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CALABUSCIA - Pag. 270 - £. 25.000 Aetas Internazionale - Roma
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E' il racconto di una guerra inedita, quella di una fuga dopo
l'armistizio lungo tutto la penisola di due napoletani, padre e figlio,alla ricerca di una
salvezza che si rivela una mera chimera.
"Calabuscia" è la trasposizione partenopea di calaboose(in
americano "gattabuia") e indica il precipitare continuo, in guerra come in pace,
da un carcere all'altro fino all'esito finale dell'ultima prigione,la morte.
I personaggi parlano in dialetto napoletano. Questo contribuisce a dare
un'atmosfera da filosofia di vita partenopea ad avvenimenti ora decisamente burleschi in
sé ora tragici.
*Al libro, scritto col sistema ipertestuale Teseo, sono state aggiunte
nel marzo 1996 schede di supporto per la diffusione nelle scuole medie inferiori e
superiori. Adottato come libro di testo nell'Istituto Platone di Casalpalocco, dove
l'autore ha tenuto conferenze per spiegare il nuovo romanzo storico del 2000("Da
Manzoni al computer").
*Vincitore nel maggio 2001 del premio letterario
"Il Telescopio" con un racconto tratto dal romanzo.
http://digilander.iol.it/lucioleo/zeus51/51verro.html
*Citato nell'articolo di Simone Navarra, Balvano,
la tragedia dimenticata, su "Il Nuovo" 2 marzo 2002
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,108993,00.html
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MOTIVI D'INTERESSE
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In occasione delle celebrazioni del cinquantenario della liberazione il
libro per la sua capacità rievocativa di suggestioni dell'epoca(si opera talora una
minuziosa ricostruzione di oggetti, mode, costumi etc.) e di fatti realmente accaduti, è
adatto sia a un pubblico anziano che quegli avvenimenti vissero, sia ai giovani per far
conoscere situazioni in fui furono coinvolti i lorro padri.
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PREFAZIONE
L'idea di scrivere questa storia sulla Seconda Guerra Mondiale nasce da
un gesto di affetto verso i miei genitori,i quali hanno voluto raccontarmi le loro memorie
di quei tempi terribili.
La mia generazione è sorta appena pochi anni dopo quella disastrosa
guerra.Rispetto ai figli veri e propri del conflitto faccio parte della schiera dei nati
un momento dopo,di quelli che pur venuti fuori in tempi di pace sentono ancora addosso la
casualità di un'esistenza,dove la nascita dei singoli è stata più che mai appesa a fili
di vicende orrende.
Ho sempre avvertito fin da piccolo,come tanti ragazzi della mia
generazione,un'idiosincrasia viscerale nel vedere e leggere fatti di guerra,che mi davano
quanto meno un senso di noia e di cupezza.
A quarant'anni ho posto fine a quell'esorcismo che,rovesciandosi,nella
consacrazione mi riforniva di una nuova gioia di vivere.Mi sono messo allora a registrare
i ricordi dei miei cari,a raccogliere qua e là testimonianze vere di amici e conoscenti
che vissero quegli anni da civili,da soldati,da deportati,sicché dall'avversione al
genere,percependo il sentimento che animava quelle storie,è nato come per incanto
l'entusiasmo di un narrare.
Ho potuto constatare in quei racconti una sorta di enigmatico
enantiodroma.Notavo infatti che i più non avevano piacere a raccontare,vittime anch'essi
di un esorcismo della memoria,che rinnegava il vissuto per dimenticare per sempre il
dolore del tempo catastrofico.Quando però prendevano il via, notavo che divenivano preda
di una meraviglia,prima per me che chiedevo di quel tempo,e poi per se stessi animati da
uno spirito superiore su fatti,che ormai lontani,sembravano essere entrati nel dominio di
una superiore coscienza.Quella coscienza del saggio che sa,accetta e racconta,sempre ha
dato felicità agli anziani di tutte le latitudini.
Mi sono chiesto anche quale significato avesse per un figlio raccontare
la guerra vissuta dai padri e ho trovato nell'impresa un valore profondo.Fondere la mia
emozione letteraria e culturale con le vicende brute raccontate dal trovatore
genitoriale,permetteva un trasfert veramente eccitante con le generazioni passate e alla
fine,in un'unione di comprensione senza sforzo,generava una nuova comprensione che
annullava il tempo.
