MOTIVI
DELLA DECISIONE
Mohammed
Tizio,
colto in
possesso di cd sprovvisti di contrassegno SIAE e abusivamente duplicati,
è stato tratto a giudizio,
chiamato a rispondere dei reati di cui alla rubrica.
In via
preliminare il Giudice, dopo aver accertato che non risultano nelle
carte del P. M. atti tendenti a dimostrare che il prevenuto straniero
abbia altre forme di sostentamento oltre quella illecita rilevata,
invitava le parti a svolgere i loro rilievi, considerando che ricorresse
un caso di obbligo di immediata declaratoria di causa di non punibilità
ex art. 129 c.p.p. per aver
l'imputato agito in stato di necessità essendo mosso nella sua
azione di venditore di cd contraffatti dalla necessità di
salvare se stesso dal pericolo attuale di un danno grave alla salute e
alla vita rappresentato dal bisogno alimentare non altrimenti
soddisfatto.
Essendosi
opposto il P. M. per la declaratoria de quo e avendo la difesa
concordato, il Giudice si ritirava in Camera di Consiglio per la
decisione, rilevando la sussistenza dell'esimente ex art. 54 c. p. sulla
base delle seguenti considerazioni.
In via preliminare va notato che la vecchia giurisprudenza
secondo cui l'onere della prova incombeva all'imputato risulta superata
dal nuovo 111 della Cost. e dal giusto processo instaurando per il
quale, nella paritaria
posizione delle parti, è compito del giudice, in un rinnovato spirito
del favor rei, valutare
anche d'ufficio già a monte qualunque elemento possa escludere la
responsabilità del prevenuto.
Nel merito valga quanto segue.
La
consuetudine è una manifestazione della vita sociale che si concreta in
un'attività costante ed uniforme dello Stato-comunità(Tesauro). Ad
essa può essere attribuita funzione di mezzo d'interpretazione di
principi e norme(consuetudine interpretativa) ma anche di fatto idonea a disapplicare
la norma scritta(consuetudine
abrogativa).
Il nostro
ordinamento considera contra legem
la consuetudine abrogativa perché contraria al dettato dell'art. 8
delle preleggi che comporta l'applicabilità della consuetudine(usi)
solo se richiamata da leggi e regolamenti.
Nessuna
norma, invece, vieta la consuetudine interpretativa che anzi il
magistrato penale applica continuamente come nei processi indiziari ad
esempio, quando tenda a trarre conclusioni da comportamenti umani logici
e regolari individuati in un ambiente con un determinato background
socioculturale.
Anche la
legge penale va interpreta alla luce del mondo concreto in cui si
sviluppa, con tensione dinamica e non statica ad evitare una discrasia
tra il dover essere normativo e quello reale. "La dottrina - come
leggiamo in Antolisei - è concorde nell'attribuire alla consuetudine la
più grande importanza nell'interpretazione della legge, specie nei
riguardi dei fatti che sono valutati in diverso modo nei vari ambienti
sociali"(F. Antolisei, Manuale
di diritto penale, Parte generale - Giuffrè Milano, 1969, p. 51-52,
in cui si cita il Codex iuris
canonici <ca. 29>: Consuetudo
est optima legum interpres). Secondo Antolisei è addirittura da
ammettersi la consuetudine
integratrice o praeter legem che sorga
per integrare i precetti della legge qualora essa non si risolva in
danno dell'imputato(F. Antolisei, ibid.).
La legge
e la giustizia vanno applicate in nome del popolo ad esso spettando la
sovranità(art. 1 della Cost.) e il metro di questa sintonia è proprio
la rispondenza piena del popolo alle leggi penali emanate dal
Parlamento, il quale può andare "controcorrente" quando
contraddica lo spirito del comune sentire della popolazione che ad esso
ha dato mandato, incorrendo in tal maniera
di fatto nella disapplicazione della norma scritta.
Nel caso
di specie la norma repressiva di base, la protezione penalistica - e non
meramente civilistica del diritto d'autore - è desueta di fatto per
l'abitudine di molte persone di tutti i ceti sociali, che, in diuturnitas,
ricorrono all'acquisto di cd per strada o li scaricano da Internet.
Anche grossi network come Napster si sono mossi da tempo in senso
anticopyright e hanno permesso copie di massa dell'arte musicale.
Fenomeno appena sfiorato dalle recenti sentenze degli USA che si sono
espresse nel senso di regolamentare la materia della riproduzione di
massa, ma con un pagamento ridottissimo in un nuovo mercato dove il
guadagno dei produttori è quantificato su "minimi
diffusissimi". In linea con questa strategia si è espresso
recentemente il Parlamento europeo
con la direttiva per
"la protezione del diritto d'autore nella società
dell'informatica" avanzando al più l'ipotesi di un equo compenso
per gli autori per la diffusione globale della loro opera.
