WEBPROCESSO
AI FATTI DEL TRENO 8017
di
Gennaro
Francione
1)PREMESSA.
UN TRENO PER LA PACE.
Sul più grande disastro ferroviario della storia d'Europa(forse
del mondo), verificatosi nella galleria di Balvano nella notte tra il 3 e
il 4 marzo 1944, è caduto un velo di oblio mille volte più lungo
dell'oscura Galleria della Morte.
Ha
scritto sulla tragedia Gordon Gaskill: "Quasi nessuno sapeva allora
che cosa stesse accadendo e ancor oggi nessuno sa con esattezza che cosa
sia avvenuto; eppure quel disastro ha fatto più vittime d'ogni altra
sciagura ferroviaria".
Noi
cercheremo di ricostruire quanto si è verificato, emettendo nel contempo
una websentenza dinamica. Il nostro intento è di continuare a raccogliere
documenti e testimonianze con tutti i media a disposizione, a cominciare
da internet, proseguendo con radio, tv etc., per aggiornare volta a volta
la ricostruzione dei fatti e l'accertamento delle responsabilità.
Il
webprocesso, una sorta di cyberlibro-bianco,
tende a purificare la coscienza nostra e di quanti hanno voluto
nascondere con la copertura della tragedia di Balvano gli orrori e le
insensatezza della guerra.
Questo
processo al treno 8017 è una guerra alla guerra e insieme un inno alla
Pace tra i Popoli.
2)I
DOCUMENTI MANCANTI.
La maggior difficoltà nella ricostruzione del disastro di Balvano è
collegata alla strana mancanza di documenti ufficiali,
almeno in Italia (una documentazione è stata trovata in Inghilterra e
presto sarà pubblicata), per cui la più gran parte
della ricostruzione è basata sui giornali dell'epoca e sulle
testimonianze raccolte.
Mario Restaino, alla fine del suo pregevole lavoro di ricostruzione
in Un treno, un'epoca: storia dell'8017, riporta "un appunto" ottenuto il 16 ottobre 1993 dall'on. Pasquale Lamorte, già Presidente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati. Egli lo aveva avuto, su sua richiesta, il 28 settembre. Ecco il
testo:
"In
merito al disastro ferroviario avvenuto nella notte tra il 2 e 3 marzo 1944 sulla tratta Battipaglia-Potenza, nella galleria delle "Armi", ubicata tra le stazioni di BALVANO e BELLAMURO, fino ad oggi non si sono rinvenuti atti riguardanti eventuale inchiesta amministrativa o giudiziaria svoltasi all'epoca dell'accaduto.
E' stato riferito dagli Uffici competenti a custodire gli atti di eventuali inchieste svoltesi, che tutto il materiale cartaceo non è più disponibile.
Le vane ricerche sono state svolte con ogni impegno sia presso la Sede centrale delle FS, sia presso il Compartimento ferroviario di Napoli, ed in particolare presso il Capo unità del tratto di linea interessato.
Dal ricordo di alcuni congiunti delle vittime, si è appreso che la strage dei passeggeri avvenne per avvelenamento provocato dal fermo della locomotiva a vapore, in un tratto in salita, a metà galleria della lunghezza di 1.692 metri.
Si fa riserva di fornire ulteriori notizie, appena possibile, dovendo proseguire le ricerche presso la biblioteca centrale delle F.S. e presso la Funzione Organizzazione, i cui Uffici provvidero a liquidare £. 320.000 per ogni vittima, a favore dei familiari.
Ove anche queste ricerche dovessero risultare vane, resterà la sola possibilità di chiedere notizie alle redazioni dei quotidiani
dell'epoca".
Gli atti non sono stati più trovati,
Questo webprocesso
rappresenta l'ulteriore tentativo, attuato attraverso il cyberspazio,
per raccogliere informazioni ulteriori attraverso testimonianze,
foto, e altri documenti ove dovessero venire alla luce.
3)IL
CONVOGLIO DEI POVERI.
La tragedia nasce all'ombra di derelitti che la seconda guerra
mondiale, pur avendoli miracolosamente risparmiati, ha condotto sull'orlo
della fame e della
disperazione.
La
situazione delle ferrovie italiane subito dopo la liberazione era già
tragica in sé.
Fra
Bari e Napoli erano stati concessi due treni la settimana con un massimo
di 600 persone per ogni convoglio. Tutti i treni venivano presi
sistematicamente d'assalto e ben poco potevano fare i militari di scorta
ai vagoni o di guardia nelle stazioni. Ecco perché il treno 8017, merci
Napoli-Battipaglia-Potenza, partì da Balvano alle 0,50 del 3 marzo 1944,
trainato da due
locomotive e composto da 12 vagoni carichi e 35 vuoti nei quali si era
introdotto un numero imprecisato di persone probabilmente attorno alle
600.
