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Riportiamo di seguito un interessante intervento in Rete
sulla Mail Art.
Vi inviatiamo a leggerlo così come noi l'abbiamo letto, in stile
antiartistico, sottolineando col corsivo i punti di più precipuo contatto
tra i due movimenti.
Buona lettura
Andrej Adramelek
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http://dadacasa.supereva.it/ah!/mailart.html?p
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MAIL ART
It's a net, net, net, net, net world (veeery long mix)
Vittore Baroni
C'è sempre qualcuno addormentato e qualcuno sveglio
Qualcuno che sogna dormendo, qualcuno che sogna da sveglio
Qualcuno che mangia, qualcuno affamato
Qualcuno che lotta, qualcuno che ama
Qualcuno che fa soldi, qualcuno squattrinato
Qualcuno che viaggia, qualcuno che resta fermo
Qualcuno che aiuta, qualcuno che ostacola
Qualcuno che gioisce, qualcuno che soffre
Qualcuno indifferente
Qualcuno che inizia, qualcuno che smette
La Rete è Eterna
Robert Filliou, 1970
1. Invisibilità e movimento
Soprattutto per chi abita in piccoli centri privi
di valide biblioteche e infrastrutture culturali, Internet ha
rappresentato nell'ultimo decennio del secolo una nuova ed eccitante
possibilità di acquisire conoscenze, tessere contatti con persone di
interessi affini, collaborare a progetti comuni, raccogliere e
scambiare informazioni con l'intero pianeta. Una sensazione
stimolante, quella dei rapidi spostamenti e degli istantanei e spesso
fortuiti incontri lungo le superstrade telematiche, che è quanto di
più simile si possa immaginare alla non meno esaltante sensazione
sperimentata, già a partire dagli anni Sessanta, da un numero
crescente di operatori che hanno preso parte alle attività di una
rete globale certo più modesta in quanto a tecnologie impiegate
(buste e francobolli!), ma non meno stupefacente nei risultati: la
"rete eterna", per dirla con l'artista-sociologo Fluxus
Robert Filliou, della mail art (arte postale).
Per quasi quattro decadi infatti, persone di ogni
età e provenienza hanno sperimentato l'ebrezza di
"navigare" liberamente a basso costo, senza spostarsi da
casa, fra progetti collettivi e corrispondenze personali con contatti
sparsi per il globo, scavalcando la rigidità unidirezionale dei mezzi
di informazione di massa per attivare ogni genere di insolite
interazioni: artisti di professione, studenti e appassionati d'arte,
ma anche semplici curiosi o persone coinvolte per puro caso, e poi
poeti, scrittori, musicisti, "creativi" in genere, hanno
dato forma ad una fitta rete di scambio di idee, opere dell'ingegno
(testi, disegni, collage, audiocassette, micro-edizioni, ecc.) e
frammenti di storia personale. Come un grande circolo di "amici
di penna" un po' cresciuti, senza regole prefissate che non siano
quelle sottintese di una ragionevole netiquette: nessun obbligo di
risposta ma solo interazione spontanea, non finalizzata alla vendita
di materiali bensl al puro arricchimento spirituale, al confronto fra
culture, o anche al semplice divertimento, per sconfiggere noia,
solitudine e senso di isolamento, come antidoto alla saturazione da
informazioni massificate. Nel caso di progetti o esposizioni
collettive, la non-dogmatica consuetudine è: nessuna tassa di
iscrizione, nessuna selezione dei lavori, le opere restano
all'organizzatore che contraccambia inviando una documentazione
gratuita a tutti i partecipanti.
Sono tante piccole finestre - si calcola almeno
alcune decine di migliaia di individui coinvolti nella rete postale
creativa nel corso degli anni - aperte sulla quotidianità di realtà
diverse, proprio come avviene su Internet nei siti che propongono
nient'altro che una web camera puntata 24 ore al giorno su uno scorcio
di cameretta, un letto, una scrivania: oltre al semplice impulso
voyeurista, c'è la curiosità di compiere minimi studi
"antropologici", di confrontare abitudini e manie, scoprire
differenze e assonanze dell'anima. Di più, in entrambi i casi,
snail-mail e e-mail, si offre la liberatoria opportunità di attivare,
ora e subito, un (seppur ridotto) canale di comunicazione personale,
alternativo a quelli tradizionali e invadentemente
"autoritari", in cui i saperi possano viaggiare
orizzontalmente, senza filtri o censure, senza strutture gerarchiche e
ansie di competitività, superando barriere geografiche, linguistiche
e ideologiche.
