Copyright, così lo combatte il giudice Francione
di
Francesco Mollo
Il suo nome ha fatto il giro della rete per aver assolto quattro
venditori di strada di cd contraffatti; motivazione: hanno agito in
stato di necessità (in altri termini: per il bisogno di nutrirsi). Il
giudice Gennaro Francione, in quella storica sentenza ha rilevato
che il danno sociale in concreto, in quella occasione, è stato quasi
inesistente per il limitato numero di copie vendute, ma sulla questione
del copyright applicato all'arte e alla conoscenza diffuse
attraverso la rete ha un’idea ben precisa. E la spiega in questa
intervista concessa a Quinto Stato.
Il downloading come pratica diffusa di fruizione dell'arte..., il
peer-to-peer, la diffusione di software "a codice sorgente
aperto" hanno fatto esplodere (sicuramente dal punto di vista
mediatico) le cause legali ... il caso Sco vs Linux è quella più
eclatante, ma il fenomeno è dilagante, e non a caso sono cresciute
esponenzialmente in America, le litigation company. Non le pare che lo
sviluppo delle nuove tecnologie abbia prodotto (o comunque ampliato) un
nuovo ambito di intervento per la professione legale e quella
giudiziaria?
Internet e le nuove tecnologie hanno creato zone d'intervento spesso
incognite agli operatori di diritto i quali, spiazzati culturalmente ed
esperienzialmente, spesso non sono ancora in grado di fronteggiare le
nuove situazioni. Per questo non fanno altro che richiamarsi al vecchio
applicando in maniera pedestre strutture normative antiquate. Un
tentativo conservativo agonico che verrà spazzato via dal tempo.
Alla luce di tali mutamenti, come sta cambiando la sua
professione? Perché lei è riuscito a superare questo gap
"culturale" e altri giudici non ci riescono? Ci vuole
raccontare la sua esperienza?
Il 15 febbraio 2001 emisi la famosa sentenza anticopyright assolvendo 4
extracomunitari venditori di cd contraffatti per stato di necessità
(leggasi: fame). Da quell'atto di coraggio, in apparenza stridente con
il ruolo di un giudice ma comprensibile perché dietro quel ruolo
istituzionale c'è il fondatore del movimento Antiarte 2000, è nato uno
sconquasso tra gli oligopoli produttori di arte ad altissimo costo ma
soprattutto un plauso incondizionato in rete. Subivo, intanto, in
seguito a un'interrogazione parlamentare un'azione disciplinare
ministeriale per quelle sentenze ritenute "abnormi",
fortunatamente conclusa con un proscioglimento. Il CSM ribadiva la
correttezza dei principi esposti in quelle pronunce e insieme la libertà
e l'indipendenza della magistratura soprattutto in rapporto alla facoltà
di portare avanti nuove visioni del mondo e della giustizia. Ed è così
che l'entusiasmo è aumentato e con esso la voglia di approfondire
quella cyber-rivoluzione che avevo intuito e portato avanti nel mio
verdetto.
La sentenza è rivoluzionaria perché abbatte in re il sistema del
copyright rilevando che la norma repressiva di base, la protezione
penalistica - e non meramente civilistica del diritto d'autore - è
desueta di fatto per l'abitudine di molte persone di tutti i ceti
sociali, che, in diuturnitas, ricorrono all'acquisto di cd per strada o
scaricano MP3 da Internet. Anche grossi network come Napster si sono
mossi da tempo in senso anticopyright e hanno permesso copie di massa
dell'arte musicale. Fenomeno appena sfiorato dalle recenti sentenze
degli USA che si sono espresse nel senso di regolamentare la materia
della riproduzione di massa, ma con un pagamento ridottissimo in un
nuovo mercato dove il guadagno dei produttori è quantificato su
"minimi diffusissimi".
La rivoluzione era quella annunciata dal mondo delle cose concrete, dai
popoli che bypassano le norme repressive e indicano comportamenti
dettati dalle stesse tecnologie riproduttive dei beni immateriali,
prendendosi a piene mani quello che i produttori-distributori squali
vorrebbero vendere a prezzi esorbitanti.
