Mail Art
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Riportiamo di seguito un interessante intervento in Rete sulla Mail Art.

Vi inviatiamo  a leggerlo così come noi l'abbiamo letto, in stile antiartistico, sottolineando col corsivo i punti di più precipuo contatto tra i due movimenti.

Buona lettura

Andrej Adramelek

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MAIL ART

 

It's a net, net, net, net, net world (veeery long mix)

Vittore Baroni

 

C'è sempre qualcuno addormentato e qualcuno sveglio

Qualcuno che sogna dormendo, qualcuno che sogna da sveglio

Qualcuno che mangia, qualcuno affamato

Qualcuno che lotta, qualcuno che ama

Qualcuno che fa soldi, qualcuno squattrinato

Qualcuno che viaggia, qualcuno che resta fermo

Qualcuno che aiuta, qualcuno che ostacola

Qualcuno che gioisce, qualcuno che soffre

Qualcuno indifferente

Qualcuno che inizia, qualcuno che smette

La Rete è Eterna

Robert Filliou, 1970

 

1. Invisibilità e movimento

Soprattutto per chi abita in piccoli centri privi di valide biblioteche e infrastrutture culturali, Internet ha rappresentato nell'ultimo decennio del secolo una nuova ed eccitante possibilità di acquisire conoscenze, tessere contatti con persone di interessi affini, collaborare a progetti comuni, raccogliere e scambiare informazioni con l'intero pianeta. Una sensazione stimolante, quella dei rapidi spostamenti e degli istantanei e spesso fortuiti incontri lungo le superstrade telematiche, che è quanto di più simile si possa immaginare alla non meno esaltante sensazione sperimentata, già a partire dagli anni Sessanta, da un numero crescente di operatori che hanno preso parte alle attività di una rete globale certo più modesta in quanto a tecnologie impiegate (buste e francobolli!), ma non meno stupefacente nei risultati: la "rete eterna", per dirla con l'artista-sociologo Fluxus Robert Filliou, della mail art (arte postale).

Per quasi quattro decadi infatti, persone di ogni età e provenienza hanno sperimentato l'ebrezza di "navigare" liberamente a basso costo, senza spostarsi da casa, fra progetti collettivi e corrispondenze personali con contatti sparsi per il globo, scavalcando la rigidità unidirezionale dei mezzi di informazione di massa per attivare ogni genere di insolite interazioni: artisti di professione, studenti e appassionati d'arte, ma anche semplici curiosi o persone coinvolte per puro caso, e poi poeti, scrittori, musicisti, "creativi" in genere, hanno dato forma ad una fitta rete di scambio di idee, opere dell'ingegno (testi, disegni, collage, audiocassette, micro-edizioni, ecc.) e frammenti di storia personale. Come un grande circolo di "amici di penna" un po' cresciuti, senza regole prefissate che non siano quelle sottintese di una ragionevole netiquette: nessun obbligo di risposta ma solo interazione spontanea, non finalizzata alla vendita di materiali bensl al puro arricchimento spirituale, al confronto fra culture, o anche al semplice divertimento, per sconfiggere noia, solitudine e senso di isolamento, come antidoto alla saturazione da informazioni massificate. Nel caso di progetti o esposizioni collettive, la non-dogmatica consuetudine è: nessuna tassa di iscrizione, nessuna selezione dei lavori, le opere restano all'organizzatore che contraccambia inviando una documentazione gratuita a tutti i partecipanti.

Sono tante piccole finestre - si calcola almeno alcune decine di migliaia di individui coinvolti nella rete postale creativa nel corso degli anni - aperte sulla quotidianità di realtà diverse, proprio come avviene su Internet nei siti che propongono nient'altro che una web camera puntata 24 ore al giorno su uno scorcio di cameretta, un letto, una scrivania: oltre al semplice impulso voyeurista, c'è la curiosità di compiere minimi studi "antropologici", di confrontare abitudini e manie, scoprire differenze e assonanze dell'anima. Di più, in entrambi i casi, snail-mail e e-mail, si offre la liberatoria opportunità di attivare, ora e subito, un (seppur ridotto) canale di comunicazione personale, alternativo a quelli tradizionali e invadentemente "autoritari", in cui i saperi possano viaggiare orizzontalmente, senza filtri o censure, senza strutture gerarchiche e ansie di competitività, superando barriere geografiche, linguistiche e ideologiche.