Un mese prima, in una galleria sulla tratta Baragiano - Tito,
immediatamente successiva a quella della tragedia e con pendenze superiori
al 22, un treno dell'autorità militare statunitense aveva subito un
incidente simile, dove il personale era rimasto intossicato dai gas di
scarico del carbone di scarsa qualità. Il macchinista Vincenzo Abbate era
svenuto ed era rimasto schiacciato tra la motrice e il tender.
Per ridurre l'eventualità di questi incidenti riducendo gli sforzi e le
emissioni delle macchine era stato disposto il limite di 350 tonnellate per
questa tratta, e l'utilizzo di locomotori diesel-elettrici americani nei
casi di doppia trazione, con eventualmente una locomotiva a vapore italiana
posta in coda e invertita per scaricare con il fumaiolo in coda. Venne
stabilito a Battipaglia il punto di applicazione di queste normative, per
evitare di dover compiere operazioni di separazione sulla linea montana.
Questi limiti rimasero per molto tempo in vigore, fino al 1996, quando la
linea Battipaglia-Metaponto venne tutta elettrificata.
Inoltre nell'uscita
sud della Galleria delle Armi fu istituito un posto di guardia in cui
l'operatore ad ogni passaggio di treno doveva avvertire telefonicamente la
stazione di Balvano quando poteva vedere la luce in fondo, segno che nella
galleria non vi erano più gas di scarico. Queste disposizioni rimasero in
vigore fino al 1959, quando su questa linea vennero vietate le locomotive a
vapore (da
http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Balvano)
Il
3 marzo
il
treno 8017 non arrivò mai a Bella-Muro. E qui si affaccia il primo mistero
della vicenda.
Il
treno merci n. 8017, su ordine del Comando alleato, era diretto a Potenza
per caricare legname già preparato dall'American Corps of Engineers,
necessario per la ricostruzione di ponti nella zona di combattimento.
E'
il tramonto, quando si muove dal piazzale Garibaldi. Un convoglio
lunghissimo: 47 carri, una ventina dei quali scoperti.
Il
convoglio ripartì, dunque, alla volta di Eboli con in testa la 480.016,
su cui viaggiavano il macchinista Espedito Senatore ("un grande
macchinista", per unanime ricordo di chi lo conobbe) e il fuochista
Luigi Ronga. Alla guida della 476.038 vi era invece il macchinista Matteo
Gigliano, coadiuvato dal fuochista Rosario Barbaro. Da calcoli postumi si
può presumere che il convoglio ospitasse oltre cinquecento viaggiatori
abusivi.
Il
mercato nero, visto con lo stomaco pieno, è deprecabile; visto con il
terrore della fame, lo è molto meno. E poi la maggior parte dei
viaggiatori non sono "borsari neri", ma poveretti che vanno a
cercare cibo per le loro famiglie. Alcuni sono persone costrette a
viaggiare e che non hanno trovato altri mezzi.
Fatto
sì è che quando gli abusivi salgono sul treno, vista la grande
tolleranza che c'è in giro, nessuno si oppone, neppure la scorta
militare, composta da un ufficiale e sette soldati italiani.
Il pericolo di quegli assalti al treno era ben noto
alle autorità tant'è che in una comunicazione del 22 gennaio 1944 del
commissario compartimentale di Polizia di Bari, Buono, alle Regie Questure
di Brindisi, Taranto, Matera e Potenza e al Commissariato compartimentale
di Polizia di Napoli.
Buono segnalava che il treno Bari-Napoli, specie nelle stazioni di
Francavilla Fontana, Taranto, Ginosa, Metaponto e Potenza ecc. veniva
preso d'assalto da numerosissimi viaggiatori sforniti quasi tutti della
citata autorizzazione delle Autorità Alleate ed anche di biglietto
ferroviario, venendosi così a creare grave
disservizio con possibile nocumento all'ordine pubblico e all'incolumità
delle persone"(rip. da Mario
Restaino. Un
treno, un'epoca: storia dell'8017,
p. 18).
Gl'inviti a provvedere non ricevettero attuazione.
Tornando
al nostro treno 8017 nel
corso del percorso le carrozze del treno vennero aumentate tanto che fu
necessario mettere un altra locomotiva, la 476, per trainarlo.
