Ci
portiamo alla stazioncina di Torre abbascio a mmare, ma là un
vecchio capostazione sonnacchioso ci avverte che
convogli non ce ne sono per Potenza né qui né a Napoli.I treni
funzionano poco e male;soprattutto sono stati requisiti dagli americani
per il trasporto di materiale bellico:carri armati,munizioni,cannoni.Conclusione:l'epopea
dei piedi non è ancora finita.
Dormiamo
su due panchine di legno duro nella sala d'attesa e all'alba, di
buon'ora, ci rimettiamo in marcia prendendo per la nazionale.
Il
viaggio stavolta è lungo, senza particolari sussulti, in una zona
completamente fuori della guerra, anche se i danni si vedono nella ruina
di molte cittadine che attraversiamo. Salerno, Battipaglia, Eboli,
Campagna, Romagnano al Monte per poi arrivare a Baragiano un piccolo paese
a pochi chilometri da Potenza.L'ultimo tratto lo facciamo su un camioncino
che reca la scritta:"W i patrioti".
Il
villaggio, meta finale della nostra peregrinazione, è formato da case
rade e sparpagliate nella campagna. Qui la terra triste, pervasa da forme
scese e cadenti di alberi e fiori, si è ammantata dei colori smorti
dell'autunno dai marroni, al
bruciato, all'amaranto, al verde muschio.
Dobbiamo
cercare e chiedere di qua e di là, finché una contadina che conosce
donna Giulia ci dà indicazioni sul dove trovarla. Arranchiamo per un
sentiero che s'inerpica su una collina in mezzo a vigneti spogli dell'uva
già potata per la vendemmia. Alla fine arriviamo al casolare, isolato in
uno spiazzo con l'aia e la stalla, e scorgiamo subito
i miei fratellini più piccoli Peppino e Carmela che giocano con
una bambina. Carmelina tiene tra le mani 'a pupatella, un
fazzoletto piegato lungo e legato in testa per farne una bambolina.
"Peppì!Carmè!"
gridiamo in coro io e mio padre.
I
bambini si voltano di scatto e hanno gli occhi che passano repentinamente
dalla sorpresa alla gioia. E' un momento solo perché, rapidissimi,
entrambi si lanciono in picchiata sul leggero declivio, mentre strillano
come dannati con le loro vocine squillanti:
"Mammà!Mammà!So'
bbenute papà e Vicenzino!Mammà!".
Il
tempo d'invocarli ancora e già noi corriamo verso di loro, li tocchiamo e
piangiamo di gioia a prenderli tra le braccia, mentre lassù da una
finestra che si apre sopra la stalla si affaccia la mamma che sbraita:
"Ch'è
succieso?".
Non
ha sentito bene cosa hanno strillato i bambini ma ci vede subito da là
sopra, si mette le mani nei capelli e lancia un urlo. Eccola che vola per
le scale nel suo vestitino
blu a fiori e già è tra le braccia di papà, piangenti di felicità
entrambi marito e moglie, e si rivolge a me e mi abbraccia, e ci stringe
entrambi coi suoi grandi occhioni verdi, generosi, buoni.
"Comme
state?Quanto stevemo 'n pensiere pe' vvuje!".
"Stamme
buono, Giulia, e vvuje?" chiede papà tra le lacrime.
La
risposta non giunge avvertiamo dalla casa una caciara:sono tutti i miei
fratelli e sorelle guidati da Carlo che urlando come indiani vengono
a lanciarsi attorno a noi, sicché
alla fine siamo tutti lì, in otto figli a stringerci l'un con l'altro e
insieme, nel groviglio di arti e fiati e cuori,attorno ai corpi dei nostri
genitori felici e innamorati.
Laggiù,
dalla porta di entrata alla casa, abbiamo anche degli spettatori. E' il
padrone di casa, don Antonio con la moglie,la signora Mafalda. La
figlioletta, Angelina, è corsa verso di loro e si stringe anch'essa alla
gamba del padre per imitazione in cerca di un affetto similare al nostro.