"Arte e musica non sono l'essenza della vita. Sono ornamentali, ma la gente ha bisogno di questo ornamento quando qualcosa di sostanziale manca alle loro vite" ha scritto Yosuf Islam (già Cat Stevens, già Sthephen Demetri Georgiou). La mail art è una sorta di piccola zona franca, una auto-terapeutica "arte del quotidiano" libera da condizionamenti di mercato e proprio per questo (felicemente) confinata da sempre nella semi-invisibilità delle pratiche alternative e "sotterranee". Ancor oggi, dopo migliaia di progetti ed esposizioni realizzate in spazi istituzionali e non (dalla Biennale di San Paolo alla vetrina di barbiere), un fenomeno contraddistinto da una perenne aura di folkloristica "novità" dovuta al fatto di non essere stato ancora interamente storicizzato, inquadrato, masticato e digerito dai media.

 

2. Le origini

 

E' impossibile stabilire una precisa data di nascita per la mail art, pratica che ha assunto gradualmente una sua fisionomia tipica e riconoscibile dal confluire di molteplici e dissimili esperienze di uso non convenzionale del mezzo postale.

Che Ray Johnson (1927-1995) sia stato il "padre fondatore" dell'arte per corrispondenza è una convenzione tenuta generalmente per buona dai commentatori, più per lo spessore del personaggio che per correttezza storica.

La rete postale creativa, più o meno come la conosciamo oggi, sarebbe difatti esistita anche senza le attività di Johnson e della sua ironica New York Correspondence School, esempio comunque per molti versi insuperato delle possibilità ludiche, liriche, estetiche e concettuali di una ben concertata strategia di invii a sorpresa zeppi di ritagli, disegnetti, frammenti diaristici, piccoli enigmi, rimandi, richieste surreali... Nei primi Sessanta, quando prendono vigore le attività della NYCS, già operavano del resto in stretto contatto postale anche altri circuiti di artisti (soprattutto membri del gruppo internazionale Fluxus come Ben Vautier, Robert Watts, Mieko Shiomi, responsabili di pionieristici esempi di francobolli, timbri e cartoline d'artista e, nei testi di Filliou, Ken Friedman e altri, delle prime importanti teorizzazioni sull'arte per corrispondenza), poeti visivo-sperimentali (in particolar modo europei e sudamericani: Edgardo-Antonio Vigo, Damaso Ogaz, Clemente Padin, ecc.), giovani scrittori post-Beat e ricercatori della scena avantgarde in genere, che avrebbero poi trovato comune terreno di confronto, ad esempio, nelle auto-pubblicazioni della free press sotterranea (East Village Other, Los Angeles Free Press, Oz, It e simili), cosl come, in forma più clandestina, in aree di scambio sempre più allargate e intersecate della rete postale.

Le origini della mail art - non è dato sapere chi per primo abbia introdotto questo termine, preferito di gran lunga nell'uso comune a varianti quali postal art o correspondence art - si perdono perr in realtà nella notte dei tempi, e fra i molti antenati illustri della corrispondenza creativa figurano già Balla, Cangiullo e vari altri esponenti del Futurismo (vedi Futurismi Postali a cura di Maurizio Scudiero, Longo Editore, Rovereto 1986) e Dadaisti come Marcel Duchamp e Kurt Schwitters: non a caso la lezione delle avanguardie storiche (oltre a Fluxus, al Nouveau Rialisme e alla Conceptual Art) è tenuta in gran conto dal network postale, che soprattutto nel ricorso a tecniche di collage e al riciclaggio di "oggetti trovati" porge frequente omaggio ai grandi iconoclasti di inizio secolo.

Data la natura privata e sotterranea della gran parte delle attività postali, a scandire date di particolare rilevanza per la storia della rete restano soprattutto l'organizzazione di mostre di un certo peso ed eco nei media (a partire dal New York Correspondence School Show curato da Marcia Tucker al Whitney Museum di New York nel 1970 e dalla sezione postale curata da Jean-Marc Poinsot alla VII Biennale de Paris del 1971; per quanto riguarda l'Italia va ricordata l'esperienza pionieristica di Mantua Mail78 curata nel 1978 dal C.D.O. di Parma presso la Casa del Mantegna di Mantova, e La posta in gioco del 1990 a cura di Gianni Broi, presso la Sala delle ex-Reali Poste degli Uffizi, a Firenze), cosl come la pubblicazione di studi divenuti punti di riferimento per il ricercatore (dalla classica antologia Correspondence Art a cura di Michael Crane e Mary Stofflet, Contemporary Arts Press, San Francisco 1984, fino all'unico testo specifico in lingua italiana, Arte Postale - Guida al network della corrispondenza creativa di Vittore Baroni, AAA, Bertiolo 1997).

