Immigrazione e Giustizia
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Convegno Napoli 2003
Convegno Napoli 2005
Seminari Roma
Convegno Roma

Se voi avete il diritto di dividere il mondo
in italiani e stranieri
allora vi dirò che
io reclamo il diritto di dividere il mondo
in diseredati ed oppressi da un lato,
privilegiati ed oppressori dall'altro.
Gli uni sono la mia patria,
gli altri i miei stranieri

don Lorenzo Milani

 

 

Immigrazione e giustizia
Vogliamo esprimere la nostra solidarietà ad un magistrato. Non uno dei tanti giudici “comunisti” che tormentano Berlusconi. Comunque un giudice rivoluzionario, perché con una sentenza innovativa ci costringe a guardare con occhio diverso ai tanti disperati immigrati in Italia clandestinamente. Per questo suo essere rivoluzionario, sul piano giuridico, pagherà davanti al Csm al quale il ministro “reazionario” Castelli lo ha deferito. Giudice del Tribunale di Roma che con grande abilità e ricchezza di argomentazioni, Francione ha motivato la sua decisione di prosciogliere un gruppo di immigrati i quali in palese violazione della normativa a tutela del diritto d’autore vendevano cd musicali “pirata”. Una sentenza che racchiude in se un principio di giustizia sociale e che ha provocato negli ambienti giuridici reazioni discordanti: di forti contestazioni e incondizionate approvazioni. “L’aspetto innovativo della sentenza – scrive un giurista – è rappresentato dal ricorso all’istituto dello stato di necessità per giustificare il comportamento illegittimo degli ambulanti costretti per ragioni di sopravvivenza a vendere cd contraffatti. L’esigenza di tutelare un bene primario come la vita è stata giustamente vista dal magistrato come un valore di maggiore rilevanza sociale rispetto al pericolo connesso alla lesione del copyright”. La sentenza di Francione, comunque, da molti non è stata compresa e di conseguenza è stata considerata addirittura un attentato alla giustizia. Il Ministro della Giustizia Castelli è tra quelli che non hanno gradito la sentenza e da ciò il deferimento al Csm. Questa iniziativa di Castelli lascia, per la verità, perplessi e ciò per diversi motivi. Innanzitutto per i tempi, considerato che la sentenza di Francione risale al 15 febbraio 2001 ed ha fatto parlare tutta l’Italia, è chiaramente inconcepibile che la stessa dopo un anno e dopo che è stata impugnata in sede di appello venga finalmente “notata” dal Ministro per avviare un procedimento disciplinare. In realtà il ministro è stato richiamato all’argomento da una interrogazione di un deputato di An. Insomma quei simpaticoni della Lega e di An proprio non riescono a concepire che l’immigrazione è un fenomeno con il quale ci si deve confrontare in primo luogo in termini sociali e solo dopo in termini di “repressione”. Ma per fortuna in Italia ci sono anche tanti Gennaro Francione. Al quale va la nostra solidarietà e la nostra ammirazione per la sentenza rivoluzionaria che ha prodotto.

http://216.239.35.100/search?q=cache:brGvKzj9w0sC:www.trapanimese.it/oggi/index.asp+gennaro+francione++%2B+castelli&hl=it

