'E sciacalle
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                           Sciacalli

                                         

                                

   

                 La vita è giusta e  premia gli onesti.

                                          

                               

Sul treno 8017 viaggiavano anche dei ladri. I poveri rubano ai poveri.

Quei ladri approfittavano della ressa e del sonno per rubare nelle carrozze centrali  e poi si portavano alla coda del treno.

Fu quello che fecero nella notte tra il 2 e il 3 marzo.

Quei ladri rubarono ai poveri viti scipparono la loro vita alla morte perché sull'ultima carrozza trovarono la salvezza.  

(Da una testimonianza resa da C. A. a Gennaro Francione)

                       

 

 

UNA STRAGE - L'allarme (il treno non arrivò mai a Bella-Muro) giunse a Potenza nel cuore della notte: all'alba, la scoperta. Il treno fu riportato a Balvano. Centinaia di cadaveri allineati sul marciapiede, qualcuno "ripulito" dai soliti sciacalli.

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C'era il medico condotto, Orazio Pacella intervenuto tra i soccorritori che  racconta:  "Dissero che qualche vittima era stata spogliata delle poche cose che aveva. Non è vero, non c'erano sciacalli fra di noi. C'era soltanto brava gente che dava una prova di solidarietà umana"

(da Cenzino Mussa, E la morte scese sul treno, pubbl. su "Famiglia Cristiana" 4 marzo 1979, pag. 40-46)

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"Papà cercò sul corpo di mamma Giulia ma non trovò né gli orecchini, né la catenina col crocifisso, né l'anello nuziale"

(Vincenzo Francione)

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Vincenzo Pacella, incaricato di rimuovere i cadaveri, così racconta : «Molti corpi furono sfregiati con le pale da avvoltoi per rubare anelli, catenine e fedi».

(Dall'intervista nell'articolo di Agostino Gramigna e Adolfo Pappalardo Casi da riaprire - La più grande catastrofe ferroviaria
CARO PRESIDENTE CIAMPI, SI RICORDA DEL TRENO DEI MORTI?

pubblicato in "Sette", 4 marzo 2004, pagine 42-44)

Altrove riporta: "Su quel treno viaggiava ogni genere di merce, che fu sequestrata, ma sparirono anche gli
oggetti preziosi in possesso delle vittime. Per anni, se a Napoli si diceva di essere di Balvano si veniva guardati male". 

  Vincenzo  Pacella ha ricordato anche un altro particolare: il furto degli oggetti repertati e custoditi nella casa dell'ex fascio, a Balvano. Non vi fu alcun furto, solo un tentativo. I carabinieri di "ronda" nel paese, a notte fonda, furono avvertiti da una donna che aveva sentito rumori sospetti, e accorsero. I ladri
fuggirono prima di essere acciuffati, lasciando sulle scale due sacchi pieni di merce.

 (testimonianza raccolta  da  Mario Restaino.  Un treno, un'epoca: storia dell'8017, pp. 45-46),

 

 
 

Sono state fatte richieste di risarcimento allo Stato dopo la sciagura con tanto di carte bollate. Poi non se n'è saputo più nulla. Cos'è successo?

 L'avvocato è stato solerte  a farci firmare le carte a tutti, i figli, il marito. Poi è sparito e nemmeno abbiamo saputo l'esito della causa.

"Com'è in alto così è in basso. Come è in basso così è in alto" diceva Ermete Trismegisto...

Gli sciacalli si annidano ugualmente tra la povera gente  e tra le classi alte e altissime... (il signor X)

 

 

A Baragiano, dopo aver sistemato tutte le cose, fagotti, valige, mappate, siamo pronti a partire, ma,avendo un po' di tempo da impiegare, indossiamo i panni degl'investigatori. Con l'ausilio del fattore e del prete cerchiamo di risolvere il mistero degli oggetti d'oro scomparsi della mamma.

"Quelli di Balvano hanno fatto piazza pulita degli oggetti personali di valore tirandoli via dai cadaveri" sentenzia Antonio secco, dopo averci pensato un po' sul se fiatare o meno.

Inorridiamo. No, non ci vogliamo credere. E allora chiediamo conferma al prete.

"Sono solo voci che corrono" conferma lui,ma minimizza."E' vero che vox populi vox dei,ma in questi tempi duri la gente è confusa e non sa davvero quel che dice".

Sì, la gente è confusa, ma  noi lo siamo di più. Allora investighiamo ancora e sgomenti prendiamo atto che troppe e similari sono le voci che ricamano in maniera immonda affermando che soccorritori di Balvano si sono arricchiti nell'ammassare i cadaveri e nel portare via loro gli oggetti d'oro.