Hanno assunto una certa importanza storica anche le principali occasioni di incontro "fisico" fra operatori della rete postale, sia nel caso di eventi pubblici come i festival InterDada californiani dei primi Ottanta, o privati come i "festival d'appartamento" Neoisti o la serie di "Congressi Decentralizzati della Mail Art" organizzati in diverse parti del mondo nel corso del 1986 (su stimolo di G|nther Ruch e E'.R. Fricker), evento ripetuto su scala ancor più planetaria sei anni dopo con il Decentralized World-Wide Networker Congress 1992 e, in chiave più criptico-ironica, nel 1998 con gli Incongruous Meetings 1998.

 

3. La pratica

 

Scriveva Jean Brown, compianta collezionista-archivista di Fluxus e dintorni, in una lettera al mailartista Chuck Welch (curatore dell'importante antologia Eternal Network, University of Calgary Press, Calgary 1995): "La mail art è una forma d'arte mistica, magica. Pochi scarabocchi su un foglio infilati nella buca delle lettere per raggiungere l'indirizzo designato. La cassetta della posta diventa la galleria, il museo... Apprezzo ogni pezzetto di carta che ricevo."

L'arte postale è un felice viluppo di contraddizioni, un gioco "infinito" ed etereo di corrispondenze, nascoste, intuite, immaginarie, divertenti, poetiche, provocatorie, banali, rivoluzionarie. Nel corso della sua storia, sono stati realizzati progetti su ogni tema immaginabile, perfino con operazioni concepite per soli anziani o per bambini delle scuole elementari (vedi il volumetto di Randy Harelson Swak - The Complete Book of Mail Fun for Kids, Workman Publishing, New York 1981), coinvolgendo in media in ciascuna esposizione pubblica dai 100 ai 500 partecipanti, da 10-40 nazioni. Negli scambi privati, la medesima cartolina inviata a destinatari diversi pur finire cestinata, appiccicata allo specchio, conservata in scatola da scarpe, detournata e riciclata, incorniciata e catalogata, rivenduta a caro prezzo a prestigiose istituzioni (come nel caso della collezione della Brown, ceduta al J. Paul Getty Center di Santa Monica).

Proprio in ragione della totale apertura che ne è caratteristica distintiva e inalienabile, la mail art rappresenta un bizzarro amalgama di sciatteria amatoriale e miniata raffinatezza, rigore concettuale e fatuo decorativismo: nella cassetta delle lettere pur capitare di tutto, dall'anonima fotocopia distribuita in centinaia di copie al pezzo unico amorevolmente personalizzato, dalla risposta dell'artista "celebre" e navigato a quella dell'inesperto neofita. E' questa doppia anima, questa inestricabile commistione di arte "alta" (con un suo pantheon di autori la cui produzione non sfigura di fronte a quella di gruppi e movimenti più compatti) e dichiarata non-arte, sempre in bilico fra asserzione estetica cosciente e giocoso esperimento sociale, a irritare e indisporre gli integralisti della professionalità e qualità über alles (lo stesso Friedman ha diffuso testi di aspra critica al lassismo e al "pensiero debole" di tanti networker). L'imprevedibile e incontrollabile frammentarietà del fenomeno mailartistico rappresenta però anche un paradossale punto di forza: la mancanza di capi riconosciuti e centri propulsori, di tessere di appartenenza o scomuniche, la tolleranza generalizzata verso le ingenuità dei nuovi arrivati, ha permesso per decenni uno spontaneo rigenerarsi della rete in nuove forme.

Se la partecipazione è aperta a chiunque, per ottenere risultati concreti occorre però ovviamente (nella mail art come in Internet) una certa dedizione e intelligenza: bisogna sapere cosa, come e dove cercare, per esser presi sul serio occorre aver qualcosa di valido da offrire come merce di scambio o essere in grado di prestare collaborazioni utili.

In entrambi i casi, è necessario poi il coraggio di esporsi personalmente, pur con la possibilità di utilizzare fantasiosi pseudonimi. Pensate a come sarebbe stato problematico l'espandersi della rete postale se gli indirizzi privati dei partecipanti ai progetti, le liste tanto spesso copiate e circolate, fossero state soggette alle attuali restrizioni legali in materia di "privacy"... Non è un caso se proprio dall'humus mailartistico, assieme a gruppi e gruppuscoli in posizione radicalmente polemica nei confronti del sistema dell'arte (Neoismo, Plagiarismo, Impossibilismo, ecc.), sono emerse alcune delle voci più autorevoli e articolate in materia di battaglie contro il copyright sulle opere dell'ingegno e per il libero "campionamento" in musica (Stewart Home, Lloyd Dunn e The Tape-Beatles, aderenti all'Associazione Astronauti Autonomi, ecc.), così come dal network ha avuto origine la pratica tendente a scavalcare il concetto di identità fissa dei "nomi multipli", da Monty Cantsin a Luther Blissett, una tattica negli ultimi anni trasferitasi proficuamente online e in diversi media.