"Arte e musica non sono l'essenza della
vita. Sono ornamentali, ma la gente ha bisogno di questo ornamento
quando qualcosa di sostanziale manca alle loro vite" ha scritto
Yosuf Islam (già Cat Stevens, già Sthephen Demetri Georgiou). La
mail art è una sorta di piccola zona franca, una auto-terapeutica
"arte del quotidiano" libera da condizionamenti di mercato e
proprio per questo (felicemente) confinata da sempre nella
semi-invisibilità delle pratiche alternative e
"sotterranee". Ancor oggi, dopo migliaia di progetti ed
esposizioni realizzate in spazi istituzionali e non (dalla Biennale di
San Paolo alla vetrina di barbiere), un fenomeno contraddistinto da
una perenne aura di folkloristica "novità" dovuta al fatto
di non essere stato ancora interamente storicizzato, inquadrato,
masticato e digerito dai media.
2. Le origini
E' impossibile stabilire una precisa data di
nascita per la mail art, pratica che ha assunto gradualmente una sua
fisionomia tipica e riconoscibile dal confluire di molteplici e
dissimili esperienze di uso non convenzionale del mezzo postale.
Che Ray Johnson (1927-1995) sia stato il
"padre fondatore" dell'arte per corrispondenza è una
convenzione tenuta generalmente per buona dai commentatori, più per
lo spessore del personaggio che per correttezza storica.
La rete postale creativa, più o meno come la
conosciamo oggi, sarebbe difatti esistita anche senza le attività di
Johnson e della sua ironica New York Correspondence School, esempio
comunque per molti versi insuperato delle possibilità ludiche,
liriche, estetiche e concettuali di una ben concertata strategia di
invii a sorpresa zeppi di ritagli, disegnetti, frammenti diaristici,
piccoli enigmi, rimandi, richieste surreali... Nei primi Sessanta,
quando prendono vigore le attività della NYCS, già operavano del
resto in stretto contatto postale anche altri circuiti di artisti
(soprattutto membri del gruppo internazionale Fluxus come Ben Vautier,
Robert Watts, Mieko Shiomi, responsabili di pionieristici esempi di
francobolli, timbri e cartoline d'artista e, nei testi di Filliou, Ken
Friedman e altri, delle prime importanti teorizzazioni sull'arte per
corrispondenza), poeti visivo-sperimentali (in particolar modo europei
e sudamericani: Edgardo-Antonio Vigo, Damaso Ogaz, Clemente Padin,
ecc.), giovani scrittori post-Beat e ricercatori della scena
avantgarde in genere, che avrebbero poi trovato comune terreno di
confronto, ad esempio, nelle auto-pubblicazioni della free press
sotterranea (East Village Other, Los Angeles Free Press, Oz, It e
simili), cosl come, in forma più clandestina, in aree di scambio
sempre più allargate e intersecate della rete postale.
Le origini della mail art - non è dato sapere chi
per primo abbia introdotto questo termine, preferito di gran lunga
nell'uso comune a varianti quali postal art o correspondence art - si
perdono perr in realtà nella notte dei tempi, e fra i molti antenati
illustri della corrispondenza creativa figurano già Balla, Cangiullo
e vari altri esponenti del Futurismo (vedi Futurismi Postali a cura di
Maurizio Scudiero, Longo Editore, Rovereto 1986) e Dadaisti come
Marcel Duchamp e Kurt Schwitters: non a caso la lezione delle
avanguardie storiche (oltre a Fluxus, al Nouveau Rialisme e alla
Conceptual Art) è tenuta in gran conto dal network postale, che
soprattutto nel ricorso a tecniche di collage e al riciclaggio di
"oggetti trovati" porge frequente omaggio ai grandi
iconoclasti di inizio secolo.
Data la natura privata e sotterranea della gran
parte delle attività postali, a scandire date di particolare
rilevanza per la storia della rete restano soprattutto
l'organizzazione di mostre di un certo peso ed eco nei media (a
partire dal New York Correspondence School Show curato da Marcia
Tucker al Whitney Museum di New York nel 1970 e dalla sezione postale
curata da Jean-Marc Poinsot alla VII Biennale de Paris del 1971; per
quanto riguarda l'Italia va ricordata l'esperienza pionieristica di
Mantua Mail78 curata nel 1978 dal C.D.O. di Parma presso la Casa del
Mantegna di Mantova, e La posta in gioco del 1990 a cura di Gianni
Broi, presso la Sala delle ex-Reali Poste degli Uffizi, a Firenze),
cosl come la pubblicazione di studi divenuti punti di riferimento per
il ricercatore (dalla classica antologia Correspondence Art a cura di
Michael Crane e Mary Stofflet, Contemporary Arts Press, San Francisco
1984, fino all'unico testo specifico in lingua italiana, Arte Postale
- Guida al network della corrispondenza creativa di Vittore Baroni,
AAA, Bertiolo 1997).