Il
peso del treno è stato calcolato sulle 500/550 tonnellate, tenuto conto
anche delle persone trasportate.
4)IL
LUOGO DEL DISASTRO: LA GALLERIA DELLE ARMI.
Era da poco passata la mezzanotte del 3 marzo 1944, quando il
convoglio si fermò in una sperduta stazioncina fra le montagne, il cui
nome è destinato a rimanere negli annali ferroviari: Balvano.
La
stazione sorge in posizione estremamente isolata proprio fra due gallerie
(quella di Romagnano e quella delle Armi): il centro abitato di Balvano
dista oltre tre chilometri. Subito dopo Balvano, la linea corre a mezza
costa lungo la valle del Platano, e la Galleria delle Armi segue lo stesso
tortuoso percorso: lungo i 1500 metri del tunnel non vi è un solo
rettifilo. Solo alla fine, essa presenta per una lunghezza di poche decine
di metri una serie di fornici che si affacciano sul Platano. Non essendovi
pozzi di a reazione, la galleria, lunga e tortuosa, non aveva una
sufficiente ventilazione.
Il
merci supera la prima galleria, poi la seconda, quindi un tratto
all'aperto, in una forra, e, infine, ecco la fatidica galleria. La
tragedia si verifica nella Galleria delle Armi, poi detta Galleria della
Morte , lunga 1966 metri
(altrove si riporta 1692 metri. Situata tra Balvano e
Bella-Muro, ha una pendenza massima del 13 per mille, tutto sommato
non eccezionale anche rispetto alla tratta rimanente. Nei 19 chilometri
successivi, da Baragiano a Tito la pendenza media dovrebbe essere
superiore al 17 per mille con punte certamente oltre il 20.
Il
treno percorre i primi duecento metri, poi le ruote non mordono più le
rotaie, girano a vuoto. I
macchinisti continuano a dare gas, e, quando si rendono conto del
pericolo, danno alle due locomotive comandi diametralmente opposti: uno di
avanzamento e uno di retromarcia. Non c'è tempo per rimediare tanto che
essi stessi vengono attinti dall'ossido di carbonio che presto invaderà
la galleria, uccidendo la maggior parte degli occupanti del treno.
5)I
SOCCORSI.
Di tutte le cose incredibili di quella notte incredibile, nulla lo
è più del tempo che occorse ai capistazione di Balvano e di Bella-Muro
per chiedersi che cosa facesse ritardare tanto l'8017. Soltanto alle 2.40
- quasi due ore dopo che il treno era
ripartito da Balvano - i capistazione conclusero che ci dovesse
essere qualcosa d'anormale. Ma poi si dissero che avrebbero potuto fare
ben poco in merito: ci sarebbe voluta una buona ora di cammino per
arrivare al treno e un'altra ora per tornare indietro.
Naturalmente
i soccorsi quando giunsero era troppo tardi anche perché l'incidente si
verificò in brevissimo tempo.
Il
treno 8017, trasformato in una lunga bara, venne trovato sotto la galleria
delle Armi. Soltanto i tre carri di coda erano fuori. Nelle locomotive vi
era ancora fuoco, tanto che la galleria era ancora piena di un fumo molto
denso che ne impediva l'accesso. I soccorritori poterono entrare solo
perché muniti di maschere.
Il
convoglio fu rimorchiato a Balvano. In un vagone i corpi delle vittime
erano talmente ammassati che non si riuscì a far scorrere lo sportello.
Bisognò squarciarlo. I volti erano sereni. Un colonnello dell'esercito
americano raccontò in seguito: "Non mostravano il minimo segno di
sofferenza. Molti erano seduti con il busto eretto o nella posizione di
chi dorme tranquillo".
Parecchi
avevano tracce di sangue rosso vivo intorno alle narici. Questo colore
rosso vivo del sangue è un segno sicuro dell'avvelenamento da ossido di
carbonio.
Le
vittime, tra 500 e 600, furono dapprima trasportate nella ex casa del fascio, poi sepolte
in tre fosse comuni, ricoperte di calce viva, nel piccolo cimitero del paese.
Soltanto più tardi, per desiderio dei parenti, alcune salme furono
riesumate e sepolte più decorosamente.
Quanti ai superstiti, probabilmente da 100 a 200, molti non
dichiararono d'essere scampati al disastro per timore delle pene previste
per i viaggiatori abusivi.
6)L'INCHIESTA
UFFICIALE.
Se una donna, Luisa Cozzolino vedova Palombo, non avesse iniziato
un'azione per risarcimento danni, citando le Ferrovie dello Stato, forse
nessuno avrebbe più sentito parlare dei 500 morti nella "galleria
delle armi". Luisa Cozzolino fu la prima.
