BIBLIOGRAFIA
Gli Antiartisti 2000 si sono lanciati nella caccia della paleografia
antiartistica a partire dal mondo greco(Platone) sino ad arrivare ai poeti-filosofi
romantici.
I semi in epoca moderna vanno trovati nei futuristi, surrealisti e dadaisti.
MONDO ANTICO
PLATONE
Filosofo greco (Atene 428/427-347
a.C.).
Di famiglia aristocratica, fu
discepolo di Socrate e, alla morte di questi, fu alla corte di Dionisio il Vecchio a
Siracusa. Costretto ad allontanarsi, fondò ad Atene (387) l'Accademia. Fu ancora due
volte a Siracusa (367 e 361), dove tentò inutilmente di attuare le sue idee politiche.
L'opera di Platone consta di 34
dialoghi, divisi in quattro gruppi; fra i principali: Apologia di Socrate, Critone,
Eutifrone, Menone, Repubblica (10 libri), Fedro, Simposio, Fedone, Teeteto, Parmenide,
Sofista, Filebo, Timeo, Leggi. A queste opere vanno aggiunte 13 Lettere.
Nei primi dialoghi sono affrontati
problemi di etica, circa il conseguimento della virtù, definita come sapienza e pertanto
insegnabile. In polemica con i sofisti, Platone pose come fondamento dell'essere e del
conoscere le idee, essenze pure e intelligibili che risiedono nell'iperuranio,
gerarchicamente ordinate nell'idea suprema del Bene. Al dualismo gnoseologico
(opinione-scienza) corrisponde quindi il dualismo metafisico tra il mondo sensibile in
divenire e il mondo immutabile delle idee la cui conoscenza è anamnesi o reminiscenza,
essendo l'anima per natura partecipe della natura delle idee. Su questo principio trova
fondamento la dottrina, d'origine orfico-pitagorica, dell'immortalità dell'anima (Fedone)
e, sul principio del dualismo tra mondo sensibile e intelligibile, la dottrina dell'eros
(amore), desiderio di conoscenza che media dialetticamente i sensi e la ragione, la
conoscenza e la pratica. La politica è, per Platone, l'attuazione della giustizia e
l'educazione dei cittadini, la cui organizzazione deve basarsi sulla divisione delle
classi (filosofi, guerrieri, artigiani).
Platone nutre una grande sfiducia nei
metodi politici in auge al suo tempo. E un tema che ha in comune con Socrate, ma dove il
maestro si era dedicato ad agire sui suoi concittadini P. sceglie il suo campo d'azione
lontano dalla patria, a Siracusa (come si sa, con un completo insuccesso).
I vari modi di governare, teorizza P.,
sono tutti inquinati
inquinati dal comune difetto di
considerare solo l'esteriore e il caduco nell'uomo e di non saper entrare nella sua
realtà interiore, l'unica vera. A questa capacità penetrativa nel reale non è
necessario educare tutto il popolo, ma solo una piccola élite di governanti (P. era un
aristocratico e ha del modo di governare una concezione aristocratica) che penseranno poi
ad attuarla ai loro posti di comando. Alla grande massa formata da lavoratori manuali e
commercianti Platone destina la produzione di beni; ai guerrieri la difesa dello Stato, ai
filosofi la sua direzione. A produrre il necessario disinteresse ai beni della vita
guerrieri e governanti dovranno mettere in comune ogni proprietà, non escluse le donne
(Repubblica).
I governanti devono distinguersi per
la sapienza (quindi governanti-filosofi); i guerrieri per per la fortezza; i produttori di
beni per la temperanza. Nell'armonia fra queste queste virtù lo Stato realizza la
giustizia, virtù che compete allo Stato, ma anche all'individuo quando egli assolve al
suo compito. Alla virtù dello Stato P. si appella quale condizione sine qua non per
l'educazione del cittadino; diversamente, si avrebbero le forme degenerative della
timocrazia (prevalere dei guerrieri sui filosofi), che a sua volta degenera nella
plutocrazia (governo dei ricchi) e questa in democrazia (potere anarchico delle masse),
che lascia il passo al peggiore dei governi, la tirannide.
Come ha eliminato la democrazia, P.
elimina anche le leggi: esse non sono necessarie perché l'individuo nell'adempimento dei
suoi compiti segue le sue attitudini (che costituiscono la vera norma del suo agire) e la
base morale, che gli ha fatto acquisire l'educazione. Cade così un altro presupposto
dello Stato costituzionale, la legge positiva, per lasciar prevalere la morale.
In rapporto alle attitudini, la
diversità di sesso non determina diversità sostanziali; quindi anche le donne, oltre a
essere madri e casalinghe, possono esercitare anche le arti della guerra e del governo.
Per l'educazione dei guerrieri e dei
governanti Platone ritiene necessaria la formazione del corpo mediante la ginnastica e
quella della mente con la musica (Repubblica e Leggi).
Per questi eletti l'educazione
comincia a sette anni ed è uguale per ambo i sessi, ma è data in ambienti diversi. La
ginnastica comprende tutti gli esercizi e mira a preparare il guerriero, ma soprattutto a
formare il carattere e la personalità morale.
Alla formazione della mente presiede
la musica, ma è consentita anche la poesia, purché purgata da ogni elemento irreligioso
o immorale.
Altre discipline sono le matematiche,
applicate alle arti militari, alla navigazione,
ROMANTICISMO
FRIEDRICH SCHLEGEL
Scrittore tedesco (Hannover
1772-Dresda 1829). Fratello di August Wilhelm e suo stretto collaboratore, soprattutto
nella rivista Athenäum, organo del romanticismo di Jena, spirito geniale, ma irrequieto,
condusse una vita errabonda e materialmente disagiata. A Berlino strinse amicizia con
Schleiermacher e Dorothea Veit, che divenne sua moglie nel 1804. Nel 1796 passò a
insegnare a Jena, dove fu amico di Tieck, Novalis, Fichte e Schleiermacher e in buoni
rapporti con Goethe di cui aveva esaltato il Meister, ma col quale ci fu poi un
raffreddamento. A Parigi, dal 1802 al 1804, insegnò filologia e lettere, studiò
sanscrito e letterature orientali e iniziò a pubblicare la rivista Europa (1803-05). Nel
1808 si convertì, come molti suoi coetanei di osservanza romantica, al cattolicesimo e si
stabilì a Vienna come professore; dal 1815 al 1818 fu funzionario della missione
austriaca alla Dieta di Francoforte e partecipò ai lavori del Congresso di Vienna,
assumendo posizioni sempre più reazionarie. Teorico e divulgatore geniale, egli aprì la
sua meditazione sulla poesia col saggio fondamentale nell'estetica del romanticismo
tedesco, Über das Studium der griechischen Poesie (1797; Sullo studio della
poesia greca), osanna di squisito sapore winckelmanniano e d'aperta rottura col
classicismo di Schiller, che lo colpì con feroci epigrammi. Egli svolse poi, nei Fragmente
usciti sull'Athenäum del 1798, una rivalutazione della poesia moderna ovvero
romantica, che, superando i confini dei generi, è in condizione d'incorporare
"progressivamente" tutto il visibile, tutto il già scritto in tutte le lingue
(di qui l'importanza delle traduzioni) e perfino la scienza, trasformandola in poesia, una
poesia appunto "universale".
Al tempo stesso, in Brief über den
Roman (1799; Lettera sul romanzo) egli stabiliva una relazione fra il
"romantico" dell'epica e della lirica medievale e il "romantico"
moderno, una continuità fra la sintesi arabo-normanna della cultura europea medievale e
la narrativa psicologica del Settecento (l'anello di congiunzione è il Don Chisciotte),
fra storia e finzione letteraria. Tale abolizione del confine tra storia e poesia sta alla
base dello sviluppo del romanzo e del dramma storico, generi per eccellenza dell'età
romantica. La Spagna, sutura fra Neolatini e Arabi, diventa simbolo del nuovo spazio; gli
Arabi sono a loro volta la via d'accesso all'Oriente, già simbolo massonico nel
Settecento, e all'India, che sarà ben presto considerata, anche dai linguisti, la culla
purissima dell'Europa: non a caso anche il cristianesimo proviene dall'Oriente.
Sull'India S. scrisse il saggio Die
Sprache und Weisheit der Inder (1808; La lingua e la sapienza indiana). Egli
esemplificò peraltro la sua concezione del romanzo moderno, privo di azione lineare,
commisto di narrazione, lettere, osservazioni, diari, sogni, nella Lucinde (1799),
apologia di un amore perfetto dei sensi e dell'anima, qual era quello da lui sperimentato
con la moglie Dorothea. Il romanzo, singolarissimo e oggi assai attuale, suscitò grande
scandalo per la sua libertà di linguaggio.BibliografiaM. Preitz, F. Schlegel und Novalis,
Darmstadt, 1957; H. Nüsse, Die Sprachtheorie F. Schlegels, Heidelberg, 1969; A. Klein,
Temi e motivi mistici nell'estetica di F. Schlegel, in «Rivista d'estetica», 17, 1972;
H. D. Weber, Schlegels Transzendentalpoesie, Monaco, 1973; F. Cuniberto, Friedrich
Schlegel e l'assoluto letterario, Torino, 1991.
