L'opera
La
Repubblica D’Evandria,
è compresa in un testo, i
Dialoghi,
che sono dedicati alla discussione di problematiche legate alle virtù ed
ai vizi dello Stato rinascimentale, contrapponendogli modelli di società
derivanti dal passato e verificati attraverso l’esperienza storica
concreta del secolo in corso. I protagonisti sono personaggi
effettivamente esistiti, che avevano in qualche modo avuto dei rapporti
con l’autore, come il Belluzzi, L’Aromatario, ed il Molino, mentre nella
Repubblica D’Evandria il ruolo di protagonista è affidato a Gabriele da
Porto, nonno materno dello stesso Zuccolo.
Il periodo che fa
da sfondo all’opera dello Zuccolo è l’Italia della Controriforma, legata
allo spirito del Rinascimento, e quindi da un lato la società continua a
mostrare segni di vitalità come nel campo dell’economia, della coltura
sia filosofica (con Bruno e Campanella) sia scientifica (Galileo e
Torricelli), ma dall’altro la censura repressiva che aveva costretto
all’abiura Galilei e al carcere e all’esilio Campanella, ed aveva
condotto all’esemplare punizione di Bruno, peserà molto sulla cultura
nazionale nei secoli successivi. Mentre in Europa anche attraverso
guerre si stava formando il cammino degli stati moderni, l’Italia sembra
rimanere ormai distaccata dal panorama politico del periodo. Ed è
proprio questa condizione di marginalità del nostro stato a segnare il
dialogo dello Zuccolo, il quale dà la propria esperienza, cioè quella di
un intellettuale vissuto a contatto con le corti principesche che vede
dall’esterno ma allo stesso tempo dall’interno questo importante periodo
storico, dal quale avranno origine i tratti fondamentali che
caratterizzeranno lo stato moderno.
Però nei
Dialoghi egli sembra ancora convinto che l’Italia si possa inserire
tra gli stati moderni, senza allontanarsi dalla realtà con progetti
astratti e dedicandosi alla ricerca concreta di uno stato possibile,
infatti, la descrizione fisica d’Evandria è fin dall’inizio simile alla
conformazione della penisola italiana.
Il governo della
Repubblica è formato da un re elettivo, che viene controllato da un
senato e da magistrati, mentre i cittadini possono ricoprire cariche
pubbliche e riunirsi in assemblee.
Dal punto di vista
sociale viene garantito un regolare possesso delle proprietà, la cui
distribuzione è regolata dai criteri di giustizia sociale, e lo Stato
interviene attivamente negli altri campi sociali, come l’educazione, la
famiglia, i testamenti e le doti; interviene anche per controllare
l’emigrazione, i mestieri, l’economia domestica e dell’igiene pubblica,
senza tuttavia sembrare troppo invadente.
Per la difesa del
territorio viene istituita una milizia permanente, adibita solo allo
scopo di guerre giuste e non di conquista, che non hanno cioè lo scopo
do togliere terre ad altre nazioni.
La repubblica di Evandria
A prendere la parola per descrivere la
leggendaria repubblica di Evandria è lo stesso nonno di materno di
Ludovico Zuccolo, vecchio navigatore che ha molto vissuto e viaggiato.
‘Tu devi sapere figliul mio che là negli ultimi termini dell’ Asia,
proprio in quella parte che risguarda più da vicino l’ isola di utopia,
è posta la bella e fertile provincia della Evandria’,
racconta il nonno al nipote fornendo queste assai vaghe informazioni
sulla posizione geografica della repubblica quasi a sottolinearne il
carattere completamente utopico. L’Evandria è una terra fertilissima, di
forma quasi circolare, meno montuosa dell’Italia e bagnata di
grandissimi fiumi e laghi atti ad essere navigati, i suoi porti anche se
non molto numerosi sono stati resi comodi e sicuri dalla natura, o dall’
arte degli evandri, che superano gli europei in abilità e virtù,
favoriti da un territorio che asseconda ogni loro bisogno. Fra le tante
bellissime città che sorgono in quella terra la capitale è Agathia
grande come Venezia o Milano, lì il re e il senato degli evandri si
radunano per occuparsi degli ‘Interessi più gravi dello stato’.