La
necessità aguzza l'ingegno, la guerra lo fa divino. Sin dai primi momenti
in cui metto piede nello stanzone sopra la stalla mi rendo conto che mia
madre ha dovuto inventarsi davvero tante cose di cui non la credevo
capace, lei così mite, eppur agile, così domestica, dedita alla casa, al
marito e ai bambini.
Ha
così trasportato da sola l'intera famigliola e, giunta a Potenza, ha
trovato e affittato non senza fatica, dopo una strenua ricerca,
quest'alloggio del contadino. Affittato? Uso male il termine. Qui si
tratta piuttosto di uno strano primitivo baratto, con scambio di locazione
contro merce,perché in
questo paesetto scurdat' d' 'o Pataterno
non sanno veramente cosa
farne dei soldi.
Insomma
mia madre si è fatta commerciante e ha dovuto intraprendere una serie di
viaggi tra Potenza e Napoli per trasportare qui roba e fare un po' di
contrabbando.
Ora
eccola là,in quello stanzone quasi interamente riempito da un letto che
sembra una nave. Sul materassone lei prende posizione da un lato e Maria
dall'altra a proteggere la covata che si sistema alla meglio al centro in
un intreccio di linee, con piedi che si appoggiano sulle facce, e facce
che toccano mani, e nasetti che sfiorano sederi.
In
un angolo, dalla parte dove dorme mia madre, c'è la vecchia naca,
la culla dove la signora Mafalda ha cunuliato la figlia Angelina e
che ha tirato fuori dalla cantina per prestarcela.Da quella parte c'è
anche la cajora(3) col cardellino che canta tutte le ore e quando
vede mia madre fa cento saltelli di gioia.
Là
dentro non c'è posto per noi. Ma il contadino padrone è stato bravo e ci
ha prestato due lenzuoloni vecchi, invitandoci a prendere paglia dalla
stalla e a riempirli.
Così
ci sistemiamo alla meglio e non ci sembra vero di dormire su questo
lettino di fieno che buca il tessuto e punge le carni. Neppure ci facciamo
caso alle spertusate e alla fine il giaciglio diventa degna della
Principessa del Pisello, che pure, per mostrare la sua regalità, si
accorse di un sassolino che era stato posto in un materasso di morbida
lana ricoperto da altri dieci sull'ultimo dei quali lei dormiva!
*
* *
Tornando
a me e papà, scarica oggi scarica domani, accumuliamo un po' di soldi coi
giorni che passano tutti uguali.
Ogni
sera ce ne torniamo a dormire a casa, dove la nonnina solerte ci prepara
quello che si può racimolare, dopo che la scorta di cibi buoni e salutari
datici da mammà è finita da un pezzo. Se va bene s'ingurgita un po' di
zuppa genuina.
Una
volta siamo riusciti a recuperare a bordo una
scatola di carne tritata, ma apertala sentivamo un aroma
disgustoso,al che abbiamo provveduto a condire il piatto del giorno con
abbondante aceto per ammazzare il malo profumo.
La domenica qualche volta capita che andiamo a mangiare da zio
Giovanni, soprattutto quando rimedia qualche scatola in più di polvere di
piselli e di ceci.
E
così l'autunno vola. Di tanto in tanto donna Giulia ci raggiunge a casa.
Con tutto il bene che voglio alla nonna, devo dire che quando la mamma
viene è una gran festa per me e papà, il cielo sembra riaprirsi. La fata
giovane ci porta il calore del suo cuore e ci nutre coi prodotti genuini
della campagna. Quando se ne va, il tempo si richiude e giunge la sera
placida con le minestre una tantum della tenera, candida, antica,
intramontabile Vicenza.
Venendo
al sodo della dura vita mia madre viene
non solo per vederci e abbracciarci e nutrirci ma anche per fare
commercio. Qualcuno chiama questo traffico contrabbando.
