Carceri o cimiteri
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Italia: carceri o cimiteri, 2 mila morti in 12 anni
Dimitri Buffa

da L'Opinione.it di Dimitri Buffa
10 giugno 2005

A maggio del 2005 altri 11 individui hanno perso la vita nel circuito penitenziario italiano.
Cinque si sono suicidati, tre sono morti per malattia, uno di overdose e due per cause da accertare.
Le cronache dal “di dentro” sono in pratica uno stillicidio quasi quotidiano.
Che il paese accetta senza vergogna come se nelle galere si vivesse in un mondoa parte dove la civiltà non è mai arrivata. E le statistiche pubblicate dal sito internet Ristretti orizzonti, sicuramente una delle fonti migliori e più aggiornate in materia, dato che ogni mese compila un dossier dal titolo tanto significativo quanto triste (“Morire di carcere”), parlano di oltre 650 morti per suicidio dal 1992 al 2004 8stima per difetto) e di circa altri 1400 morti per cause naturali.

Che poi tanto naturali non sono visto che si tratta per lo più di overdose da eroina, che almeno in carcere non dovrebbe circolare, di Aids, i cui malati in carcere non dovrebbero stare anche perché nessuno li cura, e in genere di stenti e di malasanità.
Una discarica sociale in cui, quando ci si finisce per un motivo o l’altro (quasi ogni città d’Italia ha un motto come quello capitolino che dice che “chi non sale quei tre gradini non è romano”) nessuno può dare la garanzia che il biglietto non sia stato di sola andata.
Insomma una “spoon river” che tanto ci ricorda le tristi ballate di Fabrizio de Andrè, dove però gli accenti romantici lasciano il posto allo squallore e alla disperazione.

D’altronde se è terribile morire dietro le sbarre viverci può essere quasi peggio dato che la sovrappopolazione, tra un dibattito sull’amnistia e la clemenza e un’inutile legge come quella sull’indultino, è rimasto pressochè invariato a quota 58 mila presenze per strutture che al massimo potrebbero ospitarne 40 mila.
L’Italia può consolarsi di non avere il più alto tasso di suicidi rispeto alle medie europee, visto che i suoi 11 su 10 mila sono ben sotto i 24 dell’Austria o anche dei 14 dell’Inghilterra, della Grecia e dell’Irlanda.
E persino dei 13 della Lituania.
Ma è abbastanza da idioti consolarsi così, con i numeri.
Con quelle poche statistiche che paradossalmente sembrano favorevoli.
Secondo la filosofia del “beati monoculi in terra caecorum”. Dove poi questa “terra caecorum sarebbe il vecchio continente.
Sempre più spesso queste notizie non trovano affatto posto sui giornali e, per portare avanti il dossier, dobbiamo affidarci alle informazioni che arrivano dai volontari, o dai parenti dei detenuti.
Dal 2001 alle cifre ufficiali sui detenuti morti e sugli atti di autolesionismo nelle carceri non viene dato alcun rilievo (un Protocollo di intesa tra Istat e Ministero della Giustizia, datato 12 luglio 2002, prevede la “rilevazione semestrale degli eventi critici negli istituti penitenziari”: sarebbe naturalmente interessante conoscere puntualmente le cifre relative a tali eventi).