Contemporaneamente il cronotopo zero,che è proprio della dimensione
atavica,introiettava il rapporto in una dimensione mitica,là dove il senso di grande
antiquatezza della Seconda Guerra Mondiale,così nuova,ma già così vecchia, permetteva
alfine di ricevere quella fabulazione metafisica di cose che mai più ritorneranno.
Dopo essermi dilettato a descrivere fantastiche catastrofi
sociali,raccontarne una vera mi sembrava ancora più elettrizzante.E questo nell'esaltante
consapevolezza che la Seconda Guerra Mondiale è stata anche l'ultima grande guerra
internazionale combattuta dall'uomo.O forse la penultima,perché la prossima,se ci
sarà,durerà lo spazio di 48 ore e ognuno se la potrà godere stando comodamente
sprofondato in poltrona in attesa che i raggi atomici brucino le nostre carni.
* * *
Un'ipotesi agghiacciante? Va bene. Ma intanto le schiere di mortali,
con o senza guerre, continuano a salire lassù come notava l'ingegnere Luciano De
Crescenzo in un nostro dialogos sull'argomento.
Lui, maestro di narrativa nella napoletanità, ha voluto dilettarsi a
parlare con me di questo mio quasi isolato tentativo di esplorazione nel labirintico slang
partenopeo. E, filosofeggiando, mi ha prospettato l'ipotesi che anche i miei avi, come i
suoi in Oi dialogoi, chiedano notizie su di me alle fresche anime arrivate.
Eccoli là nonno Gennaro e nonna Giulia(eroi popolari della storia che
vi apprestate a leggere) "sulla soglia del Paradiso, che chiedono informazioni a
tutti i napoletani in arrivo" e in particolare a una giovane coppia morta in un
incidente stradale.
"Da dove venite?".
"Da Torre del Greco...Abitavamo a Montedoro...vicin'a Casina
Rosa...proprio sott'o Vesuvio".
"Sapete niente di un certo Gennaro Francione, amico di Luciano De
Crescenzo?".
"Luciano De Crescenzo lo conoscono tutti come scrittore. Gennaro
Francione... è noto tra i delinquenti!".
"I delinquenti?!" chiede interdetto il nonno indurendosi,
mentre la consorte buonanima mette l'indice piegato in bocca e diventa più pallida di
quello che di solito è.
"Certo! Fa il giudice!" risponde l'anima maschia.
"Aah...". Il nonno si rilassa e osserva sfiatando la mogliera
che molla il dito. Poi, impettendosi fiero del nipote rivestito di una carica così
nobile, continua: "Ma ci avevano detto che vuleva fa' 'o scrittore... è
bravo...comm' a De Crescenzo!".
"Ci dispiace. Non sappiamo davvero nulla di questo".
"Allora ve lo dico io. Ha scritto una bellissima storia su quella
seconda maledetta guerra che io e la mia famiglia abbiamo vissuto...".
"Ce l'ha la prefazione di un autore famoso?".
"No. Per quelle cose ci vuole un santo in Paradiso... Anche se si
è bravi...".
"Perché non vi rivolgete là sopra?", fa la spiritella.
"Lassù... è un'idea. Il nostro Superiore ha fatto quello splendido volume tradotto
in tutte le lingue del mondo che è la Bibbia e una mano ce la darà".
E fu così che i due vecchi per aiutare il nipote scrittore chiesero
udienza nientemeno che al Sommo. Molto dovettero faticare per superare le non poche
difficoltà frapposte dalla burocratica schiera di San Pietro. La coorte sanpietrina aprì
loro con mille grimaldelli le infinite porte, con non poco dispendio di tempo, proprio per
superare i centomila trabocchetti frapposti agl'imbroglioni di mezzo mondo(con in testa
quelli di Forcella) che, per essersi pentiti per tempo, pure hanno accesso in paradiso.
Alfine la Luce esplose fortissima innanzi a loro, ma dopo la prima
gioia i due vecchiarelli se ne tornarono con la testa ciondolante in spalla.
"Avete domandato allora grazia a Dio?" chiese la coppietta di
Montedoro che la cosa se l'era presa a cuore.
"Abbiamo chiesto ma Egli nulla può".
"Ma come?! Possibile?! E che vi ha detto?".
E' la Giulia a parlare, perché a lei, indubbiamente più devota come
lo sono tutte le pie donne di Napoli, il marito lasciò il sublime compito di elevare
l'altissima prece.
