Gennaro Francione, Giudice–Scrittore, ieri giudice oggi molto scrittore,
scrittore multi-forme e multi-contenuti.
L’opera I dadi di Temi ha per tema la giustizia e come contenuto
un dramma dei nostri tempi, non certo per eccessivo amore per il
drammatico, di fronte al quale, per poterlo definire e forse
controllare, non esiste che una possibilità: impiegare una specifica
categoria letteraria per definirne lo stile. In questo lavoro il Giudice
Drammaturgo ha unito alla sua assoluta spontaneità una notevole
raffinatezza concettuale in base ad un costrutto epistemologico, il cui
stile è quello interpretativo, ovvero un’analisi della conoscenza basata
sulle supposizioni, che dà vita ad un processo indiziario e non
empirico-oggettivo.
Con questi presupposti, quale sarà la sorte del dramma umano scivolato
nelle mani della giustizia?
Questo lavoro, come altri di Francione, mette in luce l’insensatezza
della giustizia i cui gestori, nella ricerca della verità, si servono di
fughe nel passato, di citazioni, di evocazioni che sembrano dei
rigurgiti, ma le due anime, quella della Giustizia e quella della
Tragedia, sacre dimensioni, rimangono inesorabilmente isolate seppure
allacciate, come una follia a due, dove l’unico elemento di unione è la
parola: la parola attesa dall’imputata, la parola espressa dal giudice.
Nelle divagazioni del giudice, a volte poco significative, non esistono
imprecisioni strutturali, come se invece di essere un soggetto egli
fosse nient’altro che ciò che attraversa: l’inesplicabile.
In questo spazio, forse incomprensibile per lo spettatore, si insinuano
suoni, rumori cupi di macchinari medicali che accompagnano e definiscono
l’incedere macchinoso e grottesco della Giustizia, quasi una metafora
della sua patologia.
L’inesplicabile, una dimensione in cui il pensiero artificioso
del giudice sfocia in una proliferazione di parole, una serie di
deliri, che non hanno altro scopo se non quello di ribadire la casualità
determinante e finalizzata all’attribuzione della colpa. In tale
prospettiva la libertà dell’altro diventa un insensato arbitrio del
momentaneo Dio della Giustizia che se la gioca a testa o croce.
Alla fine il dado è tratto e l’imputata, rea o non, attenderà il
giudizio dal simulacro del giudice che si troverà davanti, goffamente
antropomorfo, uomo o macchina che sia, il quale ha decretato la
sentenza:
1-
INNOCENTE ma di fatto colpevole: la rea non confessa potrà trovare la
salvezza nell’aura del tempo;
2-
COLPEVOLE ma di fatto innocente: si è di nuovo compiuto il sacrificio
della Croce e l’umanità si è nuovamente redenta, GIUSTIZIA E’ FATTA.
Nicoletta Martuccio