Contrabbando.Borsa
nera.Gli americano fino al dicembre avranno emesso 18 miliardi di
AM-Lire,pari all'intera massa di moneta in circolazione nel regno del Sud
Italia.La AM- Allied military currency,detta la
quadratona,è stata coniata per
lire 1,2,5,10,50 e 100. La manovra si inserisce in una tattica più
complessa e raffinata di
spoliazione indiretta dei nostri beni di consumo.
E'
accaduto, allora, che la gente defraudata ha reagito con furti nei depositi, fatti spesso d'accordo con
magazzinieri e ufficiali addetti, trafugando cibo, tessili, medicinali. La
reazione, all'origine giustificata da uno stato di necessità, si è fatta illecita quando i beni sono stati sottratti per
poi essere immessi sul mercato a prezzi esagerati.
A
fronte però dei grandi furti organizzati che fanno uscire sempre puliti
gli autori, c'è una massa di povera gente che raccoglie briciole di quei
megacrimini o altro e trasporta i generi di prima necessità in regioni
remote con enormi rischi e sacrifici per sopravvivere essa stessa.
Alla
fine è successo che i bandi AMG per reprimere la borsa nera si sono
esercitati solo sulla popolazione più povera e timorosa e innocente,con
l'effetto di decuplicare con la repressione gli effetti della miseria.
Non
voglio qui giustificare la borsa nera dei poveracci, ma come al solito
essi pagano per tutti.
Quanto
a mia madre dai magazzini superstiti di Torre compra cose per fare lo
scambio con prodotti della campagna, il tutto a prezzo equo. I soldi che
guadagnamo li diamo a lei che
acquista i generi per il baratto come biancheria, scarpe, vestiti onde
permutarli là in Basilicata con chili di farina, ceci,fagioli,olio.
Insomma
facciamo contrabbando... ma
solo per campare. Lo fa lei, l'Anita torrese, come tanti, col rischio
talora che una pattuglia di carabinieri o di americani sequestri tutto,
perdendo in un sol colpo il vantaggio di tanti trasporti faticosi
compiuti.
Osate
forse o benpensanti tacciare di criminalità questo traffico da
povera gente?E
cosa mi dite di quel tal venditore di prodotti farmaceutici,laureato, del
mio paese che vende aspirine a peso d'oro?E cosa mi raccontate dei
pescecani di guerra, proprietari terrieri,ricchi fittabili, che esosi
speculano in grande sui generi alimentari nell'ignominosia usura sui cibi,
scorticando la pelle ai pidocchi?
La
verità è che il piccolo mercato nero,deprecato dalla buona morale di
quelli che mangiano tutti giorni,è la sola via che permette ai poveracci
come noi di sfamarci e di ovviare alle penurie provocate da uno stato
latitante.Grazie a questa piaga,una delle tante,le persone per bene
possono fare commenti etici
ai bar, ai caffè, in piazza. Insomma i cristi del contrabbando oltre a
dar da mangiare alle famiglie alimentano i discorsi frivoli dei dandy.
Intanto
col passar del tempo il microcommercio illegale è stato favorito anche
dalla ripresa dei viaggi di alcuni treni. Un convoglio passeggeri è stato
riattivato una volta alla settimana, il giovedì, per la spola tra Napoli
e Potenza. Negli altri giorni bisogna continuare ad arrampicarsi come
calabroni su treni merci sovraccarichi di cose e di persone.
*
* *
All'andata
prendiamo il treno Napoli-Potenza del giovedì .
Il
convoglio è pieno di contrabbandieri. Capitiamo in uno scompartimento
dove c'è una vera e propria ganga organizzata, con brutti ceffi capaci di
attuare l'operazione di occultamento di roba buona in maniera davvero
scientifica.
All'inizio
dal discorrere si capisce solo che stanno trattando di un malo affare.
"C'esce
'o broro?" fa uno.
"
'A 'mpresa vale 'a spesa" insiste un altro.