Ancora oggi alla mia coscienza ripugna il pensare a una siffatta forma di sciacallaggio, anche se mi chiedo,ove questo fosse mai successo,se atti così infamanti lo fossero molto di più di tanti altri scannamenti  perpetrati in guerra.

Ed è vero che un giudice di Cremona ha dichiarato non  reato rubare a un cadavere di un soldato straniero,quasi quel corpo fosse res nullius, cosa di nessuno. Ma si può ripetere quella sentenza nella spoliazione di fratelli colpiti da una morte così orrenda e assurda?

Al di là dei giudizi sulla moralità di guerra rimane comunque il dilemma sulla sparizione dell'oro di mia madre e- da quanto riferì mio padre-di altri cadaveri che erano stati spoliati delle loro cose...

Rimane la conferma del macabro ladrocinio avuta, tornato nei luoghi dopo tanti anni, da un barbiere del posto presso cui mi recai per una rasata.

Gli racconto di mia madre morta, gli chiedo dov'è il cimitero. Lui prende confidenza e mi conferma gli orrendi fatti. Non ha prove però. L'unica indizio di reità è la Provvidenza Divina che stranamente sembra essersi accanita contro questi presunti sciacalli che hanno fatto tutti una brutta fine, con malattie, incidenti, disastri...

 

*  *  *

 

Siamo liberi. Felici e liberi. Felici perché liberi.

 

Liberi?! Ancor mi vien da ridere a ricordare quella sensazione.

Laggiù,attraverso una boscaglia, intravediamo i reticolati,i cavalli di frisia,le siepi di filo rasoterra,i sacchetti di sabbia, i ripari blindati. Sono elementi di fortificazione elevati dalla linea dei fanti inglesi che ci urlano:

"Dont schoot!Let them pass!".

Sì, ci lasciano passare. Ma appena giunti in mezzo a loro, che ci fissano con un'aria tra la curiosità e lo schifo, subito un tenentino slavato, con gli occhi da triglia fritta nordica, ordina con voce chioccia e brusca:

"Come on! Come on! Come on!".

Caman! Caman! Caman! Questi sono i suoni che percepisco da parte dello sciacallo travestito  da scialbo essere marino, che c'invita a seguirlo chissà dove. Ci porta tutti verso un punto in cui la macchia si apre in una radura. Ci aspettiamo una tenda, dei viveri, dei saluti, degli "Urrà!" per gl'intrepidi eroi che, con vecchi e una bambina, hanno osato attraversare la linea della bomba e invece...

Ci porta presso un punto in cui alcuni soldati inglesi armati di picconi stanno scavando e ci urla:

"Get going! Dig up!".

Mio padre traduce e sappiamo, ma l'avevamo già intuito. Insomma 'sti figli di 'na regina intronata cosa vogliono da noi?! Farci scavare le trincee! So' pazze, so' peggio d' 'e sciem' 'e  guerra!

"Nuje nun ce ferammo 'e stà  manco all'in piedi" diciamo tutti in coro.

L'inglese non sembra aver capito gran che. Si gratta i gradi sulla spalla e storce il muso e ribadisce:

"Get going! Dig up!".

No, non capisce proprio. Eppure è così semplice:non riusciamo neppure a stare all'in piedi,digiuni e morti di fame come siamo. Comunque il buon papà Gennaro riesce a trovare il fiato per spiac­cicare qual­che parola d'inglese,quelle poche che ancora ricorda di quando andò in America. Accadde all'i­nizio del matrimonio quando andava con le navi a Nuova York. Una volta disertò restando a terra e rimanendo là per tre o quattro anni. Non trovando laggiù fortuna come panettiere,se ne ritornò in Italia.

Gli saranno rimaste di quei lunghi anni quattro vocaboli in slang,per capire e per farsi capire;li usa in questo momento per salvarci,o­ve fosse stato ancora necessario spiegare, ridotti  come siamo.

Ed è così che mio padre traduce direttamente dal napoletano:

"No force!No force...finish muscle!".Poi spiega alla meglio in quattro battute le nostre disavventure e i guai fisici connessi alla denutrizio­ne, ma quello non se ne dà per inteso.

La triglia ripetutamente piega la faccia da un lato e getta giù la manina, mentre continua a ripetere agli assalti verbali di mio padre:"No, no, no", per poi allungare il braccio col dito puntato sulla fossa e ordinare con voce roca:"Do it!".

Alla fine, quando mio padre si sta esaurendo nel blaterare disarticolato, gli scatta per caso la parola magica che deve aver ben imparato dormendo nei bassifondi yankee:

"Louse".

"Louse?! fa il damerino graduato, arrestando l'arto signorile a mezz'aria e poi ritraendolo al petto come un moncherino offeso."Puaaah!".

I soldati dalla trincea che, sudando come dannati,  scavano e seguono attenti l'insolita scenetta, ripetono i gesti di schifo, urlando a raffiche successive:

"Lice!".

