INTEGRAZIONE
IMMIGRATI. MEZZI DI SOSTENTAMENTO E ANTICOPYRIGHT
(relazione
tenuta nel Convegno di Napoli - nov. 2003 Immigrazione
E Anticopyright: Ad Un Anno Dalla Regolarizzazione, Emersione O
Integrazione? Presente Il Ministro Degli Interni
http://www.vnunet.it/detalle.asp?ids=/Notizie/Sicurezza/Servizi/20031106001)
di
Gennaro
Francione
"La giustizia, come un portiere d'albergo, apre l'uscio
all'affermarsi di tutti gli altri valori. Il grande Erasmo il folle era
convinto che la fede e le idee valgono assai più della vita. Morì mentre
pregava per i suoi persecutori. E io, misero, qua a piagnucolare".
(Così il giudice Pannone in Doppelgänger
iudex - I due giudici: il genio
e il folle di G. Francione)
Tutto è nato la mattina del primo processo che celebrai per la
vendita di cd contraffatti. Ci avevo pensato da giorni alla faccenda e la
sera prima dell'udienza ancora mi tormentava l'idea di dover dare mesi di
reclusione a quei quattro poveri Cristi che mi sarebbero venuti davanti
l'indomani.
La mattina del 15 febbraio 2001 mi svegliavo alle 4 con l'idea
luminosa e precisa: dovevo assolvere quei poveracci per aver agito in
stato di necessità. E ciò era tanto più chiaro nel dilucolo incombente
perché era nella realtà delle cose: perché questi extracomunitari
passavano ore ed ore sui marciapiedi,
vendendo dischetti falsi, se non per sfamarsi?
Ho scritto lo schema della sentenza e
l'ho ripetuta con i quattro imputati stranieri con motivazioni
contestuali. La cosa non è piaciuta ai potentati economici e ai politici
di una certa linea sicché è stata avanzata a
stretto giro, appena sei giorni dopo il provvedimento,
un'interrogazione parlamentare dove si reclamava la mia testa, tentando di
farmi passare per bizzarro,
perché oltre ad essere giudice mi manifestavo in rete come scrittore,
drammaturgo, poeta, saggista, musicista, scacchista e altre cosette del
genere.
Insomma un ideale neorinascimentale che perseguo e manifesto da una vita
era preso a pretesto per colpirmi.
Io ho un grande amico Albanese. Si chiama Visar
Zithi ed è stato messo dal vecchio regime di quelle terre per 12 anni ai
lavori forzati, avendo scritto "libere" poesie. 12 anni con le
palle ai piedi per aver descritto l'altro sole, il
sole di sangue.
Di che cosa potevo lamentarmi, io, da questa parte del Tirreno? In
fondo si tentava di solo di incatenarmi la bocca, come giudice e come
artista, con la calunnia e il venticello di un'azione disciplinare andata
perennemente a vuoto...
L'attacco in Parlamento, non recepito dal vecchio governo, era
accolto dal nuovo che però si guardava bene dal censurarmi come
giudice-scrittore, limitandosi a considerare la sentenza dal punto di
vista tecnico, definendola "abnorme". Sono stato prosciolto
ampiamente in sede disciplinare dal CSM e questa è una vittoria non solo
mia personale ma della libertà di pensiero e dell'azione che i giudici
ogni giorno fanno per assicurare una giustizia reale di eguali nel nostro
paese.
Il primo quesito di quella che in rete e fuori è stata definita sentenza
anticopyright è quello più generale: "Può un giudice giusto
applicare una legge ingiusta"?. Nella risposta noi ci poniamo
nettamente in chiave antisocratica, tanto più che noi non siamo passivi
destinatari della legge ma attivi esecutori, essendo magistrati,
rappresentanti del terzo potere dello stato, cui è imposto dall'art. 3
della Costituzione - nei limiti delle facoltà interpretative creative
ancora concesse - di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che si frappongono a una
reale eguaglianza delle persone.
Nel nostro sforzo di vedere se la legge repressiva sul copyright
era da considerarsi giusta, ci siamo rivolti agli altri addetti ai lavori.
Abbiamo così scoperto (con notizie limitate al Tribunale di Roma) che ha
cominciato un P. M., il dott. Carlo Luberti, il quale già poco dopo
l'uscita della legge chiedeva l'assoluzione per questi reati,
motivandola con
l'errore scusabile della legge penale. Veniva seguito da alcuni GIP, poi
da altri P.M. e, infine, da qualche giudice.
E' notizia delle ultime ore che i V.P.O. di Roma chiedono
diffusamente lo stato di necessità per gli extracomunitari senza mezzi in
questo tipo di reati. Finanche un giudice, la dottoressa Maria Concetta
Scuncia, è arrivato a sentenziare lo stato di necessità, mentre molti
altri, pur non accettando la scriminante, in camera
caritatis ammettono che sarebbe bastata una sanzione amministrativa
per tentare di arginare il fenomeno.