Il miglior modo per comprendere le spesso antitetiche sfaccettature dell'arte postale, ancor più che consultare gli studi reperibili sull'argomento o visitare uno dei molti archivi privati sparsi per il pianeta, resta quello di partecipare in prima persona alle attività di rete.

 

Le esposizioni collettive "a tema" che costituiscono la più frequente occasione di documentazione pubblica, mostrano infatti solo la punta di un iceberg, l'aspetto più impersonale di una pratica comunicativa che acquista senso e spessore soprattutto nel processo di interazione individuale, nelle più intime collaborazioni epistolari fra singoli corrispondenti: interattività effettiva e non pretestuosa e "pilotata" come accade oggi in molti CD-Rom e siti web. Perfino i pochi "veterani" che hanno tenuto vivo continuativamente per più decenni un filo diretto con centinaia di contatti, debbono poi riconoscere che è fisicamente impossibile per un singolo individuo riuscire a monitorizzare tutto ciò che di significativo accade nel network. Come in Internet, il continuo ricambio di contatti, nodi, dati, tattiche, stili, rendono la rete postale una inafferrabile nebulosa sempre densa di stimoli e sorprese.

"La Mail Art sposta l'attenzione da quella che è solitamente chiamata arte al più ampio concetto di cultura ed è questo spostamento a rendere la Mail Art realmente contemporanea", ha scritto sul finire dei Settanta Ulises Carrisn (Second Thoughts, Void Distributors, Amsterdam 1980). Oggi si direbbe meglio: la mail art ha prefigurato un modello funzionante di cultura di rete, ed è questo a differenziarla da qualsiasi gruppo o movimento artistico tradizionale.

 

4. Il dono

 

Indipendentemente dai materiali circuitati, peculiari e specifici ad ogni diversa epoca della sua lunga parabola evolutiva - con una graduale ma costante tendenza della rete ad ampliarsi e diversificarsi - la caratteristica più dirompente dell'arte postale resta la sua apertura a tutti e soprattutto il fatto di essere creata per esser poi regalata.

Nonostante alcune occasionali voci fuori sintonia, non è mai comparsa sulla scena, in tanti anni, la figura del gallerista o mercante di arte postale (una sorta di contraddizione in termini). Si tratta di un semplice ma sostanziale mutamento di attitudine, che riporta alla mente (non a caso, vista la contiguità temporale nell'affermarsi delle due espressioni) certo teatro di strada d'avanguardia dei Sessanta, come quello proposto dal Bread and Puppet o dal Living Theater, happening totali che mettevano in pratica l'equazione arte=vita con gran semplicità di linguaggi e immediatezza comunicativa, senza escludere per questo una toccante profondità di contenuti.

Come il Living tentava utopisticamente di porre in azione un teatro al di là del teatro capace di coinvolgere il pubblico in un rito collettivo, così la mail art si situa fin dal principio nell'ottica di un arte al di là dell'arte, senza più il tabù della preziosità e inviolabilità dell'opera-capolavoro (spesso i materiali mailartistici, effimeri e altamente deperibili per natura, vengono riciclati, mutilati, passati di mano in mano come cadavres exquis), oltre il mito dell'artista come geniale demiurgo isolato sul suo piedistallo, rifiutando il giogo al collo dell'originalità a tutti i costi (anzi, la rete partorirà sul finire degli Ottanta l'ironico pseudo-movimento del "Plagiarismo"!).

Parliamo di arte "regalata" piuttosto che scambiata, in quando dietro al quotidiano baratto di materiali - come ha acutamente notato Gianni Broi, curatore nell'84 di un convegno internazionale a Bagno a Ripoli su Creatività alternativa e valori umani - si percepisce nella mail art un gran desiderio di offrire disinteressatamente, di stupire come in un potlatch pellerossa, di farsi gioco della pretenziosità dell'arte ufficiale, operando in senso contrario al dominante sistema delle merci per ritrovare una dimensione espressiva puramente spirituale.

Un dialogo diretto e concreto con un limitato numero di contatti viene preferito ad un rapporto distaccato e alienante con una platea allargata ma passiva. Le due situazioni possono però anche coesistere, ovvero non sono pochi i casi di artisti attivi nel tradizionale circuito galleristico o performativo che al tempo stesso partecipano ad attività di rete.

