di Michele Paris
Con una sentenza senza precedenti e che potrebbe avere ripercussioni in
altri stati americani, un tribunale federale ha giudicato
incostituzionale l’intero processo che sovrintende alle esecuzioni
capitali nello stato della California. Il giudice della contea di
Orange, nella California meridionale, ha preso la storica decisione in
risposta ad una causa intentata da un condannato a morte, puntando il
dito contro le gravissime disfunzioni che caratterizzano il sistema
giudiziario dello stato affacciato sull’Oceano Pacifico.
Secondo il giudice Cormac Carney, una condanna a morte si traduce in
realtà in California in una sentenza che “nessuna giuria o legislatura
potrebbe razionalmente imporre”, vale a dire “nell’ergastolo con una
remota possibilità di essere giustiziati”. Ciò produce ritardi e un
senso di incertezza tra i detenuti nel braccio della morte, “in
violazione dell’Ottavo Emendamento [della Costituzione americana]”, il
quale proibisce punizioni “crudeli e inusuali”.
A supporto del suo giudizio, il giudice Carney ha citato le “sole” 13
esecuzioni portate a termine in California dal 1978 a oggi a fronte di
oltre 900 imputati condannati alla pena capitale. Inoltre, circa il 40%
dei 748 attualmente detenuti nei bracci della morte delle prigioni
californiane sono stati condannati almeno due decenni fa.
La sentenza emessa mercoledì dal tribunale distrettuale con sede a Santa
Ana non si basa quindi sul rifiuto della pena di morte da un punto di
vista morale, ma scaturisce dalla presa d’atto dell’impossibilità di
eseguire le condanne in maniera efficiente e dalla constatazione del
danno psicologico provocato sui condannati da questa situazione.
Come ha spiegato lo stesso giudice, “quando un individuo viene
condannato a morte in California, la sentenza contiene una promessa
implicita dello stato che la pena sarà effettivamente eseguita”. Tale
promessa viene fatta ai cittadini dello stato, i quali pagano per il
sistema giudiziario, ai giurati, che valutano “prove di crimini
innegabilmente orribili” e prendono parte a “dolorose deliberazioni”,
alle vittime e ai loro familiari.
Inoltre, la promessa di morte viene fatta anche “alle centinaia di
condannati nel braccio della morte, per affermare che i loro crimini
sono così terribili da meritare la privazione della vita”.
Ciononostante, continua la sentenza, “per troppo tempo la promessa è
stata vuota” e il risultato è “un sistema nel quale fattori arbitrari,
piuttosto che legittimi cone la natura del crimine o la data della
condanna a morte, determinano se un individuo verrà giustiziato”.
Per queste ragioni, il sistema della pena di morte in California non ha
praticamente alcun legame con la pena reale imposta ai condannati ed è
dunque “incostituzionale”.
La decisione è giunta in risposta alla causa avviata dai legali del
detenuto Ernest Dewayne Jones, condannato a morte nel 1995 per lo stupro
e l’assassinio nella madre della sua fidanzata nel 1992 mentre era in
libertà vigilata. La sentenza capitale ai danni di Jones è stata così
annullata anche se la sua sorte e gli effetti del caso su altri stati
americani dipendono ora dall’esito dell’appello che verrà probabilmente
presentato dal procuratore generale della California.
Nel caso venisse confermato, secondo molti esperti americani il verdetto
potrebbe incoraggiare cause legali con buone probabilità di successo
quanto meno in quegli stati - come ad esempio la Pennsylvania - che
hanno una folta popolazione nei bracci della morte e nessuna o poche
condanne eseguite negli ultimi anni.
Lo stesso principio fissato dal giudice Carney si applicherebbe
teoricamente anche al sistema penale federale, nel quale non si è
assistito a condanne a morte negli ultimi undici anni, mentre solo tre
condannati sono stati giustiziati dal 1963.
Secondo l’esperto di casi capitali Douglas Berman, docente di diritto
alla Ohio State University, la logica dietro alla sentenza, che
garantisce l’annullamento della pena di morte a causa dell’inerzia dei
sistemi legali statali, potrebbe però mostrare molte debolezze in
appello.
Lo stato della California, ad esempio, potrebbe sostenere che il
problema evidenziato dal giudice Carney è superabile con una
riorganizzazione del sistema che governa le esecuzioni capitali e, di
conseguenza, giustiziando i condannati con maggiore frequenza. Per
Berman, tuttavia, una simile soluzione rimane difficile da applicare
viste le disfuzioni esistenti.
Alcuni sostenitori della pena di morte hanno fatto notare invece come la
Corte Suprema degli Stati Uniti abbia sempre respinto la tesi
dell’incostituzionalità della pena di morte a causa dei ritardi
nell’implementazione delle sentenze di condanna. Il giudice Carney,
tuttavia, ha evidenziato come i precedenti pareri della Corte Suprema
riguardassero casi di singoli detenuti, mentre quello in questione ha
fatto scaturire un giudizio sull’intero sistema californiano.
La stessa Corte Suprema potrebbe alla fine prendere in considerazione il
caso, soprattutto se la corte d’Appello competente - quella del Nono
Circuito con sede a San Francisco - dovesse ratificare la sentenza di
primo grado.
In California, in ogni caso, la pena di morte era stata confermata da un
referendum popolare nel novembre del 2012, quando la “Proposta 34” per
abolire le esecuzioni capitali nello stato era stata sconfitta con un
margine di appena 4 punti percentuali (52% a 48%). Questo Stato è uno
dei 32 nei quali è tuttora in vigore la pena di morte, anche se solo una
decina la applicano con una certa regolarità.
In California, poi, dal 2006 vige una moratoria di fatto, dopo che un
giudice federale ha bloccato l’esecuzione del condannato Michael Morales
in seguito ad una causa presentata in merito alla corretta
somministrazione dei farmaci utilizzati nelle iniezioni letali.
Una disputa sull’efficacia e la provenienza di questi farmaci è peraltro
in atto da tempo in molti altri stati americani a causa della difficoltà
nel reperire i prodotti solitamente usati nelle iniezioni letali dopo lo
stop delle forniture deciso dai paesi europei.
Di fronte al moltiplicarsi delle cause legali, le autorità dei vari
stati sono spesso ricorse a metodi mai testati in precedenza per mettere
a morte i condannati oppurre hanno adottato leggi per tenere segrete le
identità dei fornitori dei farmaci letali. Ciò ha portato a più di
un’esecuzione finita in maniera disastrosa, con sofferenze atroci per i
condannati a morte.
Malgrado ciò, la macchina della morte negli Stati Uniti non si è
fermata. Lo stesso giorno della sentenza che ha decretato
incostituzionale la pena di morte in California, infatti, lo stato del
Missouri ha somministrato l’iniezione letale al condannato John
Middleton, la cui esecuzione era stata temporaneamente fermata martedì
da un giudice federale alla luce dei forti sospetti sul suo stato di
salute mentale.
http://www.altrenotizie.org/esteri/6100-california-un-giudice-ferma-il-boia.html