Quinto Stato
Home Up Quinto Stato Hacker Kulture Scarichiamoli PrimadaNoi Groenlandia Radio 2 Cane sciolto FemmeMag ANB WEB SOCIAL RADIO

 

 

   Martedî 7 Settembre 2004

                 

Scenari:

Copyright, così lo combatte il giudice Francione

di Francesco Mollo
Il suo nome ha fatto il giro della rete per aver assolto quattro venditori di strada di cd contraffatti; motivazione: hanno agito in stato di necessità (in altri termini: per il bisogno di nutrirsi). Il giudice Gennaro Francione, in quella storica sentenza ha rilevato che il danno sociale in concreto, in quella occasione, è stato quasi inesistente per il limitato numero di copie vendute, ma sulla questione del copyright applicato all'arte e alla conoscenza diffuse attraverso la rete ha un’idea ben precisa. E la spiega in questa intervista concessa a Quinto Stato.

Il downloading come pratica diffusa di fruizione dell'arte..., il peer-to-peer, la diffusione di software "a codice sorgente aperto" hanno fatto esplodere (sicuramente dal punto di vista mediatico) le cause legali ... il caso Sco vs Linux è quella più eclatante, ma il fenomeno è dilagante, e non a caso sono cresciute esponenzialmente in America, le litigation company. Non le pare che lo sviluppo delle nuove tecnologie abbia prodotto (o comunque ampliato) un nuovo ambito di intervento per la professione legale e quella giudiziaria?

Internet e le nuove tecnologie hanno creato zone d'intervento spesso incognite agli operatori di diritto i quali, spiazzati culturalmente ed esperienzialmente, spesso non sono ancora in grado di fronteggiare le nuove situazioni. Per questo non fanno altro che richiamarsi al vecchio applicando in maniera pedestre strutture normative antiquate. Un tentativo conservativo agonico che verrà spazzato via dal tempo.

Alla luce di tali mutamenti, come sta cambiando la sua professione? Perché lei è riuscito a superare questo gap "culturale" e altri giudici non ci riescono? Ci vuole raccontare la sua esperienza?