AUGUST WILHELM SCHLEGEL
Scrittore tedesco (Hannover 1767-Bonn
1845). Figlio dello scrittore e critico letterario Johann Adolf (1721-1793), nipote di
Johann Elias e fratello di Friedrich, col quale pubblicò la rivista Athenäum, vero e
proprio organo di battaglia del primo romanticismo tedesco, detto di Jena, e avanguardia
del romanticismo europeo. Studiò a Gottinga teologia e filologia, fu collaboratore di
Schiller nel Die Horen e nel Musenalmanach. Nel 1798 fu chiamato a insegnare a Jena. Qui,
tra il 1799 e il 1800, si raccolsero intorno a lui, in un fervido sodalizio, Tieck,
Novalis, Schelling e Schleiermacher. Nel 1796 aveva sposato Caroline Michaelis, che
divenne poi moglie di Schelling. Fu amico e consigliere di M.me de Staël, che accompagnò
in vari viaggi in Europa. Insegnò infine, dal 1819 alla morte, letteratura e storia
dell'arte a Bonn, dove fondò gli studi di sanscrito e dove ebbe Heine fra i suoi allievi.
Più che creatore, S. fu traduttore, di geniale intuizione e raffinatissimo gusto, di
numerosi capolavori del teatro spagnolo e portoghese, ma soprattutto di Shakespeare, di
cui diede l'ormai classica traduzione di diciassette drammi (1797-1810). A lui si deve la
prima versione tedesca, sia pure parziale, della Divina Commedia (1791), che segnò
l'avvio degli studi romantici su Dante. Egli affiancò quest'attività a importanti studi
teorici sulla poesia, tra cui le Vorlesungen über schöne Literatur und Kunst (Lezioni
sulla letteratura e l'arte), tenute a Berlino nel 1801-04 e pubblicate postume nel 1883, e
le Vorlesungen über dramatische Kunst und Literatur (Lezioni sull'arte e la letteratura
drammatica), tenute a Vienna nel 1808 e subito rinomate: in queste lezioni, oltre a
contribuire all'enuclearsi della concezione romantica della "poesia universale
progressiva", S. avvia la rivalutazione delle letterature europee medievali. S.
lirico e drammaturgo è di gran lunga inferiore al critico, chiarificatore e coordinatore
delle idee dei primi romantici. Molto interessante il suo carteggio col fratello, con
Goethe e con Schiller. BibliografiaP. Gebhardt, A. W. Schlegel, Shakespeare-[Uersetzungen,
Gottinga, 1970; J. Körner, Romantiker und Klassiker. Die Brüder Schlegel und ihre
Beziehungen zu Schiller und Goethe, Darmstadt, 1971.
NOVALIS
Pseudonimo del poeta tedesco Friedrich
von Hardenberg (Wiederstedt, Mansfeld, 1772-Weissenfels 1801). Studiò a Jena (1790),
subendo l'influenza di F. Schiller, poi a Lipsia (1791), dove conobbe Fichte e strinse
amicizia con F. Schlegel, e a Wittenberg (1793). Nel 1795 si fidanzò con la tredicenne
Sophie von Kühn (morta tisica nel 1797). Nel 1797 entrò nell'Accademia mineraria di
Freiberg (Sassonia), sulle tracce della professione del padre, ispettore di saline, e per
un autentico interesse scientifico, che lo portò alla carica di assessore delle saline di
Weissenfels. Morì di tisi.
E' il principale rappresentante del
romanticismo di Jena. L'esperienza mistica dell'amore per Sophie e della morte di questa
è il centro propulsore della poesia e della prosa di N., fichtiano e cristiano. La
fanciulla, sublimata in simbolo di Cristo, della Sapienza e della Madre Terra, anima i tre
regni della Natura e le tenebre della Notte, che è madre e amante insieme, ed è
celebrata nelle 6 Hymnen an die Nacht (1797-99; Inni alla notte). Misti di
prosa ritmica e di versi, essi sono un testo chiave del romanticismo tedesco, oltre che
dell'idealismo magico di N., convinto che conferendo al "finito" uno splendore
"infinito", cioè "romantizzando" il mondo, se ne afferri anche il
significato originario, poiché l'universo stesso è scrittura poetica e messaggio mistico
alla coscienza del "mediatore": mediatori sono per N. il sacerdote, lo
scienziato e specialmente l'artista, che li riassume in sé.
Nel romanzo frammento Die Lehrlinge
zu Sais (1798; I discepoli di Sais) i dialoghi fra un gruppo di soavi
neoplatonici studiosi della Natura culminano nella fiaba filosofica Hyazinth und
Rosenblütchen (Giacinto e Fiorellin di Rosa), la prima fiaba del romanticismo, in cui il
giovane, simbolo dello Spirito, abbandona per avidità di nuove scoperte la fanciulla
amata, simbolo della Natura, cui ritornerà senza saperlo alla fine del cammino.
Anche il saggio Die Christenheit
oder Europa (1799), pubblicato postumo nel 1826, si può considerare il manifesto
della conversione dei romantici ai valori del cattolicesimo. La felice unità dell'Europa
medievale fondata sul cristianesimo fu spezzata da Lutero, intellettuale antesignano
dell'arido illuminismo e quindi della Rivoluzione francese, ma potrà ripristinarsi in un
rinato senso del miracolo.
Ispirato a questo sogno regressivo del
Medioevo è anche il Bildungsroman incompiuto Heinrich von Ofterdingen (1798-1801; Enrico
di Ofterdingen), contraltare romantico al Guglielmo Meister di Goethe, in quanto il
protagonista, ispirato dal magico fiore azzurro, simbolo della poesia, e dal maestro
Klingsor (in cui viene adombrata la figura di Goethe artista), persegue non un ideale di
autorealizzazione pratica, bensì la poesia "universale-progressiva", in cui
risolvere tutti i conflitti del mondo.
Bibliografia. J. Roos, Aspects
littéraires du mystucisme philosophique au début du Romantisme. Blake, Novalis,
Ballanche, Strasburgo 1951. L. Mittner, Ambivalenze romantiche, Messina-Firenze, 1954; C.
Grünanger, in Scritti minori di letteratura tedesca, Brescia, 1962; F. Hichel, Novalis,
deutscher Dichter, europäischer Denker, christlicher Seher, Berna, 1972; L. Pareyson, Il
poeta e la morte in Novalis, in «Rivista di estetica», 17, 1972; G. Moretti, L'estetica
di Novalis, Torino, 1991.
Friedrich Schelling
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Schelling
Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (Leonberg, 27 gennaio 1775 – Bad
Ragaz, 20 agosto 1854) è stato un filosofo tedesco, il secondo dei tre
grandi esponenti dell'idealismo tedesco, successore di Fichte e
predecessore di Hegel dal quale venne ben presto offuscato.
Indice
* 1 La vita
* 2 L'Idealismo estetico
o 2.1 La filosofia della Natura
o 2.2 L'idealismo trascendentale
o 2.3 La filosofia dell'identità assoluta
* 3 Il secondo Schelling
o 3.1 La filosofia positiva come filosofia dell'esistenza
* 4 L’eredità
* 5 Opere
* 6 Letteratura critica
* 7 Altri progetti
* 8 Collegamenti esterni
La vita [modifica]
Schelling nacque a Leonberg, in Germania, da un colto sacerdote
protestante. Ragazzo precoce, gli fu concesso di entrare a soli quindici
anni nel Tübinger Stift, il seminario di Tubinga, dove studiò teologia
assieme a Friedrich Hölderlin e Georg W. F. Hegel, coi quali si legò in
amicizia. L'entusiasmo suscitato in lui dal rinnovamento culturale che
sembrava innescato dal pensiero kantiano e dalla rivoluzione francese,
lo spinse ad accogliere e assimilare rapidamente la filosofia di Fichte.
Nel 1796 si trasferì come precettore a Lipsia, dove si occupò di scienze
naturali. Il successo delle sue prime opere gli fece ottenere nel 1798
una cattedra a Jena, dove frequentò il circolo romantico legandosi ai
maggiori esponenti del Romanticismo: Goethe, Novalis, Schiller,
Hölderlin, i fratelli Schlegel, e Fichte, della cui cattedra diventò ben
presto il successore, dopo che quegli era stato costretto alle
dimissioni. Sempre a Jena Schelling ritrovò anche Hegel; insieme, i due
collaborarono alla pubblicazione del Giornale critico della filosofia.