"Egli disse: 'Signora se è amico di De Crescenzo dovrebbe
bastare... Lui con quei capelli grigi e la barba bianca sembra un santone indocristiano.
E' gentile, educato e di buon cuore. Ma soprattutto sa apprezzare quello che vale. Se la
prefazione la fa quello là sotto...".
E così fu. Il gatto si morse la coda e il galantuomo ingegnere, il
padreterno della scrittura terrena napoletana, una mano ce la diede.
A nome anche di quelle pure e translucide anime trapassate, davvero
grazie, ingegnere.
I pezzi di Oi dialogoi(ott. '85) in originale e parafrasati sono
stati riportati per gentile concessione dell'autore Luciano De Crescenzo e della Arnoldo
Mondadori Editore.
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DALLA PRESENTAZIONE DI "CALABUSCIA" AL WHITHE SHIVER DI PAOLO PROCACCINI
"Calabuscia" è un romanzo che somiglia molto al suo autore.
E' infatti frizzante, umano, ironico, ricco di proposte e citazioni di varia cultura,
senza essere inutilmente saccente.
In esso si narrano le vicende umane di una famiglia, in chiave
autobiografica, nel periodo a ridosso della fine dell'ultimo drammatico conflitto
mondiale.
La tragedia narrata è quella del popolo italiano, preda dei dissidi
delle parti politiche in lotta(fascisti ed antifascisti), ma soprattutto delle violenze
materiali e morali degli invasori nazisti. Un falso barlume è l'avvento degli Alleati,
perché anch'essi sotto camuffata veste di liberatori impongono al popolo rinnovate
sofferenze morali.
Un intero paese dilaniato viene dipinto da Francione, con mano leggera,
ma non per questo meno rigorosa nella condanna.
Lo stile del narratore è sobrio, asciutto. Pur nel dramma in alcuni
punti le vicende, come è nella vita anche nei peggiori momenti, sanno suscitare il
sorriso. Ma la valutazione delle responsabilità oggettive, delle scelte umane contrarie a
qualunque idea di rispetto dell'umanità, è ferma e motivata. Come si può immaginare che
accada nelle sentenze che l'autore emette, nella sua altra veste di giudice penale.
Il romanzo è molto attento nella immedesimazione con l'espressività
popolare, con i sentimenti e le aspirazioni della gente semplice, presa nell'ingranaggio
di eventi epocali. L'uso del linguaggio dialettale nelle conversazioni si articola nei
vari idiomi delle regioni attraversate nel fluire del racconto.
Ci troviamo letterariamente nell'ambito del genere dei libri di
viaggio, in quanto tutta la prima parte descrive la "grande fuga" degli eroi
maschili, per scampare la prigionia, attraverso il nostro paese preda degli eserciti
occupanti.
In seguito il viaggio continua ed è una serie di piccoli viaggi della
fame, alla ricerca di sostentamento, per far campare la numerosa famiglia. Un viaggio
tragico che lascia il segno sugli eventi: è quello nel quale perde la vita e i faticati
risparmi la madre courage della storia, l'infaticabile donna Giulia, contrabbandiera
forzata per procurare cibo ai suoi nove figli.
E' un forte simbolo del gusto per il calembour drammatico del nostro
autore, che il titolo del suo libro sia in assoluto contrasto con il movimento che
caratterizza il raccontare. Infatti "Calabuscia" è la deformazione di
calaboose, gattabuia, luogo di detenzione, arresto d'ogni moto libero.
Paolo Procaccini 30 Gennaio 1995
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GIUDIZIO DEL PROF. HARALD KANHEMANN
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Il libro non è indice di napoletanità, anche se si avvale del mondo
partenopeo per creare situazioni pittoresche,ma è emblema di italianità. Io che sono
tedesco e vivo da trent'anni in Italia l'ho letto e mi ha fatto penetrare nella psicologia
di questo popolo.
La guerra non è stata mai sentita dagl'italiani. Essa è deprecabile
in ogni caso ancor più se imposta.
Lo spirito è ellenistico. Ricorda la stoà, non quella degenere
attuale,ma la vera, quella in bilico tra una fatale rassegnazione e un lume di speranza
che alita sempre, anche nei momenti più bui.