 
«Gli immigrati si difesero dai vigili violenti dell’Eur»
Approfittarono del potere concesso loro dalla divisa commettendo «gravi scorrettezze e gratuiti atti di violenza», perciò quella dei due senegalesi fu una «legittima reazione a comportamenti illegittimi, vessatori e brutali». Sono queste le motivazioni della sentenza con cui la quinta sezione del tribunale ha assolto lo scorso 20 aprile Alioune Badara Fall e Insa Ndiaye, i due immigrati protagonisti della rissa con i vigili urbani del XII gruppo in viale Europa, all'Eur, nel febbraio dello scorso anno. Gli extracomunitari, secondo l'accusa, avevano aggredito con calci, pugni e morsi le guardie municipali che li avevano fermati per un controllo contro l'abusivismo. Per gli ambulanti e diversi cittadini intervenuti in loro soccorso l’aggressione era invece partita dai vigili urbani. Uno dei due senegalesi, colpito al volto con un pugno e al ventre con una ginocchiata, era rimasto svenuto in terra per mezz'ora, con il tubo di scappamento dell'auto della polizia municipale accesa a pochi centimetri dalla bocca. Il giudice Antonio Bevere ha accolto la tesi dei due imputati giudicando «pienamente affidabili» i testimoni portati in aula dalla difesa e, al contrario, ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità dei testi dell'accusa, «sia per l'evidente interesse, sia per l'irrazionalità e la clamorosa non veridicità della loro versione». Il magistrato ha trasmesso gli atti alla procura affinchè indaghi sugli eventuali reati commessi dalle guardie municipali, che «violarono la legge» ispirandosi «a un chiaro proposito di sopraffazione».
 

http://www.sulpm.net/stampaOPQR/roma240601.htm

 

 

 

Francesco Ammendola, La tutela del minore extracomunitario, in “Diritto delle migrazioni, rip. Su http://www.scuolaiad.it/HTML/DIDATTICA/Materiali/ima/ammendola_f.pdf

 
 
http://www.meltingpot.org/articolo6000.html

"Bossi-Fini, pene troppo severe"

A Venezia ricorso alla Consulta: norme più dure delle leggi razziali

da La Repubblica del 6 ottobre 2005

6 ottobre 2005

Corte d´appello si rivolge ai giudici costituzionali: troppi 4 anni per il clandestino che non ottemperi all´espulsione

Impugnato il caso di un irregolare rumeno che non lasciò il territorio italiano

GIORGIO CECCHETTI

VENEZIA - Neppure il regime fascista, con le scandalose norme del 1938, aveva previsto pene così «sproporzionate, incongrue e irragionevoli», tanto che «per sanzionare gli ebrei stranieri inottemperanti all´ordine di lasciare il Paese dopo la promulgazione delle leggi razziali il legislatore si era limitato a prevedere una nuova ipotesi di contravvenzione, sempre punita con la pena alternativa dell´arresto o dell´ammenda». È un passo dell´ordinanza della terza sezione della Corte d´appello di Venezia che chiede alla Corte costituzionale di cancellare quell´articolo della Bossi-Fini che, invece, punisce l´extracomunitario che non obbedisce al provvedimento di espulsione con una pena che prevede nel minimo un anno di reclusione, arrivando nel massimo a quattro anni.

Il caso nasce dal fermo più di un anno fa a Verona di un irregolare rumeno per il quale si dispone l´espulsione. Il giovane, passate un paio di settimane, viene nuovamente fermato sempre a Verona e, constatato che non ha lasciato il territorio italiano entro il termine di cinque giorni prescritto dalla legge, finisce in Tribunale. Viene condannato a 8 mesi di carcere. Ma il suo avvocato presenta appello e la Corte veneziana cui passa il caso, presieduta da Giancarlo Scarpari, con un provvedimento d´ufficio trasmette gli atti a Roma. Con motivazioni pesanti, secondo cui «tale macroscopico inasprimento della sanzione (introdotto nel 2004) contrasti con i criteri di proporzionalità e ragionevolezza, con il principio di uguaglianza». Nell´ordinanza viene citato l´articolo 3 della Costituzione in cui si ribadisce il principio che «la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso» e si ricorda una sentenza della Corte costituzionale del 1994 con la quale fu dichiarato illegittimo, perché sproporzionato, il minimo di pena (sei mesi) previsto in materia di oltraggio a pubblico ufficiale.