All'interno del circolo romantico Schelling conobbe Carolina, sposata
con Friedrich Schlegel ma da cui ella si separerà per diventare sua
moglie. Cominciarono intanto a manifestarsi gravi dissapori e polemiche
con Fichte, dovute più che altro all'incapacità di ciascuno dei due di
comprendere il punto di vista dell'altro.
Dopo aver ottenuto un'altra cattedra a Würzburg, nel 1806 Schelling si
trasferì a Monaco, dove maturò una svolta profonda nella sua filosofia,
a cui contribuirono vari eventi: l'incontro con Baader che gli fece
conoscere il pensiero di Böhme, la morte di Carolina, gli attacchi alla
sua filosofia da parte di Hegel, Jacobi ed altri, ma anche esigenze
interne al suo percorso filosofico. Dopo il 1809 si isolò in un lungo
silenzio, impegnandosi nella stesura di un'opera mai conclusa, Le età
del mondo. Nel 1812 sposò Paulina Gotter, che gli resterà sempre accanto
e gli darà sei figli. Nel 1821 Schelling insegnò a Erlangen e dal 1826 a
Monaco, dove l'anno seguente terrà le Lezioni monachesi sulla storia
della filosofia moderna. Nel 1841 venne chiamato alla cattedra di
Berlino che era stata di Hegel. Qui, dove ebbe tra i suoi uditori anche
Kierkegaard, sviluppò l'ultima fase del suo pensiero, in aperta polemica
contro l'idealismo hegeliano, affermando l'autonegazione della ragione
dialettica per ristabilire il primato dell'essere parmenideo. Suscitò
grande attrazione, ma i suoi richiami caddero nel vuoto. Ritiratosi
definitivamente dall'insegnamento, morirà quasi dimenticato a Bad Ragaz,
in Svizzera, il 20 agosto 1854.
L'Idealismo estetico
Schelling si occupò inizialmente soprattutto di Immanuel Kant e Johann
Gottlieb Fichte. La sua prima dissertazione L'io come principio della
Filosofia (1795) era molto vicina alle idee di Fichte. Schelling
mantiene infatti il motivo fichtiano del primato della filosofia
pratica, come attività articolata in tre momenti: espansione creativa e
infinita dell’Io, produzione inconscia di un limite che vi si
contrappone, presa di coscienza e superamento di una tale
auto-limitazione tramite l’agire etico; Schelling le dà però una diversa
connotazione, nella quale anche il momento del non-Io viene valorizzato.
Non più solo l'idealismo, ma anche il realismo viene dunque
giustificato, nel tentativo di dare organicità e coerenza al kantismo su
un piano ontologico. Influenzato da Spinoza, finisce così per conciliare
il criticismo con il dogmatismo: questi due sistemi filosofici, che a
prima vista sembrano inconciliabili, sono in realtà convergenti, perché
l'uno parte dal soggetto, l'altro dall'oggetto, mirando entrambi al loro
punto di unione. Ma partendo ciascuno da un punto di vista unilaterale,
rischiano di smarrire il principio ad esso complementare: soggetto e
oggetto infatti sono una realtà sola, visibile ora in un verso, ora
nell’altro, ma comunque non scomponibile. Dialetticamente infatti un
soggetto è tale solo in rapporto a un oggetto, e viceversa.
Compito della filosofia è allora raggiungere l'Assoluto, inteso alla
maniera di Plotino e Cusano come l'Uno nel quale gli opposti coincidono,
e situato al di là del processo conoscitivo, cioè di quella conoscenza
puramente teoretica che in quanto tale comporta opposizione con
l'oggetto reale della propria indagine ed è perciò limitata e finita.
L'Assoluto è inconoscibile perché conoscere significa collegare,
relazionare qualcosa con altro da sé; ma poiché l'Assoluto ha già tutto
dentro, non ha un termine di riferimento esterno con cui possa
relazionarsi; tuttavia va ammesso, con un'autocoscienza immediata che è
la fichtiana intuizione intellettuale, perché altrimenti si rimane nella
contrapposizione di soggetto e oggetto, che è una contraddizione logica.
La reciproca complementarietà di questi due termini opposti, però, si
realizza come piena identità solo nell’azione pratica, mentre sul piano
teorico si resta nel dualismo tra criticismo e dogmatismo, e il finito
può accedere all’infinito solo negando se stesso. Il motivo di questa
antitesi tra identità e dualismo, teoria e pratica, finito e infinito,
costituisce secondo Schelling il problema centrale di ogni filosofia.
Per superarlo, come spiega nel Panorama della più recente letteratura
filosofica, occorre postulare che l’assoluto non sia né infinito, né
finito, bensì l'originaria unione dell'infinità e della finitezza: il
soggetto infatti, cioè lo Spirito infinito, è pura attività soggettiva,
ma un’attività è tale solo in quanto produce un’azione, cioè si fa
oggetto. E a sua volta l’oggetto, che è spinozianamente la natura, ha
bisogno di un soggetto o una ragione che lo ponga. Così da un lato lo
Spirito, conoscendo se stesso, risulta condizionato da se stesso, e
perciò si auto-limita, diventando finito; d'altra parte, nella sua
attività è al tempo stesso incondizionato, non avendo nulla fuori di sé.
Lo Spirito si riflette nella Natura che è dunque spirito pietrificato.
La loro unione immediata è il vero Assoluto, in quanto ha in sé la
soggettività e l’oggettività, l’essere e il pensiero, il finito e
l’infinito, spirito e materia, attività e passività; esso è
l’Indifferenza di Natura e Ragione.
Per l’importanza attribuita all'arte come punto di fusione di questi due
estremi, l'Idealismo di Schelling sarà detto estetico.
La filosofia della Natura [modifica]
Schelling muove quindi alla ricerca della struttura ontologica
dell'assoluto, che in Fichte restava invece irraggiungibile.
L'attenzione viene rivolta allo spirito oggettivato, che è «lo specchio
finito dell'infinito»: la natura. Tale oggettivazione è pur sempre
spirito, e quindi un assoluto che ha le stesse qualità dell'Io, però è
inconscio e in quanto oggettivato si rende indipendente. La scienza
della natura deve dunque possedere in sé il suo proprio principio (da
osservare con le sue discipline quali chimica e fisica), si costituisce
cioè in scienza autonoma rescindendo la dipendenza dall'Io fichtiano.
Ciò comporta che la natura non può essere un semplice meccanismo
eterònomo (soggetto a leggi esterne), ma va concepita come una vita
retta interiormente da una profonda unità: come un organismo vivente.
Riprendendo un'antica immagine plotiniana, Schelling chiama anima del
mondo (Weltseele) la forza unitaria che muove la natura.
Poiché l'unità è tale sempre solo in rapporto a un'opposizione, in
quanto cioè unifica un dualismo (quale era la dinamica io/non-io), ciò
deve valere anche per lo spirito inconscio o natura, nel quale è
presente così una polarità, principio attestato anzitutto dal
magnetismo. Nella sua visione di totalità della natura, che era propria
della filosofia rinascimentale e Schelling recupera in particolare da
Giordano Bruno (al quale dedicherà uno scritto, Bruno del 1802), vi è
compreso anche l'uomo, che rappresenta il vertice, il punto di passaggio
in cui lo spirito inconscio oggettivato prende coscienza di sè. Si
tratta di una concezione della natura antitetica al meccanicismo
determinista, perché in essa non sono le singole parti a formare e
spiegare il tutto, ma, al contrario, è a partire dall’autocoscienza
intelligente che è possibile comprendere i gradi inferiori, i quali sono
solo aspetti o limitazioni dell’unico organismo universale: nella natura
vi è un'intenzionalità, un evoluzionismo finalistico che la fa passare
dagli organismi più semplici a quelli più complessi. La natura, dice
Schelling, è un'«intelligenza sopita», uno «spirito in potenza». Scrive
ad esempio:
« La tendenza necessaria di tutte le scienze naturali è di andare dalla
natura al principio intelligente. Questo e non altro vi è in fondo ad
ogni tentativo diretto ad introdurre una teoria nei fenomeni naturali.
La scienza della natura toccherebbe il massimo della perfezione se
giungesse a spiritualizzare perfettamente tutte le leggi naturali in
leggi dell’intuizione e del pensiero. I fenomeni (il materiale) debbono
scomparire interamente, e rimanere soltanto le leggi (il formale).