Lo stile ricorda quello dei cronachisti romani alla Sallustio o alla
Cesare nel De Bello Gallico. Sallustio, anch'egli giudice(pretore propriamente) era uno
storico capace di dare un quadro vivo, drammatico delle vicende umane, infine di creare
una letteratura su base storica dove era importante più l'interesse della vicenda che non
la precisione cronachistica del narrare.
Asciutto eppur profondo, incisivo, è lo stile di Calabuscia tale da
accattivare il lettore. Le immagini sono cinematografiche, plastiche.
E' usato l'humor nero, l'ironia, la struttura del dire a metà, tutte
forme del poetico che valgono per quel che dicono ma ancor di più per quanto non dicono.
E' lasciato al lettore continuare il senso, interpretarlo, intuirlo,acuirlo.
(Dr. Harald Kanhemann, Agente letterario di Eulama,30.1.92 giorno
dell'orologio tricipite e lunare. Malgrado il giudizio esaltante, dirà che l'opera non è
accettata dal mercato italiano:non sono conosciuto, la guerra non interessa, il libro
richiede concentrazione).
*Per Sallustio la conoscenza dei luoghi doveva aiutare la conoscenza
dei fatti.
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EMOZIONI DI STEFANO LOCONTE, PRESIDENTE DELL'ANTIARTE
Questo libro è una culla.
Sottolinea la metafora del mondo in sfacelo:
Questa città ha la bellezza insopportabile di un cadavere ancora
caldo, o comatoso, tutto perfetto, troppo, con la pulizia scolpita del corpo immoto
un'attimo prima della decomposizione finale.
La voce fresca del bambino:
Un passione senza limiti mi veniva poi dal teatrino dei
burattini.Pulcinella mi mandava in sollucchero, ma fu una vera estasi quando per due soldi
un burattinaio venuto a esibirsi a Torre mi propose di muovere la morte perché suo figlio
era malato. Sì dovevo muovere la morte velata.
"Mamma mia che paura!" diceva Pulcinella vedendo là
sopra il mio pupazzo."Chi site?".
"Song' 'a morte" facevo io."'A morte!".
"E chi v'ha chiammata?".
"Vuje...".
"Io?!Io....".
Pulcinella prendeva a tremare al che veniva per me il momento più
elettrizzante. Afferravo un bastone e scatenavo paraccoliate schioccanti sulla sua testa
fino a farlo stramazzare.
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BIBLIOGRAFIA
STORIA
STORIA DELLA RESISTENZA ITALIANA-R. BATTAGLIA-EINAUDI- TORINO,1964
SULL'ARMA SI CADE MA NON SI CEDE!(I MARTIRI DI CEFALONIA E DI
CORFU')-CAPP. MIL. LUIGI GHILARDINI-GENOVA,1965
IL QUALUNQUISMO-G. PALLOTTA-BOMPIANI-MILANO,1972
STORIA D'ITALIA-P. ROSSI-MURSIA-TORINO,1973
GUERRA PARTIGIANA-D. L. BIANCO-EINAUDI-CASARILE(MI),1973
L'ITALIA DELLA DISFATTA(1940-1943)-I. MONTANELLI/M. CERVI-
RIZZOLI-MILANO,1983
STORIA DELLA REPUBBLICA ITALIANA-G. BOCCA-EDIZIONE CDE- CLES,1984
L'ARTE DELLA GUERRA-SUN TZU-GUIDA EDITORI-NAPOLI,1988
CRONACA
IL GAZZETTINO DEL MEZZOGIORNO-III TRIMESTRE 1943
IL RISORGIMENTO-
OGGETTI D'EPOCA
IL MONDO(Catalogo flash di oggetti anni '30='40)-G. GANDINI-
RIZZOLI-MILANO,1974
MUSICA
GLI ARNESI DELLA MUSICA-L. PINZAUTI-VALLECCHI-FIRENZE,1973
LA CANZONE NAPOLETANA-P. GARGANO/G. CESARINI-RIZZOLI-MILANO, 1984
DIALETTO E MODI DI DIRE E DI FARE NAPOLETANI
MOTTI E PROVERBI DIALETTALI DELLE REGIONI ITALIANE-OSCAR
MONDADORI-VERONA,1977
VOCABOLARIO NAPOLETANO-ITALIANO ITALIANO-NAPOLETANO-A. SALZANO.EDIZIONI
DEL GIGLIONAPOLI,1979
TRADIZIONI E COSTUMI D'ITALIA-ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI-
TORINO,1983
NAPOLI-TOURING CLUB ITALIANO-1985
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Balvano, la tragedia dimenticata
Oggi ricorre l'anniversario del disastro ferroviario del
'44 in cui morirono oltre 600 persone. E ancora ci sono
dubbi sulle responsabilità. Colpa degli americani che
sovraccaricarono il treno o inevitabile fato?