La parola "arte" in mail art assume dunque valori e accezioni da non prendere affatto letteralmente, viene da molti conservata più che altro come obsoleto vestigio del passato, termine di riferimento auto-ironico, motivo per slogan e giochi di parole impertinenti ("Mail Art=Mai L'art" il più diffuso in italiano). In realtà, buona parte dei frequentatori della rete postale preferiscono alla definizione di "artista" il più neutro e generico termine di networker (operatore di rete).

Dopo Beuys - e anche dopo l'invenzione di fotocopiatrice e scanner - è del resto dato per scontato che "tutti sono artisti" e che l'arte del nostro tempo, se proprio dobbiamo usare ancora questa parolina di quattro lettere, oggi opera spesso al di fuori dei tradizionali ambiti deputati: un film di Peter Greenaway, ad esempio, o un concerto di John Zorn, un CD-Rom dei Residents, un fumetto di Daniel Clowes, un dipinto di outsiders come Joe Coleman o Mark Ryden, piuttosto che gli alto-quotati pargoli delle gallerie top di New York.

 

"Ritengo sia preferibile per i miei scritti di non essere pubblicati affatto, piuttosto che di essere presentati in un contesto artistico", scriveva in una vecchia lettera aperta il teorico radicale Fluxus Henry Flynt, noto per aver picchettato musei col cartello "demolisci la cultura seria" appeso al collo (lo stesso slogan che ancora circola nella rete postale sotto forma di badges, adesivi e t-shirt!).

L'avventura Fluxus ha delineato un formidabile e rigoroso programma Intermedia sulle possibilità per l'arte di invadere la quotidianità, portato a termine da una coalizione internazionale di artisti a tempo pieno, o almeno part-time. La mail art, come diretta e inevitabile conseguenza di alcuni assunti Fluxus, è un eterogeneo e discontinuo insieme di quotidiane interferenze creative realizzate perlopiù da non-artisti nei ritagli di tempo. Pur quindi permettersi il lusso di essere (in tutti i sensi) gratuita.

 

5. Storicizzazione

 

All'interno di questa grande rete di "doni reciproci", la cui storia si intreccia a vario titolo con quella di altri gruppi e movimenti presenti a Bassano 2000 (Fluxus, Gutai, Poesia Visuale, Neoismo...) e in cui circolano materiali di ogni tipo, vampirizzando stili e linguaggi dell'intero spettro dell'arte contemporanea, disordinando con fuzzy logic i confini fra arte e non-arte, si sono nondimeno coagulati negli anni alcuni sotto-generi molto più facili da identificare, catalogare e studiare: in particolare timbri, francobolli e cartoline d'artista, per l'ovvia relazione col mezzo postale.

L'utilizzo artistico del timbro di tipo "burocratico" ha del resto una sua tradizione che antedata a Schwitters e ai Futuristi (vedi John Held Jr., L'arte del Timbro, AAA, Bertiolo 1999), anche il francobollo ha conosciuto occasionali impieghi estetici non convenzionali, come nei valori bollati dipinti di blu e regolarmente spediti da Yves Klein, e la cartolina è un supporto già amato dai grandi Espressionisti tedeschi come dai circoli Surrealisti. Francobolli e cartoline beneficiano poi di un'automatica associazione mentale col mondo del collezionismo e le pregiate rarità dei circoli filatelici e cartolinistici, coi loro cataloghi, periodici, mostre, annulli commemorativi, prime edizioni, ecc.

Ad essere per primi recuperati e "museificati", nella figura dei networker più perseveranti e rappresentativi (i vari Ray Johnson, Anna Banana, Guglielmo Achille Cavellini, Ed Higgins, Jas Felter, Guy Bleus, Robin Crozier, Pawel Petasz, Gyvrgy Galàntai, ecc.) saranno dunque probabilmente proprio quei settori della mail art che intervengono sui più comuni formati e simbologie postali, oppure che operano concettualmente sulle modalità di comunicazione tipiche del mezzo (testandone l'affidabilità con indirizzi in calligrafia aliena, provando ad inviare oggetti bizzarri o lavori "fuori formato", spedendo missive andata-e-ritorno a destinatari immaginari, ecc.).

Un tale processo di recupero è in gestazione da tempo, ma ha acquisito nuovo impeto con la tragica scomparsa di Ray Johnson, a suo modo simbolica della fine di un epoca per il milieu mailartistico, e ricordata nel gennaio '99 da un ampia retrospettiva al Whitney Museum di New York. Proprio in quegli stessi giorni, in un altro quartiere della Grande Mela, la Queens Library Gallery ospitava la mostra Transmit - Fluxus>Mail Art>Net.Works, che rintracciando correttamente il percorso ideale che conduce alle ultime esperienze di arte in Internet, ha inaugurato quella che pare essere una nuova tendenza a includere anche la Cenerentola mail art in rassegne di "arte alta" fino a poco tempo fa ad essa precluse.