Accade perciò che quanto più nel campo della natura stessa balza fuori
la legge, tanto più si dissipa il velo che l’avvolge, gli stessi
fenomeni si rendono più spirituali ed infine spariscono del tutto. I
fenomeni ottici non sono altro che una geometria, le cui linee sono
tracciate per mezzo della luce, e questa luce stessa è già di dubbia
materialità. Nei fenomeni del magnetismo scompare ogni traccia
materiale, e dei fenomeni di gravitazione non rimane altro che la loro
legge, la cui estrinsecazione in grande è il meccanismo dei movimenti
celesti. Una teoria perfetta della natura sarebbe quella per cui la
natura tutta si risolvesse in un’intelligenza. »
Questa finalità della natura è risaltata dall'introduzione del concetto
di potenza, col quale Schelling designa i tre diversi momenti del
rapporto di identità tra realtà e idea: dal regno dell'inorganico,
stadio della realtà, al quale appartengono le tre forze del magnetismo,
dell'elettricità e del chimismo (che è l'insieme dei legami e dei
rapporti derivanti dalla chimica), la natura passa al secondo livello,
quello della luce, considerato il momento dell'idealità, in quanto nella
luce essa in un certo senso prende coscienza di sé; la terza potenza,
unificatrice delle prime due, è il mondo organico, retto dalle tre forze
della sensibilità, eccitabilità e riproduzione, al vertice del quale,
come si è detto, c'è l'uomo.
I principi fondamentali che reggono la Natura possono essere così
sintetizzati:
* Polarità: ogni grado della natura è costituito da una coppia
antitetica ma complementare;
* Coesione: l'interazione delle forze che mirano a riequilibrarsi;
* Metamorfosi: la trasformabilità degli elementi gli uni negli altri;
* Potenza: ogni grado della scala evolutiva è il risultato della
trasformazione dal suo precedente;
* Analogia: l'affinità dei fenomeni, con la quale Schelling abilmente
utilizza e generalizza alcune importanti scoperte scientifiche.
In questa prima fase del suo pensiero però Schelling rifiuta il
principio della forza vitale intesa come origine sconosciuta e oscura
delle forze organiche, poiché vi vedeva un'analogia con l'inaccettabile
concetto della kantiana inconoscibile cosa in sè.
L'idealismo trascendentale [modifica]
Come la natura si evolve verso il principio intelligente, così lo
Spirito percorre il processo inverso, che si attua nella Storia: nel
Sistema dell'idealismo trascendentale Schelling affronta così la
"filosofia della coscienza", parallela alla filosofia della natura,
ricostruendo le attività dell'Io, al quale si accede soltanto con
un'intuizione immediata e interna, poiché esso non è un semplice sapere
oggettivabile dall’esterno, ma è un sapere del sapere.
La prima epoca di sviluppo della Coscienza è il momento dell'oggettività
nel quale l'oggetto viene appreso come estraneo al soggetto, perché in
realtà esso è frutto di una produzione inconscia, che la coscienza non
riconosce ancora come tale. La seconda epoca è invece caratterizzata dal
sentimento di sè: l'Io scopre come le sue categorie di pensiero siano i
prodotti della sua stessa attività, prendendo consapevolezza della
propria produzione inconscia. Nella terza epoca l'Io si innalza al di
sopra della conoscenza, costituita dalla corrispondenza tra forme
inconsce della natura e forme consce del pensiero, per manifestare la
sua spontaneità pura. In quest'ultima fase l'Io pone se stesso ed è
essenzialmente volontà, non oggettivabile perché implica un superamento
della stessa fase conoscitiva.
Nella Storia agisce e si attua questa volontà. Schelling vede la storia,
come già la natura, in un'ottica finalistica, come una progressiva
realizzazione del Soggetto trascendentale nell'assoluto; (trascendentale
è un termine kantiano per indicare appunto l'attività del soggetto nel
suo rapportarsi all'oggetto, attività che si produce nella coscienza
critica del filosofare stesso). Ma la libertà dell'Io qui può apparire
come arbitrio, perché la legge del dovere non è come la necessità
naturale: l'Io può seguirla o non seguirla. E tuttavia la libertà non è
qualcosa di irrazionale, ma piuttosto di sovra-razionale, poiché essa si
attua nella volontà di scegliere la razionalità stessa dell'etica,
divenendo condizione della sua realizzazione. Per cui la storia non è un
seguito sconnesso di azioni puramente arbitrarie: essa è paragonata da
Schelling a un dramma in cui Dio è autore e l'uomo l'attore che
collabora all'invenzione del proprio ruolo. Nell'agire etico così la
filosofia pratica da un lato si avvicina progressivamente e
indefinitamente all'assoluto, ma come già in Kant e Fichte, ha il limite
di non poterlo realizzare compiutamente. Essa è una "dimostrazione" mai
conclusa dell'assoluto, che come tale resta quindi ancora (seppure in
forme via via minori) oggetto di fede.
A differenza di Fichte però, Schelling, recuperando l'idea kantiana del
bello di natura, riconosce nel momento estetico dell'arte il punto in
cui lo scarto tra idea e realtà, spirito e natura, attività conscia e
inconscia, si annulla in maniera definitiva. Nell'arte agisce infatti
quell'intuizione produttiva che la filosofia teoretica può solo
riconoscere, ma non realizzare. L’azione estetica è paragonabile a una
natura creatrice che obbedisce alle leggi che essa si dà. Il genio cioè
non opera in vista di un fine esterno, ma l’unico scopo del suo operare
è l’operare stesso; guidato da un’ispirazione profonda, che egli domina
lasciandosene dominare, egli è consapevole e inconsapevole nello stesso
tempo. L'artista nella sua attività creatrice realizza così l'unità di
ideale e reale dopo che questi due, nella coscienza dell'uomo, sono
stati separati. Per questo l'intelletto non può mai esaurire la
comprensione dell'opera d'arte: essa infatti è un infinito, e non
essendo finito non è oggettivabile. Solo con l'intuizione artistica la
filosofia raggiunge il suo scopo, perciò l'arte è per Schelling l'organo
principe della filosofia.
Con Schelling la teoria romantica dell'arte ha ricevuto così la sua più
profonda teorizzazione. Presentando l'arte come manifestazione
dell'assoluto in cui cogliere l'indifferenza degli opposti, Schelling è
considerato il maggior esponente della corrente dell’Idealismo Estetico.
La filosofia dell'identità assoluta [modifica]
A fronte delle obiezioni di Fichte, secondo cui dal punto di vista del
soggetto e del filosofare critico non può sussistere il supposto
parallelismo tra il procedere della filosofia della natura e il
procedere dell'idealismo trascendentale (poiché, se dall'autocoscienza è
possibile andare alla natura, il percorso che va dalla natura
all'autocoscienza si comprende solo in quanto quest'ultima è già
presupposta dalla stessa filosofia trascendentale), Schelling
nell’Esposizione del mio sistema di filosofia del 1801 chiarisce di
volersi porre non dal punto di vista del soggetto trascendentale, ma dal
punto di vista dell'assoluto, nel quale la soggettività e l'oggettività
sono coessenziali e hanno pari dignità ontologica. Ora egli vuole
partire così dal loro punto di unità e identità, nel quale la ragione
non ha bisogno di uscire da se stessa e dalla propria visione
unilaterale per attingere l'assoluto (com'era nella prospettiva limitata
della coscienza critica trascendentale che doveva superarsi nella
creazione artistica), ma si identifica immediatamente con l'assoluto
stesso. Questa sua filosofia dell'identità vuole essere una "filosofia
assoluta" perché identità non significa sintesi e nemmeno
indifferenziazione, ma necessaria relazione e unità degli opposti:
l'idealità cioè implica il reale e viceversa. Sono due poli dei quali
l'uno è la potenza dell'altro. Come spiega nel Bruno, dove emergono
chiare ascendenze neoplatoniche, all'assoluto sono essenziali due
momenti: l'identità e la differenza, o in altre parole, unità e
opposizione. L'assoluto va cioè definito come l'identità di "identità e
differenza". L'introduzione della differenza rende possibile la
molteplicità. L'esplicazione dell'assoluto nell'infinita molteplicità
dell'universo è necessaria proprio perché il momento della differenza è
essenziale come quello dell'identità. Tale attività si dualizza così in
una polarità di forze opposte, una positiva e una negativa ( + / - ), ma
quella positiva (attrazione) la configura come Una, quella negativa
(repulsione) la configura come molteplice e polarizzata, tale per cui
ogni polo è a sua volta l'unione di un ' + ' e un ' - '. L'Uno si
ritrova nei molti, e i molti sono infinite sfaccettature dell'Uno.
Nulla dunque si trova al di fuori dell'assoluto: esso è l'Uno e il
Tutto. La natura è in Dio, e poiché ogni realtà è rispecchiamento
dell'assoluto, il mondo è perfetto da sempre. Come mai però esso non ci
appare affatto così, ma sottoposto alla temporalità e alla contingenza?
