IL
RAGAZZO DEL FLICORNO
E
qui l'avventura della fuga si trasforma in una sorta di
peregrinazione medioevale in un mondo costellato da mille pericoli.
Mi
sembra di trovarmi in un bosco folto,dove tra i fitti intrecci della
vegetazione invano cerco una via.Là i lupi sono i tedeschi e
noi,gl'italiani, siamo gli agnelli.
Già
corre voce in stazione che i nemici vanno catturando tutti i giovani
e li mandano in Germania,a lavorare e morire nei campi di
concentramento. Ne deriva in giro una sorda forma di terrore, dove
l'incubo è acuito dalla perdita del senso di quanto sta capitandoci
e dal pericolo nostro personale,passo dopo passo, di essere ancora
catturati dai famelici,beffati dopo essere riusciti con tanta fatica
a sfuggire dalle loro grinfie.
A
Venezia l'attesa è lunga sul binario,sempre vigili a qualche
movimento dei tedeschi. Siamo attorniati da gente varia. Uno che ha
l'aria di commerciante, con tanto di borsa di pelle e cappello a
falda piegata su un occhio, sembra
saperla lunga sulla guerra e discute animatamente con due
contadinotti,padre e figlio, di Rovigo.Mi accosto al gruppetto e
colgo dalle loro labbra le ultime notizie.
"Ieri
mattina,verso le 5,10,
la famiglia reale con in testa Re e Regina si è data alla
fuga" annuncia il signore.
"In
Italia tutti scappano, perché non i Re?" commenta il
contadinotto più anziano con faccia a chiazze color carminio e naso
a pera.
"Certo"
ribadisce il commerciante nel suo linguaggio emiliano pieno di s
sibilanti."Si sono messi su una Fiat 2800,col seguito di
Badoglio, il duca Acquarone e Valenzano, il Principe di Piemonte,
alcuni ministri e i generaloni. Il corteo di macchine con
un'autoblindo di scorta sembrava stesse per mettersi in marcia per
la Parigi-Pechino!".
"E
dove sono scappati?" chiede il campagnolo più giovane con la
faccia da scemo del villaggio.
"A
Ortona a Mare...Sembra che hanno creato sinanche un allarme aereo
finto per tener rintanata la popolazione. Alla fine si sono
imbarcati su una bettolina del porto-ma guarda un po' te che fine!-
e poi sulla corvetta Baionetta alla volta di Brindisi, dove forse
siederà provvisoriamente il governo italiano".
"Intanto
però se l'è squagliata!" fa eco il buzzurrotto."Io penso
che quello là si preparava da tempo
all'impresa..."
"Certo.
Altrimenti perché avrebbe affidato a un dignitario i gioielli della
Corona?Senza contare che con carri merci sigillati ha trasportato in
Svizzera quadri, sculture, vasi preziosi, tappeti, argenteria".
"E
la faccia...come l'ha salvata?".
"Bàh...La
radio l'ha detto...il Re ha fatto solo una blanda obiezione a chi
gli rimproverava la scappata:'Sono vecchio,cosa volete che mi
facciano?'".
La
conversazione continua su questi toni passandosi poi a parlare della
reazione tedesca, su cui l'anziano rovigotto che ascoltava muto
sentenzia:
"Non
ci facciamo illusioni. Siamo in guerra con la Germania!".
E'
vero ora siamo in guerra coi tedeschi.
Su
questa triste verità sentiamo il fischio sinistro del treno e lo
scorgiamo laggiù guidato dal manovratore,
un pezzo d'uomo col berretto fregiato a fondo nero e filetto
rosso, che ne segue passo passo i movimenti e gli spostamenti. E'
lui il Minosse del Binario che comanda l'avanzamento,
la retrocessione, il rallentamento di una colonna di veicoli
da mettere insieme in un labirinto di rotaie luccicanti. Controlla
gli agganciamenti e gli sganciamenti esaminando gli organi di
trazione,le condotte dei freni,i cavi elettrici e i mantici
d'intercomunicazione fra i respingenti.Alla fine eccolo il mostro
ricomposto insinuarsi come un erebico serpente meccanico a
retromarcia in stazione.
Quando
è fermo,tutti i viaggiatori montano sopra con frenesia. Molti di
loro li invidio:mostrano le facce pallide e rossastre tipiche del
nord. Loro sì che hanno
un viaggio facile e breve da fare!Noi prendiamo il treno per
scendere giù, per attraversare l'inferno stesso della guerra.
*
* *
Finalmente
verso le 10 del 16 settembre entriamo in Firenze, ma qui i pericoli
aumentano a dismisura e dobbiamo per forza venire allo scoperto.
A
questo punto lavorando sul giochetto fatto prima lo perfezioniamo,
perché esso è diventato al momento l'unico nostro lasciapassare
per la salvezza. Ci laceriamo le vesti,se ancora non le ha fatte a
pezzi il massacro del viaggio, ci riempiamo la faccia di polvere e
avanziamo come intrepidi barboni in questo campo minato dal
rastrellamento nemico. Per fare ancor di più scena mi appoggio alla
spalla di mio padre e mi trascino su di lui, zoppicando coi piedi,
ora sfacciatamente messi in bella mostra nella loro stomachevole
massa putrida.
Il
nuovo trabocchetto si rivela efficace perché in una stradina
attorno a Ponte Vecchio scorgiamo un movimento di tedeschi che
escono dai palazzi caricando altri giovani su una decina di camion.
Ripetiamo la tattica di non scappare ma di portarci proprio sotto il
naso di un bulldog vestito da tenente. Di fronte al suo sguardo
perplesso ci allontaniamo alla chetichella,visto che ci squadra da
capo a piedi e alla fine sembra schifarci assai e darci davvero poca
importanza.
Arrivati
alla stazione qui tutto sembra funzionare, ma stavolta non osiamo
dare in escandescenze per la gioia. Anzi tiriamo il fiato
osservando il cartellone con le partenze. Incredibile ma vero è
segnato sopra, a mezzogiorno, un treno che va a Roma.
Senza
fare il biglietto come abbiamo fatto finora- tanto di questi tempi
dove stanno i controllori?- montiamo sopra e ci troviamo uno
scompartimento dove possiamo stare da soli. Stavolta nemmeno ci
accorgiamo di partire perché siamo già sprofondati in un sonno
ristoratore, sdraiandoci sui sedili, lunghi distesi.
(Da
Gennaro Francione, Calabuscia)