Ligabue
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Antonio Ligabue , vero nome Antonio Laccabue (Zurigo18 dicembre 1899 – Gualtieri27 maggio 1965) è stato un pittore italiano, tra i maggiori esponenti del genere naïf nel XX secolo.

 

Biografia 

 

Nato da Elisabetta Costa, originaria bellunese e da padre ignoto, la madre sposò nel 1900 Bonfiglio Laccabue, originario di Reggio Emilia che legittimò il figlio Antonio dandogli il proprio cognome (che nel 1942 il pittore avrebbe cambiato in Ligabue).

Nel 1913 morirono tragicamente la madre e 3 fratellastri. Entrò in un collegio di ragazzi portatori di handicap, ma nel 1915 ne fu espulso. Iniziò a lavorare saltuariamente come contadino e condusse una vita errabonda.

Dopo un vivace alterco con la matrigna fu ricoverato in una clinica psichiatrica.

Nel 1919, su denuncia della matrigna, fu espulso dalla Svizzera. Da Chiasso fu condotto a Gualtieri, paese d'origine del padre adottivo. Tuttavia fuggì dal paese tentando di tornare in Svizzera. Riportato nel paese, visse del soccorso del Comune nell'ospizio di mendicità Carri.

Nel 1920 gli fu offerto un lavoro agli argini del Po, proprio in quel periodo iniziò a dipingere. Nel 1928 incontrò l'artista Mazzacurati ed in quegli anni si dedicò completamente alla pittura, continuando a vagare senza meta per il fiume Po.

Nel 1937 fu ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel 1941 lo scultore Andrea Mozzali lo fece dimettere dall'ospedale psichiatrico e lo ospitò a casa sua a Guastalla, vicino a Reggio Emilia.

Durante la guerra fece da interprete alle truppe tedesche. Nel 1945 fu internato in manicomio per aver picchiato un militare tedesco, ci sarebbe restato per 3 anni.

Nel 1948 iniziò a dipingere più intensamente e giornalisti, critici oltreché mercanti iniziarono a interessarsi a lui. Nel 1957 Severo Boschi, "firma" del Resto del Carlino, e il noto fotoreporter Aldo Ferrari si recarono a Gualtieri per incontrarlo. Ne uscirono un servizio importante e immagini tuttora notissime.

Nel 1961 fu allestita la sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Ebbe un incidente di motocicletta e l'anno successivo fu colpito da paresi. Guastalla gli dedicò una grande mostra antologica.

Chiese di essere battezzato e cremato e morì il 27 maggio 1965. Riposa nel cimitero di Gualtieri, sulla sua lapide la maschera funebre in bronzo ad opera di Mozzali.

Viene considerato il maggior esponente dell'arte cosiddetta naïf.

Sulla sua vita, il regista Salvatore Nocita realizzò nel 1977 per la RAI uno sceneggiato, Ligabue, con Flavio Bucci nella parte dell'artista.

 

Con Franz Boas ci si può stupire di “quanto sia peculiare all’uomo la grande variabilità di comportamento nelle sue relazioni con la natura e coi suoi simili”, ma con Jean Dubuffet ci si incuriosisce alla “sparsa e repressa cultura selvaggia nel tentativo di ricostruire le tessere di una visione del mondo totalmente “altra” da quella dominante”. Nessuno più di Dubuffet ha sostenuto i diritti di tutti di giungere a fare arte, tutti coloro che riescono a regredire verso gli stati primitivi e selvaggi traendone energia sufficiente per divenire artisti. Il primitivo ama ed ammira l’albero, […] crede in una reale affinità fra uomo, l’albero ed il fiume e la pittura diviene mezzo d’espressione di voci interiori più efficace delle parole.
Un’opera d’arte presenta interesse solo a condizione di essere una proiezione molto immediata e diretta di ciò che avviene nella profondità di un essere.
Così Renzo Margonari scrive di Antonio Ligabue:
“Primitivo, avulso da ogni concetto culturale, bersagliato dallo scherno degli uomini, pittore per istinto.
Dall’osservazione del caso Ligabue vien fatto di credere vera
l’asserzione di Dubuffet il quale riteneva falsa l’idea secondo cui “soltanto rari uomini segnati dal destino, avrebbero il privilegio d’un mondo interiore che valga la pena essere esteriorizzato. […]
Sanguigno, collerico […] con un senso sconcertante del colore, preso tutto da una non tranquilla pazzia popolata di larve rancorose, di animali nobilitati per disprezzo all’uomo”.
Illuminanti sono le parole di Herbert Read nel suo Significato dell’arte:
“Per il primitivo la creazione artistica significa una fuga dall’arbitrarietà della vita. Egli vive alla giornata nell’esatto significato dell’espressione.
Allorché crea un’opera d’arte, quale atto di proposizione magica, egli evade dall’arbitrarietà, altrimenti dominante della sua esistenza, creando ciò che per lui è un’espressione visibile dell’assoluto. Ha arrestato per un momento il flusso dell’esistenza e costruito un oggetto solido e stabile, ha creato fuori del tempo uno spazio e l’ha definito con una linea di contorno. Sotto l’impulso dell’emozione questo contorno ha assunto una forma espressiva: è diventato un ordine, un equivalente formale della sua emozione”.
La psichiatra Maristella Miglioli traccia un’interessante diagnosi a posteriori (1980):
“Aveva un contatto con la realtà diretto e trasparente, oppure il rapporto avveniva attraverso mediazioni?
E ancora: era folle Ligabue e di quale follia?, perché la sua produzione artistica appare lontana anni luce dalla cosiddetta espressività psicopatologica, ma è pur vero che il personaggio era stravagante e bizzarro. […] Quale mai diagnosi o definizione psichiatrica potrà spiegare o render conto del mistero della potenza creativa di Ligabue? Ma perché è l’unico rito che so compiere: rito che, se potesse essere praticato nello spazio della mente, troverebbe
una sua legittimazione pubblica sulla pagina scritta nel dato di
realtà che Ligabue si porta comunque già addosso, come un abito cucito in fretta e che sta stretto, delle diagnosi medico-psichiatriche: quella di ritardato mentale per cui fu inviato ragazzo tredicenne all’istituto di Tablat, da cui venne poi trasferito, per sopraggiunta cattiva condotta ad un altro istituto, a Marbach, con finalità oltrechè didattiche anche correttive (nel significato implicito che il termine correzione ha in questi casi); e ancora la diagnosi dell’ospedale psichiatrico di Pfäfers, dove venne ammesso all’età di 18 anni. […] E infine le sue diagnosi, la prima di depressione semplice, poi integrata al secondo ricovero in quella più complessa di psicosi maniaco-depressiva, assegnatagli al frenocomio di S. Lazzaro di Reggio Emilia ove venne ricoverato per ben tre volte, nel 1937 per pochi mesi, dal ’40 al 41 e infine dal ’45 al 48.

 


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Last updated: maggio 08, 2005.