La Corte veneziana sostiene che nella stesura definitiva della legge si è trasformata la contravvenzione (prevista nel testo del 2002) in un delitto «raddoppiando il minimo e quadruplicando il massimo della pena». Eppure, nessuno in Parlamento aveva fatto riferimento ad un vistoso incremento del fenomeno dell´immigrazione clandestina, «unico fatto in grado di fornire una giustificazione razionale al nuovo provvedimento». Anzi, secondo i dati elaborati dalla Commissione europea, il numero delle effettive espulsioni di extracomunitari dall´Italia è stato in costante diminuzione: 25.226 nel 2002, 17.200 nel 2004. Per i giudici veneziani, infine, vi sarebbe «un irragionevole trattamento differenziato» rispetto a casi analoghi. Ad esempio quelli previsti dall´articolo 650 del codice penale, in cui si consente di punire con la sola ammenda (il minimo è di 2 euro) chi non osservi un provvedimento della pubblica autorità. Anche per coloro che sono colpiti dal foglio di via obbligatorio perché pericolosi per la sicurezza pubblica e non obbediscono, la pena massima è di sei mesi. Dunque, «il residente pericoloso è punibile con una pena inferiore a quella dello straniero non pericoloso», conclude l´ordinanza.

 

Gli immigrati e gli ermellini

 Selene Pascasi*,  28 novembre 2006

Il caso italiano     L'italiano medio e il clandestino: diversi solo per un "destino di nascita", ma uguali per diritto e per coscienza ... è questo il messaggio della Corte di Cassazione?

Con la sentenza n. 30774 del 2006, la Corte di Cassazione, prima sezione penale, si è pronunciata sulla delicata questione degli immigrati clandestini, troppo spesso itineranti sul binario di una illegalità forzata, per via di una oggettiva impossibilità di rispettare le disposizioni loro rivolte.

E' il caso di Malina, una rumena trovata senza regolari documenti di soggiorno e accusata di mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento dal territorio italiano: reato previsto e punito dall'articolo 14 del Testo Unico di regolamentazione della materia rivolta all'immigrazione e alla condizione dello straniero.
La difesa della donna, nel corso del primo grado di giudizio, aveva fornito adeguate delucidazioni, al giudice di merito, circa il tenore di vita di Malina, motivandone e giustificandone l'illecita condotta, alla luce del comprovato stato di indigenza nel quale versava ormai da tempo.
Il Tribunale di Roma, davanti al quale risultava incardinato il processo, decideva la causa, assolvendo l'extracomunitaria con la formula "perché il fatto non sussiste". La motivazione fornita, sta nella provata ed assoluta impossibilità della imputata, di tornare nel suo paese d'origine, risultando "sprovvista del denaro occorrente al rimpatrio, circostanza plausibile essendo emerso che alloggiava presso uno scalo ferroviario".
Contro la suddetta sentenza ha fatto ricorso la Procura della Corte di Appello di Roma. Per i magistrati di piazza Cavour, "il mero disagio economico dipendente dall'ingresso nello Stato, senza disporre di mezzi e dalla mancanza di occupazione connessa alla situazione di clandestinità volontariamente posta in essere" non può considerarsi "motivo di giustificazione che deve avere le connotazioni di necessità inevitabile".

Ma gli ermellini decidono di rigettare il ricorso così proposto, non solo per la "rilevata difettosa comunicazione degli atti inerenti l'espulsione", non comunicati a Malina nella sua lingua, in violazione di quanto disposto dall'articolo 13 del D.Lgs. 286/98, e pertanto non ben compresi, ma anche e soprattutto per una motivazione dal sapore squisitamente dottrinale.

In effetti, la pronuncia della Suprema Corte si snoda tutta intorno alla inevitabile necessità che avrebbe impedito l'ottemperanza all'obbligo impartito, facendo riferimento, oltre che ai principi propri della scienza penale, anche alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 5 depositata in data 13 gennaio 2004.
Si legge nella sentenza appena citata, che, seppur va detto che la ragione giustificatrice della mancata ottemperanza all'imposto allontanamento "non può essere costituita dal mero disagio economico di regola sottostante al fenomeno migratorio" essa può risultare "integrata da una condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio".