Le sentenze anticopyright sono state tutte appellate dalla Procura
Generale. Aspettiamo che si pronunci il giudice dell'Appello e ci
auguriamo che almeno una sentenza giunga in Cassazione per conoscere il
giudizio di legittimità in merito.
A proposito della vendita di prodotti contraffatti già la Suprema
Corte aveva aperto una breccia potente sulla depenalizzazione
in re della normativa riguardante la materia parallela della
contraffazione dei marchi, ritenendo che, quando la persona si porti ad
acquistare dal vu cumprà capi d'abbigliamento contraffatti, nella vendita non c'è
reato. Infatti si è in presenza di un'ipotesi tipica di falso
"impossibile o innocuo", essendo percepibile da qualsiasi
acquirente di comune esperienza che la merce venduta
non poteva certamente essere stata prodotta e distribuita, dati i
prezzi bassi presumibilmente praticati, dalle prestigiose ditte di livello
internazionale cui si riferivano i marchi contraffatti.
Non sussiste, pertanto,
l'elemento materiale del reato di cui all'art. 474 c.p. secondo una
nota sentenza della Cassazione (Sezione Quinta Penale - Sent. n. 2119/2000
- Presidente N. Marvulli - Relatore L. Toth), la quale, assumendo a
giustificazione della decisione il background socio-economico del popolo,
afferma testualmente che non "si può ignorare sul piano dell'attuale
costume che l'offerta da parte dei venditori ambulanti di prodotti griffati
è ormai accolta dalla clientela con un diffuso e sottinteso scetticismo
circa l'autenticità dei marchi, con un'accettazione implicita della
provenienza aliena dei prodotti stessi, dato il loro prezzo e l'evidente
approssimazione dei segni a quelli effettivi che la clientela di comune
esperienza ben conosce nelle reali caratteristiche distintive".
Dietro questa decisione, anche se non dichiarata, c'è
probabilmente - come nel caso della vendita dei cd contraffatti con
assoluzione per errore scusabile della legge penale - una convinzione
espressa chiaramente nella sentenza anticopyright: e cioè che il popolo
squattrinato, che ricorre a piene mani all'acquisto di questi prodotti da
sottomercato, non sente l'illiceità che sottostà, secondo la legge, alla
vendita.
Un altro indizio del reale modo d'intendere dei magistrati, che
riflettono l'intendimento della gente sul punto,
è la mancata contestazione del reato ricettazione in capo al
cittadino acquirente del prodotto contraffatto da parte dei P. M, cosa cui
si è cercato di ovviare con le ultime leggi ancora più repressive
col rischio di portare a una criminalizzazione di massa. Se la legge
riceverà piena attuazione di
certo non basteranno i 50.000 posti già strettissimi delle nostre
carceri, occorrendo affittare per contenere i contravventori non un'isola
ma un continente intero tipo l'Australia, dove un tempo l'Inghilterra
relegava a valanghe i suoi galeotti.
Ritornando alla sentenza anticopyright, in un'indagine più ampia
si rilevava che il senso della non illiceità di questi comportamenti,
diffuso tra i non addetti ai lavori, è addirittura dilagante nei commenti
della popolazione.
Orbene la prima fonte della giustizia a cui mi appellavo per
prendere la decisione anticopyright era proprio il popolo. Quel popolo
poveraccio che scarica MP3 da internet, che masterizza cd, che fotocopia
libri universitari costosissimi, che utilizza software clonati, che compra
cd per strada perché quelli originali, quelli sì, sono "un
autentico furto". Avranno forse letto l'articolo Joost Smiers
"La proprietà intellettuale è un furto"?.
Non credo, ma poco importa.
La teoria di Joost Smiers e l'invettiva popolare vanno prese cum grano salis naturalmente, nel senso che bisogna ridurre
drasticamente il prezzo dell'arte per far sì che chiunque possa goderne.
D'altra parte che società schizoide è mai questa che crea
fotocopiatrici, masterizzatori, registratori, riproduttori, comunicazioni
internettiane velocissime per la diffusione del sapere in tutte le forme e
poi criminalizza la riproduzione gratuita dell'arte globale?
Al di là dei formalismi per cui le leggi vanno rispettate solo
perché vengono fatte dai rappresentati del popolo, accade spesso che si
facciano leggi contro il popolo, pro forti che diventano sempre più forti
e contro i deboli che diventano sempre più deboli. E non sono
forse deboli gli extracomunitari venuti nel nostro paese a sbarcare il
lunario, come fecero tanti connazionali che nella prima metà del '900
emigrarono in America? E non è forse debole l'impiegato italiano che
guadagna 1000 euro al mese e che, per mezzo esame universitario del
figlio, deve sborsare 100 euro per un solo libro?