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di Simone Navarra
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ROMA - Una tragedia dimenticata e che
per molti non ha ancora una spiegazione. Oggi è l'anniversario
di uno dei più gravi incidenti della storia ferroviaria
d'Italia eppure ancora non si riesce a individuare un
responsabile certo per quanto accaduto all'espresso 8017
nella tratta Napoli-Potenza, nella galleria di Balvano, alle
prime ore del mattino del 3 marzo 1944. L'unico dato
certo, dopo 57 anni, sono le 526 persone morte per aver
respirato i gas venefici della vecchia locomotiva a
vapore, rimasta bloccata nel tratto in salita, poco
prima dell'arrivo alla stazione del paesino della
Basilicata. Tutto il resto è un interrogativo senza
risposta. Una congettura carica di dolore su cui si possono
al massimo lambiccare gli storici interessati.
Secondo quanto scriveva "Il
Giornale del Sud", martedì 7 marzo la causa di tutto
è da attribuire al gran numero di clandestini che avevano
preso d'assalto quello strano convoglio, con dodici vagoni a
carico normale e 33 ufficialmente vuoti. Ma non
sembra così certa questa verità. Più di uno tra i
superstiti parlò chiaramente di ordini dati dai soldati americani
di aggiungere vagoni in almento quattro stazioni
intermedie. Così da allungare, in modo innaturale, la sequenza
di carrozze. E si aggiunge subito dopo altre domande:
possibile che i macchinisti non si rendessero conto di
creare una camera a gas? E se sì, perché continuarono ad
alimentare le caldaie?
A partire da questi interrogativi
Gennaro Francione, giudice e scrittore, ha costruito un
romanzo dal sapore d'inchiesta, "molto intriso di
ricordi", Calabuscia. E' la storia semplice e
pulita di donna Giulia (la nonna di Francione ) che
faceva da corriere per il ricco mercato nero partenopeo
e che prendeva spesso quel treno. "Era una signora
eccezionale, con un grande coraggio. In un periodo
tanto difficile riuscì a procurare il mangiare per i suoi
figli e ad essere punto di riferimento per tutte le persone
che la conoscevano. In calce al mio libro invito tutti
coloro che sono in grado di riferire su questo tragico fatto
con ricordi, testimonianze di scrivere alla redazione che
provvederà a stilare un libro bianco. Purtroppo l'oblio però
rischia di mangiarsi la memoria e di far scomparire questa
ferita tutta italiana".
L'ossido di carbonio uccide, secondo i
manuali, in cinquanta o sessanta secondi eppure non c'è
ricordo di allarmi o di allerta. I primi soccorritori si
trovarono di fronte allo spettacolo allucinante di una massa
compatta di corpi l'uno sopra all'altro. "Sulle prime
nei vagoni - si legge nel romanzo - tutti i passeggeri si
sono accorti che il convoglio si è fermato e sono inquieti,
anche se non sanno bene cosa stia succedendo. Nell'oscurità
totale degli antri metallici ricolmi di uomini e cose volano
borbottii, commenti,lamenti, bestemmie. Solo alla fine,
quando il fumo invade l'ambiente in maniera sempre più
fitta e la gente prende a tossicchiare, il panico comincia a
diffondersi, anche se ancora nessuno osa muoversi. Il non
sapere cosa stia succedendo impedisce d'intuire il cosa
fare". E' l'inattività fatale. "Spero che un
giorno venga sollevato il velo - conclude Francione - su un
fatto tanto grave. E forse alle famiglie delle vittime dopo
tanto tempo basterebbe che le Ferrovie e il ministero della
Difesa deponessero un mazzo di fiori. Basterebbe
quello".