Che un nucleo centrale e specifico dell'arte per corrispondenza sia ormai in avanzata fase di storicizzazione lo testimoniano anche alcune importanti mostre su timbri e francobolli d'artista organizzate in anni recenti, in sedi quanto mai appropriate, dal Musie de la Poste di Parigi e dal Musie des PTT Suisses di Berna.

Il principale pericolo di questo procedimento in atto riguarda la tendenza a "normalizzare" l'esperienza mailartistica, riportandone le dimensioni e l'impatto entro i limiti di un tradizionale "movimento" artistico (minore), facendo passare in secondo piano le peculiari caratteristiche di apertura e no profit, tacendo l'importanza del processo di comunicazione in favore dell'aspetto meramente visivo, mettendo a fuoco lavori individuali piuttosto che progetti collettivi e "interattivi".

Le più celebri e riuscite mostre di mail art sono state invece proprio quelle congegnate in modo da coinvolgere attivamente i visitatori, replicando negli spazi espositivi le condizioni di fluidità e apertura della rete: le buste liberamente sparse su tavoli o da aprire direttamente al vernissage invece che sigillate sotto vetro, interventi creativi diretti stimolati nel pubblico, come nel caso del pionieristico progetto Omaha Flow Systems curato da Ken Friedman nel 1973, in cui il visitatore poteva portare a casa un'opera esposta di suo gradimento, a patto di sostituirla con un lavoro di sua creazione! Nella tipica esposizione di mail art, le centinaia di contributi compongono un unico grande mosaico, un lavoro collettivo in cui l'insieme è tendenzialmente superiore alla somma aritmetica delle singole parti.

 

6. Iconoclastia

 

Il curatore di rassegne museali in ambito di mail art è confrontato dal dilemma di dover operare selezioni di merito, storicizzando alcuni autori e fenomeni piuttosto di altri, agendo in contrasto con l'attitudine inclusiva, "democratica" e orizzontale propria della rete postale. Cercando di aggirare questo genere di problematiche, il criterio nel caso di Bassano 2000 è stato quello di adottare un approccio di tipo "didattico" anziché personalistico, organizzando una campionatura delle più diffuse tecniche e modalità espressive della mail art in una sorta di percorso dimostrativo cronologico-tematico, che prende avvio da alcune spedizioni di Ray Johnson e altri membri storici della New York Correspondence School (John Evans, A.M. Fine, Richard C), passando poi tramite una quindicina di grandi pannelli ad una scelta di schemi e manifesti dell'arte postale, opere nei formati più diffusi (francobolli, timbri, cartoline, buste, lettere, adesivi), esempi di progetti collettivi (Mohammed, catena postale creativa ideata da Plinio Mesciulam dal 1976 al 1980; The Badge Show, oltre 500 bottoni d'artista applicati su un costume per una "esposizione vivente"; One Man Show, serie di moduli grafici "completati e rispediti al mittente"; Cornucopia, interventi di copy art su comune tema iconografico; Brain Cell, assemblaggi a più mani coordinati dal giapponese Ryosuke Cohen), pubblicazioni storiche (libri, cataloghi e riviste: Vile, Commonpress, Ephemera, Dirigo Me, Open World, Clinch, Arte Postale!, Global Mail, ecc.), per giungere a logica conclusione con una postazione Internet che, grazie a una serie di indirizzi web predisposti, permette di verificare l'attuale fase di migrazione online di archivi e progetti di tipo mailartistico.

Cosa c'è di più iconoclasta, in un epoca in cui anche la trasgressione estrema e il politicamente scorretto sono divenuti fenomeni consumistici per famiglie, di una pratica che rifiuta il concetto stesso di mercato?

L'inerente "iconoclastia" della mail art non necessiterebbe dunque l'esplicitazione dei comunque non pochi casi in cui autori di provocazioni postali sono venuti ai ferri corti con la legge, che si trattasse della spedizione di immagini considerate indecenti e offensive (come accaduto al britannico Genesis P-Orridge nel 1976, condannato a multa pecuniaria dopo regolare processo) o dell'uso di francobolli "creativi" in luogo di quelli ufficiali (come nelle azioni postali degli statunitensi Michael Thompson e Michael Hernandez de Luna).