La verità, di fondo, è che le leggi vanno armonizzate col comune
sentire della gente. E molte leggi xenofobe nascono, invece,
dall'esigenza di lavorare sui bassi istinti delle persone, sulle
loro paure nei confronti dello straniero considerato come alieno, invece
di istruirle sul loro stato, sulle loro miseria, sulla loro fame ingiusta,
a fronte della nostra ricchezza che ci porta a buttare via cibo che
potrebbe sfamare i loro magrissimi figli lasciati a morire nelle terre
lontane.
Tra queste leggi poco amanti dell'extracomunitario marziano ci sono
non solo quelle tendenti a
criminalizzare l'uso illecito del copyright, dei marchi, dei brevetti ma, infine, le leggi come la Bossi-Fini che progettano
di criminalizzare il fatto in sé di essere straniero, non
burocraticamente inserito nel territorio italiano, creando spesso
situazioni paradossali e di inefficacia uroborica contro gl'intenti.
Molti attacchi di anticostituzionalità sono stati rivolti dai
giudici alla Bossi-Fini che fa acqua da tutte le parti, ma non c'è
nemmeno bisogno di scomodare la Corte Costituzionale per rilevare il
seguente effetto perverso.
Si arresta lo straniero senza permesso di soggiorno e lo si porta in
vinculis davanti al giudice che lo libera. A tal punto il giudice
dovrebbe emettere nulla-osta per l'espulsione ad opera della Questura, che
però è vietata dalla Costituzione (art. 24) e dalle norme delle
Convenzioni internazionali, che
proteggono la presenza continua dell'imputato in tutti i gradi e le fasi
del processo. Insomma lo straniero che viene arrestato perché non se n'è
andato dall'Italia, proprio per il fatto di subire un processo per questo, alla fine non se ne può più andare
perché ha il diritto di assistere al suo processo. Un autentico ghirigoro
normativo, per cui la legge che vuole ottenere un effetto rigoroso, genera
esattamente l'effetto contrario.
La verità è che qualunque legge disarmonica, forzante oltre
misura, si distrugge da se medesima, per così dire non potendosi
costringere il popolo a tenere comportamenti che non sente affatto.
E poi come si fa a fermare l'ondata di "invasori" nel
nostro paese? Come fare per impedire loro di vendere cd, borse e maglioni
contraffatti se davvero ciò che li spinge è la fame e il bisogno di un
panino? Ma vogliamo davvero impedire loro di vendere questa merce di serie
b con l'effetto perverso che andranno a commettere reati più gravi?
La nostra proposta è il dialogo continuo con gli stranieri che
entrano nelle nostre terre e per far ciò anche la via dell'anticopyright
enunciata nella sentenza ci appare valida. Ciò al fine di costruire un
mondo sferico di reali eguali, metanazionale e non a senso unico pro
forti, senza gerarchie com'è nell'attuale sistema a piramide
antidemocratico.
In una nuova visione non globalizzata dell'arte libera e pressoché
gratuita si verificherà il ridimensionamento del diritto di proprietà
intellettuale in nome della detentio
(l'artista possiede le sue opere in nome dell'umanità di cui è debitore)
con la conseguente disintegrazione progressiva del copyright.
Ciò a vantaggio del popolo che non ha soldi per comprarsi cd,
manufatti, libri a prezzi esosi e degli stranieri che
venderanno i prodotti di serie b senza incorrere nelle maglie di ferro
della legge.
Ciò comporterà la nascita di mercati paralleli dei prodotti
artistici, ora legalizzati e non più criminalizzati, con creazione di
nuovi posti di lavoro leciti soprattutto per gli immigrati, eventualmente
organizzati in cooperative.
Per ricompensare gli artisti e
i loro produttori si potranno studiare compensi
minimi a forfait come quelli oggi pagati dalle radio private alla
SIAE. Si tratta di quelle che un tempo si chiamavano "radio
pirata". Trasmettevano eludendo la legge, in modo un po' avventuroso,
fuori dagli schemi. Poi sono diventate "radio libere", sempre
alternative ma più o meno legali; ora sono semplicemente "radio
private", nel senso proprio di "imprese private" in qualche
modo regolarizzate.
