Visto
l’inevitabile fallimento del sistema penale e la
vergogna, ormai dimostrata, del sistema carcerario
in tutti i Paesi, i quali intendono quegli istituti,
ormai antiquati, come metodo di vendetta legale
sugli autori o presunti tali di reato (e sempre che
certi comportamenti senza vittime, come dimostra il
proibizionismo sulle droghe, possano ancora
definirsi reato), si indica la volontà politica di
rottamare detto sistema penale perché criminale e
criminogeno, per fermare l’immoralità stessa della
punizione.
Come primo
passo, s’intende riaffermare la necessità di
riportare il nostro Paese nella legalità
repubblicana attraverso indulto e amnistia,
strumenti già previsti dalla nostra Costituzione,
per dare il via ad una riforma di stampo liberale
del sistema giustizia, nella consapevolezza che
l’istituzione stessa del carcere è in quanto tale
incostituzionale, per violazione dell’art. 27 della
Costituzione, in quanto vendicativa e
intrinsecamente priva di valenza rieducativa.
Eliminare
l’esercizio del “monopolio della forza” dal diritto
proprio per riformarlo, e da noi stessi per fare
nuova cultura, è un dovere politico. Se introdurre
il concetto di libertà e responsabilità personali
significa creare i presupposti del vivere civile,
diventa indispensabile una nuova forma di difesa
personale contro lo Stato autoritario, che sappia
coniugare nonviolenza, antiproibizionismo, diritto
all’informazione in un unico progetto politico
liberale.
Sottolineamo la
crudeltà di un sistema che attribuisce ad esseri
umani (i Giudici) l’autorizzazione a giudicarne
altri, in piena contraddizione col principio
evangelico e laico moderno del “non giudicare” e che
suppone di riportare coloro che si sono o si
sarebbero “macchiati” di fatti perseguibili con
“l’espiazione” e con il dolore, in ambienti – veri e
propri gulag – nei quali si pensa in modo
irrazionale di “educare alla libertà” con la sua
deprivazione.
In quel salto
nel premoderno, voluto e forgiato da chi crede che
la vendetta di Stato sia una sorta di “Diritto” di
chi è stato vittima di reato, si finisce
inevitabilmente in una macchina “tritasassi” in
cui la sofferenza e la tortura vengono applicate
come metodo che non sa nemmeno essere “rieducativo”.
La fine del
processo penale potrebbe spingere ad affidare ai
giudici ed agli avvocati il nuovo ruolo di difensori
dello Stato di diritto, di mediatori tra le parti,
per al meglio risarcire (psicologicamente e
materialmente) le vittime di reato e per demolire,
in collaborazione con la società civile, i motivi
che al reato inducono.
Per questi
motivi, oggi 20 febbraio 2015 a Milano, è stato
costituito il C.A.O.S., Comitato Abolizione
Ordinamenti Segregazionisti.
I membri
fondatori e promotori, dopo un approfondito e
intenso dibattito – ben lungi dal ritenersi concluso
– ritengono di dover promuovere iniziativa politica
per il superamento di tutte le istituzioni totali di
segregazione esistenti, fondate sulla
discriminazione e sulla repressione dell’individuo e
della sua dignità personale.
Tra tali
Istituzioni spicca per la sua importanza, il
Carcere, retaggio di una concezione premoderna,
sulla quale poggia il modello retributivo-punitivo,
che non ha (e non ha mai avuto) alcuna ragion
d’essere, né sul piano della difesa sociale, né su
quello della compatibilità costituzionale.
Spaventoso è il numero delle sue vittime.
In particolare
il Carcere, monotona applicazione del Codice Penale,
che cioè prevede la sofferenza, la vendetta di Stato
(perché non la tortura e la Pena di morte) per
ricomporre il Patto Sociale, nega il presupposto che
il reato sia manifestazione parziale della
personalità umana da trattarsi con una cultura di
nonviolenza attiva e della pratica dell’ascolto. Il
Codice Penale incide sull’individuo nella sua
totalità, sul suo tempo, sul suo spazio, sulla sua
libertà e sulla sua dignità, ponendosi di fatto in
contrasto con l’art. 27, c. 3 della Costituzione
Certamente.
Il Comitato
ritiene che lo stesso Diritto Penale sia per sua
natura ciò che mina alla radice la natura intima
della persona, che attraverso il giudizio sul
cosiddetto “elemento soggettivo del reato” (cioè di
una branca del diritto non laicamente determinabile)
esprima valenze mistiche, religiose e morali non
universali, bensì motivo di ulteriore
discriminazione. Ciò comporta anzitutto che siano
eliminati i reati senza vittima (victimless crymes)
ed in modo particolare quelli relativi e conseguenti
al flagello del proibizionismo sulle droghe.
Il Comitato
rinnova l’impegno di coloro che intendono battersi
sia per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici
Giudiziari (OPG) e le Istituzioni destinati a
sostituirli nelle vergognose e note pratiche, sia
per le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di
Sicurezza (REMS), in quanto fondate su di nozioni
del tutto indeterminate, come quella di
“pericolosità sociale” del malato psichiatrico.
Il Comitato fa
propria l’affermazione di Brossat – autore di
“Scarcerare la società” – tesa a mettere in guardia,
con Benjamin Costant, contro l’illusione umanitaria
condotta esclusivamente contro la pena capitale:
«Le punizioni che si sono volute sostituire alla
pena di morte non sono, nella maggior parte dei
casi, che questa stessa pena inflitta con minuzia,
quasi sempre in maniera più lenta e dolorosa». Si
afferma inoltre che «Quando il diritto avrà fatto
il suo ingresso in carcere» non saremo entrati
nell’era del «dopo carcere» ma avremo un diritto
incarcerato.
Il Comitato
auspica che, come fu a suo tempo per i manicomi, dei
quali si ottenne con successo la semplice chiusura e
non una irrealizzabile riforma, possa nascere e
crescere nel tempo una vera e propria ondata di
nonviolenza che possa radere ogni carcere, che, come
a suo tempo i manicomi, sono Istituzioni totali,
puramente e semplicemente irriformabili.
In sostituzione,
per creare terra bruciata intorno alla “delinquenza
organizzata” che trova nelle attuali Università del
Crimine il suo primo centro di aggregazione, si
chiede piuttosto di dare il via alla costituzione di
situazioni rieducative, sul modello delle comunità e
delle case-famiglia, per consentire di radere
definitivamente al suolo istituti di pena arcaici
come i vari San Vittore e simili.
Giorgio Inzani
Diego Mazzola Fabio Massimo Nicosia Gianni
Rubagotti Davide Leonardi Domenico Letizia