Hanno assunto una certa importanza storica anche le
principali occasioni di incontro "fisico" fra operatori
della rete postale, sia nel caso di eventi pubblici come i festival
InterDada californiani dei primi Ottanta, o privati come i
"festival d'appartamento" Neoisti o la serie di
"Congressi Decentralizzati della Mail Art" organizzati in
diverse parti del mondo nel corso del 1986 (su stimolo di G|nther Ruch
e E'.R. Fricker), evento ripetuto su scala ancor più planetaria sei
anni dopo con il Decentralized World-Wide Networker Congress 1992 e,
in chiave più criptico-ironica, nel 1998 con gli Incongruous Meetings
1998.
3. La pratica
Scriveva Jean Brown, compianta
collezionista-archivista di Fluxus e dintorni, in una lettera al
mailartista Chuck Welch (curatore dell'importante antologia Eternal
Network, University of Calgary Press, Calgary 1995): "La mail
art è una forma d'arte mistica, magica. Pochi scarabocchi su un
foglio infilati nella buca delle lettere per raggiungere l'indirizzo
designato. La cassetta della posta diventa la galleria, il museo...
Apprezzo ogni pezzetto di carta che ricevo."
L'arte postale è un felice viluppo di
contraddizioni, un gioco "infinito" ed etereo di
corrispondenze, nascoste, intuite, immaginarie, divertenti, poetiche,
provocatorie, banali, rivoluzionarie. Nel corso della sua storia,
sono stati realizzati progetti su ogni tema immaginabile, perfino con
operazioni concepite per soli anziani o per bambini delle scuole
elementari (vedi il volumetto di Randy Harelson Swak - The Complete
Book of Mail Fun for Kids, Workman Publishing, New York 1981),
coinvolgendo in media in ciascuna esposizione pubblica dai 100 ai 500
partecipanti, da 10-40 nazioni. Negli scambi privati, la medesima
cartolina inviata a destinatari diversi pur finire cestinata,
appiccicata allo specchio, conservata in scatola da scarpe, detournata
e riciclata, incorniciata e catalogata, rivenduta a caro prezzo a
prestigiose istituzioni (come nel caso della collezione della Brown,
ceduta al J. Paul Getty Center di Santa Monica).
Proprio in ragione della totale apertura che ne
è caratteristica distintiva e inalienabile, la mail art rappresenta
un bizzarro amalgama di sciatteria amatoriale e miniata raffinatezza,
rigore concettuale e fatuo decorativismo: nella cassetta delle lettere
pur capitare di tutto, dall'anonima fotocopia distribuita in centinaia
di copie al pezzo unico amorevolmente personalizzato, dalla risposta
dell'artista "celebre" e navigato a quella dell'inesperto
neofita. E' questa doppia anima, questa inestricabile commistione di
arte "alta" (con un suo pantheon di autori la cui produzione
non sfigura di fronte a quella di gruppi e movimenti più compatti) e
dichiarata non-arte, sempre in bilico fra asserzione estetica
cosciente e giocoso esperimento sociale, a irritare e indisporre gli
integralisti della professionalità e qualità über alles (lo stesso
Friedman ha diffuso testi di aspra critica al lassismo e al
"pensiero debole" di tanti networker). L'imprevedibile e
incontrollabile frammentarietà del fenomeno mailartistico rappresenta
però anche un paradossale punto di forza: la mancanza di capi
riconosciuti e centri propulsori, di tessere di appartenenza o
scomuniche, la tolleranza generalizzata verso le ingenuità dei nuovi
arrivati, ha permesso per decenni uno spontaneo rigenerarsi della rete
in nuove forme.
Se la partecipazione è aperta a chiunque, per
ottenere risultati concreti occorre però ovviamente (nella mail art
come in Internet) una certa dedizione e intelligenza: bisogna sapere
cosa, come e dove cercare, per esser presi sul serio occorre aver
qualcosa di valido da offrire come merce di scambio o essere in grado
di prestare collaborazioni utili.
In entrambi i casi, è necessario poi il coraggio
di esporsi personalmente, pur con la possibilità di utilizzare
fantasiosi pseudonimi. Pensate a come sarebbe stato problematico
l'espandersi della rete postale se gli indirizzi privati dei
partecipanti ai progetti, le liste tanto spesso copiate e circolate,
fossero state soggette alle attuali restrizioni legali in materia di
"privacy"... Non è un caso se proprio dall'humus
mailartistico, assieme a gruppi e gruppuscoli in posizione
radicalmente polemica nei confronti del sistema dell'arte (Neoismo,
Plagiarismo, Impossibilismo, ecc.), sono emerse alcune delle voci più
autorevoli e articolate in materia di battaglie contro il copyright
sulle opere dell'ingegno e per il libero "campionamento" in
musica (Stewart Home, Lloyd Dunn e The Tape-Beatles, aderenti
all'Associazione Astronauti Autonomi, ecc.), così come dal
network ha avuto origine la pratica tendente a scavalcare il concetto
di identità fissa dei "nomi multipli", da Monty Cantsin a
Luther Blissett, una tattica negli ultimi anni trasferitasi
proficuamente online e in diversi media.