Anche allora come ora su Internet, le radio musicali si
comportavano come gli attuali siti che archiviano e distribuiscono MP3. Le
case discografiche, però, avevano un comportamento ben diverso, non
facevano alcuna battaglia contro le radio libere, ma anzi mandavano dischi
gratis alle radio appena appena affermate. Evidentemente ritenevano, a
differenza di oggi, che il mezzo migliore per promuovere la musica sia
farla conoscere, e il mercato proliferava. Ora sono passate all'eccesso
opposto dell'inutile criminalizzazione perché, per proteggere i loro
compensi esorbitanti, finiscono per perdere anche i minimi diffusissimi
che potrebbero avere.
In definitiva nella rivoluzione copernicana
dell'antiarte-anticopyright: "Chi possiede e paga ottiene il prodotto
primario. Chi ha poco acquista al mercato parallelo in qualche modo
legalizzato".
Questo è, in chiave umanistica, il primato del sapere e della
creatività sull'economia.
A tal punto mi fermo e lascio parlare la sentenza che di per sé è
già una tabula compiuta sulla
materia. Per la precisione la sentenza riportata
non è quella originale ma solo un prototipo formato dalle
decisioni iniziali integrate da
rilievi e idee maturate successivamente.
Chiuderò, poi, con una cyberbibliografia specifica sulla sentenza
anticopyright onde consentire a chi desideri di approfondire gli
argomenti.
Non voglio tralasciare, però, di dare le tre chiavi di lettura
della decisione. Ciò a soli
fini di comodità: una prettamente giuridica; l'altra sociale-politico;
l'ultima artistica.
Dal lato specificatamente giuridico la sentenza si occupa dei
seguenti argomenti:
-
Valore della consuetudine.
-
Onere della prova contrastante la non punibilità spettante al P. M., in
ossequio al nuovo art. 111 della Costituzione in garanzia del giusto
processo.
-
Esimente ex art. 54 cp. (stato di necessità)
-
Interpretazione della legge "alla luce del mondo concreto".
Dal
punto di vista squisitamente sociale-politico gli argomenti sono:
-
Sintonia tra il dettato della legge e il "comune sentire della
popolazione".
-
Il Parlamento non può tradire le aspettative del popolo (le sentenze
vengono emesse in nome del
popolo), pena la disapplicazione della legge.
-
Situazione di indigenza a monte degli extracomunitari;
Dal
punto di vista dell'arte:
-
L'arte e la scienza devono essere libere e, quindi, usufruibili da tutti.
-
L'arte deve essere umanitaria e sociale e, quindi, facilmente
accessibile soprattutto a livello economico.
Anche la New Economy depone nel
senso dell'arte a diffusione gratuita
o a bassissimo prezzo.
Come ulteriore traccia di lettura per
seguire il
lato giuridico si annota quanto segue.
Il giudice
deve dimostrare
lo stato
di necessità (bisogno alimentare)
e il danno minimo arrecato.
Il bisogno alimentare lo considera fatto notorio, e perciò, per
costante giurisprudenza, non necessitante di prova. E' il Pubblico
Ministero a dover dimostrare in questi casi di indigenza a monte che
l'imputato ha altre forme di sostentamento lecite.
Il danno minimo arrecato si dimostra prima
facie col numero limitato di cassette
vendute e
poi ampliando il discorso ad internet che permette
già arte libera e
gratuita, ma soprattutto alla strada dove la gente continua ad acquistare
in massa prodotti contraffatti.
Una sentenza, quella anticopyright,
fatta dall'Uomo e per l'uomo
e in
linea coi
principi di un'arte libera e
umanistica, ma soprattutto rispettosa di minoranze di immigrati che hanno
diritto a nutrirsi e a vivere nel nostro paese che si assume civilizzato.
Riportiamo di seguito la sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Mohammed Tizio, colto in possesso di cd sprovviste di contrassegno
SIAE e abusivamente duplicati è stato
tratto a giudizio, chiamato a rispondere dei reati di cui alla rubrica.
In via preliminare il Giudice, dopo aver accertato che non
risultano nelle carte del P. M. atti tendenti a dimostrare che il
prevenuto straniero abbia altre forme di sostentamento oltre a quella
illecita rilevata, invitava le parti a svolgere i loro rilievi,
considerando che ricorresse un caso di obbligo di immediata declaratoria
di causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p.
per aver l'imputato agito in stato di necessità, essendo mosso
nella sua azione di venditore
di cd contraffatti dalla necessità di salvare se stesso dal pericolo
attuale di un danno grave alla salute e alla vita rappresentato dal
bisogno alimentare non altrimenti soddisfatto.
Essendosi il P. M. e la difesa in maniera concorde
pronunciati a favore della declaratoria de quo, il Giudice si ritirava in Camera di Consiglio per la
decisione, rilevando la sussistenza dell'esimente ex art. 54 c. p. sulla
base delle seguenti considerazioni.
