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        I SUPERSTITI

        Quanti furono i superstiti? Probabilmente da 100 a 200: molti non dichiararono d'essere scampati al disastro per timore delle pene previste per i viaggiatori abusivi.

      Parleremo dei superstiti distinguendo il personale ferroviario dai civili.

 

 

 

      I FERROVIERI

        Dubbi riguardano il numero dei ferrovieri sopravvissuti.    Secondo Restaino e Raimo, oltre al fuochista Luigi Ronga si salvò solo il frenatore di coda Roberto Masullo, il primo a raggiungere la stazione di Balvano e a dare l'allarme.

        Secondo la versione di Cenzino Mussa si salvarono anche Giuseppe De Venuto "operaio delle ferrovie che faceva da frenatore che viaggiava sull'undicesimo carro" e Michele Palo, frenatore che raggiunse per primo Balvano e diede l'allarme. Il racconto di Cenzino Mussa riguardo ai tre frenatori è molto particolareggiato, sembra attendibile e di prima mano, ma nulla dice in merito ai freni e nessuno, a quanto sembra, ha raccolto la versione di questi importanti testimoni.

        Possiamo, accettando quest'ultima versione, ritenere che dei ferrovieri di scorta al treno si salvarono solo tre frenatori di coda e il fuochista della locomotiva di testa perché caddero dal treno e trovarono a livello della massicciata un minimo di aria respirabile.

         Nicola Raimo ha raccolto l'importante testimonianza di Luigi Ronga, allora fuochista sulla locomotiva di testa dell'8017, l'unico sopravvissuto del personale di macchina perché, colpito da malore, svenne e cadde dalla macchina trovando a livello del suolo un po' d'aria respirabile.

        Dei ferrovieri, insieme a Ronga, si salvarono, quindi, i frenatori di coda Giuseppe De Venuto, Roberto Masullo e l'unico degli occupanti l'ultimo vagone. Si trattava del frenatore Michele Palo, il quale, quando avvenne il disastro, si stava riscaldando, con un fuocherello fatto accendendo alcuni giornali strettamente strizzati, un artifizio messo in atto di solito dai frenatori per far durare il fuoco più a lungo.

        Non pensava assolutamente a niente, tranne che a combattere il freddo umido della notte con quel fuocherello sul quale si era come accartocciato[1]. Non pensò nemmeno a guardare l'orologio, quando si avvide che il treno si era fermato, e perciò non possiamo conoscere l'ora esatta in cui la tragedia ebbe inizio. Rimase tanto stupefatto dell'inconsueto accaduto (non si era potuto rendere conto di quello che era avvenuto nelle due locomotive) che non pensò ad altro se non a scendere per vedere che diamine era successo, perché fosse stato necessario arrestare, senza chiedere la sua opera, il treno.

       Si avviò, quindi, verso l'interno della galleria. Percorso che ebbe qualche metro, si sentì aggredire alla gola dall'aspro odore del monossido di carbonio. Barcollò per un attimo, sopraffatto dalla nausea e dalla tremenda rivelazione, si voltò verso l'imbocco del budello, e si mise a correre.

        Tornato all'aria aperta, le gambe gli si paralizzarono sotto. Rimase, così, fermo, per qualche istante, mentre una massa di confusi pensieri gli sconvolgeva la mente. Il tremendo silenzio di morte che gli era alle spalle gli parve dovesse raggiungere, implacabile, anche lui. Il pensiero della morte evocò per contrasto subito, nella sua mente, quello della vita: a Balvano era la vita, qui alla galleria delle Armi, la morte; doveva raggiungere al più presto Balvano. Michele Palo riuscì a scuotersi dal torpore che lo aveva come irrigidito. Emise un terribile grido, e si precipitò, seguendo i binari, verso Balvano.