Il miglior modo per comprendere le spesso
antitetiche sfaccettature dell'arte postale, ancor più che consultare
gli studi reperibili sull'argomento o visitare uno dei molti archivi
privati sparsi per il pianeta, resta quello di partecipare in prima
persona alle attività di rete.
Le esposizioni collettive "a tema" che
costituiscono la più frequente occasione di documentazione pubblica,
mostrano infatti solo la punta di un iceberg, l'aspetto più impersonale
di una pratica comunicativa che acquista senso e spessore soprattutto
nel processo di interazione individuale, nelle più intime
collaborazioni epistolari fra singoli corrispondenti: interattività
effettiva e non pretestuosa e "pilotata" come accade oggi in
molti CD-Rom e siti web. Perfino i pochi "veterani" che hanno
tenuto vivo continuativamente per più decenni un filo diretto con
centinaia di contatti, debbono poi riconoscere che è fisicamente
impossibile per un singolo individuo riuscire a monitorizzare tutto ciò
che di significativo accade nel network. Come in Internet, il continuo
ricambio di contatti, nodi, dati, tattiche, stili, rendono la rete
postale una inafferrabile nebulosa sempre densa di stimoli e sorprese.
"La Mail Art sposta l'attenzione da
quella che è solitamente chiamata arte al più ampio concetto di
cultura ed è questo spostamento a rendere la Mail Art realmente
contemporanea", ha scritto sul finire dei Settanta Ulises
Carrisn (Second Thoughts, Void Distributors, Amsterdam 1980).
Oggi si direbbe meglio: la mail art ha prefigurato un modello
funzionante di cultura di rete, ed è questo a differenziarla da
qualsiasi gruppo o movimento artistico tradizionale.
4. Il dono
Indipendentemente dai materiali circuitati,
peculiari e specifici ad ogni diversa epoca della sua lunga parabola
evolutiva - con una graduale ma costante tendenza della rete ad
ampliarsi e diversificarsi - la caratteristica più dirompente
dell'arte postale resta la sua apertura a tutti e soprattutto il
fatto di essere creata per esser poi regalata.
Nonostante alcune occasionali voci fuori
sintonia, non è mai comparsa sulla scena, in tanti anni, la figura
del gallerista o mercante di arte postale (una sorta di
contraddizione in termini). Si tratta di un semplice ma sostanziale
mutamento di attitudine, che riporta alla mente (non a caso,
vista la contiguità temporale nell'affermarsi delle due
espressioni) certo teatro di strada d'avanguardia dei Sessanta, come
quello proposto dal Bread and Puppet o dal Living Theater, happening
totali che mettevano in pratica l'equazione arte=vita con gran
semplicità di linguaggi e immediatezza comunicativa, senza
escludere per questo una toccante profondità di contenuti.
Come il Living tentava utopisticamente di porre
in azione un teatro al di là del teatro capace di coinvolgere il
pubblico in un rito collettivo, così la mail art si situa fin dal
principio nell'ottica di un arte al di là dell'arte, senza più il
tabù della preziosità e inviolabilità dell'opera-capolavoro
(spesso i materiali mailartistici, effimeri e altamente deperibili
per natura, vengono riciclati, mutilati, passati di mano in mano
come cadavres exquis), oltre il mito dell'artista come geniale
demiurgo isolato sul suo piedistallo, rifiutando il giogo al collo
dell'originalità a tutti i costi (anzi, la rete partorirà sul
finire degli Ottanta l'ironico pseudo-movimento del "Plagiarismo"!).
Parliamo di arte "regalata"
piuttosto che scambiata, in quando dietro al quotidiano baratto
di materiali - come ha acutamente notato Gianni Broi, curatore
nell'84 di un convegno internazionale a Bagno a Ripoli su Creatività
alternativa e valori umani - si percepisce nella mail art un
gran desiderio di offrire disinteressatamente, di stupire come in un
potlatch pellerossa, di farsi gioco della pretenziosità dell'arte
ufficiale, operando in senso contrario al dominante sistema delle
merci per ritrovare una dimensione espressiva puramente spirituale.
Un dialogo diretto e concreto con un limitato
numero di contatti viene preferito ad un rapporto distaccato e
alienante con una platea allargata ma passiva. Le due situazioni
possono però anche coesistere, ovvero non sono pochi i casi di
artisti attivi nel tradizionale circuito galleristico o performativo
che al tempo stesso partecipano ad attività di rete.