In via preliminare va notato che il riconoscimento della causa di
giustificazione non necessita di alcuna richiesta difensiva. In realtà
nessuna disposizione normativa prevede questa sorta di condizione
costituente; essa nasce da un'interpretazione giurisprudenziale tutt'altro
che pacifica, tant'è che ha dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale
culminato anche in una sentenza delle Sezioni Unite (Sez. Un. 26 febbraio
1972, Marchese), secondo cui non vi è un onere probatorio dell'imputato
relativamente alle cause di giustificazione, ma un mero onere di
allegazione.
Secondo l'interpretazione di questo giudice, avallata dal nuovo
art. 111 della Costituzione che
esalta la paritaria posizione delle parti, in una rinnovata
latitudine del principio del favor rei è compito del magistrato di valutare, anche d'ufficio,
ogni elemento che possa escludere la responsabilità penale dell'imputato.
In alternativa esegesi si arriverebbe all'absurdum
di un giudice che, pur ritenendo in
nuce lo stato di necessità e non essendo questo allegato, magari per
errore della difesa, arrivasse a condannare l'imputato.
C'è poi da rilevare che la legge prevede l'obbligo di immediata
declaratoria di cause di non punibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
senza nulla dire sulle modalità dell'accertamento degli elementi posti a
base della decisione, accertamento che rientra appunto nella materia
soggetta a interpretazione dei giudici.
Nel caso di specie lo stato di necessità (leggasi: fame) come
fatto notorio trova fondamento adeguato nell'art. 530 nuovo c.p.p. che,
mutando normativamente la giurisprudenza formatasi sotto il vecchio codice
più restrittivo, ha sancito l'assoluzione anche col semplice dubbio sulla
causa di giustificazione.
Nel merito valga quanto segue.
La consuetudine è una manifestazione della vita sociale che si
concreta in un'attività costante ed uniforme dello Stato-comunità (Tesauro).
Ad essa può essere attribuita funzione di mezzo d'interpretazione di
principi e norme (consuetudine
interpretativa) ma anche di fatto idonea a disapplicare la norma
scritta (consuetudine abrogativa).
Il nostro ordinamento considera contra
legem la consuetudine abrogativa perché contraria al dettato
dell'art. 8 delle preleggi che comporta l'applicabilità della
consuetudine (usi) solo se richiamata da leggi e
regolamenti.
Nessuna
norma, invece, vieta la consuetudine interpretativa che anzi il magistrato
penale applica continuamente come nei processi indiziari ad esempio,
quando tenda a trarre conclusioni da comportamenti umani logici e regolari
individuati in un ambiente con un determinato background socioculturale.
Anche la legge penale va interpreta alla luce del mondo concreto in
cui si sviluppa, con tensione dinamica e non statica ad evitare una
discrasia tra il dover essere normativo e quello reale. "La dottrina
- come leggiamo in Antolisei - è concorde nell'attribuire alla
consuetudine la più grande importanza nell'interpretazione della legge,
specie nei riguardi dei fatti che sono valutati in diverso modo nei vari
ambienti sociali".
Secondo
Antolisei è addirittura da ammettersi la consuetudine
integratrice o praeter legem che sorga
per integrare i precetti della legge qualora essa non si risolva in danno
dell'imputato.
La legge e la giustizia vanno applicate in nome del popolo ad esso
spettando la sovranità (art. 1 della Cost.) e il metro di questa sintonia
è proprio la rispondenza piena del popolo alle leggi penali emanate dal
Parlamento, il quale può andare "controcorrente" quando
contraddica lo spirito del comune sentire della popolazione che ad esso ha
dato mandato, incorrendo in tal maniera
di fatto nella disapplicazione della norma scritta.
Nel caso di specie la norma repressiva di base, la protezione
penalistica - e non meramente civilistica del diritto d'autore - è
desueta di fatto per l'abitudine di molte persone di tutti i ceti sociali
che, in diuturnitas, ricorrono all'acquisto di cd per strada o scaricano MP3
da Internet.
Anche grossi network come Napster si sono mossi da tempo in senso
anticopyright e hanno permesso copie di massa dell'arte musicale. Fenomeno
appena sfiorato dalle recenti sentenze degli USA che si sono espresse nel
senso di regolamentare la materia della riproduzione di massa, ma con un
pagamento ridottissimo in un nuovo mercato dove il guadagno dei produttori
è quantificato su "minimi diffusissimi". In linea con questa
strategia si è espresso il Parlamento
europeo con la direttiva per
"la protezione del diritto d'autore nella società
dell'informatica" avanzando al più l'ipotesi di un equo compenso per
gli autori per la diffusione globale della loro opera.