Il 15 febbraio 2001 emisi la famosa sentenza anticopyright assolvendo 4 extracomunitari venditori di cd contraffatti per stato di necessità (leggasi: fame). Da quell'atto di coraggio, in apparenza stridente con il ruolo di un giudice ma comprensibile perché dietro quel ruolo istituzionale c'è il fondatore del movimento Antiarte 2000, è nato uno sconquasso tra gli oligopoli produttori di arte ad altissimo costo ma soprattutto un plauso incondizionato in rete. Subivo, intanto, in seguito a un'interrogazione parlamentare un'azione disciplinare ministeriale per quelle sentenze ritenute "abnormi", fortunatamente conclusa con un proscioglimento. Il CSM ribadiva la correttezza dei principi esposti in quelle pronunce e insieme la libertà e l'indipendenza della magistratura soprattutto in rapporto alla facoltà di portare avanti nuove visioni del mondo e della giustizia. Ed è così che l'entusiasmo è aumentato e con esso la voglia di approfondire quella cyber-rivoluzione che avevo intuito e portato avanti nel mio verdetto.
La sentenza è rivoluzionaria perché abbatte in re il sistema del copyright rilevando che la norma repressiva di base, la protezione penalistica - e non meramente civilistica del diritto d'autore - è desueta di fatto per l'abitudine di molte persone di tutti i ceti sociali, che, in diuturnitas, ricorrono all'acquisto di cd per strada o scaricano MP3 da Internet. Anche grossi network come Napster si sono mossi da tempo in senso anticopyright e hanno permesso copie di massa dell'arte musicale. Fenomeno appena sfiorato dalle recenti sentenze degli USA che si sono espresse nel senso di regolamentare la materia della riproduzione di massa, ma con un pagamento ridottissimo in un nuovo mercato dove il guadagno dei produttori è quantificato su "minimi diffusissimi".
La rivoluzione era quella annunciata dal mondo delle cose concrete, dai popoli che bypassano le norme repressive e indicano comportamenti dettati dalle stesse tecnologie riproduttive dei beni immateriali, prendendosi a piene mani quello che i produttori-distributori squali vorrebbero vendere a prezzi esorbitanti.
Emerge dalla sentenza questa sete spasmodica delle masse di usufruire liberamente dei prodotti dell'arte e della cultura, senza ingombri economici, culturali, censori. C'è voglia globalizzata di accedere in maniera totale e inebriante ai beni immateriali che danno gioia, elevano gli animi, dissuadono i giovani dalle droghe artificiali e dalle azioni malefiche. C'è voglia di ubriacarsi, liberamente e fraternamente, alle fonti delle arti, della cultura, delle idee, spazzando via le pastoie dei grassatori del copyright. Copyright che, è dimostrato, si è sviluppato nei secoli solo per far arricchire produttori e distributori, oltre a qualche star, a scapito della massa degli artisti e soprattutto degli usufruenti tutti dell'arte e della cultura.
La sentenza anticopyright non può comprendersi se si trascura che io, oltre ad essere un giudice sono uno scrittore: romanziere, drammaturgo, saggista. Per un totale di 150 opere composte; 30 pubblicate, 15 rappresentate. Do questi numeri perché io (oltre a tanti ragazzi in gamba artisti conosciuti in rete) siamo l'emblema del sistema antidemocratico in cui viviamo: non ci conoscono che in rete perché i media esterni cosiddetti forti(giornali, tv di stato etc.) sono in mano a pochi mammasantissima che fanno passare sempre le stesse facce.
Dopo questo breve sfogo personale, utile perché al mio caso ho alleato quello di tanti artisti validi ma impossibilitati ad accedere alla piramide alta dell'apparire, voglio ritornare al tema base e dire che la sentenza anticopyright nasceva da una mia consapevolezza, già da anni studiando la disgregazione della proprietà intellettuale. Elaborando il Manifesto "Ipertransavanguardia del Medioevo Atomico", pubblicato nel 1997, già allora esprimevo l'idea che l'autore è solo il portavoce di un messaggio d'arte universale, che egli esprime in nome dell'Umanità; dal che deriva che egli non ha la proprietà intellettuale delle sue opere ma il mero possesso(detentio) delle forme artistiche, senza che chicchessia possa vantare alcuna proprietà né assoluta né relativa sul prodotto. Quest'idea era già nell'aria tanto che Joost Smiers arrivava addirittura a considerare la proprietà intellettuale un autentico furto.
Il concetto fu esplorato più a fondo nella Dudda: Dichiarazione Universale Dei Diritti dell'Arte". Quella dichiarazione venne elaborata dallo scrivente e firmata nel novembre 2002 da una serie di artisti, intellettuali, rappresentanti di associazioni culturali presso il Museo del Cinema di Roma, nel corso di un sit-in per salvare il Museo che rischiava di essere spostato dalla sua sede per farne al suo posto un centro commerciale.

Le cose che ci racconta dicono chiaramente che oggi vengono richiesti, a chi oggi esercita una professione legale, un nuovo sforzo e una nuova attenzione a dinamiche, modalità e fenomeni prima inediti. Ritiene che, oggi, chi fa un mestiere come il suo sia costretto a lavorare con uno strumentario che è evidentemente inadeguato a uno scenario in così rapido mutamento?

Indubbiamente la tecnologia attuale, intendo informatica, si trova dieci passi avanti rispetto alla normativa ancorata a vecchi sistemi produttivi dell'arte. La verità è che il diritto d'autore è fedele a schemi antiquati di una proprietà intellettuale strettamente legata ai supporti materiali (il cartaceo, il cd etc.). Quella proprietà, nata ad esempio in Inghilterra nel Seicento attraverso la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) con compiti primari di censura e poi di monopolio editoriale, è proseguita nei secoli attraverso la tirannia degli editori e dei distributori. Questi hanno sfruttato gli autori, i quali avevano bisogni dei loro servigi per materializzare le loro opere in serie e poi diffonderle. Il sistema piramidale dell'economia ha portato nei tempi a privilegiare pochi autori, e neppure i più bravi, a scapito degli altri, con evidente antidemocraticità del sistema.
La nuova normativa anticopyright per cui ci battiamo prende atto della nuova tecnologia grazie alla quale noi autori non abbiamo bisogno di editori e distributori potendo diffondere le nostre opere via internet. Questo non significa escludere quelle vecchie forze economiche ma solo ridimensionarle, per offrire prodotti pressoché gratuiti e soprattutto garantire a ciascun autore piccolo o grande che sia, forte o debole, uguali chance di entrare nel mercato dei lettori, ascoltatori di musica etc. oltre che apparire in maniera equanime in tutti i media, usufruire a rotazione dei finanziamenti pubblici etc.