La parola "arte" in mail art assume
dunque valori e accezioni da non prendere affatto letteralmente,
viene da molti conservata più che altro come obsoleto vestigio del
passato, termine di riferimento auto-ironico, motivo per slogan e
giochi di parole impertinenti ("Mail Art=Mai L'art" il
più diffuso in italiano). In realtà, buona parte dei frequentatori
della rete postale preferiscono alla definizione di
"artista" il più neutro e generico termine di networker
(operatore di rete).
Dopo Beuys - e anche dopo l'invenzione di
fotocopiatrice e scanner - è del resto dato per scontato che
"tutti sono artisti" e che l'arte del nostro tempo, se
proprio dobbiamo usare ancora questa parolina di quattro lettere,
oggi opera spesso al di fuori dei tradizionali ambiti deputati: un
film di Peter Greenaway, ad esempio, o un concerto di John Zorn, un
CD-Rom dei Residents, un fumetto di Daniel Clowes, un dipinto di
outsiders come Joe Coleman o Mark Ryden, piuttosto che gli
alto-quotati pargoli delle gallerie top di New York.
"Ritengo sia preferibile per i miei scritti di
non essere pubblicati affatto, piuttosto che di essere presentati in
un contesto artistico", scriveva in una vecchia lettera aperta il
teorico radicale Fluxus Henry Flynt, noto per aver picchettato musei
col cartello "demolisci la cultura seria" appeso al collo
(lo stesso slogan che ancora circola nella rete postale sotto forma di
badges, adesivi e t-shirt!).
L'avventura Fluxus ha delineato un formidabile e
rigoroso programma Intermedia sulle possibilità per l'arte di
invadere la quotidianità, portato a termine da una coalizione
internazionale di artisti a tempo pieno, o almeno part-time. La
mail art, come diretta e inevitabile conseguenza di alcuni assunti
Fluxus, è un eterogeneo e discontinuo insieme di quotidiane
interferenze creative realizzate perlopiù da non-artisti nei
ritagli di tempo. Pur quindi permettersi il lusso di essere (in
tutti i sensi) gratuita.
5. Storicizzazione
All'interno di questa grande rete di "doni
reciproci", la cui storia si intreccia a vario titolo con
quella di altri gruppi e movimenti presenti a Bassano 2000 (Fluxus,
Gutai, Poesia Visuale, Neoismo...) e in cui circolano materiali di
ogni tipo, vampirizzando stili e linguaggi dell'intero spettro
dell'arte contemporanea, disordinando con fuzzy logic i confini fra
arte e non-arte, si sono nondimeno coagulati negli anni alcuni
sotto-generi molto più facili da identificare, catalogare e
studiare: in particolare timbri, francobolli e cartoline d'artista,
per l'ovvia relazione col mezzo postale.
L'utilizzo artistico del timbro di tipo
"burocratico" ha del resto una sua tradizione che antedata
a Schwitters e ai Futuristi (vedi John Held Jr., L'arte del Timbro,
AAA, Bertiolo 1999), anche il francobollo ha conosciuto occasionali
impieghi estetici non convenzionali, come nei valori bollati dipinti
di blu e regolarmente spediti da Yves Klein, e la cartolina è un
supporto già amato dai grandi Espressionisti tedeschi come dai
circoli Surrealisti. Francobolli e cartoline beneficiano poi di
un'automatica associazione mentale col mondo del collezionismo e le
pregiate rarità dei circoli filatelici e cartolinistici, coi loro
cataloghi, periodici, mostre, annulli commemorativi, prime edizioni,
ecc.
Ad essere per primi recuperati e "museificati",
nella figura dei networker più perseveranti e rappresentativi (i
vari Ray Johnson, Anna Banana, Guglielmo Achille Cavellini, Ed
Higgins, Jas Felter, Guy Bleus, Robin Crozier, Pawel Petasz, Gyvrgy
Galàntai, ecc.) saranno dunque probabilmente proprio quei settori
della mail art che intervengono sui più comuni formati e simbologie
postali, oppure che operano concettualmente sulle modalità di
comunicazione tipiche del mezzo (testandone l'affidabilità con
indirizzi in calligrafia aliena, provando ad inviare oggetti
bizzarri o lavori "fuori formato", spedendo missive
andata-e-ritorno a destinatari immaginari, ecc.).
Un tale processo di recupero è in gestazione da
tempo, ma ha acquisito nuovo impeto con la tragica scomparsa di Ray
Johnson, a suo modo simbolica della fine di un epoca per il milieu
mailartistico, e ricordata nel gennaio '99 da un ampia retrospettiva
al Whitney Museum di New York. Proprio in quegli stessi giorni, in
un altro quartiere della Grande Mela, la Queens Library Gallery
ospitava la mostra Transmit - Fluxus>Mail Art>Net.Works, che
rintracciando correttamente il percorso ideale che conduce alle
ultime esperienze di arte in Internet, ha inaugurato quella che pare
essere una nuova tendenza a includere anche la Cenerentola mail art
in rassegne di "arte alta" fino a poco tempo fa ad essa
precluse.
