ROMA - Una tragedia dimenticata e
che per molti non ha ancora una spiegazione. Oggi è l'anniversario
di uno dei più gravi incidenti della storia ferroviaria
d'Italia eppure ancora non si riesce a individuare un
responsabile certo per quanto accaduto all'espresso 8017
nella tratta Napoli-Potenza, nella galleria di Balvano,
alle prime ore del mattino del 3 marzo 1944. L'unico
dato certo, dopo 57 anni, sono le 526 persone
morte per aver respirato i gas venefici della
vecchia locomotiva a vapore, rimasta bloccata nel
tratto in salita, poco prima dell'arrivo alla stazione del
paesino della Basilicata. Tutto il resto è un
interrogativo senza risposta. Una congettura carica di
dolore su cui si possono al massimo lambiccare gli storici
interessati.
Secondo quanto scriveva "Il
Giornale del Sud", martedì 7 marzo la causa di tutto
è da attribuire al gran numero di clandestini che avevano
preso d'assalto quello strano convoglio, con dodici vagoni a
carico normale e 33 ufficialmente vuoti. Ma non
sembra così certa questa verità. Più di uno tra i
superstiti parlò chiaramente di ordini dati dai soldati americani
di aggiungere vagoni in almento quattro stazioni
intermedie. Così da allungare, in modo innaturale, la sequenza
di carrozze. E si aggiunge subito dopo altre domande:
possibile che i macchinisti non si rendessero conto di
creare una camera a gas? E se sì, perché continuarono ad
alimentare le caldaie?
A partire da questi interrogativi
Gennaro Francione, giudice e scrittore, ha costruito un
romanzo dal sapore d'inchiesta, "molto intriso di
ricordi", Calabuscia. E' la storia semplice e
pulita di donna Giulia (la nonna di Francione ) che
faceva da corriere per il ricco mercato nero
partenopeo e che prendeva spesso quel treno. "Era una
signora eccezionale, con un grande coraggio. In un
periodo tanto difficile riuscì a procurare il mangiare
per i suoi figli e ad essere punto di riferimento per
tutte le persone che la conoscevano. In calce al mio libro
invito tutti coloro che sono in grado di riferire su
questo tragico fatto con ricordi, testimonianze di
scrivere alla redazione che provvederà a stilare un libro
bianco. Purtroppo l'oblio però rischia di mangiarsi la
memoria e di far scomparire questa ferita tutta
italiana".
L'ossido di carbonio uccide, secondo
i manuali, in cinquanta o sessanta secondi eppure non c'è
ricordo di allarmi o di allerta. I primi soccorritori si
trovarono di fronte allo spettacolo allucinante di una
massa compatta di corpi l'uno sopra all'altro. "Sulle
prime nei vagoni - si legge nel romanzo - tutti i
passeggeri si sono accorti che il convoglio si è fermato
e sono inquieti, anche se non sanno bene cosa stia
succedendo. Nell'oscurità totale degli antri metallici
ricolmi di uomini e cose volano borbottii,
commenti,lamenti, bestemmie. Solo alla fine, quando il
fumo invade l'ambiente in maniera sempre più fitta e la
gente prende a tossicchiare, il panico comincia a
diffondersi, anche se ancora nessuno osa muoversi. Il non
sapere cosa stia succedendo impedisce d'intuire il cosa
fare". E' l'inattività fatale. "Spero che un
giorno venga sollevato il velo - conclude Francione - su
un fatto tanto grave. E forse alle famiglie delle vittime
dopo tanto tempo basterebbe che le Ferrovie e il ministero
della Difesa deponessero un mazzo di fiori. Basterebbe
quello".
(2 MARZO 2002; ORE 17:00)