A causa delle
condizioni di vita disumane nelle carceri si può ottenere il
rinvio dell’esecuzione della pena detentiva: il
provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Venezia.
Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, con un originale
provvedimento [1], ha accolto la richiesta di
differimento della pena avanzata da un
condannato a più di due anni di reclusione per via delle
condizioni inumane delle carceri italiane.
In generale, la nostre legge prevede che il rinvio
dell’esecuzione della pena possa essere richiesto solo in cinque
casi ben precisi [2]:
- richiesta di grazia;
- stato di gravidanza e puerperio;
- grave infermità fisica;
- AIDS;
- madre con figli di età inferiore a 3 anni.
Invece, nel caso di specie, l’istanza per ottenere il rinvio
della carcerazione è stata formulata sulla base delle
condizioni di vita disumane nei nostri penitenziari.
Proprio a causa di ciò, l’Italia è stata recentemente condannata
dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo [3].
La fatiscenza, le precarie condizioni igienico-sanitarie, ma
soprattutto il sovraffollamento delle carceri
rendono la detenzione insostenibile.
Celle di 20 metri quadrati ospitano fino a 11
detenuti, violando così quel principio sancito a livello
comunitario che individua in 3 metri quadrati calpestabili lo
spazio minimo vitale per ciascun recluso.
Il Tribunale di sorveglianza di Venezia è andato dunque ben
oltre il dettato della legge, accogliendo una richiesta
di rinvio dell’esecuzione della pena per un motivo – la
disumanità delle condizioni di vita in carcere dovute al
sovraffollamento - diverso da quelli espressamente codificati.
Tale provvedimento rappresenta un importante precedente
e costituisce un segnale di apertura verso le problematiche di
un mondo troppo spesso avvolto dall’indifferenza.
[1] Trib. Sorveglianza di Venezia,
ordinanza del 18.02.2013.
[2] Art. 147 cod. pen.
[3] Lo scorso gennaio, la Corte Europea
ha condannato l’Italia al pagamento di 100.000 euro nei
confronti di 7 detenuti delle carceri di Busto Arsizio e
Piacenza per trattamento disumano e tortura: i nostri
istituti non garantiscono a ciascun recluso quei 3 metri
quadrati di superficie calpestabile che rappresentano,
secondo la Corte, lo spazio minimo vitale.