PREMESSA
Mi
chiamo FEDERICO Matteo, ho 82 anni, sono un pensionato dello Stato, figlio
di un dipendente statale e risiedo a Roma da oltre cinquant’anni.
Nel
Settembre del 1943 mi trovavo militare a Pisino in provincia di Pola.
Il
giorno 9 dello stesso mese, unitamente ad altri militari, fui catturato
dai ribelli “Titini” solo per pochi giorni, perché insieme ad altri
cinque o sei militari riuscì a scappare.
Tornato
a casa trovai la famiglia sfollata a Boronissi in provincia di Salerno.
La
famiglia era composta da otto persone e, a causa dei bombardamenti si
campava con un etto di pane a testa,e farina e piselli. Nel frattempo la
città di Salerno era stata invasa da militari americani inglesi,
marocchini etc., quindi la fame regnava sovrana.
In
ragione di ciò pensammo di andare a trovare dei parenti in provincia di
Potenza.
Il
3 marzo del 1944 partimmo con un treno che era composto da carri merci per
Potenza. Un gran numero di viaggiatori presero posto su quei vagoni.Noi
eravamo in cinque:io Federico Matteo, mia madre D’Auria Giuseppina, mio
fratello Federico Gennaro, mio zio D’Auria Bernardino e
mia cugina D’Auria Vita.
Era
una serata piovigginosa, il treno ad un certo punto inizio ad arrampicarsi
su per la montagna, e di conseguenza la velocità andava diminuendo. Iniziò
a nevicare.Arrivati sotto una galleria il treno sbuffava sempre di più
cercando di vincere la pendenza.La produzione del vapore andava aumentando
e il fumo invase i vagoni. Allarmato da ciò dissi a mia madre ed agli
altri di mettersi un fazzoletto davanti alla bocca, ma questo mio
consiglio arrivò tardi, mi accasciai su gli altri
e qui finisce il mio ricordo di quel momento tragico.
Alcuni
giorni dopo mi svegliai nell’Ospedale di Potenza, al momento non
ricordavo nulla.
Domandai
ai vicini di letto se ero stato ferito in battaglia, qualcuno mi rispose
che non ero rimasto ferito in guerra, ma che mi trovavo su di treno
rimasto sotto una galleria,ed ero uno dei pochi sopravvissuti. Erano tutti
morti, i miei parenti, gli occasionali compagni di quel tragico viaggio,
tutti, seicento.
Era
il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, fuori vi era tanta neve, grigia di
fuliggine.Il Vesuvio aveva eruttato ed
i lapilli erano arrivati fino a Potenza.
Dopo
qualche giorno venne mio padre con un amico in macchina, e mi riportò a
casa , dove mi parlò della tragedia avvenuta.
Nel
mese di novembre, per la ricorrenza dei defunti ritornai a Balvano.
Nella
circostanza andai anche alla Caserma dei Carabinieri per sapere qualcosa
in merito all’accaduto e per sapere che fine avessero fatto i miei
bagagli.
Un
carabiniere guardandomi mi disse che se ero vivo lo dovevo a lui.
Uscito
dalla caserma incontrai una ragazza che mi guardò e mi disse: “E tu sei
ancora vivo?” ed io risposi: “Perché tu mi conosci?”, lei mi
rispose: “Se sei vivo lo devi a me”.
Poiché
quella frase l’avevo già sentita pronunciare da un’altra persona gli
domandai chi dovevo ringraziare per il resto della mia vita. A questa mia
domanda lei si arrabbiò molto, e mi disse che l’altra persona gli
diceva di lasciarmi stare perché ero già morto, invece lei mi aveva
visto muovere un braccio, nonostante le rimostranze del carabiniere, mi
tirò fuori dal mucchio dei cadaveri.
Quella
ragazza si chiamava Carmelina Di Staso; ora si trova tra gli Angeli del
Paradiso, precocemente chiamata da Nostro Signore. Grazie a Carmelina
ricevetti le cure necessarie e tempestive che mi permisero di
sopravvivere.
Vi
mando queste due righe a ricordo di una tragedia che ha profondamente
segnato la vita della mia famiglia, ricordo mia madre. Presa tra mille
difficoltà per dare da mangiare ai suoi sei figli, e mio fratello
piccolo, mia cugina piena di voglia di vivere, mio zio, e tutti quei
viandanti che intrapresero un viaggio di speranza e vi trovarono la morte.
Vi
ringrazio per il Vostro operato, per far rimanere vivo il ricordo di
quella immane tragedia rimasta impunita. Cordiali Saluti
FEDERICO Matteo
venerdì 24 marzo 2006 18.41.59