Che un nucleo centrale e specifico dell'arte per
corrispondenza sia ormai in avanzata fase di storicizzazione lo
testimoniano anche alcune importanti mostre su timbri e francobolli
d'artista organizzate in anni recenti, in sedi quanto mai
appropriate, dal Musie de la Poste di Parigi e dal Musie des PTT
Suisses di Berna.
Il principale pericolo di questo procedimento in
atto riguarda la tendenza a "normalizzare" l'esperienza
mailartistica, riportandone le dimensioni e l'impatto entro i limiti
di un tradizionale "movimento" artistico (minore), facendo
passare in secondo piano le peculiari caratteristiche di apertura e
no profit, tacendo l'importanza del processo di comunicazione in
favore dell'aspetto meramente visivo, mettendo a fuoco lavori
individuali piuttosto che progetti collettivi e
"interattivi".
Le più celebri e riuscite mostre di mail art
sono state invece proprio quelle congegnate in modo da coinvolgere
attivamente i visitatori, replicando negli spazi espositivi le
condizioni di fluidità e apertura della rete: le buste liberamente
sparse su tavoli o da aprire direttamente al vernissage invece che
sigillate sotto vetro, interventi creativi diretti stimolati nel
pubblico, come nel caso del pionieristico progetto Omaha Flow
Systems curato da Ken Friedman nel 1973, in cui il visitatore poteva
portare a casa un'opera esposta di suo gradimento, a patto di
sostituirla con un lavoro di sua creazione! Nella tipica esposizione
di mail art, le centinaia di contributi compongono un unico grande
mosaico, un lavoro collettivo in cui l'insieme è tendenzialmente
superiore alla somma aritmetica delle singole parti.
6. Iconoclastia
Il curatore di rassegne museali in ambito di mail
art è confrontato dal dilemma di dover operare selezioni di merito,
storicizzando alcuni autori e fenomeni piuttosto di altri, agendo in
contrasto con l'attitudine inclusiva, "democratica" e
orizzontale propria della rete postale. Cercando di aggirare questo
genere di problematiche, il criterio nel caso di Bassano 2000 è
stato quello di adottare un approccio di tipo "didattico"
anziché personalistico, organizzando una campionatura delle più
diffuse tecniche e modalità espressive della mail art in una sorta
di percorso dimostrativo cronologico-tematico, che prende avvio da
alcune spedizioni di Ray Johnson e altri membri storici della New
York Correspondence School (John Evans, A.M. Fine, Richard C),
passando poi tramite una quindicina di grandi pannelli ad una scelta
di schemi e manifesti dell'arte postale, opere nei formati più
diffusi (francobolli, timbri, cartoline, buste, lettere, adesivi),
esempi di progetti collettivi (Mohammed, catena postale creativa
ideata da Plinio Mesciulam dal 1976 al 1980; The Badge Show, oltre
500 bottoni d'artista applicati su un costume per una
"esposizione vivente"; One Man Show, serie di moduli
grafici "completati e rispediti al mittente"; Cornucopia,
interventi di copy art su comune tema iconografico; Brain Cell,
assemblaggi a più mani coordinati dal giapponese Ryosuke Cohen),
pubblicazioni storiche (libri, cataloghi e riviste: Vile,
Commonpress, Ephemera, Dirigo Me, Open World, Clinch, Arte Postale!,
Global Mail, ecc.), per giungere a logica conclusione con una
postazione Internet che, grazie a una serie di indirizzi web
predisposti, permette di verificare l'attuale fase di migrazione
online di archivi e progetti di tipo mailartistico.
Cosa c'è di più iconoclasta, in un epoca in
cui anche la trasgressione estrema e il politicamente scorretto sono
divenuti fenomeni consumistici per famiglie, di una pratica che
rifiuta il concetto stesso di mercato?
L'inerente "iconoclastia" della mail
art non necessiterebbe dunque l'esplicitazione dei comunque non
pochi casi in cui autori di provocazioni postali sono venuti ai
ferri corti con la legge, che si trattasse della spedizione di
immagini considerate indecenti e offensive (come accaduto al
britannico Genesis P-Orridge nel 1976, condannato a multa pecuniaria
dopo regolare processo) o dell'uso di francobolli
"creativi" in luogo di quelli ufficiali (come nelle azioni
postali degli statunitensi Michael Thompson e Michael Hernandez de
Luna).