Il fatto è che la strategia del regalo è uno dei
punti centrali nel mondo digitale, tanto che si parla di free economy, economia del gratis appunto, o di gift
economy, economia del regalo. "Nell'età dell'accesso si passa da
relazioni di proprietà a relazioni di accesso. Quello di proprietà
privata è un concetto troppo ingombrante per questa nuova fase storica
dominata dall'ipercapitalismo e dal commercio elettronico, nella quale le
attività economiche sono talmente rapide che il possesso diventa una
realtà ormai superata".
Anche la New Economy depone, dunque, nel senso dell'arte a
diffusione gratuita o a bassissimo prezzo, per rendere effettivo il
principio costituzionale dell'arte e la scienza libere (art. 33 della Cost.)
e, quindi, usufruibili da tutti, cosa non assicurata dalle attuali
oligarchie produttive d'arte che impongono prezzi alti, contrari
a un'economia umanistica, con economia anzi diseducativa per i
giovani spesso privi del denaro necessario per acquistare i loro prodotti
preferiti e spinti a ricorrere in rete e fuori a forme diffuse di
"pirateria" riequilibratrice.
L'azione degli oligopoli produttivi appare quindi in contrasto con
l'art. 41 della Cost. secondo cui l'iniziativa economica privata libera
"non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana".
Solo un'arte a portata di tasca di tutti i cittadini e soprattutto dei
giovani può essere a livello produttivo umanitaria e sociale come
richiesto dalla Costituzione, per far sì che davvero tutti possano godere
dei prodotti artistici.
In definitiva, se compito dello Stato ex art. 2 della Costituzione
è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono
al libero ed egualitario sviluppo della comunità, risulta la normativa
penalistica a favore del copyright tendenzialmente abrogata di fatto ad
opera dello stesso popolo per desuetudine, con azione naturale tendente a
calmierare le sproporzioni economiche del mercato capitalistico in
materia. Tale consuetudine non è quella abrogativa canonica ex
lege ma di fatto incide sull'interpretazione della norma penalistica,
quanto meno nel senso di far percepire al giudice quanto possa essere
ridotta la forza cogente di una norma espressa, imposta ma non accettata
dalla maggioranza del consesso sociale. Nel contempo permette di rilevare
come ai fini dell'enunciando stato di necessità il fatto del vendere
cassette per sopravvivere è più che proporzionato al pericolo connesso alla lesione del copyright (art. 54 ult.
parte co. 1).
L'azione di depenalizzazione strisciante e non legalizzata del
fenomeno trova appiglio de iure condendo nei lavori della Commissione ministeriale per la
riforma del codice penale (istituita con d.m. 10 ottobre 1998) che nel
progetto preliminare di riforma del codice penale avanza il principio
della necessaria offensività del fatto, e soprattutto, quello della sua
irrilevanza penale.
La Commissione ha preso innanzitutto atto del fatto "che il
principio di necessaria offensività costituisce ormai connotato pressoché
costante dei più recenti progetti riformatori. Esso ha trovato ingresso
nello schema di legge-delega Pagliaro, che in uno dei primi articoli,
collocato non a caso subito dopo la enunciazione del principio di legalità,
invita a "prevedere il principio che la norma sia interpretata in
modo da limitare la punibilità ai fatti offensivi del bene
giuridico" (art. 4 comma 1). Ed è stato enunciato a tutto campo nel
Progetto di revisione della seconda parte della Costituzione, licenziato
il 4 novembre 1997 dalla Commissione Bicamerale: "non è punibile chi
ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia
determinato una concreta offensività".
La Commissione ritiene che, al di là delle opinioni specifiche di
ciascuno sulle modalità di inserimento di tale principio nel codice, le
posizioni sopra enunciate esprimano la esigenza insopprimibile di
ancorare, anche visivamente, la responsabilità penale alla offesa reale
dell'interesse protetto, nel quadro di un diritto penale specificamente
finalizzato a proteggere i (più rilevanti) beni giuridici".
Anche sul campo della concreta offensività la New economy ha
dimostrato come addirittura la diffusione gratuita delle opere artistiche
acceleri paradossalmente la vendita anche degli altri prodotti smistati
nei canali ufficiali, e se ciò vale nello spazio virtuale di Internet
deve valere anche nello spazio materiale con vendita massiccia di
prodotti-copia che alimentano l'immagine e la vendita dello stesso
prodotto smistato in via "legale".
Naturalmente in questa sede la depenalizzazione in
re, per mancanza di una reale offesa al copyright (tutelabile al più
civilmente ma non penalmente), non
può essere ancora invocata e lo si potrà probabilmente con la riforma
del codice penale, ma il dato acquista rilievo di fatto ai fini di
stabilire la proporzione dell'azione svolta dai venditori di cd con
l'offesa arrecata ai diritti d'autore.