Questo fatto viene spiegato da Schelling come la conseguenza di una
conoscenza inadeguata e ancora allo stadio inconsapevole. Si tratta cioè
di una semplice apparenza. Per spiegare come questo punto di vista
inadeguato, tipico dell'uomo, sia potuto sorgere, in Filosofia e
religione del 1804 egli risale all'assoluto: l'assoluto oggettivandosi
pone l'assoluto oggettivato. Quest'ultimo, essendo a sua volta un
assoluto (non potendo l'infinito essere logicamente diviso), può porsi
in autonomia, ma così facendo perde il vincolo dell'unità fornito
dall'assoluto originario e si disperde nella temporalità e nella
contingenza. Schelling parla a questo proposito di caduta, introducendo
nel sistema un momento di irrazionalità: questa caduta secondo Schelling
è legata ad un atto di libertà umana, non spiegabile razionalmente
perché essendo libero non è riconducibile a una necessità logica. Una
simile lacerazione e dualità in potenza fornisce però una preziosa
indicazione: l'universo schellinghiano non è mai esaurito dalla sola
razionalità, il che lo colloca in prospettiva in un superamento
dell'idealismo assoluto che troverà invece in Hegel il maggiore e
definitivo interprete.
La "filosofia dell'identità assoluta" intendeva tuttavia proporsi in
quegli anni come un'interpretazione estremamente statica dell'universo,
cosa che venne alquanto contestata dall'amico Hegel: questi rimproverava
a Schelling di aver in sostanza annullato la storicità e la molteplicità
del divenire, annacquandone le diversità e le particolarità nell'unità
indifferenziata dell'Assoluto, riducendo tutto a spirito; è rimasta
celebre la definizione dell'idealismo estetico da parte di Hegel, da
questi paragonato a "una notte in cui tutte le vacche sono nere".
Il secondo Schelling [modifica]
Friedrich Schelling
Assistendo al trionfo di Hegel, che aveva creduto di risolvere l'intera
realtà e le sue contraddizioni nella Ragione assoluta, Schelling
svilupperà in una fase più matura della sua vita una nuova filosofia,
nello sforzo di confutare e superare il pensiero di Hegel e rispondere
alle critiche mossegli dal suo ormai ex-amico. Egli reinterpreterà così
l'idealismo tedesco non più nell'ottica hegeliana dell'immanentismo
logico, ma riaffermando i temi della libertà e della trascendenza. Come
già era successo al suo predecessore Fichte, egli si attesterà inoltre
su posizioni sempre più vicine al cristianesimo, quello cattolico in
particolare.
Quella che si suole definire la seconda fase della filosofia di
Schelling può essere fatta iniziare con il 1809, data di pubblicazione
delle Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana.
Ricollegandosi a una lunga tradizione mistica tedesca che aveva trovato
in Jakob Böhme il maggiore esponente, Schelling ripercorre il problema
da lui già affrontato in precedenza della derivazione della molteplicità
dall'unità indistinta. Per giustificare la presenza della molteplicità e
della storicità, senza ridurle a semplici finzioni e apparenze (che era
l'accusa mossagli da Hegel), e per evitare al contempo la caduta in un
dualismo che opponga rigidamente l'unità indistinta di Dio alla
molteplicità dispersa delle cose, secondo Schelling occorrerà
riconoscere che questa molteplicità storica trova in Dio stesso un
fondamento.
Ciò implica che Dio sia un Dio vivo ed esistente, e che la storia, il
divenire, la vita, non siano estranei a Dio, ma costituiscano la sua
stessa essenza. Per cui Dio non soltanto è, ma diviene. Rifacendosi al
precedente bipolarismo spirito/natura, Schelling afferma che il divenire
di Dio è possibile perché in lui la Natura è una sorta di fondamento
oscuro, un abisso profondo a partire dal quale Dio si costituisce come
Persona vivente e si rivela. Da questo abisso di tenebra Dio emerge,
trionfando sull'oscurità e attestando la vittoria della luce sulle
tenebre. Il modo in cui questo rivelarsi di Dio si attua non è però
senza lotta; questo fondo oscuro su cui Dio trionfa rappresenta la molla
negativa del divenire umano. In questo fondo oscuro trova la propria
radice il male, e nella vittoria su di esso la libertà manifesta la
propria possibilità di scegliere il bene.
Mentre in Dio il fondamento e l'esistenza sono una cosa sola, in
un'unità che non si spezza mai, nell'uomo invece, che è un Dio in
divenire, essi sono in un'unità precaria. Per questo l'uomo può
disgiungere l'unità dei due principi opposti, introducendo una
molteplicità non più riconducibile ad unità. La strada della ribellione
è imboccata e il male è scelto. Il male dunque, che trova il proprio
radicamento ultimo in Dio, essendovi presente però come possibilità
vinta (sebbene non cancellata), nell'uomo diventa una possibilità reale.
A causa della sua intrinseca irrazionalità, la sola ragione non è
sufficiente per sconfiggerlo, ma è necessaria anche la fede. L'uomo,
visto come come immagine di Dio, è un Dio caduto che ha scelto la
separazione anziché l'unità. Il tentativo dell'uomo di ricucire la
separazione tra il fondo oscuro della Natura e la luce della Ragione,
attesta però non solo il suo carattere peccaminoso, ma anche quello
divino. Nella caduta Schelling vede già implicita la redenzione.
In questo modo Schelling ha ottenuto tre risultati:
* Ha riconosciuto, diversamente da quanto aveva fatto nella sua prima
filosofia, il carattere personale di Dio e lo ha concepito come Dio
vivente, secondo una prospettiva che lo avvicina notevolmente al
cristianesimo.
* Ha elaborato una dottrina del male che, senza cadere nel manicheismo,
si sforza di riconoscere il carattere positivo del male, meglio di
quanto non facesse la tradizione risalente ad Agostino che riduceva il
male a semplice non-essere.
* Si pone in polemica aperta e irriducibile contro Hegel e il suo
panlogismo: il problema del male infatti pone in luce come non tutto
nella filosofia possa essere spiegato in termini puramente razionali.
Poiché il male è tale proprio per la sua irriducibile e insondabile
irrazionalità, esso non può essere spiegato totalmente, ma ciò
nonostante la filosofia deve sforzarsi di penetrarne il significato.
Il distacco da Hegel, e dalla sua pretesa di razionalizzare tutto, è
così definitivamente consumato.
La filosofia positiva come filosofia dell'esistenza [modifica]
Una fotografia di Friedrich Schelling del 1848
L'ultima fase del pensiero di Schelling, che giunse dopo un lungo
periodo di silenzio, si definisce con il termine di "filosofia
positiva"; questa trova espressione nella Filosofia della mitologia e
nella Filosofia della Rivelazione.
Secondo Schelling, il pensiero puramente logico si lascia sfuggire il
divenire e la storia concreta, la mitologia invece (considerata in senso
positivo e non come forma primitiva e inadeguata di conoscenza) esprime
le verità e i significati fondamentali dello sviluppo storico,
consentendo una comprensione più adeguata della realtà. Il mito per
Schelling non ha valore allegorico, ma è tautegorico, cioè significa
solo se stesso in quanto esprime un momento di sviluppo nel lungo e
travagliato cammino della coscienza umana.
Analogamente la filosofia della rivelazione vuol mettere in luce come
l'aspetto storico del cristianesimo non è puro rivestimento esteriore,
ma è anzi l'essenza intima e il valore sommo di questa religione.
L'incarnazione del Cristo, infatti, non è una verità razionale
mascherata (come diceva Hegel), ma l'attestazione del carattere
intimamente storico della religione cristiana.
Una filosofia razionalistica come quella hegeliana avrebbe dovuto
accontentarsi di determinare l'essenza delle cose, la loro struttura
logica, essendo incapace di riconoscere e comprendere l'esistenza. Al
contrario Hegel ha preteso di costruire un sistema filosofico sia
razionale che storico. Ma questa è per Schelling una mistificazione:
Hegel non ha risolto le contraddizioni tra Ragione e Realtà, ha solo
messo la ragione al posto del reale, non avendo voluto distinguere tra
filosofia positiva e filosofia negativa, confondendole.
La filosofia negativa è in grado soltanto di indicare in che modo si
deve necessariamente pensare la realtà, ma mai in grado di indicare come
la realtà venga all'esistenza. Essa punta al concetto, al sistema, ma si
lascia sfuggire l'esistenza. La filosofia negativa ha dunque una
funzione importante, ma propedeutica; essa deve essere completata da una
filosofia positiva, da un pensiero cioè in grado di render ragione del
dato, del fatto empirico, dell'esistenza: in una parola, della storia.
La filosofia positiva implica così il superamento del momento negativo,
che avviene quando la ragione, dopo essersi appropriata di tutto
l'essere in termini logici, prende atto di non essere lei stessa il
principio assoluto, poiché riconosce che il suo pensare deve provenire
da un Essere che lo rende possibile. Posta di fronte al proprio stesso
principio la ragione non può dominarlo, poiché esso sempre la trascende.
Per questo, nel rapportarsi ad esso, si trova fuori di sè, in
atteggiamento estatico. Gli autori a cui Schelling intende chiaramente
rifarsi in quest'ultima fase del suo pensiero sono ancora una volta
Plotino e i mistici neoplatonici.