"Càcce
'e pesiélle!Furniscele e me purta' p' 'e viche" conclude la faccia
più tagliata di tutte,parando il palmo della mano al che il primo tira
fuori un ciuffetto di banconote e grida:
"E
bbì lloco(1). Cumparié 'o patto è patto!".
"Va
bbuò" conclude lo sgherro tranquillizzato."Nuje ce capimmo a
sische...".
Guardandosi
attorno con circospezione,fidandosi evidentemente di noi, cominciano ad
armeggiare nel bagagliaio in alto.
I
corrieri hanno utilizzato l'imperiale, una specie di cassa con coperta di
cuoio che si stende sopra il cielo delle carrozze da viaggio.
L'intercapedine viene usata per i bagagli, ma loro là dietro, scollando
la paratia interna, tirandola più in fuori e sistemandola ad incastro,
hanno creato un vano per nascondervi serbatoi di olio e occultarvi altra
roba. Se viene un controllore e
va oltre i bagagli innocui ammassati all'esterno, neppure si accorge
dell'artifizio che si nasconde dietro, perché è difficile cogliere in
quella confusione che lo spazio si è ridotto.
Faccia
tagliata ha tirato fuori un paccone,evidentemente di sigarette e le dà
all'acquirente dubbioso che paga, saluta e se ne va.
Quelli
che sono rimasti riprendono a chiacchierare come se nulla fosse e sparlano
beffardi contro le autorità. Uno di loro che deve aver combattuto la
ribellione ai tedeschi s'infervora alla notizia trasmessa dalla radio di
Don Paolo Pecoraro.Il prete in piazza San Pietro gremita di SS si è issato su uno dei piedistalli dell'obelisco, esortando
tutti gl'italiani a voce altissima a battersi contro gli oppressori per
scacciare il nemico invasore.
Un
giovinotto con la faccia pizzicata fa un gesto di benedizione con una mano
e commenta sardonico:
"E
ca fatt' 'e bello? S'a fatt' 'o tauto!".
Alla
fine, dopo aver inscenato con la mano il segno della croce, prende a
cantare la canzone "Tammurriata Nera" che, ricordando mia madre
e i morti di Balvano, si leva nell'aria sinistramente canzonatoria là
dove dice:
"Si
nun ere p' 'o cuntrabbando
nuje
già stevemo a' 'o campusanto".
A
Baragiano ci aspetta l'ingrato compito di consolare i miei fratelli. I
giorni sono passati e il dolore sembra essersi attutito. I bambini giocano
sempre là nell'aia. Carmela nella gonnellina bianca,sporca, non ha più
la pupatella,ma uno di quei bambolotti schiacciabili di celluloide con
elastico agli arti. Peppino gironzola
nei pressi di una staccionata
dov'è appoggiato un monopattino di legno verniciato celeste.
Incespicando nella bretellina penzolante dal suo pantaloncino, si piega e
a colpi di dita spinge in una
buchetta biglie di vetro
trasparenti con filigrana a spirale.
Sotto
la casa Elenuccia stende i panni. Maria, che è diventata la mamma per
tutti questi bambini, con Nunziatina in braccio
sta tornando dal campo con una spasella di pomodori. E' la
prima vederci e grida:
"Papà!Vicenzì".
A
quell'urlo antico lanciato con tutto il fiato che ha in gola, altri ne
seguono dei cinque fratelli che lasciano le cose, i panni, i giochi,
sbucano dalla casa, dalla stalla, da un campetto e tutti corrono a
stringersi attorno a me e a papà. Si stringono, si stringono, si
stringono,afferrando secondo l'altezza chi una gamba, chi la pancia, chi
la faccia, chi un braccio, ognuno cercando spazio sul corpo di papà per
toccarlo, carezzarlo, trovare calore e amore in quella carne maschile che
riesca a riempire il grande vuoto del perduto seno materno. E tutti lì a
piangere in un misto di gioia
infinita per l'incontro e di dolore incolmabile per la mamma perduta.
(Da
Gennaro Francione, Calabuscia)