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Manifesto del Terzo paesaggio
Gilles Clément
"Manifesto del Terzo paesaggio"
(a cura di Filippo De Pieri)
Editore Quodlibet, Macerata 2005
"Se si smette di guardare il paesaggio come l'oggetto di un'attività
umana subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una
negligenza del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di
funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest'insieme non
appartiene né al territorio dell'ombra né a quello della luce.
(...) Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma.
Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio
per la diversità.
(...) Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine.
Propongo Terzo Paesaggio, terzo termine di un'analisi che ha raggruppato
i principali dati osservabili sotto l'ombra da un lato, la luce
dall'altro".
Indecisione, instabilità, nomadismo biologico, "pratiche consentite di
non organizzazione", contiguità, evoluzione incostante, improduttività:
nuovi valori positivi all'interno di una concezione biologica, non
economica, del territorio. Questo testo, articolato in una premessa di
definizioni e descrizioni quali ipotesi di partenza, ed una
tesi-manifesto le cui frasi possono essere volte anche in forma
interrogativa, pone in campo diverse questioni, alcune delle quali
possono essere raccolte per antinomie.
Passaggio dall'incolto giovane (diversità media) all'incolto spinoso
(picco di diversità) alla foresta (diversità marcata).
Aperto/Chiuso. Con il Manifesto del Terzo Paesaggio Clément
approfondisce i temi e le questioni messe in campo ne Il giardino
planetario (1), nel quale proponeva la rappresentazione del pianeta come
un giardino. Con questa espressione, Clément creava un accostamento tra
dimensioni opposte, traslando il termine giardino dal senso originario
di luogo chiuso (da garten, recinto), a quello di insieme. È il
ribaltamento dell'idea dell'hortus conclusus: se in questo si esprime la
natura ordinata dall'uomo in contrapposizione al vuoto esterno, alla
natura fuori dalle mura, predominante, selvaggia ed ostile, ora è il
vuoto (i vacuoles), il poco che è rimasto tra mura e mura, ad attirare
le nostre cure, laddove è la diffusione delle mura, dei limiti, dei
recinti, (la città globale, il mondo organizzato) a spaventare. Il
giardino planetario è la risposta allo spostarsi della questione urbana,
e sta alla globalizzazione (economica, urbana) come il parco urbano
stava alla città del XIX secolo; si allarga lo sguardo; se ad ogni epoca
spetta una certa concezione del verde, il giardino planetario è il
giardino della città globale.
Stato liquido/Stato solido. L'insieme dei residui che formano il Terzo
Paesaggio funge da elemento di connessione e vivificazione tra i vuoti
della maglia delle attività antropiche. Si tratta di luoghi residuali,
spazi, per dirla con Zygmunt Bauman (2), che tendono ad uno stato
liquido, non conservano mai a lungo una forma, si modificano, debordano,
e quanto più assumono i caratteri di un materiale liquido, tanto più
resistono ad essere riciclati, cioè governati. Gli strumenti
tradizionali di gestione del patrimonio (sorveglianza, tutela,
individuazione dei limiti) non possono essere utilizzati senza
annullarne le qualità proprie: ne emerge una visione decisamente
antipatrimoniale, non istituzionale ("non bene patrimoniale, ma spazio
del futuro"), che si contrappone a molte attuali considerazioni sul
paesaggio come spazio dell'identità, patrimonio delle società locali,
luogo di esercizio delle strategie della memoria.
Scambi "naturali" tra il Terzo paesaggio (T.P.) e il territorio
antropizzato (T.A.). A sinistra: situazione di equilibrio. Al centro:
pressione forte del T.A. (effetti di sterilizzazione, perdita di
diversità). A destra: pressione debole del T.A. (effetti di
propagazione, aumento di diversità).