L’eredità [modifica]
Per quasi tutto l’Ottocento Schelling venne interpretato alla luce di
Hegel, come un momento determinante dello sviluppo dell’Idealismo che
trovi il suo compimento nel pensiero hegeliano. Tale linea
interpretativa tendeva a offuscarne le enormi differenze, e in
particolare la sua seconda filosofia, che ebbe influenze profonde, anche
se spesso sotterranee, nelle correnti anti-positiviste e anti-marxiste
della seconda metà dell’Ottocento (parallelamente a Schopenhauer).
L’interesse che Schelling aveva suscitato con l’enunciazione della
filosofia positiva era stato peraltro vivissimo; ad ascoltarla
convenirono tra gli altri Engels, Bakunin, e Kierkegaard, il quale ne
recepì il richiamo all’esistenza, che per lui tuttavia sembrava non
tradursi mai concretamente nella scoperta della singolarità dell’uomo.
In seguito, ne verranno sotteraneamente influenzate anche l'antroposofia
di Steiner, nonché le correnti estetiche decadentiste e l’irrazionalismo
di Nietzsche, sebbene Schelling non volesse fare dell’assoluto e
dell’esistenza un fatto soltanto irrazionale e del tutto
incomprensibile. Non si può trascurare neppure il rilievo dato da
Schelling alla nozione di inconscio, contribuendo alla formazione del
contesto culturale in cui sarebbe sorta la psicanalisi, e in particolare
quella di Carl Jung. Dell’idealismo schellinghiano si nutrì inoltre il
pensiero francese fino a permeare soprattutto la filosofia di Bergson. A
Schelling si ispirò anche la filosofia esistenzialistica di Heidegger,
Jaspers e Marcel. Sul piano teologico l’importanza di Schelling sta
nell’aver recuperato la Rivelazione nella sua positività e storicità. La
recente riscoperta dell’ultimo Schelling, infine, è stata conseguenza
dello sforzo di superamento del pensiero di Hegel e di
un’interpretazione dell’idealismo tedesco non più nell’ottica hegeliana.
Opere [modifica]
* Über Ich als prinzip der Philosophie oder Über das Umbedingte im
menschliche Wissen (L'io come principio della Filosofia o sul fondamento
della conoscenza umana), 1795
* Philosophische Briefe Über Dogmatismus und Kritizismus (Lettere
filosofiche su dogmatismo e criticismo), 1795-1796
* Allgemeine Übersicht der neuesten philosophischen Literatur (Panorama
della più recente letteratura filosofica), 1797
* Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della
natura), 1797
* Von der Weltseele (Sull’anima del mondo), 1798
* Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie (Primo abbozzo di un
sistema della Filosofia della Natura), 1799
* System des transcendentalen Idealismus (Sistema dell'idealismo
trascendentale), 1800
* Darstellung meines Systems der Philosophie (Esposizione del mio
sistema di filosofia), 1801
* Bruno, oder das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge (Bruno,
ovvero il principio divino e naturale delle cose), 1802
* Philosophie der Kunst (Filosofia dell’arte), lezioni del 1802-1803
* Philosophie und Religion (Filosofia e religione), 1804
* System der gesammten Philosophie und der Naturphilosophie insbesondere
(Sistema dell'intera filosofia e della Filosofia della Natura in
particolare), 1804
* Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit
(Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana), 1809
* Die Weltalter (Le età del mondo ), 1811: ci sono varie versioni di
questo testo rimasto incompiuto
* Philosophie der Mythologie (Filosofia della mitologia), lezioni del
1842
* Philosophie der Offenbarung (Filosofia della rivelazione), lezioni del
1854
KARL ROSENKRATZ
Filosofo tedesco (Magdeburgo
1805-Königsberg 1879). Insegnò ad Halle e quindi all'Università di Königsberg quale
successore di Herbart. Seguì Hegel nella filosofia della natura, ma se ne allontanò
asserendo la necessità di separare la logica dalla metafisica. Opere principali: Aestetik des Hässlichen (1838-39; Estetica
del brutto), System der Wissenschaft (1850; Il sistema della scienza), Wissenschaft
der logischen Idee (1858-59), Hegel als deutscher Nationalphilosoph (1870).
FEDERICO SCHILLER
Drammaturgo e poeta tedesco
(1759-1805).
La sua produzione giovanile, fiorita
nel clima dello Sturm und Drang, fu polemica esaltazione della libertà politica.
Attraverso lo studio di Kant e l'amicizia con Goethe, Schiller attinse poi un più maturo
ideale di libertà morale e di classica armonia. Negli ultimi drammi, infine, pervenne ad
uno stile nuovo, improntato al realismo romantico. Dal 1787 si stabilì a Weimar, dove con
Goethe diresse il teatro di corte. Drammi: I Masnadieri (1781), La congiura del Fiesco a
Genova (1782), Amore e intrigo (1783), Don Carlos (1787), Wallenstein (trilogia,
1796-1799), Maria Stuarda (1801), La pulzella di Orléans (1801), Guglielmo Tell (1804).
Poesie: Odi (1786-1789; fra cui Alla gioia, Gli dei della Grecia), Xenie (1797), Ballate
(1798). Saggi: Storia della decadenza dei Paesi Bassi (1789), Storia della guerra dei
Trent'anni (1791-1793), Grazia e decoro (1793), Della poesia ingenua e sentimentale
(1795).
Die Räuber, l'opera
schilleriana più fortunata sia in Germania sia all'estero, all'estero, e Kabale und Liebe
avevano segnato la rottura con la concezione razionalistica del linguaggio teatrale e
stabilito, insieme con le opere giovanili di Goethe per il teatro, il nesso fra la parola
drammatica e la libera espressione del sentimento. La violenza di effetti dei Räuber,
dove i caratteri sono eccessivi nel bene e nel male, nei lavori posteriori andò
attenuandosi per dar luogo a una profonda visione della storia e dei miscugli
contraddittori della psiche; come già si rileva nel Don Carlos, che segna il distacco
anche dallo Sturm und Drang, il furore individualistico e il mondo del cuore si vanno
stemperando entro il contesto politico, e S. si stacca dall'ambiente borghese per mettere
a fuoco quello dei protagonisti della storia e per scrivere «il dramma della politica»
(H. Mater).
I drammi successivi si possono
considerare prove e riprove di questo genere di teatro specificamente schilleriano, ed
esempi di un progressivo arricchirsi della macchina scenotecnica, ciò che influì,
insieme con la forte vena patetica dello svevo, sul melodramma ottocentesco, e in
particolare su Giuseppe Verdi.
L'utopia classico-illuministica della
possibile educazione dell'uomo, tramite l'arte, a un'armoniosa socialità e all'accordo
all'accordo intimo delle facoltà (accordo proprio dell'"anima bella", di
ascendenza pietistica) gli dettò le tre grandi poesie An die Freude (1786; Alla gioia),
musicata da Beethoven nella IX Sinfonia, Die Götter Griechenlands (1788; Gli dei della
Grecia) e Die Künstler (1789; Gli artisti).
L'incontro con la Critica della ragion pratica e con la Critica del giudizio di Kant,
avvenuto in quegli anni, fu fondamentale per la formazione del pensiero estetico di
Schiller. Dopo un'altra imponente opera storica, Geschichte des Dreissigjährigen Kriegs
(1791-93; Storia della guerra dei Trent'anni), videro infatti la luce i grandi trattati su
natura e funzione della poesia in quanto luogo di coincidenza fra bellezza e verità,
estetica e morale, Über die tragische Kunst (1792; Dell'arte tragica), Über das
Pathetische (1793; Del patetico), Über Anmut und Würderde (1793; Della grazia e
dignità) e Briefe über die ästhetische Erziehung des Menschen (1795; Lettere
sull'educazione estetica dell'uomo), che si accostano al pensiero politico-sociale di
Fichte.
Il famoso e ancor oggi attuale Über
naive und sentimentalische Dichtung (1795-96; Della poesia ingenua e sentimentale)
teorizza la differenza ontologica tra la poesia spontanea, intuitiva, "naturale"
degli antichi e di pochi grandi moderni, quali Goethe e Shakespeare, e quella colta,
speculativa dei moderni, nostalgici della naturalità perduta e quindi inclini all'elegia,
alla satira e alla rappresentazione dell'"ideale".
Al trattato si affianca una serie di
poesie filosofiche, tra cui Das Ideal und das Leben (1795; L'ideale e la vita), il cui
protagonista, Ercole, simbolo dell'umanità, è assurto alla felicità degli dei in forza
delle sue fatiche, e Der Spaziergang (1795; La passeggiata), fondate entrambe sul
contrasto kantiano tra fenomeno e noumeno, necessità e libertà, e il notissimo poemetto
Das Lied von der Glocke (1800; (1800; Il canto della campana), dove l'ardua impresa
collettiva della fusione di una campana è volta in una vera e propria apologia dei valori
borghesi del lavoro e della famiglia.