Invece dalle carceri italiane arriva, con inesorabile puntualità, la segnalazione di tutti gli spettacoli musicali e teatrali, delle gare sportive, dei concorsi di poesia e di pittura, e via dicendo: evidentemente (e, dal punto di vista dell’istituzione-carcere, comprensibilmente) a molti piace che del carcere arrivi un’immagine “addolcita”, che però è troppo parziale rispetto a una realtà, ben più complessa di come appare dalle pagine dei giornali.
Giustamente l’ampio studio di “Ristretti orizzonti”, un sito curato da un ex detenuto, Francesco Morelli che è ormai più attendibile di qualsiasi esperto ministeriale o del Dap, rimarca che “una rassegna stampa sul carcere” equivale a un elenco di “molti articoli che sembrano proprio note contabili”.
“C’è il numero totale dei detenuti, di quelli che sarebbero di troppo rispetto alla normale capienza, degli stranieri e dei tossicodipendenti, per finire con gli autolesionisti ed i morti suicidi.”
“Questa catena di cifre – è la laconica considerazione che viene fatta dall’estensor del dossioer riassuntivo di dodici anni di disgrazie - ricorda tanto le cronache di guerra, con le dimensioni degli eserciti, dei corpi speciali di combattenti e, infine, con il bilancio di morti e di feriti.”
E il capitolo dedicato alla stampa dal dossier in questione non è affatto tenero, anzi abbonda di una sorta di logico cinismo sprezzante del politically correct tra giornalisti.
Ecco uno stralcio significativo: “La sensibilizzazione della società riguardo agli emarginati, al carcere e alla devianza, è un’impresa faticosissima, anche volendoci mettere tutta la professionalità e l’inventiva possibili.

Figurarsi se l’impegno si limita all’indispensabile, se ci si accontenta di “riempire la pagina” rimasticando sempre gli stessi concetti, magari giustissimi, ma talmente logori che ormai annoiano anche noi detenuti, che pure siamo i diretti interessati.
In questo modo chi non è detenuto, parente o amico di detenuti, volontario od operatore penitenziario, legge del sovraffollamento delle carceri come potrebbe leggere della migrazione delle oche canadesi… non gliene frega niente, in pratica!”
Poi una rivelazione non del tutto inattesa: “Abbiamo ripassato tre anni di rassegna stampa sul carcere per raccogliere notizie e commenti sui cosiddetti “eventi critici” in ambito penitenziario: i suicidi, le morti per malattia, gli autolesionismi, etc… molti articoli del 2003, anche di opinionisti intelligenti, anche di politici e operatori in gamba, sono pressoché identici a quelli che gli stessi hanno scritto nel 2001 e poi ancora nel 2002... è vero che i problemi non sono tanto cambiati, però è anche vero che così l’informazione perde di vivacità (necessaria per cercare di coinvolgere i lettori) e l’analisi socio-politica del fenomeno fa ben pochi progressi.”
Parole sante in un Paese dove i politici si riempiono la bocca a giorni alterni o di invocazioni ridicole alla tolleranza zero dicendo di farsi portavoce della richiesta di sicurezza che viene dal popolo, promossa quasi a “grido di dolore” di risorgimentale memoria, o di pietismi pre elettorali di solito evocati da chi si dice sensibile alle parole proferite da questo o da quel Pontefice in nome di un luogo comune che vuole gli italiani tanto ma tanto buoni.

Invece, visto che vogliamo ragionare per sondaggi o per statistiche, non siamo buoni per niente.
Magari buonisti sì, con tanta ipocrisia mielata, con tanta gente che si batte il petto in chiesa, disposta a tutto pur di salvare embrioni, quasia nulla invece per ottemperare quell’obbligo morale tanto cristiano che era contenuto nella frase di “visitare i carcerati”.
La gente quando va in galera, se non ha alle spalle una famiglia più che presente, finisce parcheggiata per anni in un dimenticatoio che porta tutti i reclusi fuori dallo spazio e dal tempo.
Nella migliore ipotesi si passano 20 ore al giorno seduti su un letto a fare le parole crociate e ad aspettare che tristissimi pasti vengano serviti in orari teutonici e scandiscano la fine di una giornata di noia mortale nell’attesa dell’inizio di un’altra che sarà uguale e pure peggio.
Gli educatori sociali non esistono più e quando pure li si trova spesso usano le carceri come trampolini mediatici per apparire in tv e fare fortuna come psicologi, sociologi o consulenti.
In queste condizioni che ci sia qualcuno che abbia paura di trattare troppo bene i detenuti alloggiandoli come in un grande hotel risulta paradossale.
Quasi una sorta di esercizio di sadismo intellettuale su dei poveri Cristi.

 

Il Due - Net Magazine di San Vittore

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