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Nota per il 3° Convegno dei Giudici scrittori / ottobre 2008
Per
aprire un discorso sulla poesia, riferita per l’appunto ai
“giudici poeti”, cito, come entrata, le parole di Lacan
sul linguaggio poetico “ …Il soggetto è in
processo, ed è soprattutto capace di diventare altro da ciò che egli
è…” nel nostro caso non più “giudice “, ma Poeta.
La
poesia che comunica significati personali, interiori,
come afferma Julia Kristeva: “ E’ una vera e propria
rivoluzione, all’interno e contro l’ordine sociale “.
La
poesia libera, senza marchi né etichettature. La poesia senza
età, né confini, che dalle cose più piccole arriva
alle più grandi, verso aperture immense, cosmiche,
del linguaggio.
La
poesia proiettata fino ad andare oltre le parole,
ma pur restando nelle parole, espandendosi fino
agli estremi limiti del dicibile, mossa da un incessante
moto teso ad un continuo processo di superamento
La
poesia come atto di comunione fra gli uomini, riconosciuta
nel mito e nei suoi simboli, nella sua apparente
misteriosa complessità, è, in realtà un’espressione
profondamente naturale.
E’ della
natura dell’essere… che la poesia parla…
comunicando con il suo linguaggio, che per molti risulta
difficile, se non incomprensibile.
Ma perché tanta difficoltà
nell’interpretare una composizione poetica?
Una
spiegazione la possiamo trovare nel significato del mito e
della favola, ove nella loro concezione non vi sono
strutture usuali, o meglio, programmazioni verso e
per conto di fini utilitari che non fanno altro che
esaltare gli aspetti più esteriori della vita. Né
tantomeno, come nel linguaggio scientifico, dove la ricerca
scrupolosa del contenuto razionale, non deve e non può
dare adito ad interpretazioni che non siano dimostrabili. Regola
questa, tanto cara alla mentalità cosiddetta moderna,
prevalentemente opportunista che in questo modo, travisando la
scienza, per i propri vantaggi non fa che sopprimere
nell’uomo la coscienza di quel mondo di favola, di cui da
bambino ne subiva il fascino.
A ben
vedere, considerando l’epoca in cui viviamo, costellata dalla
violenza gratuita e dalle morti che non hanno
spiegazione, quale risultato di una umanità profondamente in
crisi, ove i fatti drammatici non ci danno più tregua, nè facili
illusioni, c’è da pensare a quale fine si sta destinando l’uomo che
ammazza il bambino, quel bambino che nonostante
tutto, continua ad essere in lui, perché parte di lui.
Solo
avendo coscienza di quel passato glorioso e
innocente, che ascoltava le favole e incarnava i miti
con quella spontaneità e naturalezza tipica della gioventù,
parafrasando le parole di Dostoewskij che appunto affermava
che “…Solo la bellezza salverà il mondo…” e quelle di
Fondandosi Gennaro Francione
sull’Estetica anziché sull’Etica, in queste evolute
espressioni cariche di umana forza, possiamo riconoscere
un valido motivo di speranza, per quel bene unico e prezioso
quale è la vita.
Stefano Loconte
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Monologo di Luigi di Majo
IlCornuto
immaginario da Sganarello
ovvero il cornuto immaginario di Molière con Luigi Di Majo.
Commedia rappresentata per la prima volta
a Parigi
sul teatro del
Petit-Bourbon
il 28 maggio 1660
dalla
Compagnia di
Monsieur, fratello del re.
SCENA XVII
SGANARELLO (solo)
SGANARELLO – Che il Cielo la preservi per sempre da ogni male! Ma
pensate che bontà: volermi vendicare lei! In effetti, tutta questa
collera suscitata in lei dalla mia disgrazia, è un altro monito a fare
il mio dovere: non bisogna mai sopportare affronti simili in silenzio, a
meno che uno non sia un idiota fatto e finito. Dunque corriamo a cercare
quel delinquente che mi ha insultato; tiriamo fuori tutto il coraggio
che abbiamo per far vendetta della nostra vergogna. Imparerete,
furfante, a divertirvi alle mie spalle e a far cornuta la gente senza
nessun riguardo! (Fa tre o quattro passi poi si volta) Un
momento, per piacere! Quell’uomo mi ha l’aria di essere di sangue caldo
e di temperamento vivace; potrebbe anche aggiungere il danno alle beffe,
e caricarmi le spalle di legname così come mi ha fatto per la fronte. La
gente collerica io non la posso soffrire, mentre mi piacciono molto gli
uomini pacifici; io sono un tipo che pur di no pigliar le botte fa a
meno di darle, e la mia più grande virtù è quella di avere un carattere
conciliante. Però, il mio onore mi dice che di un tale affronto non
posso assolutamente non vendicarmi. Oh, insomma: dica pure quel che
vuole e al diavolo chi gli dà retta! Quand’anche avrò fatto l’eroe, e
magari per mia disgrazia mi sarò fatto bucare la trippa da un colpaccio
di spada, e per tutta la città correrà la notizia della mia morte, dimmi
tu, onore mio, che cosa ci avrai guadagnato in salute? La cassa da morto
è un soggiorno veramente malinconico, e poco indicato per uno che soffre
di colite; e quanto a me, io trovo, tutto ben considerato, che è sempre
meglio essere cornuto che morto. Che male ti può fare? Ti si piegano le
ginocchia, dopo tutto, o ti si guasta la linea? Al diavolo chi ha fatto
la bella scoperta di torturarsi l’anima con questa stupidaggini, e di
vincolare l’onore di un uomo, foss’anche dell’uomo più saggio del mondo,
a quel che può fare una donna leggera! Se giustamente consideriamo che
la colpevolezza è un fatto personale, che cosa fa in un caso come il
nostro onore di uomini per essere colpevole? Eppure è su noi che cade il
biasimo; a noi si dà la colpa di azioni altrui. Se le nostre mogli, per
conto loro, hanno una relazione illecita, tutto il male cade sulle
nostre spalle! Loro fan stupidaggini, e noi siamo gli stupidi! E’ una
mostruosa ingiustizia, un abuso contro il quale la polizia dovrebbe
provvedere! Come non ne avessimo già abbastanza dei guai che ci saltano
addosso nostro malgrado! Come se le liti, i processi, la fame, la sete,
le malattie non turbassero già abbastanza la serenità della vita, senza
che stupidamente ci si debba creare un altro fastidio totalmente privo
d’ogni ragion d’essere! Infischiamocene: mandiamo al diavolo paure e
sospetti e mettiamoci sotto i tacchi lacrime e sospiri. Se mia moglie ha
sbagliato, pianga e si disperi lei; perché dovrei piangere io, che non
ho fatto niente di male? Comunque, un’altra cosa che può aiutarmi a
farmi passare il nervoso è il fatto che non sono certo il solo nella
confraternita; al giorno d’oggi, vedersi corteggiare la moglie e non
darsene per intesi, è molto di moda nella buona società. Vediamo dunque
di non star lì ad attaccare lite per un affronto che è una stupidaggine
qualsiasi. Diranno che sono un idiota a non vendicarmi; ma mi sentirei
più idiota ancora se corressi a farmi ammazzare. (mettendosi la mano
sullo stomaco) Eppure sento qui dentro agitarsi un furore che mi
esorta a un qualche gesto virile! Si, la collera, mi afferra; bando a
ogni viltà: sono decisissimo a vendicarmi di quel furfante. E tanto per
cominciare, acceso di sacro fuoco, andrò in giro a dire a tutti che va a
letto con mia moglie. (Esce)
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