Il titolo di re, viene attribuito per elezione, tuttavia non lo si
toglie ai figli del re defunto a meno ché non si dimostrino indegni di
tale carica, la quale in tempo di pace riveste un’importanza soprattutto
formale, anche se a suo nome si batte moneta, si dichiara la guerra, e
si ricevono gli ambasciatori il re detiene in realtà un potere pari a
quello di un normale senatore. Le città sono edificate in modo
splendido, sono piene: di terme, di teatri, di portici, e di altri
ragguardevoli edifici, le strade e le piazze sono grandi e belle quali
non se ne possono trovare in Italia; le osterie sono poste ad uguale
distanza l’una dall’altra e così gli ospitali, di cui tuttavia sono
pochi a valersi perché ai vagabondi stranieri non è consentito entrare
in Evandria affinché non trasmettano malattie o peggio corrompano i
costumi dei cittadini. I poveri della Provincia, sono raccolti poco
distante dalle città in abitazioni simili a monasteri, dove lo stato
provvede a mantenerli, facendoli tuttavia adoperare in vari mestieri in
modo che almeno in parte si mantengano con la loro opera. Come i poveri
e i deboli anche i ricchi e i sani si affaccendano, tutti i giovani fino
ai venti anni stanno sotto la tutela di uomini saggi, fra i migliori che
si trovino nella città, che li allenano sia nel corpo che nello spirito,
addestrandoli nelle armi e insegnandoli ad onorare dio, il padre, la
madre, e a rispettare gli ordini dei magistrati affinché tutti i
cittadini s’impegnino per il bene della repubblica. I nobili di Evandria
dai venti ai quarantacinque anni, quando la guerra non li fa impiegare
sotto le armi, devono continuamente esercitarsi in cacce, tornei ed
altri esercizi che servono a renderli padroni di quest’arte, e occuparsi
dei minori magistrati, quali la cura delle strade dei fiumi o
l’organizzazione di spettacoli e tragedie, nelle quali la punizione che
infine spetta ai tiranni fa che nessun cittadino pensi mai di opprimere
la libertà della patria. Ogni città è divisa in dodici parti in ognuna
delle quali due volte ogni mese si tengono dei convivi affinché
mangiando insieme i cittadini si conoscano l’un l’altro e fra di essi
nasca la benevolenza, tutti vivono in modo sobrio e l’oro e l’argento
sono impiegati solo per fare monete, e nessuno possiede inutili
suppellettili preziosi. I mercanti stranieri che in gran numero
frequentalo i porti della repubblica non possono portare indietro i
denari ricavati dalle cose vendute ma devono reinvestirli in nuove
merci, che lì vengono prodotte tutte di grande qualità cosicché il
commercio sia sempre a vantaggio dell’ Evandria dalla quale mai escono
grandi quantità di moneta
Ciascuna città ha sei censori, che sono
adibiti ai più importanti incarichi della repubblica; se ne eleggono due
ogni anno e il loro compito è quello di correggere con grande autorità
l’educazione dei giovani e di controllare che essi siano seguiti nel
modo migliore dai genitori, quando sono a casa, e dai precettori per
quanto concerne l’istruzione pubblica; questi ultimi, precettori e
genitori, sono punibili in caso di negligenza.
Ruolo dei censori è anche quello di
risolvere le questioni private che si creano tra padre e figlio, tra
fratello e fratello e anche tra marito e moglie; essi sono, inoltre,
deputati a controllare i comportamenti di padri e madri di famiglia
nell’economia di casa e soprattutto a verificare la buona coltivazione
dei poderi e delle vigne.
Altre funzioni svolte dai censori sono
quelle di controllare la circolazione di libri nocivi per la città
nonché la realizzazione di opere, come sculture e pitture, e la presenza
di spettacoli, come commedie e tragedie, che possano introdurre mal
costume fra il popolo.
I censori operano nel miglior modo
possibile affinché i Magistrati minori esercitino con diligenza i loro
incarichi; infatti, il popolo di Evandria, diviso in centurie e classi
proprio come quello romano, è giudice ed approva, nelle sue poche
riunioni, le decisioni prese dal Re, dal Senato dai censori stessi e dai
Magistrati maggiori.
Le cause criminali, nella repubblica di
Evandria si risolvono molto facilmente e in breve tempo, così come
quelle civili che non possono durare più di quindici giorni altrimenti
il giudice può essere a sua volta condannato ai danni e alle spese da
entrambe le parti. Le cause durano poco anche perché le leggi di
Evandria sono molto poche, chiare e risolute. Unitamente agli atti
pubblici, alle arti e alle dottrine esse vengono scritte nella “materna
lingua” di Evandria, in modo da essere comprensibili a tutti: chiunque
provi a infrangere questa regola, può essere condannato.
Astrologi, chiromanti e altre figure di
questo genere, se scoperti, vengono condannati, la prima volta, alla
frusta, la seconda ad essere bruciati vivi.
Gli Evandri “fanno le guerre corte”, non
“domandano alcun tributo al vinto” e non pretendono alcun diritto sulle
città prese; talvolta, per “conservare buona pace”, le cedono a qualche
loro amico. Non possiedono Rocche né Cittadelle che sono considerate
invenzioni che tengono il popolo nel terrore e non servono a difendere
gli stati.
Altra importante caratteristica della
repubblica di Evandria è una società giusta che prevede un certo
equilibrio tra i poveri, assistendoli o facendo in modo che abbiano
sempre un lavoro, e i ricchi che non possono accumulare ricchezze e
denari se non per la costruzione di opere pubbliche dai tramandare ai
posteri, desiderio primario degli Evandri.
Il matrimonio ha una grande importanza: è
un modo per sfuggire “il concubinato e gli altri vizii brutti” che non
portano ad un crescita del popolo. Alle spose, che non possono ereditare
né il patrimonio del padre né quello del marito ma possono solo
usufruirne dopo la loro morte, viene assegnata una dote sempre piccola;
alle donne brutte viene assegnata una dote maggiore “acciocché più
facilmente trovino marito”.
“Per non moltiplicare le parole”, pochi
sono gli “istituti e i modi di vivere” espressamente indicati: il loro
rispetto è affidato alla polizia degli Evandri e ai Magistrati di grande
autorità, che hanno il compito di farli osservare “inviolabilmente”.
Il testo si chiude con un’invocazione
all’Italia, soggiogata dai domini stranieri, e con l’elogio di un popolo
amatore della libertà e della patria, fino al punto da sopportare ogni
oltraggio per non sottoporsi “all’imperio d’altri”, che non conosce
altra “Ragione di Stato” se non quella di onestà e giustizia.
http://www.cde-bagnoaripoli.it/cde/gobetti2/zuccolo.htm