Questo nuovo (almeno in termini quantitativi) ambito d'intervento giuridico che sfide impone? che tipo di competenze-attenzioni-analisi richiede? E, soprattutto, non ritiene che sia prima di ogni altra cosa alcuni concetti chiave come "proprietà", "sapere" e "bene pubblico" (per citarne solo alcuni) a necessitare di una ridefinizione?

Quello che lei dice è la premessa naturale al mio dire. Noi dell'Antiarte-Movimento Utopista sosteniamo il primato dell'arte e della cultura sull'economia che rende la tutela del diritto all'arte e al sapere dell'uomo prioritaria di fronte ad ogni altro interesse materiale ed economico. Attraverso quest'ultima via veniva ribadito il principio già espresso nella sentenza anticopyright, là dove si afferma il nuovo cybervangelo connesso al diritto di accesso totale all'arte e alla cultura: anche la New Economy depone nel senso dell'arte a diffusione gratuita o a bassissimo prezzo, per rendere effettivo il principio costituzionale dell'arte e la scienza libere (art. 33 della Costituzione) e, quindi, usufruibili da tutti, cosa non assicurata dalle attuali oligarchie produttive d'arte che impongono prezzi alti, contrari a un'economia umanistica, con economia anzi diseducativa per i giovani spesso privi del denaro necessario per acquistare i loro prodotti preferiti e spinti, quindi, a ricorrere in rete e fuori a forme diffuse di "pirateria" riequilibratrice.
L'azione degli oligopoli produttivi appare, quindi, in contrasto con l'art. 41 della Costituzione secondo cui l'iniziativa economica privata libera "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana". Solo un'arte a portata di tasca di tutti i cittadini e soprattutto dei giovani può essere a livello produttivo umanitaria e sociale come richiesto dalla Costituzione, per far sì che davvero tutti possano godere dei prodotti artistici.

Qual è la sua personale opinione su leggi come la "Urbani" o la direttiva europea Enforcement? Ha ancora senso oggi mantenere in vita organismi come la SIAE?