In tema di stato di necessità, a fronte dei dubbi interpretativi
suscitati dall'espressione "danno grave alla persona",
ancora la Commissione succitata ci illumina avendo proposto di
"chiarire quali beni siano effettivamente salvabili
(lo schema di legge-delega Pagliaro sembra considerare rilevanti agli
effetti dell'esimente tutti gli interessi personali propri o altrui, siano
essi oggetto di pericolo di un danno grave o non grave, attengano alla
integrità fisica o a quella morale della persona, compensando tuttavia
questo ampliamento con una drastica delimitazione della scriminante sul
terreno della proporzione)".
Quanto ai venditori di cd per strada
è fatto notorio che trattasi di soggetti privi di lavoro, in
condizioni spesso di schiacciante subordinazione. Notoria
non egent probatione, i fatti notori non richiedono prova dal momento
che la nozione di fatto de quo
rientra nella comune esperienza. Si aggiunga che dalle carte processuali
non emergono elementi per dedurre che il prevenuto avesse altre forme di
sussistenza e si può, quindi, presumere che la vendita del prevenuto oggi
incriminato sia fatta esclusivamente per il proprio sostentamento vitale.
Nel caso di specie è innegabile che il venditore di cd è un
extracomunitario che agisce spinto dal bisogno di alimentarsi. Una vecchia
giurisprudenza escludeva lo stato di necessità per chi agisca spinto da
necessità attinenti all'alimentazione
"poiché la moderna organizzazione sociale, venendo
incontro con diversi mezzi ed istituti agli indigenti, agli inabili
al lavoro e ai bisognosi in
genere, elimina per costoro il pericolo di restare privi di quanto occorre
per il loro sostentamento quotidiano".
Trattasi di giurisprudenza
riferentesi a un contesto sociale diverso da quello attuale dove l'entrata
in massa di extracomunitari rende praticamente impossibile predicare
l'esistenza di organizzazioni atte ad accoglierli e a nutrirli davvero
tutti. E, quindi, più che mai si pone il problema di affrontare modi e
forme del loro sostentamento, rendendosi necessario ampliare il concetto
di stato di bisogno quando vengano da essi commesse infrazioni minime al
consesso sociale, soprattutto in materie ai limiti del danno puramente
civile, ove questo stesso mai esista. Ciò è tanto più vero ove si pensi
che il fondamento della scriminante è stato colto nell'istinto della
conservazione, incoercibile nell'uomo.
Tale inquadramento risponde anche
a principi fondamentali garantiti dalla Costituzione come i diritti
inviolabili dell'uomo (art. 2 della Cost.), in cui è da ricomprendersi il
diritto a nutrirsi, e il
diritto alla salute (art. 32 della Cost.),
compromesso naturalmente in chi, non riuscendo a procurarsi un
lavoro normale suo malgrado, non abbia i mezzi minimi per il suo
sostentamento alimentare. Le norme costituzionali testé citate rendono
anche edotti della gravità del danno (attuale e continuato) derivante
alla persona dalla mancanza assoluta di mezzi per sostentarsi, altro
requisito richiesto dalla giurisprudenza costante
per potersi configurare lo stato di necessità da mettere in rapporto col
danno in concreto arrecato.
In conclusione, tenendo anche conto che ex art. 4 della Cost.
è compito dello Stato garantire il diritto al lavoro e promuovere
le condizioni che rendano effettivo questo diritto, non c'è fine di lucro
illecito "penalmente" in chi venda per strada cd a prezzo
ridotto (in linea con la New Economy) al fine di procurarsi da mangiare,
con azione accettata e condivisa dalla
maggioranza del consesso sociale. Quell'azione,
formalmente contra legem, è
scriminata da uno stato di necessità (art. 54 c.p.) connesso alla
sopravvivenza degli extracomunitari entrati nel nostro paese senza alcuna
regolamentazione lavorativa, essendo la loro attività di venditori
operanti per sopravvivere
assolutamente necessaria per sopravvivere
e proporzionata al pericolo di danno (minimo se non inesistente
visto il numero modesto di cassette contra
legem trovate) arrecato ai produttori.
Necessitas non habet legem,
quindi. Difetta l'antigiuridicità del comportamento incriminato per
mancanza del danno sociale rilevante ai fini penalistici, anche se non si
può escludere un risarcimento civilistico alla SIAE (peraltro neppure
presentatasi in questo processo) ex art. 2045 c.c. da coltivare e
realizzare eventualmente in sede civile.
Si ordinerà confisca e distruzione del materiale in sequestro.
P.Q.M.
visto
l'art. 530 c.p.p.
assolve
Mohammed Tizio dai reati ascrittigli perché i fatti non costituiscono
reato per aver agito in stato di necessità ex art. 54 c.p..
