LA
LINEA DELL'INFERNO
Dopo che papà si è rinfilata la bandiera, pardon la cannottiera, di
buona lena ci siamo rimessi sulla nazionale che ci porta a casa. Diamo
fondo alle energie che ci sono rimaste soprattutto rinfocolate dal
superamento indenne della perigliosa linea di fuoco e dalla visione della
meta vicina.
Man mano che procediamo vediamo che il numero di fuggiaschi
aumenta, e talora la massa di gente si gonfia tanto da generare un vero e
proprio esodo degno più del popolo di Mosè, che della povera gente di Masaniello 'o piscatore.
Quando raggiungiamo Caserta nell'alba fresca di una chiara giornata
d'ottobre ormai sulle strade si vedono passare solo truppe americane, che
fendono questa folla di vinti coi loro automezzi e si dirigono tossendo e
rombando alla volta del fronte.
Vediamo sfilare carri armati con la stella davanti, camionette e
camion coperti e scoperti, autoblindate con mitragliatrici e senza, jeep
fasciate dalla croce rossa. Possenti avanzano tra gli altri mezzi
d'artiglieria pesante un cannone calibro 105 e un obice da 203 mm.,
ossatura dell'esercito americano.
Dai mezzi si affacciano i soldati sorridenti con le sigarette agli
angoli della bocca.Alcuni portano l'elmetto cinto da retine, altri le tute
mimetizzate con paglia che li proteggeranno nella linea di fuoco.C'è
ancora qualcuno dei nostri civili che, dopo l'accoglienza trionfale, in
massa, dei cosiddetti liberatori, li saluta quando passano.
Usciti fuori dalla città c'imbattiamo in un secondo
convoglio americano, più ridotto stavolta, diretto a Napoli.
Passano i militi sotto gli occhi nostri e di una donna, che, recando in
braccio un bambino incuffiettato, saluta dall'altra parte della strada.
Io e mio padre siamo davvero esausti e ci fermiamo a osservare
inerti lo sfilare degli automezzi. L'ultimo ci è
passato davanti e stiamo per riprendere il cammino, quando vedo
arrivare dietro di noi lentamente una camionetta ritardataria. La babbaluscia(6)
è guidata da un negro che ride e si diverte con un'infermiera bianca, per
cui fulmineamente mi dico:
"Questo se la spassa;procede come se fosse in vacanza in
Italia. Ha lo stato d'animo ideale per un'opera di carità".
Smetto di pensare e chiedo alzando le braccia, imitato da papà:
"Napoli!Napoli!".
Lui ferma la macchina, si fa serio. C'illuminiamo presi dalla
speranza.E invece si alza e si rivela quel gran pezzo d'uomo che è,
aggrappandosi con una mano al parabrezza. Indi alzando il ditone
minaccioso, col piede fa rombare il gas e sputacchia con voce roca:
"Italiani camminare a pieeedi!A pieeedi!".
Noi sappiamo che questi americani non possono portare civili su
mezzi militari,ma in quella voce calcata, rabbiosa come da cane
idrofobo,c'è tutto il disprezzo del vincitore verso il vinto.Sconfitti ma
soprattutto umiliati,ecco cosa siamo.
"Vae victis" urlò Brenno,
duce dei galli che nell'anno 362 di Roma incendiò e taglieggiò la città
dei Quiriti, come racconta Tito Livio.E ancor quel raglio disumano corre
squassante e rauco nei secoli sulle nostre teste, ma i nostri orecchi sono
turati a bella posta di cotone idrofilo marca Eisenhower,a non sentire il
sangue di quell'urlo che scorre sui nostri crani prostrati nella disfatta.
O stolti che ora afferrate le armi ponendole al servizio del
neoinvasore yankee, dimenticate forse il monito del grande
mantovano:"Una salus victis nulla sperare salutem (Eneide libro II,verso
353).No,no!Davvero non c'è salvezza alcuna per i vinti.
Quel negro,fetente addò sta mo, esprime nel suo musone volgare, nei denti
bianchissimi che sembrano voler fuoriuscire per sputarci in faccia, in un
malconcio italiano tutto il suo disprezzo, l'intiera carica di rivolta
della sua razza afroilota. In quegli occhi scuri, infuocati di rabbia
sorda verso noi due poveri pezzenti, c'è il dramma cosmico eterno degli
schiavi, divenuti liberi, che infieriscono sugli ex padroni, con la
segreta brama di ridurli a loro volta in schiavitù e merda.
Lo vediamo ridacchiante che si allontana sulla sua camionetta,
sputando sul suolo della mia patria e
sbuffandoci addosso un bel po' di gas.
Comunque qualcuno che ci aiuta lo troviamo sempre. Un carretto
guidato da un vecchio e da un ronzino cascante ci permette di fare qualche
chilometro distesi, sulle assi sconnesse che ti rompono la schiena, ma
almeno ti permettono di riposare i piedi. La povera bestia arrancava su
una salitella e il padrone ha cominciato a dargliele di santa ragione,
tanto che l'asino si lamentava:
"Yooh!Yooh!Yooh!".
(Da
Gennaro Francione, Calabuscia)