Andando non contro ma oltre il Decreto Urbani, noi dell'Antiarte-Movimento Utopista affermiamo che gli uomini hanno diritto di scambiarsi informazioni, arte, cultura soprattutto attraverso Internet senza che chicchessia possa limitare il loro potere, essendo prioritaria la tutela di quel diritto di scambio rispetto a beceri interessi economici degli oligopoli produttori - distributori non di arte - là sono i creativi titolari di diritti - ma di copie puramente materiali.
E' un falso problema quello secondo cui copiare le opere senza compenso comprometta la sopravvivenza economica degli artisti, perché questi guadagnano proprio dalla diffusione in sé della propria arte e cultura. E' quello il loro intento primario, spirituale ed anche materiale, ovvero il profitto della diffusione su scala quanto più ampia possibile della propria arte e cultura, essendo il lucro un elemento succedaneo e conseguenziale.
La diffusione dell'immagine di un creativo, soprattutto via Internet, di per sé è fonte di guadagno sia come omesso investimento personale (l'opera si diffonde senza che l'autore spenda alcunché), sia come profitti occulti e conseguenziali perché la nuova industria dell'arte e cultura, o quella vecchia decrepita, lo gratificheranno anche economicamente per poter avere la sua opera, i suoi discorsi, le sue apparizioni mediatiche.
Il nuovo mercato senza squali produttori-distributori sarà proprio di una società aperta dove i vecchi produttori, ridotti plebiscitariamente via Internet a misura d'uomo, dovranno solo riciclare i loro investimenti che assumeranno altre forme. Intanto non c'è più il mercato dominante dei produttori-distributori che impongono prezzo e tirannia nello scambio dell'arte-cultura, ma ci sono i mercati. Lo stesso prodotto artistico-culturale viene smerciato nelle varie tecnologie parallele.
La prima via è Internet col che si consentirà a chiunque di fruire di quel prodotto, di vederlo, scaricarlo nel computer a prezzo pressoché zero. Nella sentenza anticopyright si afferma al riguardo: "Il fatto è che la strategia del regalo è uno dei punti centrali nel mondo digitale, tanto che si parla di free economy, economia del gratis appunto, o di gift economy, economia del regalo. Nell'età dell'accesso si passa da relazioni di proprietà a relazioni di accesso. Quello di proprietà privata è un concetto troppo ingombrante per questa nuova fase storica dominata dall'ipercapitalismo e dal commercio elettronico, nella quale le attività economiche sono talmente rapide che il possesso diventa una realtà ormai superata". A questo si aggiungerà la possibilità di riprodurre l'opera con mezzi tecnologici interni(una stampante)o esterni (tipografie che si specializzeranno in confezioni dei prodotti personalizzate, soprattutto digitalizzate e a bassissimo costo).
La seconda via è quella tradizionale dove un produttore riproduce l'opera in serie per poi distribuirla tra librai, edicole etc. Il prodotto probabilmente costerà di più rispetto al precedente ma, chi è preso dal furor d'aver libri e soprattutto avrà i soldi per comprarlo, lo comprerà. Vi sarà, comunque, un plafond nei ricavi economici. Quando verrà sfondato il tetto stabilito dalla legge, la somma eccedente sarà messa in un fondo di solidarietà per gli artisti deboli(emergenti, giovani, poveri, anziani, malati, etc.).
Quanto alla SIAE, essa svolge allo stato una funzione passiva, limitandosi a intervenire in intermediazione per proteggere i diritti morali ed economici degli autori. Dovrebbe essere, invece, rigenerata per assumere una funzione propulsiva dell'arte e della cultura, soprattutto proteggendo gli autori deboli, i talenti etc. attualmente bistrattati e trascurati dal mercato famelico e piramidale che porta avanti sempre gli stessi creativi, i più "forti socialmente" e neppure i migliori talora.
Dovrebbe la SIAE coi compensi sforanti delle star creare dei fondi di solidarietà per gli artisti deboli, onde ridistribuire il lucro equamente tra tutti i creativi, proprio per eliminare lo squilibrio tra gli affermati e i non.
Dovrebbe la SIAE incrementare gl'interventi sociali e istituzionali a favore delle forze creative emergenti, controllare la distribuzione dei finanziamenti pubblici, anche questi spesso destinati ai forti e ai ben agganciati politicamente(spesso sempre gli stessi) a scapito degli artisti puri, che hanno in orrore ricorrere ai maneggi, frustrati dalla mancata attribuzione di fondi che in uno stato democratico dovrebbero a rotazione, d'amblais, spettare a tutti.
La SIAE dovrebbe combattere contro le ingiuste tassazioni statali, che aiutano a portare alle stelle i prezzi dei prodotti artistici.
Insomma alla SIAE, trasformata in SIA, società di solo difesa degli autori (e non più degli editori), affidiamo il compito nuovo e luminoso di indebolire i creativi forti e rafforzare i deboli, tenendo presente che se i primi emergono ciò è col sacrificio della massa degli artisti, che si vedono precluse le vie alte del successo o quanto meno della decente manifestazione della loro opera.
Nel nuovo progetto la SIAE "riciclata" sarà diretta a tutelare realmente gli autori, soprattutto quelli fragili, e non più i produttori e i distributori com'è adesso. Oggi la SIAE combatte i cosiddetti pirati che usufruiscono di musica, libri etc. senza pagare diritti; domani garantirà la libera diffusione del sapere e attaccherà i nuovi pirati, ovvero i produttori-distributori che tralignino, superando i plafond di lucro stabiliti per legge.
Tornando all'oggi, quanto alla borsa per acquistare arte e cultura, ciò di cui non si tien conto nei decreti alla Urbani è che, se davvero una persona volesse comprare tutti i prodotti di cui necessita il suo spirito(libri, musica, film, video etc.) nelle vie cosiddette legali, ci vorrebbero enormi patrimoni che non ci sono. E, allora, perché privarsi di questa ricchezza enorme di arte-cultura che fa così bene agli uomini, è panacea ai nostri giovani dissuadendoli dalle vie dei paradisi artificiali?
Tutto quanto detto è in linea a con l'articolo 6 della Dudda dove si afferma; "All'autore dell'opera è riconosciuto il diritto morale d'autore e il mero possesso a nome altrui(detentio) delle forme artistiche, con un ridotto diritto di sfruttamento commerciale, senza che chicchessia possa vantare alcuna proprietà assoluta sul prodotto artistico". Ergo l'autore ha solo diritti provvisori e limitati. Se egli si allea con partners produttori-distributori tradizionali, potrà operare lo sfruttamento della sua opera al di sopra del costo zero ma per mera concessione graziosa dell'Umanità. Egli dovrà, comunque, concedere che chiunque non abbia la somma necessaria per acquistare il prodotto o, pur avendola non voglia spenderla(per lo meno in vista della massa di prodotti da acquisire), l'acquisisca in via informatica, digitalizzata etc.
Concludendo è evidente che, a fronte dello scontro titanico oggi in atto tra il cyberspazio e l'ulespazio, i movimenti per la libertà e l'uguaglianza reali dell'uomo passano attraverso la fratellanza internettiana che abbatterà la tirannia attuale dei produttori-distributori impregnati di old economy. Questa comunità è stata annunciata nella sentenza anticopyright che sottende un nuovo principio metacostituzionale: il prevalere del Sapere sull'Economia. Ed oggi il Sapere dei Saperi è Internet. Solo attraverso il cyberspazio iperaperto - che è comunicazione galattica - è possibile compiere quel grande salto di qualità che permetterà di realizzare in concreto, e non a chiacchiere costituzionalizzate, i principi della Rivoluzione Francese per realizzare l'Utopia dell'Uomo Libero, Eguale e soprattutto Fraterno.
Di fronte a queste evidenze i decreti alla Urbani sono solo sassi che saranno travolti dall'Oceano di Internet. I più grandi megastore del mondo oggi non possono rivaleggiare con la ricchezza del catalogo disponibile sui sistemi di file sharing. E la gente lo vuole quel catalogo universale perché così si arricchisce dentro. E lo manterrà quel catalogo malgrado le leggi pro copyright che sono contro il popolo, contro il mondo assetato d'arte, di sapere e di cultura. Il fatto stesso che si sia parlato di "repressione simbolica" da parte del legislatore nel caso del decreto Urbani dimostra non tanto un pudore interno quanto la sotterranea consapevolezza di combattere una battaglia perduta.
Quel decreto o altri cento decreti emessi nel mondo in quella linea inutilmente repressiva non riusciranno ad arrestare il popolo d'Internet, emblema della popolazione mondiale soggiogata da una legge sul copyright che non risponde ai tempi e che non vuole più.
Nessun decreto è concepibile che riesca a metterci tutti dentro; men che mai che qualcuno vada dentro com'è capitato recentemente - horribile dictum - in Grecia per un compratore per strada di cd contraffatto; nessun decreto riuscirà a fermare la nostra voglia di sapere e di cultura per il bene stesso dell'Umanità. Gli argini molochiani innalzati contro la dissoluzione del copyright non crolleranno: sono già crollati!