Insieme a Goethe pubblicò, dal 1796
al 1800, la rivista Musenalmanach, e su questa, nel 1797, la raccolta a quattro mani degli
Xenien (Epigrammi), diretti in gran parte contro la letteratura filistea del tempo, e nel
1798 le ballate di entrambi: tra queste Der Ring des Polykrates (L'anello di Policrate),
Der Taucher (Il tuffatore), Die Kraniche des Ibykus (Le gru di Ibico), Der
HandschuhHandschuh (Il guanto), che sono fra i più popolari testi di Schiller.
L'opera di S., il cui principio
animatore appariva, già agli occhi di Goethe, l'idea della libertà, ebbe immediata eco
presso i romantici, che in essa scorsero però in primo luogo una teoria della poesia
moderna come rappresentazione dell'assoluto irraggiungibile, come riflessione sentimentale
sostitutiva della perduta sensibilità alla natura, come inguaribile ambivalenza: un
problema che si trova similmente formulato anche nello Zibaldone di Leopardi. Büchner
rifiutò il teatro di S. come letterario, Grillparzer ne ricevette invece un forte impulso
e lo stesso vale, anche se in misura minore, per Hebbel.
Lo S. politico, con la sua giovanile
adesione agli umori tirannicidi che percorrevano l'Europa negli anni prima e durante la
Rivoluzione francese, con l'infiammato appello a scuotere le tirannidi straniere espresso
nel Tell, fu avversato dai regimi dell'età dell'età della Restaurazione, ma ricuperato
dalla cultura ufficiale dell'era bismarkiana che scorse in lui un convinto conservatore
dell'ordine costituito e, nelle operazioni sublimanti del suo classicismo, un consolatore
dell'"impolitico" filisteo tedesco, cui egli insegna che trionfo e liberazione
dell'uomo avvengono tramite il dolore in un regno di libertà metafisico. Il centenario
della nascita, nel 1859, dopo la delusione dei moti del '48, fu celebrato con
significativa solennità, ma S. contava già innumerevoli ammiratori anche fuori della
Germania, dalla Russia alla Francia, all'Italia, dove ebbe anche il plauso di Mazzini e fu
tradotto dal Maffei.
La reazione al suo pathos
umanistico-idealistico e al suo classicismo borghese coincise con l'età del naturalismo.
Nietzsche lo attaccò violentemente. Ripreso dal neoclassicismo dell'inizio del secolo (si
veda in particolare il teatro di P. Ernst), fu esaltato dal nazionalsocialismo. La
posizione negativa di Croce si accosta a quella del filosofo E. Bloch, che definisce lo
stile di S. "sensazione in marmo".
La critica marxista postbellica
rivalutò i drammi giovanili, stürmeriani, e il loro contenuto di protesta sociale.
La disparità delle prese di posizione
odierne testimonia dell'ambiguità del linguaggio schilleriano e della sua tuttora viva
capacità di affascinare, oltre che del suo ruolo di prim'ordine nella storia del teatro e
e forse ancor più dell'estetica.
Bibliografia. G. von Wilpert,
Schiller-Chronik, Stoccarda, 1958; R. Cannac, Théatre et révolution. Essai sur la
jeunesse de Schiller, Parigi, 1966; M. Dyck, Die Gedichte Schillers, Berna, 1967; E.
Staiger, Schiller, Zurigo, 1967; H. H. Koopmann, Schiller-Kommentar, Monaco, 1969; R. N.
Linn, Schillers junge Idealisten, Berkeley, 1973; Autori Vari, Schiller. Théories
esthétiques et structures dramatiques, Parigi, 1974; V. Hell, Friedrich von Schiller,
Parigi, 1975; R. De Pol, Alle soglie della Rivoluzione. Schiller Schiller e la politica,
Genova, 1989.
SAINT BEUVE
Una tappa fondamentale
nell'antropoletteratura critica fu sviluppata da Saint-Beuve, scrittore e critico
letterario francese (Boulogne-sur-Mer 1804-Parigi 1869).
Amico di Vigny e Hugo che lo
accolsero nel cosiddetto secondo cenacolo romantico, ebbe poi una discussa
relazione con la moglie di Hugo Adèle (seguita peraltro dalla rottura con ambedue nel
1834 e 1836).
Rivaleggiando con Hugo per la donna
e per la grandezza fu spinto a ricercare la gloria poetica.
Scrisse versi con toni familiari e
intimistici, talvolta quasi simbolistici, uso di forme rigorose, come il sonetto, che lo
differenziano dagli altri romantici, dai quali del resto non tardò a prendere le distanze
con mal celato rancore, schiacciato dalle loro prepotenti personalità.
Il sentimento di una personale
sconfitta venne aggravato dalla caduta delle speranze riposte nelle teorie sansimoniane e
nel cattolicesimo liberale di Lamennais. Trasse allora un amaro bilancio della propria
impotenza nel romanzo Volupté (1834; Voluttà), abbandonando da quel momento le
ambizioni artistiche per dedicarsi alla critica letteraria, facendone uno strumento di
ricerca e avvicinamento alla realtà, tale da colmare il vuoto interiore che lo insidiava.
Alla sua indiscussa grandezza di
critico concorrono alcuni elementi originali e del tutto inediti: un metodo basato
sull'inchiesta oggettiva e approfondita secondo le esigenze della critica storica, e
contemporaneamente una personale e intuitiva simpatia per i personaggi in esame, individui
o gruppi, di rara acutezza psicologica e aliena da dogmatismi.
La raccolta di articoli Causeries
du lundi, seguiti da Nouveaux lundis, rappresentano il più imponente e
significativo lavoro critico dell'epoca, una tappa nella storia della critica letteraria
che Sainte-Beuve assimila alla storia naturale, studiando, al di là delle opere, il loro
autore, la loro epoca e la loro influenza.
Seguendo questo principio, egli fu
portato a scoprire e a rivalutare tanti scrittori di secondo piano, a scapito dei grandi,
soprattutto contemporanei. A tale libertà di giudizio si devono la riscoperta di aspetti
dimenticati della letteratura e dello spirito francese del Rinascimento e del classicismo,
la difesa dei poeti minori del tempo, tra i quali l'incompreso Baudelaire, e, di
contro, talune incomprensioni nei confronti di grandi contemporanei, ai quali contrappose
il mito del grand siécle.
Gérard De Nerval
pseudonimo dello scrittore francese Gérard
Labrunie (Parigi 1808-1855). Orfano di madre, trascorse l'infanzia nel Valois, lontano dal
padre, medico nelle armate del Reno. Ricondotto dal padre a Parigi entrò (1820) al liceo
Charlemagne. Ben presto prese a frequentare il cenacolo romantico di Victor Hugo e si fece
conoscere con una pregevole traduzione del primo Faust (1828), lodata da Goethe, e con i
versi di Odelettes (1832), mentre si accentuava in lui l'interesse per la letteratura
fantastica. I temi ossessivi di alcune poesie preannunciavano già lo scoppio della prima
crisi di follia (1841), il cui pretesto apparente fu la fine dell'amore con l'attrice
Jenny Colon. Superata la crisi, avendo appreso la notizia della morte della donna (1842),
ne trasfigurò l'immagine, coltivando con sempre maggiore libertà la sua esaltazione
ideale. Nel 1843 intraprese un lungo viaggio in Oriente trovando nei miti orientali nuovo
alimento alle sue ossessioni (Voyage en Orient, 1851). Tra una crisi e l'altra compose i
racconti di Les filles du feu (1854), tra cui Sylvie, forse il momento più alto della
produzione di N., i sonetti ermetici di Chimères (1854); il diario spirituale Aurélia*,
rievocazione di Jenny Colon, dei propri sogni, delle proprie "discese"
nell'abisso, in bilico tra sogno e realtà, a indicare che in luila conquista poetica si
era realizzata attraverso la sconfitta della ricerca razionale. Accanto alle opere che
fanno di lui un grande precursore della poesia moderna, N. ne scrisse molte altre,
talvolta in collaborazione o nell'anonimato, di teatro, di scienze occulte o di narrativa:
Les Illuminés (1852), Les petits châteaux de Bohème (1853), La Bohème galante (1854),
Contes et facéties (1854). Fu trovato, all'alba del 25 gennaio 1855, impiccato a una
finestra di un tugurio. Non si è mai potuto accertare se fu assassinato o, come sembra
più probabile, si tolse la vita.
Pensiero antiarte: "E' così
che questo Dio geloso ha sempre ripudiato il genio inventivo e fecondo, e dato al potenza,
assieme al diritto d'oppressione, agli spiriti volgari. (La regina del mattino, Le
figlie del fuoco, Aurelia, trad. Elvira Cassa Salvi, Armando Curcio, Roma 1967, p.
124).
