Teatro Patologico
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Tifoso appassionato dell'Inter e del calcio amante fuori misura, tanto da rifiutare numerosi incarichi importanti negli Stati Uniti per continuare a seguire da vicino il campionato italiano, nonché calciatore egli stesso e per un quadriennio nelle fila dei ragazzi del Milan allenato da Trapattoni, Dario D'Ambrosi nasce a San Giuliano Milanese da genitori salernitani trasferiti, appena dopo la nascita del loro primo figlio, nell'hinterland della capitale lombarda e qui occupati in una vetreria.
Sul giovane Dario ben presto esercita una speciale attrazione la follia, quella reale dei malati di mente con i quali - come un antropologo che, in ossequio alla tecnica dell'"osservazione partecipante", soggiorna a lungo con il gruppo tribale oggetto delle proprie ricerche - si fa internare, all'ospedale psichiatrico "Paolo Pini" di Milano. Viene da lì la particolare drammaturgia di D'Ambrosi, elaborazione personalissima di storie vere di malati di mente che negli anni a seguire daranno vita al suo teatro, cosiddetto "patologico" - una definizione felice e destinata a durare, coniata da quei primi critici (pochi) che si spingono fino allo spazio di via Ramazzini, nel centro di Roma, teatro sui genens dove Dario presenta i suoi lavori d'esordio, e dove tuttora opera.
Avviene oltreoceano l'incontro e l'innamoramento di Dario con il palcoscenico. A vent' anni infatti, a quanto pare con il ricavato della vendita di un'auto regalatagli dal padre, o chissà in quale altro fortunoso modo, D'Ambrosi scappa di casa e vola fino a New York portando con sé dentro ad uno striminzito bagaglio la camicia di forza utilizzata nelle prime prove milanesi, al Teatro di Portaromana. Siamo alla fine degli anni '70 e nella Grande Mela che pullula di occasioni e di amicizie fin nelle strade, Dario si presenta ad Ellen Stewart, madrina del Cafè La Mama, top dell'off Broadway, con il monologo Tutti non ci sono, che interpreta a porte chiuse e senza altri spettatori ché lei. Lo spettacolo resta in cartellone per mesi e D'Ambrosi diventa membro del. Cafè La Mania, che da allora continua a frequentare con assiduità e dove dal 1989 dirige il festival di teatro "L'altra Italia".
L'esperienza newyorkese dà la stura alla biografia artistica di Dario, che fino ad oggi ha scritto, diretto e interpretato una ventina di lavori ospitati oltre che nelle maggiori città italiane nella stessa New York e ancora a Boston, Chicago, Cleveland, Detroit, Los Angeles, e in Europa a Barcellona, Amsterdam, Monaco. Fra i titoli più significativi: I giorni di Antonio, La trota, il già ricordato Tutti non ci sono, Allucinazioni da psicofarmaci, Cose da pazzi, Arancia meccanica, Il principe della follia, Frusta-azioni, Un regno per ti mio cavallo (quest'ultimo, tratto dal Riccardo III di Shakespeare, realizzato nell'ambito.del Progetto D'Ambrosi, Rassegna Internazionale ideata e curata dall'artista al Teatro dell'Angelo di Bedy Moratti nella stagione 1995/96). Dicembre 1997 "Don Milani" nel ruolo di Benito.
Come regista D'Ambrosi ha girato il film Volare su soggetto da lui stesso scritto.

 

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"QUELLO STRANO RONZ!O NEL PARCO"

 

In questi anni al centro Sociale di Villa Maraini abbiamo fatto un lavoro nuovo. Il contatto fra il Teatro e un ambiente dove si lavora sulla malattia mentale, dove ci sono ragazzi con gravi problemi psichici, ha fatto fare una svolta a tutte e due le realtà. Negli spettacoli nati al centro Sociale è cresciuta la liberà creativa. Lavorare in un luogo del genere è molto diverso rispetto a lavorare in un teatro. Tutti gli artisti che ci hanno provato. l'hanno definita "una cosa magica". Perché? La libertà è assoluta. Ma nello stesso tempo la comunicazione deve essere franca, diretta. Appassionante. Si è portati a esprimere le cose che veramente si ritengono importanti. Perché di fronte all'emarginazione i falsi problemi, i drammi da salotto, le "operazioni di successo" non stanno in piedi.

Anche il Centro Sociale è cresciuto. Attraverso il teatro si è aperto all'esterno, si è fatto conoscere. Con il Festival Internazionale di Teatro Patologico si è confrontato con esperienze provenienti un po' da tutto il mondo. Il pubblico che alla sera è venuto a vedere gli spettacoli è entrato nel Centro Sociale, ne ha capito la realtà, i problemi, gli obiettivi. L'attività teatrale ha fatto da volano alla battaglia ancora in corso per il risanamento dell'edificio in cui i ragazzi e gli assistenti vivono e lavorano. L'abitudine al lavoro teatrale ha fatto in modo che i ragazzi del centro lo sentissero come un fatto normale, talvolta addirittura vi partecipassero.

Un luogo come il Teatro al parco dimostra che il Teatro è vivo e, nel suo specifico, insostituibile come momento di comunicazione. Nei luoghi di emarginazione sociale il Teatro rientra in contatto con le sue origini: quelle del conflitto psichico profondo. In questo senso andare a teatro torna ad essere per la gente una cosa sensata.

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Per ulteriori informazioni:http://www0.moviement.it/forms/d-dambrosi.htm