Il fatto
è che la strategia del regalo è uno dei punti centrali nel mondo
digitale, tanto che si parla di free
economy, economia del gratis appunto, o di gift
economy, economia del regalo. "Nell'età dell'accesso si passa
da relazioni di proprietà a relazioni di accesso. Quello di proprietà
privata è un concetto troppo ingombrante per questa nuova fase storica
dominata dall'ipercapitalismo e dal commercio elettronico, nella quale
le attività economiche sono talmente rapide che il possesso diventa una
realtà ormai superata"(Vedi New
economy in http://mediamente.rai.it/biblioteca).
Anche la
New Economy depone, dunque, nel senso dell'arte a diffusione gratuita o
a bassissimo prezzo, per rendere effettivo il principio costituzionale
dell'arte e la scienza libere(art. 33 della Cost.) e quindi usufruibili
da tutti, cosa non assicurata dalle attuali oligarchie produttive d'arte
che impongono prezzi alti, contrari
a un'economia umanistica, con economia anzi diseducativa per i
giovani spesso privi del denaro necessario per acquistare i loro
prodotti preferiti e spinti, quindi, a ricorrere in rete e fuori a forme
diffuse di "pirateria" riequilibratrice.
L'azione
degli oligopoli produttivi appare quindi in contrasto con l'art. 41
della Cost. secondo cui l'iniziativa economica privata libera "non
può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana". Solo
un'arte a portata di tasca di tutti i cittadini e soprattutto dei
giovani può essere a livello produttivo umanitaria e sociale come
richiesto dalla Costituzione, per far sì che davvero tutti possano
godere dei prodotti artistici.
In
definitiva, se compito dello Stato ex art. 3. 2°
co. della Costituzione è
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono
al libero ed egualitario sviluppo della comunità, risulta la normativa penalistica a favore del copyright tendenzialmente abrogata di fatto ad
opera dello stesso popolo per desuetudine, con azione naturale tendente
a calmierare le sproporzioni economiche del mercato capitalistico in
materia. Tale consuetudine non è quella abrogativa canonica ex lege ma
di fatto incide sull'interpretazione della norma penalistica, quanto
meno nel senso di far percepire al giudice quanto possa essere ridotta
la forza cogente di una norma espressa, imposta ma non accettata dalla
maggioranza del consesso sociale. Nel contempo permette di rilevare come
ai fini dell'enunciando stato di necessità il fatto del vendere
cassette per sopravvivere è più che proporzionato
al pericolo connesso alla lesione del copyright(art. 54 ult.
parte co. 1).
L'azione
di depenalizzazione strisciante e non legalizzata del fenomeno
trova appiglio de iure condendo nei lavori della Commissione ministeriale per la
riforma del codice penale (istituita con d.m. 10 ottobre 1998) che nel
progetto preliminare di riforma del codice penale avanza il principio
della necessaria offensività del fatto, e soprattutto, quello della sua
irrilevanza penale.
La
Commissione ha preso innanzitutto atto del fatto "che il principio
di necessaria offensività costituisce ormai connotato pressoché
costante dei più recenti progetti riformatori. Esso ha trovato ingresso
nello schema di legge-delega Pagliaro, che in uno dei primi articoli,
collocato non a caso subito dopo la enunciazione del principio di
legalità, invita a "prevedere il principio che la norma sia
interpretata in modo da limitare la punibilità ai fatti offensivi del
bene giuridico" (art. 4 comma 1). Ed è stato enunciato a tutto
campo nel Progetto di revisione della seconda parte della Costituzione,
licenziato il 4 novembre 1997 dalla Commissione Bicamerale: "non è
punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui
esso non abbia determinato una concreta offensività".
La
Commissione ritiene che, al di là delle opinioni specifiche di ciascuno
sulle modalità di inserimento di tale principio nel codice, le
posizioni sopra enunciate esprimano la esigenza insopprimibile di
ancorare, anche visivamente, la responsabilità penale alla offesa reale
dell'interesse protetto, nel quadro di un diritto penale specificamente
finalizzato a proteggere i (più rilevanti) beni giuridici".
Anche sul
campo della concreta offensività la New economy ha dimostrato come
addirittura la diffusione gratuita delle opere artistiche acceleri
paradossalmente la vendita anche degli altri prodotti smistati nei
canali ufficiali, e se ciò vale nello spazio virtuale di Internet deve
valere anche nello spazio materiale con vendita massiccia di
prodotti-copia che alimentano l'immagine e la vendita dello stesso
prodotto smistato in via "legale".
Naturalmente
in questa sede la depenalizzazione in
re, per mancanza di una reale offesa al copyright(tutelabile al più
civilmente ma non penalmente), non
può essere ancora invocata e lo si potrà probabilmente con la riforma
del codice penale, ma il dato acquista rilievo di fatto ai fini di
stabilire la proporzione dell'azione svolta dai venditori di cd con
l'offesa arrecata ai diritti d'autore.