Poi,
presso il tribunale di Napoli, alla sua si aggiunsero le citazioni di
trecento famiglie: per la perdita del marito, del fratello, della sorella,
della madre, del padre, del figlio, della figlia. Tutti deceduti sul treno
n. 8017.
In
sostanza, sul piano giudiziario il disastro ferroviario di Balvano rimase
avvolto da molte ombre, che non si son potute diradare; perché, a un
certo momento, nella questione intervenne, con un senso di umanità raro
nella burocrazia, il ministero del Tesoro, che propose di risarcire le
famiglie dei morti in base alla legge sui danni di guerra. Il procedimento
giudiziario venne così sospeso.
Dopo
una tortuosa e lunga vicenda giudiziaria, i parenti delle vittime hanno
ottenuto un risarcimento (circa trecentomila lire) con una sentenza che ha
inserito la vicenda del treno n. 8017 tra gli "eventi bellici" e
ha fatto valere la legge speciale (N. 10, del 9 gennaio 1951) di cui è
competente il Tesoro e in base alla quale "viene concessa un'indennità
per danni immediati e diretti causati da atti non di combattimento, dolosi
o colposi, delle Forze armate alleate".
Ma
la burocrazia riscattò la sua precedente benemerenza con il ritardo nelle
liquidazioni. Esse, infatti, non sono ancora state versate a coloro i
quali debbono godere di questo beneficio, che è un fatto materiale, non
sufficiente in ogni caso a compensare quel terribile fatto che è la
morte.
La
famiglia di chi scrive, ad esempio, dopo 60 anni sta ancora aspettando
quel risarcimento avendo affidato la pratica all'avv. Iossa. Che fine ha
fatto quella somma? Fu più elargita? Mistero che si aggiunge al mistero.
Battaglia che si aggiunge a battaglia per recuperare in qualche modo quei
soldi e versarli "tutti" fino all'ultimo centesimo in
beneficenza.
Tornando
a monte, nel corso dell'inchiesta italiana, le Ferrovie dello Stato
sostennero che, dato l'allora vigente regime di occupazione militare da
parte del governo alleato, e dato il fatto che agli occupanti dell'8017
non poteva essere riconosciuta la qualifica di viaggiatori regolari,
nessuna responsabilità poteva essere addebitata all'amministrazione.
I
giudici italiani, invece, non espressero recisamente lo stesso pensiero.
Se era vero che i viaggiatori dell'8017 erano tutti "abusivi",
come la cosa poteva conciliarsi con l'esibizione, da parte degli avvocati,
di alcuni biglietti rilasciati dal personale di scorta al treno?
Tra l'altro comparve, infatti, alquanto misteriosamente, un
biglietto di viaggio rilasciato dagli operatori di scorta al treno (tutti
morti), giustamente datato, che sarebbe stato rilasciato nominativamente
ad uno dei viaggiatori deceduti nell'incidente.
Nella lista dei corpi figuravano anche due uomini in
possesso di biglietti ferroviari, da Battipaglia a Potenza e da Salerno a Potenza.
D'altra
parte, si affermò nel corso della vertenza, non è vero che un
viaggiatore non possa assolutamente prendere posto su un merci. Se la cosa
accade, egli deve pagare il biglietto ed una penale, e scendere alla prima
stazione. Però, pur risalire sullo stesso merci, pagare ancora un
biglietto ed una penale, scendere alla stazione seguente; e poi ancora
risalire e pagare biglietto e penale e così via fino alla fine del
viaggio.
Anche
il governo alleato aveva condotto, intanto, un'inchiesta sull'accaduto,
concludendola con l'esclusione di ogni responsabilità da parte del
personale delle Ferrovie.
Dopo un attento esame da parte del generale Gray e dei suoi collaboratori,
l'incidente venne dichiarato ufficialmente "causa di forza
maggiore".
E'
forse agli Alleati che si deve attribuire l'intera responsabilità della
tragedia? In una pratica ingiallita dell'Avvocatura di Stato è riportata
la deposizione di un funzionario in carriera all'epoca della Amgot, dove
si dice: "Tutti gli ordini relativi all'organizzazione, al movimento
e ai servizi giungevano direttamente dal MRS (Military Railways Service),
ossia dal generale Gray e dal colonnello Horek".
Nella
stessa pratica è riportata la deposizione dell'allora sindaco di Balvano.