"Suns of bitch!".

"We dont want stay with them!".

"Bastard!".

Lice.Pidocchi! Benedetti amati pidocchi. Il Signore vi abbia in Gloria nel giorno del Giudizio Universale. Mi ero chiesto sempre perché Dio vi aveva creato e ora lo so. Voi siete come le scarpe gonfiapiedi di Charlot e come l'uovo rubato a Don Abbondio. Fate parte di quegl'infiniti frutti schifosi che sorgono rigogliosi nel campo riservato dalla Provvidenza ai barboni, ai diseredati, ai forzati della vita, ai fuggiaschi come noi per aiutarli nelle imprese impossibili contro i dandy che, pur in guerra, la schizzinoseria ce l'hanno fin nelle punte dei capelli. 

Cari amati pidocchi, o voi che ci appesantite, continuate pure ad albergare sui nostri corpi e a succhiare il nostro sangue. Non ci abbandonate nella vostra divina opera di angelico ausilio simbiotico!

(Da Gennaro Francione, Calabuscia)

                           

 

 
  Racconta una leggenda americana (raccolta  a Torre del Greco) che sarebbero stati i tedeschi a provocare l'incidente.

 Una vendetta perché il legname che trasportavano gli americani era bottino  di guerra, a loro preso.

 Furono loro servizi segreti a far sì che le due locomotive, invece di essere messe una testa  e una in coda, furono collocate all'inizio del convoglio provocando la catastrofe.

 

 
domenica 18 aprile 2004 17.28.47


Egregi Signori,
dopo aver seguito la trasmissione "UN GIORNO SPECIALE" di Michele Cocuzza il 24/03/04 ho visitato il vostro sito. 

<omissis>


Parlando con mia nonna Ragosa Luisa è venuto alla luce un vero e proprio scandalo in seguito alla tragedia. Dopo l'avvenimento, in paese giravano voci che tutte le famiglie colpite dalla grave tragedia avrebbero avuto un risarcimento dalle ferrovie. Così il marito (Ragosa Agostino) e la figlia maggiore (Ragosa Antonietta) della Sig.ra Campanile si sono rivolti ad un avvocato di Napoli il quale dopo la richiesta di diversi documenti tra cui il certificato di matrimonio disse che i due inoltre dovevano firmare un documento davanti al notaio attestante che avrebbero comunque pagato la sua parcella qualora si fossero rivolti ad un altro avvocato. Secondo l'avvocato si trattava di un semplice documento per tutelarsi da un eventuale ripensamento dei clienti. 

Poiché i tempi erano quelli che erano e i due parenti della Sig.ra Campanile si fidavano pienamente del loro avvocato hanno seguito le sue indicazioni e hanno firmato il documento. Dopo parecchio tempo, quando la maggior parte delle famiglie vittime della tragedia iniziarono ad essere risarcite e la famiglia della mia bisnonna non riceveva niente, il marito e la figlia si recarono di nuovo a Napoli dal loro avvocato per chiedere spiegazioni. Arrivati allo studio l'avvocato li disconobbe  dicendo di non averli mai visti e conosciuti e negando che fossero suoi clienti. Così con il dolore e l'umiliazione subita i due se ne tornarono a casa consapevoli di essere stati truffati. Al sentire tale storia ho avuto una stretta al cuore. 

Si è trattata di una vera e propria truffa legalizzata. L'avvocato ha avuto il coraggio di "mangiare sui morti", di approfittare di un anziano signore e di una giovane donna "ignoranti" della legge. Il documento che gli ha fatto firmare era in effetti una delega a riscuotere il risarcimento per intero, i miei parenti non hanno mai ricevuto il risarcimento. 

Purtroppo non sappiamo più il nome dell'avvocato. Ma ci farebbe molto piacere se ci fosse la possibilità di risalire almeno alla sua identità. Magari negli archivi delle ferrovie ci sono ancora i documenti dei risarcimenti effettuati (questa è una mia ipotesi). Se avete l'occasione e se fosse possibile ci farebbe molto piacere se poteste darci una mano a risalire alla sua identità, non certo per essere risarciti ora, ma per rendere giustizia almeno morale ai miei due poveri parenti deceduti nel disastro e a tutti noi che siamo ancora in vita e che purtroppo non possiamo fare più niente per tornare indietro.

<omissis>

Stefania Dusi

 

 

                                                                                           Maiori, 15 aprile 2004

 

 

     Balvano, la più grande tragedia ferroviaria d’Europa,

<omissis>

 Nel 1950 ricevemmo una cartolina da un avvocato di Napoli, che ci invitava a fargli recapitare i dati relativi a tutti i componenti la famiglia, perché voleva intentare una causa per risarcimento.