In tema
di stato di necessità, a fronte dei dubbi interpretativi suscitati
dall'espressione "danno grave alla persona",
ancora la Commissione succitata ci illumina avendo proposto di
"chiarire quali beni siano effettivamente "salvabili" (lo
schema di legge-delega Pagliaro sembra considerare rilevanti agli
effetti della esimente tutti gli interessi personali propri o altrui,
siano essi oggetto di pericolo di un danno grave o non grave, attengano
alla integrità fisica o a quella morale della persona, compensando
tuttavia questo ampliamento con una drastica delimitazione della
scriminante sul terreno della proporzione)".
Quanto ai venditori di cd per strada
è fatto notorio che trattasi di soggetti privi di lavoro, in
condizioni spesso di schiacciante subordinazione. Notoria
non egent probatione, i fatti notori non richiedono prova dal
momento che la nozione di fatto de quo rientra nella comune esperienza.
Si aggiunga che dalle carte processuali non emergono elementi per
dedurre che il prevenuto avesse altre forme di sussistenza e si può,
quindi, presumere che la vendita del prevenuto oggi incriminato sia
fatta esclusivamente per il proprio sostentamento vitale.
Nel caso
di specie è innegabile che il venditore di cd è un extracomunitario
che agisce spinto dal bisogno di alimentarsi. Una vecchia giurisprudenza
escludeva lo stato di necessità per chi agisca spinto da necessità
attinenti all'alimentazione "poiché
la moderna organizzazione sociale, venendo
incontro con diversi mezzi ed istituti agli indigenti, agli
inabili al lavoro e ai
bisognosi in genere, elimina per costoro il pericolo di restare privi di
quanto occorre per
<omissis> il loro sostentamento quotidiano"(Cass. Sez. III 24
maggio 1961, P. M. c. De Leo, Giust.
pen. 1962, II 81, m. 68).
Trattasi
di giurisprudenza
riferentesi a un contesto sociale diverso da quello attuale dove
l'entrata in massa di extracomunitari rende praticamente impossibile
predicare l'esistenza di organizzazioni atte ad accoglierli e a nutrirli
in massa. E quindi più che mai si pone il problema di affrontare modi e
forme del loro sostentamento, rendendosi necessario ampliare il concetto
di stato di bisogno quando vengano da essi commesse infrazioni minime al
consesso sociale, soprattutto in materie ai limiti del danno puramente
civile, ove questo stesso mai esista. Ciò è tanto più vero ove si
pensi che il fondamento della scriminante è stato colto nell'istinto
della conservazione, incoercibile nell'uomo(Maggiore, Diritto
Penale, Parte generale, 5a ed., Bologna 1951, p. 319).
Tale
inquadramento risponde anche a
principi fondamentali garantiti dalla Costituzione come i diritti
inviolabili dell'uomo(art. 2 della Cost.), in cui è da ricomprendersi
il diritto a nutrirsi, e il
diritto alla salute(art. 32 della Cost.) compromesso naturalmente in
chi, non riuscendo a procurarsi un lavoro normale suo malgrado, non
abbia i mezzi minimi per il suo sostentamento alimentare. Le norme
costituzionali testé citate rendono anche edotti della gravità del
danno(attuale e continuato) derivante alla persona dalla mancanza
assoluta di mezzi per sostentarsi, altro requisito richiesto dalla
giurisprudenza costante(Cass. sez. III, 4 dicembre 1981, n. 10772) per potersi configurare lo stato di necessità
da mettere in rapporto col danno in concreto arrecato.
In
conclusione, tenendo anche conto che ex art. 4 della Cost.
è compito dello Stato garantire il diritto al lavoro e
promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto, non c'è
fine di lucro illecito "penalmente" in chi venda per strada cd
a prezzo ridotto (in linea con la New Economy) al fine di procurarsi da
mangiare, con azione accettata e condivisa
dalla maggioranza del consesso sociale.
Quell'azione, formalmente contra
legem, è scriminata da uno stato di necessità(art. 54 c.p.)
connesso alla sopravvivenza degli extracomunitari entrati nel nostro
paese senza alcuna regolamentazione lavorativa, essendo la loro attività
di venditori operanti per
sopravvivere assolutamente necessaria per sopravvivere
e proporzionata al pericolo di danno(minimo se non inesistente
visto il numero modesto di cassette contra legem trovate)
arrecato ai produttori.
Necessitas non habet legem, quindi.
Difetta l'antigiuridicità del comportamento incriminato per mancanza
del danno sociale rilevante ai fini penalistici, anche se non si può
escludere un risarcimento civilistico alla SIAE ex art. 2045 c.c. da
coltivare e realizzare eventualmente in sede civile.
Si
ordinerà confisca e distruzione del materiale in sequestro.
P.Q.M.
visto l'art. 129 c.p.p.
assolve Mohammed Tizio
dai reati ascrittigli perché i fatti non costituiscono reato per
aver agito in stato di necessità ex art. 54 c.p..
Ordina
confisca e distruzione del materiale in sequestro.
Così
deciso in Roma il 15.2.2001
IL GIUDICE
GENNARO FRANCIONE