Il tavolo del piccolo iconoclasta, installazione
originale assemblata con materiali ricevuti a seguito di un invito
diffuso alcuni mesi fa nella rete postale, vuole essere un modo
soprattutto ironico di affrontare il tema cardine di Bassano 2000:
una dozzina di timbri di autori di diversa nazionalità, sul tema
dell'iconoclastia, sono applicati sotto il tacco di scarpe e stivali
di foggia diversa.
Le calzature, smaltate in bianco e recanti
l'identificazione degli autori, sono sistemate su un tavolo a fianco
di tamponi inchiostrati di diversi colori, e sono dunque
utilizzabili a mo' di insolito timbro dai visitatori per annullare
apposite icone-bersaglio a formato francobollo, conservabili come
ricordo dell'azione. Coinvolgendo il pubblico in un piccolo
laboratorio che è anche una sorta di collaborazione a distanza con
gli autori dei timbri e delle icone-bersaglio, l'installazione
esplicita le caratteristiche di gratuità e apertura a tutti della
mail art (oltre a rappresentare un omaggio trasversale allo
scomparso artista postale britannico Michael Scott, autore di un
celebre timbro di uno stivale fetish con la dicitura "stamp!").
L'utilità, anche in prospettiva futura, di una
presentazione museale di archivi e progetti grandi e piccoli di mail
art, risiede soprattutto nella possibilità di portare in tal modo
alla luce ricchi epistolari privati e vere e proprie Wunderkammer di
opere e curiosità in miniatura, che rischierebbero altrimenti il
totale oblio.
E' quanto avvenuto con la recente retrospettiva
di Ray Johnson al Whitney di New York, dove le bacheche contenenti
reperti postali delle più diverse fogge sono state ammirate da
visitatori e commentatori ancor più delle singole opere "da
parete". Un modello esemplare in tal senso è anche
l'impeccabile catalogo dell'esposizione Joseph Cornell/Marcel
Duchamp... in resonance (Cantz Verlag, Ostfildern-Ruit 1999)
tenutasi lo scorso anno al Philadelphia Museum of Art, che documenta
la corrispondenza privata fra Cornell e Duchamp, un delizioso
guazzabuglio di appunti, ritagli, giochi visuali, ephemera d'epoca,
ogni piccolo frammento riprodotto, studiato e contestualizzato con
cura che ha del maniacale. La mail art ha altri Johnson e altri
Cornell, altri tesori nascosti che meritano di essere salvati dal
deperimento in scatoloni e magazzini. Di questo parere perlomeno
l'autorevole Smithsonian Archives of American Art, che ha di recente
avviato l'acquisizione di parte dell'archivio di un veterano
dell'arte postale, John Held, Jr.
7. Nuovo millennio
Si è avviata al principio dei Novanta una
metamorfosi indolore, che si fa più evidente man mano che un numero
sempre più rilevante di artisti postali si dota di modem e
collegamento Internet, trasferendo in parte o in toto le attività
di rete online (telefono e fax, visti gli alti costi sulle lunghe
distanze, non hanno mai raccolto grandi consensi in ambito
mailartistico).
E' lecito prevedere quindi, in tempi
relativamente brevi, una rarefazione delle spedizioni e dei progetti
postali "cartacei" in favore di nuove strategie concepite
per il mezzo informatico (che conservino o meno la sempre più
anacronistica dizione di "mail art" o "e-mail
art"), mentre è curioso al tempo stesso notare fin da ora,
visitando i più interessanti siti-laboratorio del web dedicati
all'arte in rete (ad esempio il pionieristico
http://www.artnetweb.com o il provocatorio
http://www0100101110101101.org e http://www.EntarteteKunst.org),
come molti dei progetti collettivi qui proposti ricalcano, più o
meno consapevolmente, metodologie e idee già esplorate a fondo
dall'arte postale: richiesta aperta a tutti di contributi "a
tema" in determinati formati bidimensionali, spamming creativo
a liste di indirizzi, performance a distanza (ad es. i semi di un
albero millenario inviati in tutto il mondo per monitorare il
crescere di "sculture" vegetali"...), testi
collettivi creati con la tattica del "modifica-e-rimanda-a",
e via dicendo.
La mail art non è esperienza nata e sviluppata
in vitro, anzi, le sue attività da sempre si intersecano e
confondono proficuamente con quelle di altre "reti"
planetarie (fanzine musicali, fogli contro-culturali, rivistine
poetiche, bollettini ecologisti, ecc.).
La migrazione dei mailartisti su Internet si
inserisce quindi in un normale processo di appropriazione di nuovi
strumenti tecnologici, capaci di rendere più efficace ed economica
la comunicazione indipendente, così come la parallela assimilazione
da parte delle comunità di hacker e net-surfer di intuizioni
proprie della mail art è imputabile ad una naturale osmosi fra
fenomeni dalle modalità operative analoghe.