     Noi, due fratelli e due sorelle, rispondemmo che non volevamo niente, perché erano soldi di disgrazia. Ma lui ha continuato a scriverci, citando il nome di altri parenti, che avevano accettato di inoltrare questa causa. Nel frattempo io mi ero sposata e l’avvocato si mise in contatto con mio marito, sollecitandolo più volte ad avviare la pratica. Alla fine accettammo e l’avvocato richiamò più volte mio marito, per avere notizie più precise anche nei confronti di altre persone, che erano morte in questo incidente.

     Purtroppo, con mio marito parlava, ma non rilasciava alcun documento.

     Fatta la causa, nel 1958, ci informò che solo a mio fratello più piccolo, perché minorenne, (all’epoca aveva 13 anni essendo nato il 4 novembre 1930) erano state assegnate 125.000 lire, di cui il 10% spettava all’avvocato.

     Per mio fratello maggiore aveva ragione. Era ormai maggiorenne, in quanto era nato nel 1921.

     Ma io ero nata il 18 agosto 1923 ( all’epoca dei fatti, quindi, non ero ancora maggiorenne) e neanche mia sorella, nata il 14 marzo 1926.

     Poiché con quella misera somma non si coprivano le spese di tutti e quattro per andare a Napoli (mia sorella , che nel frattempo era emigrata in Argentina,doveva mandare una procura notarile; i miei fratelli dovevano spostarsi dalla Calabria),  l’avvocato propose di incontrarci nella stazione di Salerno. E così fu. In pochi minuti abbiamo firmato, senza avere nessuna spiegazione, né la lettura di  alcun documento; la firma è stata messa nell’ufficio della stazione.

     Io conosco il nome dell’avvocato e, alla luce di quanto pubblicato anche dal quotidiano Il Mattino del 29-02: “ Gli uffici provvidero a liquidare 320.000 lire per ogni vittima a favore dei familiari” posso affermare che la versione dei fatti non corrisponde a verità, in quanto ci sono state corrisposte solo £ 125.000 e solo al figlio più piccolo, mentre, secondo quanto riportato, non si parla di maggiore età, ma solo di una somma stabilita per ogni vittima.

     Se è vero che per ogni vittima è stata pagata la somma di £ 320.000, la nostra posizione non è stata proprio discussa dall’avvocato oppure l’avvocato aveva interesse a concluderla in un certo modo.

     Solo dopo aver letto l’articolo sono venuta a conoscenza dell’entità della somma pagata; mentre mi sono sempre profondamente amareggiata nel considerare, in tutti questi anni, in base a quali criteri si poteva pensare che quattro orfani potessero continuare a vivere e cosa rappresentava quella modesta somma per un ragazzo destinato a crescere senza genitori e che doveva sopportare il peso maggiore di questa disgrazia.

     All’epoca delle proposte dell’avvocato noi quattro fratelli, in un primo momento, fummo d’accordo a non firmare, perché ancora una volta convinti di non volere alcuna somma da una disgrazia così grande. Poi, consigliati anche da un giudice  di Maiori, che ci spinse a firmare, perché, spiegò, l’avvocato avrebbe potuto richiedere la somma a lui spettante sequestrando un lavoro finito dai miei fratelli o la nostra casa, accettammo l’entità del risarcimento.

     Le persone morte in questa tragedia non sono state uccise solo dal carbone di pessima qualità, ma anche dalla burocrazia, dall’indifferenza, dalla superficialità di chi, non avendo rispetto per quelle persone che hanno dato la vita per la sopravvivenza dei loro figli, continua, ancora oggi, a considerarli solo e semplicemente dei contrabbandieri e non eroi della sopravvivenza e vittime innocenti della guerra.

     Ora, se le cose sono andate come suppongo si siano svolte mettendo insieme la mia esperienza con le notizie dei vari giornali, che hanno inteso commemorare l’evento allo scadere dei sessant’anni, il dolore, che da quel momento ha scandito tutti i giorni della mia vita, è ancora più grande, perché accanto ad un tragico destino che ha colpito due giovani vite, ben più crudele è stato il comportamento degli uomini, per cui i morti di Balvano restano doppiamente vittime.

     Scusatemi per questo mio sfogo abbastanza lungo, ma la memoria di questo tragico evento è rimasta nel mio cuore con profondo affetto nei confronti dei miei cari e, quanto diffuso in questi giorni, dai giornali e dalla televisione, ha riaperto con nuovi risvolti una profonda ferita.

     Sarei lieta di vedere pubblicata  questa testimonianza, per rivalutare la memoria delle vittime.

 

 

                                                                                                             Maria Monti

Via Casale de’ Cicerali, 6

84010     MAIORI (SA)

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Fax:089877476           E-mail: antoniomammato@tin.it