Emerge dalla sentenza questa sete spasmodica delle masse di usufruire
liberamente dei prodotti dell'arte e della cultura, senza ingombri
economici, culturali, censori. C'è voglia globalizzata di accedere in
maniera totale e inebriante ai beni immateriali che danno gioia, elevano
gli animi, dissuadono i giovani dalle droghe artificiali e dalle azioni
malefiche. C'è voglia di ubriacarsi, liberamente e fraternamente, alle
fonti delle arti, della cultura, delle idee, spazzando via le pastoie
dei grassatori del copyright. Copyright che, è dimostrato, si è
sviluppato nei secoli solo per far arricchire produttori e distributori,
oltre a qualche star, a scapito della massa degli artisti e soprattutto
degli usufruenti tutti dell'arte e della cultura.
La sentenza anticopyright non può comprendersi se si trascura che io,
oltre ad essere un giudice sono uno scrittore: romanziere, drammaturgo,
saggista. Per un totale di 150 opere composte; 30 pubblicate, 15
rappresentate. Do questi numeri perché io (oltre a tanti ragazzi in
gamba artisti conosciuti in rete) siamo l'emblema del sistema
antidemocratico in cui viviamo: non ci conoscono che in rete perché i
media esterni cosiddetti forti(giornali, tv di stato etc.) sono in mano
a pochi mammasantissima che fanno passare sempre le stesse facce.
Dopo questo breve sfogo personale, utile perché al mio caso ho alleato
quello di tanti artisti validi ma impossibilitati ad accedere alla
piramide alta dell'apparire, voglio ritornare al tema base e dire che la
sentenza anticopyright nasceva da una mia consapevolezza, già da anni
studiando la disgregazione della proprietà intellettuale. Elaborando il
Manifesto "Ipertransavanguardia del Medioevo Atomico",
pubblicato nel 1997, già allora esprimevo l'idea che l'autore è solo
il portavoce di un messaggio d'arte universale, che egli esprime in nome
dell'Umanità; dal che deriva che egli non ha la proprietà
intellettuale delle sue opere ma il mero possesso(detentio) delle forme
artistiche, senza che chicchessia possa vantare alcuna proprietà né
assoluta né relativa sul prodotto. Quest'idea era già nell'aria tanto
che Joost Smiers arrivava addirittura a considerare la proprietà
intellettuale un autentico furto.
Il concetto fu esplorato più a fondo nella Dudda: Dichiarazione
Universale Dei Diritti dell'Arte". Quella dichiarazione venne
elaborata dallo scrivente e firmata nel novembre 2002 da una serie di
artisti, intellettuali, rappresentanti di associazioni culturali presso
il Museo del Cinema di Roma, nel corso di un sit-in per salvare il Museo
che rischiava di essere spostato dalla sua sede per farne al suo posto
un centro commerciale.
Le cose che ci racconta dicono chiaramente che oggi vengono
richiesti, a chi oggi esercita una professione legale, un nuovo sforzo e
una nuova attenzione a dinamiche, modalità e fenomeni prima inediti.
Ritiene che, oggi, chi fa un mestiere come il suo sia costretto a
lavorare con uno strumentario che è evidentemente inadeguato a uno
scenario in così rapido mutamento?
Indubbiamente la tecnologia attuale, intendo informatica, si trova
dieci passi avanti rispetto alla normativa ancorata a vecchi sistemi
produttivi dell'arte. La verità è che il diritto d'autore è fedele a
schemi antiquati di una proprietà intellettuale strettamente legata ai
supporti materiali (il cartaceo, il cd etc.). Quella proprietà, nata ad
esempio in Inghilterra nel Seicento attraverso la London Company of
Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) con compiti primari di
censura e poi di monopolio editoriale, è proseguita nei secoli
attraverso la tirannia degli editori e dei distributori. Questi hanno
sfruttato gli autori, i quali avevano bisogni dei loro servigi per
materializzare le loro opere in serie e poi diffonderle. Il sistema
piramidale dell'economia ha portato nei tempi a privilegiare pochi
autori, e neppure i più bravi, a scapito degli altri, con evidente
antidemocraticità del sistema.
La nuova normativa anticopyright per cui ci battiamo prende atto della
nuova tecnologia grazie alla quale noi autori non abbiamo bisogno di
editori e distributori potendo diffondere le nostre opere via internet.