Ebbene, dall'istruttoria di primo grado, l'oggettiva "impossidenza" al rimpatrio, aveva trovato pieno riscontro probatorio, sia alla luce delle dichiarazioni rese dalla stessa imputata, e sia, per parola degli ermellini, alla luce delle "accertate condizioni di estrema precarietà abitativa". E' per queste motivazioni, che i Giudici di legittimità hanno ritenuto di assolvere la clandestina Malina, prendendo così le distanze da talune posizioni "rigoriste", che paiono auspicare il legale "risveglio" del trapassato reato di clandestinità.
Per opportuna notizia, si vuole sottolineare che l'atteggiamento assunto dalla Suprema Corte, con la pronuncia qui commentata, si ravvisa altresì in un altro caso giudiziale, sempre relativo alla problematica dell'immigrazione clandestina, e deciso a Sezioni Unite.
Ci riferiamo alla sentenza stilata a chiusura del procedimento mosso a carico di tal Rackid H., marocchino espulso dal nostro paese per provvedimento del prefetto di Pesaro e Urbino, stante l'irregolarità del soggiorno.

L'extracomunitario decide di rivolgersi al tribunale per i minorenni presso la Corte d'appello di Ancona, chiedendo la sospensione dell'ordine di allontanamento, per impellenti necessità familiari, che avrebbero reso necessaria la sua presenza in Italia, almeno per qualche tempo. In effetti, Rackhid, sposatosi con una connazionale residente regolarmente nel nostro paese, è diventato papà di una bimba, nata ad Urbino nel 2002 ed iscritta nel medesimo permesso di soggiorno della madre.
A sostegno dell'auspicata sospensione, il marocchino pone le descritte condizioni personali, con particolare riferimento all'esigenza di provvedere alla cura della figlia minore, da lui sempre seguita ed iniziata all'educazione scolastica. In effetti, sottolinea, l'espulsione dal territorio italiano avrebbe cagionato pregiudizio alla salute psico-fisica della piccola, d'improvviso privata della figura paterna.
La sua istanza è stata dunque accolta da parte dei giudici minorili, che autorizzano il soggiorno in Italia dell'uomo, almeno per un triennio, fatta salva la possibilità di altra proroga.

Contro questa pronuncia, propone ricorso il procuratore competente, investendo della questione la Corte d'appello di Ancona, la quale, nel 2004, decidendo in maniera difforme dalle prime cure, revoca la decisione del Tribunale e ordina l'espulsione di Rackhid, imputandone le motivazioni all'insussistenza di una "situazione di emergenza" tale da determinare "un pericolo attuale per il minore".
Secondo la Corte, inoltre, che non "valeva il principio del superiore interesse del minore, poiché esso non poteva essere invocato per consentire la deroga alla disciplina dell'immigrazione, ma doveva trovare attuazione solo nel rispetto delle norme che lo regolavano, nell'ambito delle relazioni familiari".
Il caso arriva, per presa di posizione del marocchino, di fronte alla Suprema Corte, la quale, con sentenza n. 22216/06, accoglie il ricorso presentato da Rackhid, proprio in nome del preminente diritto della piccola a crescere con la figura paterna, diritto che qualifica espressamente come "interesse specifico e pressante che va tutelato, anche in deroga delle disposizioni in materia di immigrazione, ancorché per un periodo determinato".