Nella sua qualità di ufficiale di pubblica sicurezza, il sindaco aveva
iniziato un'inchiesta per accertare le responsabilità del disastro: ne fu
distolto da un perentorio ordine delle autorità alleate.
Ci
furono altre indagini, l'ultima condotta dal giudice del tribunale di
Potenza. Ma nel '46 l'intera pratica veniva archiviata, non "essendo
stati riconosciuti gli estremi del reato". Un nulla di fatto perché
non si poté provare cosa fosse realmente accaduto sul "treno della
morte" di Balvano. Così come non si poté provare che l'esercizio
della linea Napoli-Potenza era stato affidato alle Ferrovie italiane il 15
febbraio del 1944. Una circolare in tal senso venne diramata
effettivamente dal compartimento di Napoli. Ma forse essa non era ancora
entrata in fase di esecuzione al tempo della sciagura.
7)LE
CAUSE DELL'INCIDENTE.
Dalla relazione Badoglio del 9 marzo quanto alla RESPONSABILITÀ DEL PERSONALE
riporta quanto segue
1) Come si è detto, la sciagura si è verificata nella galleria delle «Armi» con pendenza massima del
13 circa, per la quale non era stato necessario emanare apposite disposizioni limitative del peso dei treni in circolazione.
Sotto questo punto di vista, salvo eventuali ulteriori risultanze in contrasto, non si può fare carico al personale di stazione di una vera e propria responsabilità sull'accaduto.
Tuttavia sono state rilevate le seguenti gravi infrazioni:
a) il capostazione di Battipaglia non avrebbe dovuto consentire la effettuazione di un treno avente peso superiore alle 350 tonn., anche se la prestazione delle due locomotive ne consentiva il traino.
Era noto infatti, e le disposizioni scritte lo confermano, che causa la cattiva qualità del carbone, la prestazione delle locomotive non poteva e non doveva calcolarsi secondo le norme fissate dalla Prefazione all'Orario Generale di Servizio, ma applicando ad essa un coefficiente di riduzione che dall'Autorità Alleata era stato fissato con criteri di un largo margine di sicurezza.
Il capostazione di Battipaglia ha commesso quindi una grave mancanza in quanto può sorgere il dubbio che qualora il treno, invece di 600 tonn., come in realtà è risultato, avesse avuto il peso di 350 tonn. non si sarebbe probabilmente verificata la difficoltà di trazione e conseguente arresto del convoglio nella galleria ed asfissia dei viaggiatori;
b) i Dirigenti delle stazioni di Balvano e di Bella Muro hanno commesso delle gravi infrazioni al regolamento sulla circolazione in quanto non si sono curati di accertare la posizione del treno partito da una stazione e non giunto in orario nella successiva.
Forse il loro tempestivo interessamento, come del resto prescrivono le Norme di Circolazione, avrebbe potuto rendere meno grave e meno tragica la sciagura che ha causato tante vittime;
c) non è del tutto da escludere che il personale di macchina abbia trascurato di assicurarsi, all'atto della partenza, del regolare funzionamento delle sabbiere e che ciò abbia impedito di superare, al momento opportuno, lo slittamento delle ruote.
L'inchiesta in corso preciserà le singole responsabilità: tuttavia le mancanze accertate a carico dei Capi Stazione di Battipaglia, Balvano e Bella Muro vanno severamente punite, indipendentemente dalla eventuale responsabilità penale, che potrà essere stabilita dalla Autorità giudiziaria.
Ho disposto intanto che i tre agenti siano sospesi a norma dell'art. 101 del Regolamento del Personale.
Faccio riserva di trasmettere il verbale di inchiesta, non appena compilato.
(Salerno, Rel. per.).
L'inchiesta ufficiale fu chiusa, attribuendo alla cattiva qualità
del carbone ogni responsabilità, anche se la pesante composizione del
treno e la poco felice ubicazione delle due locomotive, entrambe in testa
al treno, contribuirono senza dubbio alla sciagura.
Vediamo
nello specifico l'eziologia del disastro, alla luce dei dati in nostro
possesso.
7.1)IL
CARBONE.
Prima dell'8 settembre 1943 il carbone utilizzato era di
provenienza tedesca; poi, per la ben nota situazione bellica, cominciò ad
essere fornito dagli americani, che lo facevano giungere a Salerno con la
navi Liberty.
Era
un carbone di piccola pezzatura contenente molto zolfo: ad avviso del
Ronga la sciagura deve appunto imputarsi alla pessima qualità del
carbone. In effetti era di qualità scadente (c'era la guerra e il carbone
scarseggiava) e la sua imperfetta combustione dava talvolta origine a
quantità anormali d'ossido di carbonio, gas tossico e inodoro.