Il tavolo del piccolo iconoclasta, installazione originale assemblata con materiali ricevuti a seguito di un invito diffuso alcuni mesi fa nella rete postale, vuole essere un modo soprattutto ironico di affrontare il tema cardine di Bassano 2000: una dozzina di timbri di autori di diversa nazionalità, sul tema dell'iconoclastia, sono applicati sotto il tacco di scarpe e stivali di foggia diversa.

Le calzature, smaltate in bianco e recanti l'identificazione degli autori, sono sistemate su un tavolo a fianco di tamponi inchiostrati di diversi colori, e sono dunque utilizzabili a mo' di insolito timbro dai visitatori per annullare apposite icone-bersaglio a formato francobollo, conservabili come ricordo dell'azione. Coinvolgendo il pubblico in un piccolo laboratorio che è anche una sorta di collaborazione a distanza con gli autori dei timbri e delle icone-bersaglio, l'installazione esplicita le caratteristiche di gratuità e apertura a tutti della mail art (oltre a rappresentare un omaggio trasversale allo scomparso artista postale britannico Michael Scott, autore di un celebre timbro di uno stivale fetish con la dicitura "stamp!").

L'utilità, anche in prospettiva futura, di una presentazione museale di archivi e progetti grandi e piccoli di mail art, risiede soprattutto nella possibilità di portare in tal modo alla luce ricchi epistolari privati e vere e proprie Wunderkammer di opere e curiosità in miniatura, che rischierebbero altrimenti il totale oblio.

E' quanto avvenuto con la recente retrospettiva di Ray Johnson al Whitney di New York, dove le bacheche contenenti reperti postali delle più diverse fogge sono state ammirate da visitatori e commentatori ancor più delle singole opere "da parete". Un modello esemplare in tal senso è anche l'impeccabile catalogo dell'esposizione Joseph Cornell/Marcel Duchamp... in resonance (Cantz Verlag, Ostfildern-Ruit 1999) tenutasi lo scorso anno al Philadelphia Museum of Art, che documenta la corrispondenza privata fra Cornell e Duchamp, un delizioso guazzabuglio di appunti, ritagli, giochi visuali, ephemera d'epoca, ogni piccolo frammento riprodotto, studiato e contestualizzato con cura che ha del maniacale. La mail art ha altri Johnson e altri Cornell, altri tesori nascosti che meritano di essere salvati dal deperimento in scatoloni e magazzini. Di questo parere perlomeno l'autorevole Smithsonian Archives of American Art, che ha di recente avviato l'acquisizione di parte dell'archivio di un veterano dell'arte postale, John Held, Jr.

 

7. Nuovo millennio

 

Si è avviata al principio dei Novanta una metamorfosi indolore, che si fa più evidente man mano che un numero sempre più rilevante di artisti postali si dota di modem e collegamento Internet, trasferendo in parte o in toto le attività di rete online (telefono e fax, visti gli alti costi sulle lunghe distanze, non hanno mai raccolto grandi consensi in ambito mailartistico).

E' lecito prevedere quindi, in tempi relativamente brevi, una rarefazione delle spedizioni e dei progetti postali "cartacei" in favore di nuove strategie concepite per il mezzo informatico (che conservino o meno la sempre più anacronistica dizione di "mail art" o "e-mail art"), mentre è curioso al tempo stesso notare fin da ora, visitando i più interessanti siti-laboratorio del web dedicati all'arte in rete (ad esempio il pionieristico http://www.artnetweb.com o il provocatorio http://www0100101110101101.org e http://www.EntarteteKunst.org), come molti dei progetti collettivi qui proposti ricalcano, più o meno consapevolmente, metodologie e idee già esplorate a fondo dall'arte postale: richiesta aperta a tutti di contributi "a tema" in determinati formati bidimensionali, spamming creativo a liste di indirizzi, performance a distanza (ad es. i semi di un albero millenario inviati in tutto il mondo per monitorare il crescere di "sculture" vegetali"...), testi collettivi creati con la tattica del "modifica-e-rimanda-a", e via dicendo.

La mail art non è esperienza nata e sviluppata in vitro, anzi, le sue attività da sempre si intersecano e confondono proficuamente con quelle di altre "reti" planetarie (fanzine musicali, fogli contro-culturali, rivistine poetiche, bollettini ecologisti, ecc.).

La migrazione dei mailartisti su Internet si inserisce quindi in un normale processo di appropriazione di nuovi strumenti tecnologici, capaci di rendere più efficace ed economica la comunicazione indipendente, così come la parallela assimilazione da parte delle comunità di hacker e net-surfer di intuizioni proprie della mail art è imputabile ad una naturale osmosi fra fenomeni dalle modalità operative analoghe.