      Nel 1944, Michele Palo era ancora giovane: dalla galleria delle Armi, non doveva percorrere, per raggiungere Balvano, più di quattro chilometri e per di più in discesa. In meno di un'ora di marcia, a buon passo, la cosa è possibile. Invece, di ore egli ne impiegò due: pure, gli parve di correre, di volare. E' chiaro che il povero frenatore doveva essere tanto sconvolto, quasi privo di sensi, che credeva di correre, ed invece si trascinava. Esausto, con gli abiti a brandelli (non capì mai come avesse potuto lacerarseli), alle tre passate del 3 marzo 1944 Michele Palo vide finalmente, uscito che fu dalla prima galleria, quella che dista un duecento metri da Balvano, le luci della stazione.

        Come attraverso un'ombra, i suoi occhi scorsero che sul binario stava, sotto pressione, una locomotiva; capì che a Balvano avevano saputo, se non proprio del disastro, qualcosa. Percorse gli ultimi metri carponi, con una stanchezza nelle membra quale mai aveva avvertito; quando giunse vicino a Vincenzo Biondi e ad Angelo Caponegro, non ebbe la forza di pronunciare una frase compiuta. Tremava, emetteva suoni sconnessi dalle labbra.

        "Che è successo, che è stato?" gli gridarono l'operaio e il manovale. Prima di venir meno Michele Palo agitò un braccio in direzione dei binari e disse con voce rotta: "Là, là, sono tutti morti, tutti morti". Poi, cadde sul marciapiede mentre l'eco delle sue parole giungeva all'orecchio del capostazione Vincenzo Maglio e del vice capostazione Giuseppe Salonia.

        Sgomento, il capostazione di Balvano spedì dispacci a tutte le autorità possibili e immaginabili: alla Croce Rossa, ai carabinieri, al municipio di Balvano, alla sede del Governo Militare Alleato a Potenza. Intanto Salonia diede subito l'ordine di staccare una locomotiva sotto pressione, appartenente ad un altro merci (8025) che era giunto in orario, ma aspettava il permesso di proseguire per Bella-Muro.

       I primi carabinieri e funzionari che arrivarono dal paese di Balvano si diressero al treno della sciagura sul locomotore soccorritore. I fanali di testa della macchina alle 5 del mattino illuminarono una macabra scena: corpi senza vita stesi sulle rotaie. Li trassero da parte, agganciarono l'8017 e lo rimorchiarono a Balvano. Qui, finalmente, videro quali fossero le proporzioni spaventose del disastro.

       Intanto nella stazione di Balvano sopraggiungeva un altro ferroviere superstite. Si trattava di Giuseppe De Venuto che, al momento della sciagura, si trovava sull'undicesimo vagone dalla coda, ben addentro la micidiale galleria. Era un operaio delle ferrovie che faceva da frenatore.

       Si stupì nel sentire il treno fermarsi, arretrare a scossoni e fermarsi di nuovo. Quando il fumo divenne insopportabile, scese dal treno e si diresse verso l'uscita della galleria dove trovò il frenatore Roberto Masullo steso a terra, stordito dai gas e colto da malore.

       De Venuto aveva capito ormai quale sorte fosse toccata a quasi tutte le centinaia di persone rimaste nella galleria. Masullo, che era un suo superiore, disse a De Venuto di correre subito a Balvano per dar notizia dell'accaduto. Cosa che fece. Semisvenuto, nauseato dal fumo, l'operaio cominciò ad avanzare carponi lungo i binari. Giunto a Balvano, si accorse che l'altro ferroviere lo aveva preceduto: Michele Palo.

[1]Per  la cronaca con quest'atto egli contravveniva al regolamento dove si prescriveva che gli agenti dei treni non potranno "accendere carta, paglia od altro, per riscaldarsi nel bagagliaio e nelle garette"(così l'articolo 4 dell'"Istruzione" ristampata nel 1948), 
 

 

              I CIVILI

     Quanti ai viaggiatori quelli degli ultimi due vagoni erano rimasti completamente fuori della galleria. Sebbene indeboliti e semisvenuti per la fermata di 38 minuti entro la galleria di Balvano, soltanto pochi morirono; gli altri dormirono un sonno profondo, quasi ipnotico.