Questo non significa escludere quelle vecchie forze economiche ma solo
ridimensionarle, per offrire prodotti pressoché gratuiti e soprattutto
garantire a ciascun autore piccolo o grande che sia, forte o debole,
uguali chance di entrare nel mercato dei lettori, ascoltatori di musica
etc. oltre che apparire in maniera equanime in tutti i media, usufruire
a rotazione dei finanziamenti pubblici etc.
Questo nuovo (almeno in termini quantitativi) ambito d'intervento
giuridico che sfide impone? che tipo di competenze-attenzioni-analisi
richiede? E, soprattutto, non ritiene che sia prima di ogni altra cosa
alcuni concetti chiave come "proprietà", "sapere" e
"bene pubblico" (per citarne solo alcuni) a necessitare di una
ridefinizione?
Quello che lei dice è la premessa naturale al mio dire. Noi
dell'Antiarte-Movimento Utopista sosteniamo il primato dell'arte e della
cultura sull'economia che rende la tutela del diritto all'arte e al
sapere dell'uomo prioritaria di fronte ad ogni altro interesse materiale
ed economico. Attraverso quest'ultima via veniva ribadito il principio
già espresso nella sentenza anticopyright, là dove si afferma il nuovo
cybervangelo connesso al diritto di accesso totale all'arte e alla
cultura: anche la New Economy depone nel senso dell'arte a diffusione
gratuita o a bassissimo prezzo, per rendere effettivo il principio
costituzionale dell'arte e la scienza libere (art. 33 della
Costituzione) e, quindi, usufruibili da tutti, cosa non assicurata dalle
attuali oligarchie produttive d'arte che impongono prezzi alti, contrari
a un'economia umanistica, con economia anzi diseducativa per i giovani
spesso privi del denaro necessario per acquistare i loro prodotti
preferiti e spinti, quindi, a ricorrere in rete e fuori a forme diffuse
di "pirateria" riequilibratrice.
L'azione degli oligopoli produttivi appare, quindi, in contrasto con
l'art. 41 della Costituzione secondo cui l'iniziativa economica privata
libera "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana". Solo un'arte a portata di tasca di tutti i cittadini e
soprattutto dei giovani può essere a livello produttivo umanitaria e
sociale come richiesto dalla Costituzione, per far sì che davvero tutti
possano godere dei prodotti artistici.
Qual è la sua personale opinione su leggi come la
"Urbani" o la direttiva europea Enforcement? Ha ancora senso
oggi mantenere in vita organismi come la SIAE?
Andando non contro ma oltre il Decreto Urbani, noi
dell'Antiarte-Movimento Utopista affermiamo che gli uomini hanno diritto
di scambiarsi informazioni, arte, cultura soprattutto attraverso
Internet senza che chicchessia possa limitare il loro potere, essendo
prioritaria la tutela di quel diritto di scambio rispetto a beceri
interessi economici degli oligopoli produttori - distributori non di
arte - là sono i creativi titolari di diritti - ma di copie puramente
materiali.
E' un falso problema quello secondo cui copiare le opere senza compenso
comprometta la sopravvivenza economica degli artisti, perché questi
guadagnano proprio dalla diffusione in sé della propria arte e cultura.
E' quello il loro intento primario, spirituale ed anche materiale,
ovvero il profitto della diffusione su scala quanto più ampia possibile
della propria arte e cultura, essendo il lucro un elemento succedaneo e
conseguenziale.
La diffusione dell'immagine di un creativo, soprattutto via Internet, di
per sé è fonte di guadagno sia come omesso investimento personale
(l'opera si diffonde senza che l'autore spenda alcunché), sia come
profitti occulti e conseguenziali perché la nuova industria dell'arte e
cultura, o quella vecchia decrepita, lo gratificheranno anche
economicamente per poter avere la sua opera, i suoi discorsi, le sue
apparizioni mediatiche.
Il nuovo mercato senza squali produttori-distributori sarà proprio di
una società aperta dove i vecchi produttori, ridotti plebiscitariamente
via Internet a misura d'uomo, dovranno solo riciclare i loro
investimenti che assumeranno altre forme. Intanto non c'è più il
mercato dominante dei produttori-distributori che impongono prezzo e
tirannia nello scambio dell'arte-cultura, ma ci sono i mercati. Lo
stesso prodotto artistico-culturale viene smerciato nelle varie
tecnologie parallele.