Ordina confisca e distruzione del materiale in sequestro.
IL GIUDICE
GENNARO FRANCIONE
NOTE CYBERBIBLIOGRAFICHE
La sentenza anticopyright ha suscitato ampio dibattito in internet
e fuori, citata in numerosi articoli e saggi.
In particolare:
1)Sirotti Gaudenzi, Il nuovo diritto d'autore, 2001, Maggioli Editore, pag. 92-95.
2)Giovanni
Ziccardi, Il diritto d'autore nell'era digitale, 2001, Il Sole 24 Ore, pag.
78-80
3)La serie edita dalla Ed. D'Agostino di Roma "Sentenza
anticopyright atto I, II, III etc." (Roma 2002) con i titoli: - - Immigrato.
Sì, questo è un uomo (C. D'Agostino,
R. Karelia e S. Proietti);
-
Sentenza Anticopyright - Atto II
(C. D'Agostino, R. Karelia e
S. Proietti);
-
Biopirateria - Droga
mediatica (Costanzo D'Agostino e Raul Karelia);
-
Brevetti sulla vita
- Crisi della
giustizia (Costanzo D'Agostino e Raul Karelia);
-
Democrazia, globalizzazione
e giustizia (Costanzo D'Agostino con poesie di M. G. Colombo;
-
Agonia e morte
del diritto d'autore
- Intervista (immaginaria) a Erich Fromm (Costanzo D'Agostino con
poesie di M. G. Colombo);
-
Intervista
immaginaria a George
Ivanovic Gurdjieff
- Da Gurdjieff
all'olismo moderno
(Costanzo D'Agostino con poesie incarcerate di Visar Zhiti);
-
Intervista
immaginaria a Jiddu
Krishnamurti (Costanzo D'Agostino
e Visar Zhiti, Poeta dell'Abisso).
4)Foro
italiano, fasc. n., II, pp. 175 e ss., 2003.
5)
Antonio Tarasco, La consuetudine
nell'ordinamento amministrativo. Contributo allo studio delle fonti non
scritte, Editore Editoriale Scientifica, Napoli 2003
http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/tarasco1.htm
Si può, infine, consultare
il "Dossier Sentenza Anticopyright" (in costante aggiornamento)
nel sito EUGIUS(UNIONE EUROPEA GIUDICI SCRITTORI) cliccando su:
http://www.antiarte.it/eugius/sentenzaanticopyright_1.htm
Una
tecnica similare è stata usata per un clamoroso recente caso dove,
per un provvedimento di un giudice non gradito, il potere ha parlato
di "quattro passi nel delirio". In Doppelgänger
iudex (I due giudici: il genio
e il folle), il giudice Oziero, non avanzato nella carriera perché
troppo intelligente (con sorte analoga al collega Pannone, idiota
troppo buono), dice: "Se non si può liquidare un decifratore di
leggi scomodo con l'accusa di vendere
sentenze o di possedere
sessualità anormale, agevolmente si può conseguire lo scopo
qualificandolo come pazzo!".
Per
la biografia "incriminata" vedi http://www.antiarte.it/cyberomanzofrancione/who's.htm
L'altro sole. Quanto sangue/ versato su
questa terra, /ma non abbiamo ancora/
creato il sole di sangue. / Ascolta, mio amico,/ poche parole
trepidanti:/ un altro sole nascerà/ dal nostro/ sangue/ a forma/ di
cuore. Per Visar Zithi
vedi http://www.antiarte.it/v_z.htm
Sul
valore interpretativo del background socio-economico del popolo vedi
G. Francione, Testo,
contesto e ipertesto nella formulazione
delle sentenze.
Vie per
una rivoluzione
metodologica nell'arte
dello stilar
verdetti. Pubbl. su http://www.antiarte.it/eugius/contesto_esegetico.htm
Per
tutto questo vedi sul sito http://www.antiarte.it/eugius/sentenzaanticopyright_1.htm).
Vedi
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Settembre-2001/0109lm28.01.html
Vedi
per questo http:/www.antiarte.it
F.
Antolisei, Manuale di diritto
penale, Parte generale, Giuffrè Milano, 1969, p. 51-52, in cui si
cita il Codex iuris canonici
<ca. 29: Consuetudo est
optima legum interpres>.
Vedi
New economy in http://mediamente.rai.it/biblioteca.
Cass.
Sez. III 24 maggio 1961, P. M. c. De Leo, Giust.
pen. 1962, II 81, m. 68.
Maggiore,
Diritto Penale, Parte
generale, 5a ed., Bologna 1951, p. 319.
Cass.
sez. III, 4 dicembre 1981,
n. 10772.
pubbl. su
http://ilrovesciodeldiritto.com/2012/04/10/un-grande-giudice/