Entrambe le locomotive erano alimentate da carbone iugoslavo,
fornito dagli stessi Alleati, di scarso potere calorifico (carbone non
maturo) con alta percentuale di scorie. E' un tipo di carbone che nella
combustione sprigiona gas letali, come l'ossido di carbonio.
L'assassino
fu il carbone? In una relazione inviata dal ministro dei Trasporti a
quello del Tesoro, nel gennaio del 1952, si legge: "Il treno si fermò
perché il macchinista fu colpito dalle tossiche esalazioni dei prodotti
gassosi della combustione del carbone, particolarmente ricco di ossido di
carbone. In proposito vale notare che, da parte del Comando alleato, venne
imposto l'uso di tale carbone, assolutamente inadatto per le locomotive
allora in esercizio".
Secondo
questa relazione, che riprendiamo da un articolo di Cenzino Mussa su
"Famiglia Cristiana" del 1979,
"il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle tossiche
esalazioni dei prodotti gassosi delle esalazioni del carbone,
particolarmente ricco di ossido di carbonio".
Anche
gli Alleati condussero una inchiesta (affidata ai capitani Osborn e
Gilberston dell'armata francese), ma i risultati non furono mai resi noti.
Della tragedia si occupò il Times nel '51, e scrisse che "il Governo
alleato si sforzò di occultare l'incidente per evitare l'effetto
deprimente sul morale degli italiani".
In effetti si trattava di un disastro annunciato l'accusa visto che il
Governo Badoglio, riunito a Salerno, scrisse nel verbale del 9 marzo '44:
«La sciagura deve attribuirsi alla pessima qualità del carbone fornito
dal Comando Militare alleato perché già si era verificato, sulla stessa
tratta, un caso di morte per asfissia del personale di macchina di un
treno dell'autorità alleata».
7.2)CONDIZIONI METEREOLOGICHE: MANCANZA DI VENTO E UMIDITA'.
L'8017 imboccò la galleria a circa 15-20 km/h
-secondo i ricordi del Ronga -, quando inspiegabilmente le ruote
delle due locomotive cominciarono a perdere aderenza, nonostante i due
macchinisti scaricassero abbondantemente sabbia sulle rotaie.
Il
treno si arrestò in galleria perché le ruote delle locomotive - ambedue
a cinque assi accoppiati - slittavano sulle rotaie, malgrado le sabbiere
fossero normalmente in funzione e la pendenza (13 per mille) non fosse
proibitiva, fino a che il treno fu costretto ad arrestarsi.
Era
l'umidità per la pioggia caduta in giornata a provocare quell'effetto,
rendendo scivolosi i binari.
A
questo si aggiunga che era una giornata senza vento e, comunque,
all'interno della galleria ci fu una riconosciuta inefficienza della
ventilazione naturale.
Questi
fattori vanno naturalmente correlati al sovraccarico del treno si cui
presto andremo a parlare.
7.3)L'ORA.
Anche l'ora notturna fu un elemento infausto dal momento che molti
passeggeri stanchi dormivano. Se fossero stati svegli i più sensibili
avrebbero potuto percepire la nube di monossido di carbonio che stava
invadendo la galleria e ci sarebbero state naturalmente maggiori
possibilità di salvezza.
7.4)IL
SOVRACCARICO.
Secondo la normativa la sicurezza prevedeva che il treno non
superasse le 300 tonnellate. Per questo fu aggiunta una seconda locomotiva
per trasportarne le 600 del treno sovraccaricato.
Dalla relazione Badoglio si evidenzia, comunque, la responsabilità del
capostazione di Battipaglia avendo consentito il superamento delle 350
tonnellate.
Come
abbiamo visto, poi, la seconda locomotiva mentre sembrava parare il
peso, fu causa dell'errore umano perché i due macchinisti non si capirono
e fecero manovre tali, diametralmente opposte, da creare un letale stallo.
Ovviamente il peso era aggravato anche dal numero dei passeggeri. Un
facile calcolo fa stimare il peso di quei seicento viaggiatori irregolari
sui trecentoventi quintali almeno.
In ogni caso la presenza di tanti passeggeri nei carri scoperti, in quelli
coperti, e perfino sugli imperiali di questi ultimi, costituiva di per sé una situazione pericolosa.
Appena due settimane prima della tragedia, Giovanni Di Raimondo,
sottosegretario alle comunicazioni per le ferrovie e, nell'Italia
repubblicana, Direttore generale delle Ferrovie dello Stato, scrive al
Governo e avverte del pericolo sulla linea Bari-Napoli, via Potenza.