La prima via è Internet col che si consentirà a chiunque di fruire di
quel prodotto, di vederlo, scaricarlo nel computer a prezzo pressoché
zero. Nella sentenza anticopyright si afferma al riguardo: "Il
fatto è che la strategia del regalo è uno dei punti centrali nel mondo
digitale, tanto che si parla di free economy, economia del gratis
appunto, o di gift economy, economia del regalo. Nell'età dell'accesso
si passa da relazioni di proprietà a relazioni di accesso. Quello di
proprietà privata è un concetto troppo ingombrante per questa nuova
fase storica dominata dall'ipercapitalismo e dal commercio elettronico,
nella quale le attività economiche sono talmente rapide che il possesso
diventa una realtà ormai superata". A questo si aggiungerà la
possibilità di riprodurre l'opera con mezzi tecnologici interni(una
stampante)o esterni (tipografie che si specializzeranno in confezioni
dei prodotti personalizzate, soprattutto digitalizzate e a bassissimo
costo).
La seconda via è quella tradizionale dove un produttore riproduce
l'opera in serie per poi distribuirla tra librai, edicole etc. Il
prodotto probabilmente costerà di più rispetto al precedente ma, chi
è preso dal furor d'aver libri e soprattutto avrà i soldi per
comprarlo, lo comprerà. Vi sarà, comunque, un plafond nei ricavi
economici. Quando verrà sfondato il tetto stabilito dalla legge, la
somma eccedente sarà messa in un fondo di solidarietà per gli artisti
deboli(emergenti, giovani, poveri, anziani, malati, etc.).
Quanto alla SIAE, essa svolge allo stato una funzione passiva,
limitandosi a intervenire in intermediazione per proteggere i diritti
morali ed economici degli autori. Dovrebbe essere, invece, rigenerata
per assumere una funzione propulsiva dell'arte e della cultura,
soprattutto proteggendo gli autori deboli, i talenti etc. attualmente
bistrattati e trascurati dal mercato famelico e piramidale che porta
avanti sempre gli stessi creativi, i più "forti socialmente"
e neppure i migliori talora.
Dovrebbe la SIAE coi compensi sforanti delle star creare dei fondi di
solidarietà per gli artisti deboli, onde ridistribuire il lucro
equamente tra tutti i creativi, proprio per eliminare lo squilibrio tra
gli affermati e i non.
Dovrebbe la SIAE incrementare gl'interventi sociali e istituzionali a
favore delle forze creative emergenti, controllare la distribuzione dei
finanziamenti pubblici, anche questi spesso destinati ai forti e ai ben
agganciati politicamente(spesso sempre gli stessi) a scapito degli
artisti puri, che hanno in orrore ricorrere ai maneggi, frustrati dalla
mancata attribuzione di fondi che in uno stato democratico dovrebbero a
rotazione, d'amblais, spettare a tutti.
La SIAE dovrebbe combattere contro le ingiuste tassazioni statali, che
aiutano a portare alle stelle i prezzi dei prodotti artistici.
Insomma alla SIAE, trasformata in SIA, società di solo difesa degli
autori (e non più degli editori), affidiamo il compito nuovo e luminoso
di indebolire i creativi forti e rafforzare i deboli, tenendo presente
che se i primi emergono ciò è col sacrificio della massa degli
artisti, che si vedono precluse le vie alte del successo o quanto meno
della decente manifestazione della loro opera.
Nel nuovo progetto la SIAE "riciclata" sarà diretta a
tutelare realmente gli autori, soprattutto quelli fragili, e non più i
produttori e i distributori com'è adesso. Oggi la SIAE combatte i
cosiddetti pirati che usufruiscono di musica, libri etc. senza pagare
diritti; domani garantirà la libera diffusione del sapere e attaccherà
i nuovi pirati, ovvero i produttori-distributori che tralignino,
superando i plafond di lucro stabiliti per legge.
Tornando all'oggi, quanto alla borsa per acquistare arte e cultura, ciò
di cui non si tien conto nei decreti alla Urbani è che, se davvero una
persona volesse comprare tutti i prodotti di cui necessita il suo
spirito(libri, musica, film, video etc.) nelle vie cosiddette legali, ci
vorrebbero enormi patrimoni che non ci sono. E, allora, perché privarsi
di questa ricchezza enorme di arte-cultura che fa così bene agli
uomini, è panacea ai nostri giovani dissuadendoli dalle vie dei
paradisi artificiali?
