la memoria, il quotidiano ed il sogno, sono
l’essenza di una civiltà. E in questo senso il volume è un
monito a non dimenticare ed un esempio da seguire per
restituire al nostro Molise la dignità delle sue radici, che
rischia di cadere per sempre nell’oblio.
Angela Piscitelli |
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