      Riavutisi, molti scapparono né si fecero avanti per paura di essere sanzionati avendo viaggiato abusivamente.

      Ecco, invece, i nomi di alcuni superstiti individuati.  

  

 

   
              

    1)Domenico  Miele.

        Deve la vita alla sciarpa di lana, che portava sempre al collo, come un portafortuna. Era un giovane: nella notte della tragedia i suoi capelli incanutirono.  

           Negli atti ufficiali è scritto che Miele 
"si trovava in carro scoperto alla metà del treno, insieme ad altri viaggiatori. Improvvisamente, dopo essere stato investito dal fumo, mentre il treno retrocedeva, si sentì venir meno finché perdette i sensi. Quando si riebbe si trovava nella casa dell'ex fascio di Balvano".

(rip. da  Mario Restaino.  Un treno, un'epoca: storia dell'8017,, p.  25). 9-10 

       

 

                             2)Luigi Cozzolino.

      Dormiva accanto al figliuolo dodicenne. A un certo momento di quella terribile notte Cozzolino si svegliò e s'avvide che il figlio era morto.  

 
 

                            3)Ciro Pernice.

     Aveva 19 anni e faceva il contadino a Torre del Greco. Su quel treno era salito a Salerno. Andava a Bella-Muro in cerca di farina, o di "qualsiasi altra cosa da mettere sotto i denti". Racconta: "Eravamo cinque fratelli, la fame ci faceva sragionare, avevamo mangiato tutto quello che c'era, persino i semi. Su quel treno m'ero addormentato con una mantellina militare avvolta sulla testa. Mi sono svegliato all'ospedale di Potenza. Mi dissero che la mantellina aveva fatto da filtro. Non ricordo altro. Da allora la capa non funziona cchiù".

 

 

                           4)Carlo Sannino

      Risulta dagli atti ufficiali che "si trovava aggrappato al tender della prima macchina". Dopo essere svenuto si riebbe e, "in preda ad allucinazione, si avviò verso l'uscita della galleria dalla parte di Bella-Muro". Probabilmente fu l'unico a fare una cosa del genere.

(rip. da  Mario Restaino.  Un treno, un'epoca: storia dell'8017,, pp. 25-26).

 

 
            

       5)Antonio Gaudino.

           Si trovava "nell'ultimo carro scoperto", e ricordò che "ad un certo momento il treno ritornò indietro e poi andò avanti, ritornò nuovamente indietro e si arrestò.   Due vetture erano rimaste fuori la galleria. Dopo circa un'ora, non resistendo agli effetti del gas che gli procurarono dolori di testa e perdita di forze dei muscoli delle braccia e delle gambe, scese dal carro e si portò fuori dell'imbocco della galleria dalla parte di Balvano e, buttatosi per terra, fu vinto dal sonno. Si svegliò - conclude il rapporto - al rumore del treno che retrocedeva verso Balvano".

(rip. da  Mario Restaino.  Un treno, un'epoca: storia dell'8017,, p.  26)

                                

      6)Alfonso Saturno.

         Residente ad Agerola.

         "Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, le Ferrovie  erano passate nelle mani degli alleati che avevano deciso di ridurre i convogli per i passeggeri. Per tale motivo la gente si stipava alla meno peggio nei treni merci. E così facemmo mio fratello Gregorio  ed io, allora ragazzo ventenne, in quei primi giorni di oltre mezzo secolo fa. Per rientrare a casa, dopo avere compiuto il nostro piccolo commercio, salimmo con altri abitanti di Agerola sull'ultimo dei vagoni del treno 8017, così lungo da dover esser trainato da due locomotive. Ricordo quando il convoglio entrò, poco fuori Balvano, nella galleria delle Armi".

           Alfonso si svegliò in ospedale, parecchi giorni dopo. Seppe che il fratello Gregorio non c'era più  che erano orti anche quasi tutti i passeggeri del treno...