Troppi viaggiatori nelle stazioni, attese lunghissime, fermate casuali e
treni presi d'assalto da centinaia di persone che cercano cibo in
Basilicata.
Lo stesso governo Badoglio, nella seduta citata, annotava come grave
infrazione, tra le altre, il fatto che il capostazione di
Battipaglia non avrebbe dovuto consentire la effettuazione di un treno
avente peso superiore alle 350 tonnellate, anche se la prestazione delle
due locomotive ne consentiva il traino.
7.5)L'ERRORE
DEI MACCHINISTI.
Sulla questione della posizione delle leve di comando, la maggior
parte delle versioni pubblicate concorda con la tesi di Raimo,
nell'affermare che la prima locomotiva era disposta per la marcia avanti,
mentre nella seconda la valvola d'inversione era disposta per la marcia
indietro.
Sentendosi
venir meno, i macchinisti, purtroppo, presero misure opposte: una delle
due locomotive fu trovata con la leva d'inversione disposta per la marcia
avanti, l'altra a marcia indietro.
Forse perché memore di un precedente incidente capitato, il
macchinista della 476, Gigliano (anch'egli macchinista di grande
esperienza, un "big" della trazione a vapore) cercò invece
disperatamente di retrocedere. Rovesciò la leva d'inversione "tutta
indietro", e questo fu il momento culminante della tragedia. Data la
potenza della 476 e con l'aiuto del peso stesso del treno, Gigliano
sarebbe sicuramente riuscito a portare fuori della galleria il treno,
anche se la 480 era rimasta disposta per la marcia avanti e col regolatore
aperto: ma non ne ebbe il tempo, forse per pochi, decisivi secondi.
Sopraffatto dai gas, non riuscì ad aprire il regolatore e perì anche lui
al posto di comando insieme al suo fuochista.
La
locomotiva di testa fu trovata non frenata, con la leva di comando sulla
retromarcia. La seconda locomotiva, invece, fu trovata frenata, con la
leva di comando tutta spinta in avanti. A quanto pare, quando il treno si
fermò, i due macchinisti la pensavano in modo fatalmente diverso sul da
farsi(Così Articolo di Gordon Gaskill, La misteriosa catastrofe del treno 8017,
pubblicato in "Selezione dal Reader's Digest", Luglio 1962, pagine 11-16;
ma anche Cenzino Mussa, E la morte scese sul treno,
pubbl. in "Famiglia Cristiana", 4 marzo 1979, pag. 40-46).
Naturalmente
come l'Asino di Buridano non sa decidersi in eterno tra la paglia
e il fieno, morendo di fame, così i due macchinisti ponendo in
essere manovre di salvezza diametralmente opposte di fatto bloccarono
irrefragabilmente il convoglio, segnando così, in pochi secondi, la morte
propria e dei passeggeri.
Se così stavano le cose bisogna deprecare la mancanza di
coordinamento da parte di chi aveva permesso che si aggiungesse una seconda
locomotiva per trainare il treno divenuto di peso eccessivo.
Una testimonianza
parzialmente contraria all'azione diametralmente opposta dei macchinisti
sembra venire dal testimone Mario Motta, intervistato da Mario Restaino.
Egli ricorda che il macchinista del treno di soccorso andò a controllare la posizione delle leve di comando delle due locomotive. Ambedue erano nella posizione di retromarcia. Ricorda anche che alcuni superstiti hanno riferito che il treno, dopo una prima fermata, aveva avuto un breve spostamento in avanti.
Poi era retrocesso "a scossoni" per fermarsi definitivamente dopo pochi metri.
Sembra anche che, in quei momenti, dalle locomotive fossero partiti alcuni fischi e questo starebbe ad indicare un ordine ai frenatori circa la chiusura o l'apertura, dei freni.
Mario Restaino ritiene che vi sia stato, alla base della tragedia, un equivoco fra macchinisti e frenatori e che questi ultimi abbiano chiuso i freni ritenendo che il treno si fosse spezzato o avendo male interpretato gli ordini impartiti col fischio.
È una ipotesi attendibile. La chiusura dei freni veniva ordinata dai macchinisti con "tre fischi brevi e vibrati" mentre per il completo allentamento veniva emesso "un fischio lungo seguito da un altro breve". Più che un equivoco però la causa può essere stata l'improvviso svenimento dei frenatori, dovuto al fumo, dopo aver chiuso i freni.