I Giudici aggiungono che, siccome "sia l'espulsione che il ricongiungimento familiare svolgono direttamente diritti soggettivi, il provvedimento del giudice che decide sulla deroga ai divieti che precluderebbero l'ingresso e la permanenza del familiare non può non decidere su veri e propri diritti, paralleli e concorrenti seppure non contrapposti, del minore e del familiare e non su un mero interesse del solo minore", con ciò non negando "la decisorietà del provvedimento il quale incide sul diritto del minore ad essere assistito da un familiare nel concorso delle condizioni richieste dalla legge e, contemporaneamente, su quello del familiare a fare ingresso in Italia e a trattenervisi per prestare la dovuta assistenza".
In sintesi, gli ermellini hanno finito per aderire alla posizione assunta dai primi giudicanti, ritenendo che "l'autorizzazione non è stata fondata sulla mera constatazione della presenza in Italia di una figlia in tenera età, bensì sull'accertamento concreto del grave pregiudizio che alla minore sarebbe derivato dalla perdita improvvisa della figura paterna per effetto della sua espulsione".

 

In un clima di tensione politica e di duelli parlamentari, quale quello attuale, era prevedibile l'ondata di pareri, critiche e perplessità, conseguente alle due pronunzie finora descritte.
Si annovera, sul fronte delle opposizioni al percorso giurisprudenziale intrapreso dalla Suprema Corte, il senatore Mantovano (AN), per il quale si assisterebbe a pronunce di Cassazione inserite in un "solco consolidato di provvedimenti giudiziari che, da quando è in vigore la Fini Bossi, provano in vario modo a disapplicarla, se non a sabotarla apertamente".
Di pari avviso è il senatore Pirovano (Lega Nord), il quale, a protesta di quanto da lui definito "l'assurdo legislativo applicato da questi signori con l'ermellino", continua così: "Allora io dico che sono giustificati anche i reati commessi dagli italiani indigenti. Se uno ruba in un supermercato oppure ruba una bicicletta o un motorino, perché non se li può permettere, è considerato esente dal rispettare sia il codice civile o il codice penale. Questo dovrebbe valere per tutti gli esseri umani residenti sul territorio nazionale".

Certamente, la parola clandestinità è sintomo di una situazione difficile, al limite delle forze umane e delle possibilità di un futuro certo; quando si dice immigrato, talvolta si percepisce nello sguardo dell'interlocutore un auspicio di eguaglianza, ma talaltra, purtroppo, e specie nelle realtà locali, si toccano con mano retaggi di razzismo.
In tutto ciò, non può non riconoscersi l'evidente ruolo dei media, spesso fomentatori di quella etichetta, dal sapore amaro, cucita addosso agli extracomunitari e di cui questi uomini non riusciranno a spogliarsi facilmente ... e a poco varranno i gesti di umanità e gli slanci di solidarietà compiuti da clandestini dei quali non si ricorda neppure il nome, ma che la scorsa estate hanno dato prova di grande altruismo. Il riferimento è ai giovani Nasser Othman, che salva la vita a tre ragazzi e poi viene espulso perché irregolare, e alla honduregna Iris Palacios Cruz, che sacrifica la sua vita per salvare quella della bimba della quale si prendeva cura, e della quale oggi resta solo una medaglia alla memoria.
Se non si può negare l'illegalità in cui molti immigrati vivono, non si può non riflettere sul fatto che, spesso, la nostra esistenza è migliore e meno precaria della loro, ma solo per una questione di "fortuna di nascita". I giovani immigrati, che siedono stanchi sui bordi delle strade e che lavorano incessanti senza tutela alcuna e senza garanzie, non sono né migliori, né peggiori dell'italiano medio, sono solo meno fortunati e talvolta più generosi del vicino di casa ... e non può una mera irregolarità burocratica fare tabula rasa dei diritti fondamentali di ciascun individuo.
Un tal messaggio, così come lanciato dai giudici di Piazza Cavour, rincuora e incoraggia ad una riconsiderazione dell'immigrato, con mente sgombra da pregiudizi o rancori.

*Avvocato, esperta di diritto minorile e di famiglia, specializzata in diritto penale

PUBBLICATA SU http://www.aprileonline.info/818/gli-immigrati-e-gli-ermellini

che si ringrazia per l'autorizzazione alla pubblicazione.

Là è possibile trovare commenti alla sentenza.