          "Io ero un miracolato, questo mi fu subito chiaro. Iniziai a chiedermi il perché di questa grazia del Cielo e non ho mai smesso. Così come ho continuato  per ogni giorno della mia vita, a rivedere mio fratello seduto a mio fianco e gli altri viaggiatori, tutti imbacuccati nei loro pochi stracci per difendersi dal gran freddo. E ho nelle orecchie il fischio del capostazione, il rumore del treno. Inoltre ho sentito il bisogno  di ricostruire minuziosamente l'accaduto anche ei dettagli più tecnici, sulla base di testimonianze e delle scarse fotografie.

           Col tempo mi convinsi che dovevo meritarmi il fatto di essere stato risparmiato dalla sorte. Per questo entrai nella pubblica sicurezza, comportandomi col massimo rigore morale.

           Prima della tragedia avevo un  carattere allegro, spensierato. Diventai severo, esigente, forse irascibile. Le conseguenze della spaventosa disgrazia segnarono anche il mio fisico; aver respirato quei veleni  mi rovinò il sangue e solo di recente posso dire di aver ritrovato una salute normale.

            Ecco, forse sono vivo anche per compiere una missione, ricordare agli italiani le 521 vittime dimenticate. Assieme agli altri aprenti di tutti quei morti, chiedo che lo Stato e le Ferrovie facciano finalmente qualcosa. E' vero, c'è chi si è visto riconoscere dei diritti come familiari di vittime di guerra: alcuni vedovi,vedove ed orfani hanno ottenuto qualche spicciolo; ma chi non sapeva di poter avanzare questa richiesta è stato ignorato. Perché non viene almeno  organizzata una cerimonia commemorativa ufficiale?

            La gente deve andare a Balvano, dove sono sepolti i resti dei nostri cari, deve sapere che cos'è accaduto in quella notte così lontana nel tempo ma sempre tanto viva nel mio cuore".

(rip. dall'articolo di Tommaso Vitali Rosati, Il mio cuore è rimasto in quella galleria, su "Cronaca Vera" 2000)

        * Alfonso si è spento nel 2003. Ne raccogliamo il messaggio sempre  vivo

 

 

     7)Francesco Imperato.

     

Ma un giovanotto, certo Francesco Imperato, quando cominciò a tossire e a soffocare, propose al cugino d'avviarsi a piedi verso l'uscita della galleria.

Il cugino obiettò: «Come facciamo a sapere qual è l'uscita più vicina? Aspettiamo a vedere quel che avviene.»

Francesco decise d'andare da solo. S'alzò... e da quel momento non ricorda più nulla fino a quando riprese i sensi qualche ora dopo alla stazione di Balvano. Probabilmente era arrivato tanto vicino all'aria fresca da potersi salvare. Il cugino morì.

(dall'articolo di Gordon Gaskill, La misteriosa catastrofe del treno 8017, pubblicato in "Selezione dal Reader's Digest", Luglio 1962, pagine 11-16)




 

       

        8) Galdino Acampora

           Di Agerola, ha lavorato nella sua vita sulle   

     montagne.

                       

          Intervenuto nella trasmissione "Un giorno speciale" di Cocuzza il 24 marzo 2004.

         Si trovava  in una delle ultime due carrozze proprio all'imbocco della gallertia. Racconta che poco prima di svenire sentiva la genete che si lamentava: "Uh Maronna, 'o treno nun parte? E quanto ce mette pe partì?".

         Aggiunge: "Poi scuppiaje tuttecose là bbascio!".

        Evidentemente il fumo massiccio dovette fare uno sorta di effetto-tappo per cui cercando sfogo nella galleria sembrò  creare come un'esplosione. Quanto meno visivamente quel fumo doveva far pensare che laggiù le caldaie erano scoppiate. E invece erano solo sovraccariche nel tentativo dei macchinisti di aumentare la potenza del treno.