Tutto quanto detto è in linea a con l'articolo 6 della Dudda dove si
afferma; "All'autore dell'opera è riconosciuto il diritto morale
d'autore e il mero possesso a nome altrui(detentio) delle forme
artistiche, con un ridotto diritto di sfruttamento commerciale, senza
che chicchessia possa vantare alcuna proprietà assoluta sul prodotto
artistico". Ergo l'autore ha solo diritti provvisori e limitati. Se
egli si allea con partners produttori-distributori tradizionali, potrà
operare lo sfruttamento della sua opera al di sopra del costo zero ma
per mera concessione graziosa dell'Umanità. Egli dovrà, comunque,
concedere che chiunque non abbia la somma necessaria per acquistare il
prodotto o, pur avendola non voglia spenderla(per lo meno in vista della
massa di prodotti da acquisire), l'acquisisca in via informatica,
digitalizzata etc.
Concludendo è evidente che, a fronte dello scontro titanico oggi in
atto tra il cyberspazio e l'ulespazio, i movimenti per la libertà e
l'uguaglianza reali dell'uomo passano attraverso la fratellanza
internettiana che abbatterà la tirannia attuale dei
produttori-distributori impregnati di old economy. Questa comunità è
stata annunciata nella sentenza anticopyright che sottende un nuovo
principio metacostituzionale: il prevalere del Sapere sull'Economia. Ed
oggi il Sapere dei Saperi è Internet. Solo attraverso il cyberspazio
iperaperto - che è comunicazione galattica - è possibile compiere quel
grande salto di qualità che permetterà di realizzare in concreto, e
non a chiacchiere costituzionalizzate, i principi della Rivoluzione
Francese per realizzare l'Utopia dell'Uomo Libero, Eguale e soprattutto
Fraterno.
Di fronte a queste evidenze i decreti alla Urbani sono solo sassi che
saranno travolti dall'Oceano di Internet. I più grandi megastore del
mondo oggi non possono rivaleggiare con la ricchezza del catalogo
disponibile sui sistemi di file sharing. E la gente lo vuole quel
catalogo universale perché così si arricchisce dentro. E lo manterrà
quel catalogo malgrado le leggi pro copyright che sono contro il popolo,
contro il mondo assetato d'arte, di sapere e di cultura. Il fatto stesso
che si sia parlato di "repressione simbolica" da parte del
legislatore nel caso del decreto Urbani dimostra non tanto un pudore
interno quanto la sotterranea consapevolezza di combattere una battaglia
perduta.
Quel decreto o altri cento decreti emessi nel mondo in quella linea
inutilmente repressiva non riusciranno ad arrestare il popolo
d'Internet, emblema della popolazione mondiale soggiogata da una legge
sul copyright che non risponde ai tempi e che non vuole più.
Nessun decreto è concepibile che riesca a metterci tutti dentro; men
che mai che qualcuno vada dentro com'è capitato recentemente -
horribile dictum - in Grecia per un compratore per strada di cd
contraffatto; nessun decreto riuscirà a fermare la nostra voglia di
sapere e di cultura per il bene stesso dell'Umanità. Gli argini
molochiani innalzati contro la dissoluzione del copyright non
crolleranno: sono già crollati!
Consigli a un giovane giudice o avvocato che voglia occuparsi di
copyright?
Lavori con noi. Il nostro progetto finale è abbattere la piramide
per costruire un mondo sferico a modello di internet trasferendolo nell'ulespazio.
La giustizia non è solo quella che si pratica nei tribunale (là forse
si cura la patologia della legge) ma è la lotta che si combatte fuori
per far sì che i forti diventino deboli e i deboli diventino forti.
Oggi la gran massa degli artisti e dei fruitori dell'arte è gente
debole che va aiutata a rovesciare gandhianamente l'attuale stato di
cose. Invitiamo gli avvocati, gli operatori di diritto tutti, addetti ai
lavori e non, a unirsi con noi per creare l'Utopia dell'Uomo Artista.