(2 MARZO 2002; ORE 17:00)
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http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,108993,00.html
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http://www.diario.it/cnt/iniziative/memoria_lunga/elenco.htm
http://www.diario.it/index.php?offset=&page=ini.memorialunga.view&id=ML000000&iniziale=A
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Questa nuova opera del giudice-scrittore Gennaro
Francione, ispirata da un profondo sentimento di umanità, consiste nel
racconto che il padre fa al figlio, che è l’autore del libro, delle
esperienze drammatiche affrontate nel viaggio da Venezia a Torre del Greco
verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Un viaggio che è piuttosto
una fuga disperata verso la salvezza, in un’Italia sconvolta dal lungo
conflitto e occupata da eserciti stranieri. [...] Questo libro mi richiama
alla memoria due opere letterarie notissime e molto diverse tra loro:
“La Certosa di Parma” di Stendhal e “La pelle” di Curzio Malaparte.
Nel romanzo francese si narra la vicenda di Fabrizio Del Dongo che aveva
combattuto la guerra di Waterloo, in cui si erano decisi i destini
dell’Europa. Egli tuttavia non riusciva a rendersi conto di quello che
stava accadendo. Proprio questo senso di smarrimento psicologico (riflesso
degli avvenimenti confusi) accompagna i due fuggiaschi di Francione. [...]
Il linguaggio di Francione è elegante ma anche generoso di espressioni
tipicamente napoletane, che servono a sottolineare con immediatezza
atmosfere e vicende.
“Calabuscia”, oltre che per i pregi letterari e l’interesse
intrinseco della vicenda raccontata, si può anche raccomandare
come lettura sussidiaria di storia nei licei. Il libro infatti non solo
mette a contatto con un modus vivendi scomparso e per noi inusuale (e che
è purtroppo attuale in tutte le guerre che si combattono nel nostro
globo) ma non trascura gli avvenimenti della nostra nazione, in quanto
vengono opportunamente ricordati i bollettini radiofonici più
significativi e alcune brevi ma incisive cronache tratte dai pochi
giornali che era allora possibile trovare.
Eugenio Ballabio
http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/aetas/libri.htm
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"Da dove venite?". "Da Torre del Greco...Abitavamo a Montedoro...vicin'a Casina Rosa...proprio sott'o Vesuvio". "Sapete niente di un certo Gennaro Francione, amico di Luciano De Crescenzo?".
"Luciano De Crescenzo lo conoscono tutti come scrittore. Gennaro Francione... è noto tra i delinquenti!". "I delinquenti?!" chiede interdetto il nonno indurendosi, mentre la consorte buonanima mette l'indice piegato in bocca e diventa più pallida di quello che di solito è.
"Certo! Fa il giudice!" risponde l'anima maschia. ... Mostra tutto
"Aah...". Il nonno si rilassa e osserva sfiatando la mogliera che molla il dito. Poi, impettendosi fiero del nipote rivestito di una carica così nobile, continua:
"Ma ci avevano detto che vuleva fa' 'o scrittore... è bravo...comm' a De Crescenzo!".
"Ci dispiace. Non sappiamo davvero nulla di questo". "Allora ve lo dico io. Ha scritto una bellissima storia su quella seconda maledetta guerra che io e la mia famiglia abbiamo vissuto...". "Ce l'ha la prefazione di un autore famoso?".
"No. Per quelle cose ci vuole un santo in Paradiso... Anche se si è bravi...". "Perché non vi rivolgete là sopra?", fa la spiritella. "Lassù... è un'idea.
(tratto da Calabuscia)
La tua memoria dolcissima creatura la culleranno e rievocheranno i tuoi amici d'anima.Per renderti felice e sempre più incandescente, anima pura!
Capisco perchè tu definisca Kalabuscia "antiarte": perchè l'autore sono mille autori, mille respiri e mille cuori che hanno condiviso la vita e la sua avventura e Chi la racconta è così umile e onesto da non riuscire a voler definirsi "autore".L'antiarte che tu concepisci è un segno fulgido di umiltà, di candore bambino che ti fa toccare l'azzurrità della vera humanitas e del labor intellettuale ,ludico e sempre amorevole.
Sai donare a piene mani la più intima fibra di te stesso...la tua oblatività è meravigliosa, fuori da ogni canone che non si chiami : "Gennaro Francione".Grazie a te, Maestro.Con affetto.Sintesi di ogni slancio autentico.Là dove la parola si fa timida credendosi insufficiente e di troppo, sopperisce il gesto, un sorriso che indica...questo è il mio umile pensiero per te, per presentarti ai miei amici, pochi e scelti.Un bacio morale.