       Galdino riprese i sensi nell'ospedale e là gli raccontarono cosa era successo.

       Sereno non sembra aver riportato traumi dalla tragedia come ad altri accaduto. Si ritiene un miracolato.

(Da una testimonianza resa a Gennaro Francione)

                              

su FB
 

lunedi siamo ad agerola ad intervistare uno degli ultimi viaggiatori del treno della morte .galdino acampora -si ringrazia il sindaco e la famiglia del sig.galdino

 

9) Cozzolino

Salve, Vi ringrazio del vostro interessamento ai fatti del treno, io sono Cozzolino Mario nipote di Cozzolino Ciro 13anni morto nell'incidente. Mio nonno anche lui coinvolto nell'incidente sopravvisse perché nel momento in cui fu posato nella fossa comune si mosse e lo tirarono fuori portandolo in ospedale. 

<domenica 6 marzo 2005 19.56.41 >

La moglie, mia nonna, è  viva ha  96 anni e  ricorda quei momenti raccontati dal nonno ormai morto da qualche anno. Ancora oggi la famiglia in pellegrinaggio visita con piacere la cappella ove si pensa siano atterrati i resti di zio Ciro,eventuali novità sarei ben lieto di conoscere anche perché i fratelli di zio Ciro sarebbero ssarebbero lieti di ricordarlo. Grazie

Rosario Cozzolino

 

  

   

 10)Federico Matteo

. 9Gentilissimi,

da poco siamo venuti a conoscenza del vostro sito e, nell'imminenza del 62° anniversario della sciagura del treno 8017, abbiamo pensato di dare il nostro contributo di testimonianza.

Siamo i nipoti di due vittime (D'Auria Giuseppina di anni 50 a Federico Gennaro di 15, madre e figlio) e di un sopravvissuto, Federico Matteo, anch'egli figlio, all'epoca diciannovenne e tuttora vivente.

In occasione della trasmissione televisiva "La vita in diretta" abbiamo visto rievocare la storia più volte raccontataci da zio Matteo ed in particolare del giovane di Salerno con i capelli rossi quando, ancora vivo, stava per essere sepolto con i morti. Era proprio lui!

In quell'occasione abbiamo cercato di contattare la RAI senza avere alcun riscontro.

In questi giorni, leggendo i libri di Gianluca Barneschi e Mario Restaino, attraverso un giro di telefonate e di esplorazioni in Internet, abbiamo trovato il vostro sito.

Per tale ricorrenza, essendo a noi noto che siete alla ricerca di fonti di informazioni, avremmo piacere che nostro zio potesse fornire la sua personale testimonianza ricca di particolari e di momenti carichi di emozione e tensione.

Considerando la vostra scrupolosa attenzione alle suddette vicende, confidiamo in un positivo riscontro, vi ringraziamo e vi salutiamo cordialmente.

Ugo e Pina Iannuzzi da Caserta

*Vedi sopra tra i deceduti  la madre e il fratello di zio Matteo.

PER LA MEMORIA INVIATA DA FEDERICO MATTEO CLICCA SU

http://www.antiarte.it/trenodiluce/l'ammore.htm

 
 

 Il 19 marzo 1944, Trentino Angelone, nato a Barile il 10-8-1917, scrive al Procuratore del Re di Potenza:

     "Provenivo da Napoli con una valigia contenente 40 metri di tela per materassi, 7 metri di stoffa verde separati in due parti da donna, 4 paia di calze 3 da uomo ed uno da donna per uso matrimonio avendo regolare autorizzazione rilasciata dal comune di Barile. La suddetta merce è stata abbandonata e smarrita dal sottoscritto, chiede la restituzione della merce". 

    Il fascicolo sull'incidente contiene anche la dichiarazione con la quale Angelone dice di aver ricevuto la valigia dai carabinieri di Balvano.  (da  Mario Restaino.  Un treno, un'epoca: storia dell'8017,, p. 65).