Secondo questa tesi, quando fu fatto il tentativo di retrocedere, il treno era frenato. La domanda che ci facciamo, ricordando che le ruote dei carri erano fortemente sfaccettate, è se, per motivi non accertabili, i freni non fossero bloccati ben prima della fatale fermata della galleria "delle
Armi"(da Renzo Pocaterra, Balvano: anatomia di un mistero,
pubblicato in "Linea Treno", Febbraio 1995, pagina 26-29)..
Anche per questa via ritorniamo all'errore umano dovuto quanto meno alla
mancanza di coordinamento tra gli operatori del convoglio.
8)CONCLUSIONI
ATTUALI: CONCAUSE DELLA TRAGEDIA.
Sulla base dei dati raccolti il disastro fu determinato da un serie
di concause, la più gran parte dei quali è ascrivibile all'errore umano.
Il
carbone di qualità scadente, gli eccessi(il peso) e i tentativi maldestri
di assicurare, comunque, il viaggio del convoglio con la doppia
locomotiva, unitamente alla mancanza di coordinamento tra i due
macchinisti o tra i macchinisti e i frenatori(che non furono addestrati ad agire all'unisono in caso di
emergenza), causarono il disastro.
Conseguentemente
lo Stato italiano e il Comando Alleato(per cui ordine partì il treno col
carbone scadente) erano tenuti solidalmente a risarcire le vittime poco
importando che sopra vi fossero abusivi. Il biglietto, infatti, si limita
a regolare un rapporto amministrativo;
la mancanza del titolo di viaggio come visto è sanzionabile ma non
elimina la responsabilità dell'ente gestore delle ferrovie. Questo
avrebbe dovuto impedire, per motivi di sicurezza, che tutta quella gente
salisse sul treno, alias doveva fermare il treno.
Facendolo
marciare, comunque, andava incontro attraverso i suoi operatori,
in concorso col Comando alleato, a responsabilità penali e civili
connesse al disastro colposo (art. 449 codice penale con pena della
reclusione da uno a cinque anni raddoppiata dal secondo comma trattandosi
di disastro ferroviario).
Giustizia
in tal senso non è stata resa.
Nel
tempo, lotteremo per conseguirla, immancabile, per noi, per i nostri
poveri morti, per il mondo, urlando la nostra rabbia contro i costruttori
di macchine e ordigni da guerra, unendoci sul Treno della Luce 8017 per
lanciarglielo contro come un uragano di pace e disarmarli per sempre.
BIBLIOGRAFIA
-
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storia dell'8017, "Arti Grafiche Vultur" Melfi, aprile 1944
- Resoconto americano
della sciagura [Pubblicato in "The
727th Railway Operating Battalion in World War II",
New York,Simmons-Boardman,
1948]
-
Giulio Frisoli, Il massacro della
galleria - Il disastro dell'8017, articoli pubblicati in
"L'Europeo", 11 marzo 1956, pagine 12-15; 18 marzo 1956, pagine
52-55; 25 marzo 1956, pagine 37-41
-
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catastrofe del treno 8017, pubblicato su "Selezione dal Reader's
Digest", luglio 1962, pagine 11-16.
-
Cenzino Mussa, E la morte scese sul treno, pubbl. su "Famiglia Cristiana"
4 marzo 1979, pag. 40-46
-
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'44, su "Strade Ferrate",
novembre
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-
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Roma 1994, pp. 179-198.
-
Pietro Spirito, Cronaca di un
disastro annunciato, su "Linea Treno",
febbraio 1995, pagina 29
-
Renzo Pocaterra, Balvano: anatomia
di un mistero, pubblicato su "Linea Treno", febbraio 1995,
pagina 26-29
-
Ricordo del dott. F. Cesari tratto da Appunti
su I grandi incidenti del passato, pubblicato in "L'avvenire
della sicurezza. Esperienze e prospettive" di Pasquale De Palatis,
Roma, CIFI, 2001
-
Alberto Bobbio, Un disastro
cancellato, su "Famiglia cristiana", 29 febbraio 2004, pp.
50-53
-
Agostino Gramigna e Adolfo Pappalardo, Caro
presidente Ciampi, si ricorda del treno dei morti?, su
"Sette"(Corriere della Sera), 4 marzo 2004, pp. 42-44
Nel senso della fatale discordanza di vedute dei due macchinisti vedi la risposta a una lettera pubblicata in "I Treni oggi", Dicembre 1992, pagina 12
rip. su http://treno8017.trenidicarta.it/
Secondo
una testimonianza contraria, minoritaria, raccolta da Mario Restaino,
ambedue le locomotive, invece, erano disposte per la marcia indietro.