A
Baragiano, dopo aver sistemato tutte le cose, fagotti, valige, mappate,
siamo pronti a partire, ma,avendo un po' di tempo da impiegare, indossiamo
i panni degl'investigatori. Con l'ausilio del fattore e del prete
cerchiamo di risolvere il mistero degli oggetti d'oro scomparsi della
mamma.
"Quelli
di Balvano hanno fatto piazza pulita degli oggetti personali di valore
tirandoli via dai cadaveri" sentenzia Antonio secco, dopo averci
pensato un po' sul se fiatare o meno.
Inorridiamo.
No, non ci vogliamo credere. E allora chiediamo conferma al prete.
"Sono
solo voci che corrono" conferma lui,ma minimizza."E' vero che vox
populi vox dei,ma in questi tempi duri la gente è confusa e non sa
davvero quel che dice".
Sì,
la gente è confusa, ma noi
lo siamo di più. Allora investighiamo ancora e sgomenti prendiamo atto
che troppe e similari sono le voci che ricamano in maniera immonda
affermando che soccorritori di Balvano si sono arricchiti nell'ammassare i
cadaveri e nel portare via loro gli oggetti d'oro.
Ancora
oggi alla mia coscienza ripugna il pensare a una siffatta forma di
sciacallaggio, anche se mi chiedo,ove questo fosse mai successo,se atti
così infamanti lo fossero molto di più di tanti altri scannamenti
perpetrati in guerra.
Ed
è vero che un giudice di Cremona ha dichiarato non reato rubare a un cadavere di un soldato straniero,quasi quel
corpo fosse res nullius, cosa di nessuno. Ma si può ripetere
quella sentenza nella spoliazione di fratelli colpiti da una morte così
orrenda e assurda?
Al
di là dei giudizi sulla moralità di guerra rimane comunque il dilemma
sulla sparizione dell'oro di mia madre e- da quanto riferì mio padre-di
altri cadaveri che erano stati spoliati delle loro cose...
Rimane
la conferma del macabro ladrocinio avuta, tornato nei luoghi dopo tanti
anni, da un barbiere del posto presso cui mi recai per una rasata.
Gli
racconto di mia madre morta, gli chiedo dov'è il cimitero. Lui prende
confidenza e mi conferma gli orrendi fatti. Non ha prove però. L'unica
indizio di reità è la Provvidenza Divina che stranamente sembra essersi
accanita contro questi presunti sciacalli che hanno fatto tutti una brutta
fine, con malattie, incidenti, disastri...
*
* *
Siamo
liberi. Felici e liberi. Felici perché liberi.
Liberi?!
Ancor mi vien da ridere a ricordare quella sensazione.
Laggiù,attraverso
una boscaglia, intravediamo i reticolati,i cavalli di frisia,le siepi di
filo rasoterra,i sacchetti di sabbia, i ripari blindati. Sono elementi di
fortificazione elevati dalla linea dei fanti inglesi che ci urlano:
"Dont
schoot!Let them pass!".
Sì,
ci lasciano passare. Ma appena giunti in mezzo a loro, che ci fissano con
un'aria tra la curiosità e lo schifo, subito un tenentino slavato, con
gli occhi da triglia fritta nordica, ordina con voce chioccia e brusca:
"Come
on! Come on! Come on!".
Caman!
Caman! Caman!
Questi sono i suoni che percepisco da parte dello sciacallo
travestito da scialbo essere
marino, che c'invita a seguirlo chissà dove. Ci porta tutti verso un
punto in cui la macchia si apre in una radura. Ci aspettiamo una tenda,
dei viveri, dei saluti, degli "Urrà!" per gl'intrepidi eroi
che, con vecchi e una bambina, hanno osato attraversare la linea della
bomba e invece...
Ci
porta presso un punto in cui alcuni soldati inglesi armati di picconi
stanno scavando e ci urla:
"Get
going! Dig up!".
Mio
padre traduce e sappiamo, ma l'avevamo già intuito. Insomma 'sti figli di
'na regina intronata cosa vogliono da noi?! Farci scavare le trincee! So'
pazze, so' peggio d' 'e sciem' 'e guerra!
"Nuje
nun ce ferammo 'e stà manco
all'in piedi" diciamo tutti in coro.
L'inglese
non sembra aver capito gran che. Si gratta i gradi sulla spalla e storce
il muso e ribadisce:
"Get
going! Dig up!".
No,
non capisce proprio. Eppure è così semplice:non riusciamo neppure a
stare all'in piedi,digiuni e morti di fame come siamo. Comunque il buon
papà Gennaro riesce a trovare il fiato per spiaccicare qualche parola
d'inglese,quelle poche che ancora ricorda di quando andò in America.
Accadde all'inizio del matrimonio quando andava con le navi a Nuova
York. Una volta disertò restando a terra e rimanendo là per tre o
quattro anni. Non trovando laggiù fortuna come panettiere,se ne ritornò
in Italia.
Gli
saranno rimaste di quei lunghi anni quattro vocaboli in slang,per capire e
per farsi capire;li usa in questo momento per salvarci,ove fosse stato
ancora necessario spiegare, ridotti come
siamo.
Ed
è così che mio padre traduce direttamente dal napoletano:
"No
force!No force...finish muscle!".Poi spiega alla meglio in quattro
battute le nostre disavventure e i guai fisici connessi alla denutrizione,
ma quello non se ne dà per inteso.
La
triglia ripetutamente piega la faccia da un lato e getta giù la manina,
mentre continua a ripetere agli assalti verbali di mio padre:"No, no,
no", per poi allungare il braccio col dito puntato sulla fossa e
ordinare con voce roca:"Do it!".
Alla
fine, quando mio padre si sta esaurendo nel blaterare disarticolato, gli
scatta per caso la parola magica che deve aver ben imparato dormendo nei
bassifondi yankee:
"Louse".
"Louse?!
fa il damerino graduato, arrestando l'arto signorile a mezz'aria e poi
ritraendolo al petto come un moncherino offeso."Puaaah!".
I
soldati dalla trincea che, sudando come dannati, scavano e seguono attenti l'insolita scenetta, ripetono i
gesti di schifo, urlando a raffiche successive:
"Lice!".
"Suns
of bitch!".
"We
dont want stay with them!".
"Bastard!".
Lice.Pidocchi!
Benedetti amati pidocchi. Il Signore vi abbia in Gloria nel giorno del
Giudizio Universale. Mi ero chiesto sempre perché Dio vi aveva creato e
ora lo so. Voi siete come le scarpe gonfiapiedi di Charlot e come l'uovo
rubato a Don Abbondio. Fate parte di quegl'infiniti frutti schifosi che
sorgono rigogliosi nel campo riservato dalla Provvidenza ai barboni, ai
diseredati, ai forzati della vita, ai fuggiaschi come noi per aiutarli
nelle imprese impossibili contro i dandy che, pur in guerra, la
schizzinoseria ce l'hanno fin nelle punte dei capelli.
Cari
amati pidocchi, o voi che ci appesantite, continuate pure ad albergare sui
nostri corpi e a succhiare il nostro sangue. Non ci abbandonate nella
vostra divina opera di angelico ausilio simbiotico!
(Da
Gennaro Francione, Calabuscia)