Come Internet, la mail art prefigura il passaggio dalla figura del consumatore passivo a quella del "prosumer" (in parte produttore, in parte consumatore), auspicato da futurologi come Alvin Toffler e oggi sempre più a portata di mouse: ognuno in grado di crearsi la propria programmazione tv personalizzata, il proprio percorso di lettura/scrittura fra link e ipertesti, la propria rete di contatti diretti tramite chat-group e messaggi e-mail.

Il compianto Timothy Leary sosteneva che è preferibile che l'arte finisca nelle mani della gente comune, piuttosto che venga praticata solo da una élite di autori di grande competenza tecnica. Non è accidentale che, dopo l'abbuffata di transavanguardie, neo-espressionismi, citazionismi e pittura-per-la-pittura degli Ottanta, l'ultimo decennio del secolo abbia visto, simultaneamente e a dimensione planetaria, il graduale riemergere di esperienze artistiche performative, tecnologiche, multimediali e comunitarie: arte come processo e comunicazione, piuttosto che manufatto in copia unica.

Se Internet, che comunque non ancora tutti conoscono e utilizzano con la facilità con cui si sigilla e imbuca una lettera, finirà quindi con l'accogliere e inglobare gran parte delle attività svolte finora dalla sempre più affaticata "posta lumaca", ciò non toglie che quasi quarant'anni di esperienze maturate da migliaia di networker rappresentano un ricco patrimonio di idee, documentate in un discreto numero di studi critici, storici e bibliografici (vedi Mail Art: An Annotated Bibliography di John Held Jr., The Scarecrow Press, Metuchen 1991) o anche già consultabili in utili archivi online (come l'ungherese Artpool a http://www.artpool.hu, l'olandese T.A.M. a http://www.geocities.com/paris/4947, il canadese Jas Cyberspace a http://www.faximum.com/jas). In particolare, la rampante commercializzazione del web, anche rispetto alle esperienze artistiche in rete, rende ancor più preziosa l'eredità spirituale della mail art come modello di comunità aperta, democratica, tollerante e funzionale.

In un pianeta di oltre sei miliardi di anime prossimo al collasso ecologico ed energetico, pare obsoleta e accademica (e anche un tantino patetica) l'arte "estrema" che porta da trent'anni in agenda lo scopo implicito di "scioccare la borghesia", per non dire degli artisti allevati in scuderia come cavalli di razza per produrre beni rifugio, isolati in un elitario circuito di critici-gallerie-collezionisti che ha ben pochi riscontri nell'esperienza quotidiana. Se l'arte (di rete e non) vuole riacquistare senso sociale e valore etico, dovrà tentare nuovamente di confrontarsi coi problemi del mondo reale, senza disdegnare inediti crossover di arte e quotidianità, arte e (perduta) destrezza manuale, arte e scienza, arte e politica, a costo di arrivare a fondare nuove utopiche nazioni con tanto di bandiera, passaporto e valori bollati (come il movimento slavo della Neue Slowenische Kunst, l'Akademgorod "terra promessa" dei Neoisti, l'arcipelago di Tui Tui immaginato dal mailartista Dogfish...).

Il cantautore elettronico Momus, in temporanee difficoltà economiche, ha avuto l'idea di offrire via Internet la realizzazione di "ritratti musicali" al costo di mille dollari l'uno, ricevendo in pochi giorni una quarantina di commissioni (Jeff Koons fra gli acquirenti) e ottenendo cosl con le canzoni poi raccolte nell'album Stars Forever (1999) al tempo stesso un provocatorio ritorno al mecenatismo artistico del XVIII secolo e l'effettivo superamento dell'obsoleto controllo imposto sul mercato dalle multinazionali del disco (una dettagliata cronistoria del progetto a http://www.demon.co.uk/momus).

Lo scrittore di fantascienza e teorico cyberpunk Bruce Sterling ha proposto in un millenaristico "Viridian Manifesto" su Whole Earth Magazine, la creazione di un movimento estetico-culturale eco-chic con l'obiettivo di salvare il pianeta dal suicidio ambientale, seducendo mediante la forza dell'esempio quanti, tra ricchi e potenti, sono realmente in grado di influenzare le decisioni delle grandi industrie inquinanti. E' grazie a inedite tattiche e "idee forti" di questo tipo, improntate ad un urgente spirito utopico-pragmatico, che la cultura di rete potrà continuare a rigenerarsi e rivendicare un suo ruolo non secondario nella società del XXI secolo.

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Last updated: maggio 08, 2005.