Come Internet, la mail art prefigura il
passaggio dalla figura del consumatore passivo a quella del "prosumer"
(in parte produttore, in parte consumatore), auspicato da futurologi
come Alvin Toffler e oggi sempre più a portata di mouse: ognuno
in grado di crearsi la propria programmazione tv personalizzata, il
proprio percorso di lettura/scrittura fra link e ipertesti, la
propria rete di contatti diretti tramite chat-group e messaggi
e-mail.
Il compianto Timothy Leary sosteneva che è
preferibile che l'arte finisca nelle mani della gente comune,
piuttosto che venga praticata solo da una élite di autori di grande
competenza tecnica. Non è accidentale che, dopo l'abbuffata di
transavanguardie, neo-espressionismi, citazionismi e
pittura-per-la-pittura degli Ottanta, l'ultimo decennio del secolo
abbia visto, simultaneamente e a dimensione planetaria, il graduale
riemergere di esperienze artistiche performative, tecnologiche,
multimediali e comunitarie: arte come processo e comunicazione,
piuttosto che manufatto in copia unica.
Se Internet, che comunque non ancora tutti
conoscono e utilizzano con la facilità con cui si sigilla e imbuca
una lettera, finirà quindi con l'accogliere e inglobare gran parte
delle attività svolte finora dalla sempre più affaticata
"posta lumaca", ciò non toglie che quasi quarant'anni di
esperienze maturate da migliaia di networker rappresentano un ricco
patrimonio di idee, documentate in un discreto numero di studi
critici, storici e bibliografici (vedi Mail Art: An Annotated
Bibliography di John Held Jr., The Scarecrow Press, Metuchen 1991) o
anche già consultabili in utili archivi online (come l'ungherese
Artpool a http://www.artpool.hu, l'olandese T.A.M. a
http://www.geocities.com/paris/4947, il canadese Jas Cyberspace a
http://www.faximum.com/jas). In particolare, la rampante
commercializzazione del web, anche rispetto alle esperienze
artistiche in rete, rende ancor più preziosa l'eredità spirituale
della mail art come modello di comunità aperta, democratica,
tollerante e funzionale.
In un pianeta di oltre sei miliardi di anime
prossimo al collasso ecologico ed energetico, pare obsoleta e
accademica (e anche un tantino patetica) l'arte "estrema"
che porta da trent'anni in agenda lo scopo implicito di
"scioccare la borghesia", per non dire degli artisti
allevati in scuderia come cavalli di razza per produrre beni
rifugio, isolati in un elitario circuito di
critici-gallerie-collezionisti che ha ben pochi riscontri
nell'esperienza quotidiana. Se l'arte (di rete e non) vuole
riacquistare senso sociale e valore etico, dovrà tentare nuovamente
di confrontarsi coi problemi del mondo reale, senza disdegnare
inediti crossover di arte e quotidianità, arte e (perduta)
destrezza manuale, arte e scienza, arte e politica, a costo di
arrivare a fondare nuove utopiche nazioni con tanto di bandiera,
passaporto e valori bollati (come il movimento slavo della Neue
Slowenische Kunst, l'Akademgorod "terra promessa" dei
Neoisti, l'arcipelago di Tui Tui immaginato dal mailartista Dogfish...).
Il cantautore elettronico Momus, in temporanee
difficoltà economiche, ha avuto l'idea di offrire via Internet la
realizzazione di "ritratti musicali" al costo di mille
dollari l'uno, ricevendo in pochi giorni una quarantina di
commissioni (Jeff Koons fra gli acquirenti) e ottenendo cosl con le
canzoni poi raccolte nell'album Stars Forever (1999) al tempo stesso
un provocatorio ritorno al mecenatismo artistico del XVIII secolo e
l'effettivo superamento dell'obsoleto controllo imposto sul mercato
dalle multinazionali del disco (una dettagliata cronistoria del
progetto a http://www.demon.co.uk/momus).
Lo scrittore di fantascienza e teorico cyberpunk
Bruce Sterling ha proposto in un millenaristico "Viridian
Manifesto" su Whole Earth Magazine, la creazione di un
movimento estetico-culturale eco-chic con l'obiettivo di salvare il
pianeta dal suicidio ambientale, seducendo mediante la forza
dell'esempio quanti, tra ricchi e potenti, sono realmente in grado
di influenzare le decisioni delle grandi industrie inquinanti. E'
grazie a inedite tattiche e "idee forti" di questo tipo,
improntate ad un urgente spirito utopico-pragmatico, che la cultura
di rete potrà continuare a rigenerarsi e rivendicare un suo ruolo
non secondario nella società del XXI secolo.
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