Consigli a un giovane giudice o avvocato che voglia occuparsi di copyright?

Lavori con noi. Il nostro progetto finale è abbattere la piramide per costruire un mondo sferico a modello di internet trasferendolo nell'ulespazio. La giustizia non è solo quella che si pratica nei tribunale (là forse si cura la patologia della legge) ma è la lotta che si combatte fuori per far sì che i forti diventino deboli e i deboli diventino forti. Oggi la gran massa degli artisti e dei fruitori dell'arte è gente debole che va aiutata a rovesciare gandhianamente l'attuale stato di cose. Invitiamo gli avvocati, gli operatori di diritto tutti, addetti ai lavori e non, a unirsi con noi per creare l'Utopia dell'Uomo Artista.

Inviato da Francesco Mollo, 09:58 PM

 

http://www.quintostato.it/archives/000871.html

 

unedì 13/09/2004 12.27

Ho letto la sua intervista,

http://www.quintostato.it/archives/000871.html

 peccato!Non faccio più la tesi sul diritto d'autore!

Mi sto occupando del principio di personalità della responsabilità penale e mi ha dato delle idee...

Penso e (spero), che un giudice sia un uomo prima di tutto e debba guardare il diritto dalla prospettiva della realtà, altrimenti finirà per emanare sentenze anacronistiche.

Ho modo di scrivere per un quotidiano e per fortuna mi occupo di sport dilettantistico, la capisco quando dice che ci sono sempre le stesse facce e le stesse parole pubblicate, ma sbaglio o l'arte è qualcosa di superiore al sapere di massa? Di conseguenza, l'artista vive al di sopra delle prospettive fisse...

Il sito di Antiarte è uno spiraglio di luce nel buio di questo periodo storico in cui l'uomo non ha ancora imparato a guardare dentro se stesso per cercare le risposte e non al mondo intorno. Che sia venuto il momento di guardare all'uomo come essere umano, anche nel diritto?

Buon lavoro

Pacele