BibliografiaJ. Richer, Gérard de Nerval et les
doctrines ésotériques, Parigi, 1947; J. Gaulmier, Gérard de Nerval et les Filles du
feu, Parigi, 1956; J. Richer, Nerval, expérience et création, Parigi, 1964; R. Chambers,
Gérard de Nerval et la poétique du voyage, Parigi, 1969; E. Uster, Identité et dualité
dans l'vre de Nerval, Zurigo, 1970; Fr. Constans, Gérard de Nerval devant le
destin, Parigi, 1979; S. Dunn, Nerval et le roman historique, Parigi, 1981; P. Gascar,
Gérard de Nerval et son temps, Parigi, 1981; K. Lokke, Nerval, the Poet as Social
Visionary, Lexington, 1987; J. Richer e altri, Gérard de Nerval devant la critique,
Parigi, 1988; Br. Tritsmans, Textualité de l'instable. L'écriture du Valois de Nerval,
Parigi, 1989; J. Bony, Le récit nervalien. Une recherche des formes, Parigi, 1990.
MONDO MODERNO
Si consiglia intanto di leggere il testo fondamentale:
Richter H., Dada, arte e antiarte,
Mazzotta, Milano, 1966.
Biografia di Hans Richter
La biografia Hans Richter di Hans
Richter è stata considerata uno del Dadaists iniziale, una forma dell' arte che è stata
contrassegnata da assurdità e travesty ed ha distrutto gli standard estetici correnti di
arte. Era un membro del movimento di Dada di 1916- 1919. Saputo per il suo libro Dada: L'
arte ed Anti-Art, la sua arte celebre specifica venti due mostra e cinque esposizioni
Richter di arte del gruppo gli hanno creato un nome per.
Hans Richter è stato considerato un
artista americano anche se è stato sopportato a Berlino, Germania il 6 aprile 1888. Ha
studiato alla palestra reale di Falk a Berlino fra 1894-1906 ed al academy di arte a
Berlino in 1908. Si è laureato con la sua laurea dal academy in Weimar, Germania di arte
in 1909. Richter ha servito il suo paese nella guerra fra 1914-1916 ed è stato ferito e
liberato stato in Svizzera in 1916. In 1919, la sua prima pittura del rotolo è fatto
stata e liberato ed in 1921 la sua prima pellicola dell' estratto è stata prodotta. La
vita di Richter non ha sembrato mai difettare dell' arte. Mentre in Europa, era il
produttore principale di Central-Film a Zurigo ed anche anche funto da progettista
principale, consigliere artistico e critico di film/music per altre aziende. In 1941, Hans
Richter ha guadagnato la cittadinanza degli Stati Uniti ed è diventato un membro dell'
associazione di arte della città a New York in su fino al 1953 e un membro degli artisti
astratti americani di New York fino al 1946. Durante gli anni di 1942 in su fino al 1956,
ha funto da soprintendente e professore delle pellicole all' istituto della tecnica della
pellicola all' università New York della città. 1948 era l' anno che era il presidente
dell' arte di questo secolo inc a New York. Nella vita che di Richter aveva ricevuto otto
premi publically riconosciuti, uno è stato ricevuto due volte rendendogli un totale di
nove premi. I premi sono come segue: Il premio internazionale per la pellicola di Venezia
in 1947, R.J. **time-out** Flaherty premio New York 1956 e 1966, traversa merito tedesco
governo 1964, gran traversa merito 1973, onorario membro società per pellicola Amburgo
1967, arte premio città Berlino 1967, membro academy arte e scienza Berlino 1971, ed il
festival internazionale della pellicola a Berlino in 1971. Hans Richter ha passato via il
1 febbraio 1976 in Locarno, Svizzera. Durante la sua vita è riuscito a mettere fuori
quindici pubblicazioni e quattordici pellicole. Le sue collezioni sono su visualizzazione
a dodici musei in tutto il mondo differenti. Ci egualmente sono stati nove impianti messi
fuori su vita, sui successi e sugli impianti di Richter.
ERNESTO GRASSI(Dall'enc. Scientifica RAI)
VITA
Ernesto Grassi nasce a Milano nel 1902 da padre italiano e madre tedesca. Allievo di
Pietro Martinetti in Italia e di Blondel in Francia, dopo la laurea si trasferisce in
Germania dove incontra Husserl e, a partire dal 1927, segue le lezioni di Heidegger a
Marburgo. Nel 1935 ottiene a Friburgo un incarico universitario per l'insegnamento della
Filosofia. Inizia a studiare sistematicamente l'Umanesimo e il Rinascimento e a promuovere
i rapporti tra intellettuali tedeschi ed italiani. Nel 1938 fonda a Berlino l'Istituto
"Studia Humanitatis" e nel 1940 lo "Jahrbuch für geistige
Überlieferung", che pochi anni dopo è costretto a chiudere i battenti per
l'opposizione del regime nazista.
Divenuto studioso di fama internazionale, nel dopoguerra Grassi svolge la sua attività
accademica a Monaco di Baviera insegnando presso l'Istituto di filosofia e storia
dell'Umanesimo e dirigendo il "Centro italiano di studi umanistici e filosofici"
da lui fondato a Roma. Muore il 22 dicembre 1991 a Monaco.
OPERE
Il problema della metafisica platonica, Bari, 1932; Dell'apparire e dell'essere, seguito
da: Linee della filosofia tedesca contemporanea, Firenze, 1933; Vom Vorrang del Logos. Das
Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen italianischer un deutsche
Philosophie, München, 1939; Die Einheit unseres Wirklichkeitsbildes und die Grenzen der
Einzelwissenschaften, München, ,1951; Kunst und Mythos, Hamburg, 1957; Potenza
dell'immagine. Rivalutazione della retorica, Milano 1989; Arte come antiarte. Saggio sulla
teoria del bello nel mondo antico, Torino, 1972; Humanismus und Marxismus. Zur Kritik der
Verselbestaetingung von Wissenschaft, Hamburg, 1973; Forme storiche del capitale e metodo
marxista, Milano, 1979; Die Theorie des Schoenen in der Antike, Köln, 1980; La potenza
della fantasia, Napoli, 1990; La filosofia dell'Umanesimo. Un problema epocale, Napoli,
1985; Heidegger e il problema dell'Umanesimo, Napoli, 1985; La prominenza della parola
metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Modena, 1986; La metafora inaudita,
Palermo, 1990; Die unerhörte Metapher, München, 1990; Vico e l'Umanesimo, Milano, 1992;
Il dramma della metafora, Roma, 1992.
PENSIERO
Il richiamo alla riattualizzazione e al rinnovamento dell'Umanesimo, visto nei suoi punti
di affinità col pensiero contemporaneo, è il costante punto di riferimento della ricerca
di Grassi, in aperta polemica con la tradizione razionalistica che, a partire da Cartesio,
ha segnato la modernità. Attraverso gli umanisti e Vico, Grassi perviene a quella
concezione che trova nella potenza evocatrice della parola poetica e non nel discorso
razionale la vera rivelazione dell'Essere. L'apparente estraneità o avversione di
Heidegger rispetto all'Umanesimo, in tal modo, secondo Grassi, si traduce in una analogia
di accenti: nel filosofo tedesco, come negli umanisti e in Vico, la parola poetica ,
superiore alle astrazioni dell'intelletto, si configura come la "dimora
dell'essere", il luogo originario della rivelazione del vero.
jJohn cage
compositore statunitense (Los Angeles 1912-New York 1992). Allievo di H.
Cowell, A. Schönberg ed E. Varèse, è tra i più significativi esponenti della musica
d'avanguardia contemporanea. Negli anni Cinquanta ha destato notevole scalpore il suo
pianoforte "preparato", ottenuto inserendo oggetti di varia natura (gomme,
chiodi, cartoni, ecc.) fra le corde dello strumento con lo scopo di modificarne la
sonorità e di conferire al rumore una funzione determinante in qualsiasi discorso
musicale. È stato inoltre uno dei primi musicisti a teorizzare il concetto di alea e di
opera aperta applicato alla composizione musicale e a concepire un sistema di scrittura
che, rifuggendo dalla notazione tradizionale, mirasse a stimolare una partecipazione
creativa dell'interprete. L'influsso delle filosofie orientali, soprattutto della dottrina
zen, lo ha portato, negli ultimi anni, a negare il concetto stesso di musica, almeno in
senso "occidentale". Attivissimo diffusore ed esecutore delle proprie
composizioni, ha tenuto concerti in molti Paesi del mondo, suscitando violente polemiche
ma influendo in maniera determinante su un vasto settore della musica d'avanguardia.
Composizioni principali: Amores (1943), 7 quaderni di Music for Piano (1952-56), 4 di
Music of Changes (1951), 34' 46.776" (1954) e vari altri pezzi per pianoforte
"preparato" e non; un concerto per pianoforte e orchestra (1958); Aria per
mezzosoprano con Fontana Mix (1958), Song Books (1970), Ballet (1973) e Roaratorio (1979).
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