Ginestre/Green. Le considerazioni che Gilles Clément fa sui residui e
l'invenzione del Terzo Paesaggio in qualche modo richiamano la scoperta
del paesaggio montano avvenuta in epoca moderna, il luogo orrido, spazio
della natura selvaggia, in contrapposizione al luogo ameno: in questo
caso, la scoperta dei luoghi di scarto, privi di funzione, in
contrapposizione ai luoghi che hanno un valore d'uso definito.
I residui sono "spazi delle ginestre", usando una metafora leopardiana,
terra di frontiera, luogo di ibridazione delle diverse specie, ed è la
mescolanza planetaria il motore dell'evoluzione biologica. Clément si
pone dalla parte del politeismo vegetale contro la monocoltura del prato
all'inglese.
Evoluzione costante (per adattamento) e incostante (per adattamenti
progressivi, trasformazione).
Brassage/Parklife. Nella contrapposizione tra evoluzione biologica ed
evoluzione economica sta il valore politico della visione di Gilles
Clément. Il concetto di paesaggio nasce come strumento di controllo
della circolazione dei modelli spaziali, e quindi non è neutro:
corrisponde ad una selezione strumentale degli elementi del territorio
(gruppi sociali e/o economici, forme naturali ed antropiche, identità
locali) in funzione di un modello dominante. John Barrell parla di lato
oscuro del paesaggio (3), riferendosi all'imposizione di una visione, di
un modo di leggere e percepire lo spazio, proprio di una classe sociale,
che tende ad escludere quelle di altri gruppi sociali; per Gilles
Clément potremmo parlare di lato luminoso del paesaggio, in quanto il
Terzo Paesaggio è un modello non esclusivo, ma inclusivo, "frammento
condiviso di una coscienza collettiva", basato sulla mescolanza (brassage)
planetaria che è all'origine del funzionamento ecologico e della
ricchezza ecosistemica. Una visione che contrappone l'innovazione
(biologica) all'accumulazione (economica), e mette in discussione l'idea
del costruire ed abitare lo spazio in "sfere" separate, secondo la
logica del parco umano, (il parklife descritto da Sven Lütticken (4); il
parco umano di Peter Sloterdijk (5)).
Alternanza tra processi evolutivi di lunga durata (trasformazione) e di
breve durata (crisi, selezione, scomparsa, mutazione).
Date le premesse, il Terzo Paesaggio non ha scala, o meglio le ha tutte,
dal microscopio alla visione satellitare. Clément scrive della necessità
di abituare lo sguardo al riconoscimento del Terzo Paesaggio; e, di
conseguenza, a gestirlo. Poiché le forme di controllo spaziale
istituzionali tendono a suddividere in comparti ed ambiti, e ad opporsi
alla libera trasformazione, la rappresentazione, gestione e progetto del
Terzo Paesaggio devono lasciare spazi all'indecisione, introducendo come
variabile l'entropia, mantenendo coscienza dei legami generali con
l'ecosistema, ragionando per spessori e non per confini, e considerando
l'assenza di regolamentazione morale, sociale, politica non
necessariamente in maniera negativa. Qualcosa che è già stato
sperimentato, in piccolo, nel giardino in movimento, e qui esteso a
scala planetaria.
Antonio di Campli
antonio@dcfstudio.191.it
[14feb2006]
NOTE:
1. Gilles Clément, Le jardin planétaire. Reconcilier l'homme et la
nature, Albin MIchel, Paris 1999.
2. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2003.
3. John Barrell, The dark side of the landscape: the rural poor in
English painting, 1730-1840, Cambridge University Press, New York 1980.
4. Sven Lütticken, Parklife, in "Oase" 6/2004, NAi Publishers, Rotterdam
2004.
5. Peter Sloterdijk, La Domesticazione dell'essere, e Regole per il
parco umano, in Non siamo ancora stati salvati, saggi dopo Heidegger,
Bompiani, Milano, 2004, e Peter Sloterdijk, L'ultima sfera, breve storia
filosofica della globalizzazione, Carocci, Roma 2002.
http://architettura.supereva.com/books/2006/200602004/index.htm |
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