La sentenza di
proscioglimento emessa il 16 giugno 1993 dal Giudice dott. Antonio Cappiello per
l'omicidio di via Poma è una sentenza storica prodromica all'avvento del nuovo processo
scientifico in Italia.
Al di là del dispiacere che tutti noi proviamo per il fatto che l'assassino di
Simonetta Cesaroni oggi se ne vada in giro senza più nemmeno l'incubo di essere scoperto,
quella sentenza è un esempio di civiltà giuridica e di coraggio della verità, ovvero di
vittoria contro l'urlo della folla e dei massmedia alla ricerca del Capro Espiatorio.
Il giudice tenendosi strettamente aderente alla scienza criminale, alle
indagini eseguite, e facendo funzionare la logica non più in chiave meramente
aristotelica, ma baconiana-popperiana ha seguito i ragionamenti solo in funzione delle
presupposizioni scientifiche assunte,processando ad incrocio multiplo ogni pilastro
portante dell'accusa. Il fatto poi che le indagini di scienza non siano state fatte a
regola d'arte non è certo imputabile al magistrato ma a un intero sistema che non ha
posto l'indagine scientifica tra le priorità della giustizia penale, escogitando il
sistema indiziario per parare le falle e risparmiare(ma è un vero risparmio?) quattrini.
Il giudice che ha il coraggio della verità quelle falle non è disposto a
coprirle e basa il suo verdetto su un unico criterio: le prove fondate sulla scienza bene
espletata.
Ma vediamo sinteticamente il caso di via Poma.
Nell'agosto del 1990 Mister X, per motivi rimasti avvolti dal mistero, uccide e
dilania con 29 coltellate Simonetta Cesaroni, una ragazzina di 21 anni. Il fatto avviene
in un palazzone austero di via Poma 2, nel quartiere Prati di Roma.
Simonetta si trova là per lavoro, presso l'Associazione italiana alberghi
della gioventù. Fa un lavoro pomeridiano, in solitudine dato che a quelle ore l'ufficio
è chiuso.
Martedì 8 agosto viene trovata seminuda e trafitta da 29 coltellate sul
pavimento dell'ufficio. L'indagine medico-legale rileva che non è stata violentata e che
la sua morte è dovuta a un colpo potente ricevuto sulla testa. Le coltellate, questa la
tesi più attendibile al momento, sono state inferte solo successivamente sul corpo
inanimato e forse proprio per depistare gli inquirenti. In questa luce si possono leggere
anche la scomparsa degli indumenti della vittima, della sua borsa e l'enigmatico disegno
del pupazzo con la scritta "Ce dead ok".
Viene fermato il portiere Pietrino Vanacore.
Il nodo del delitto s'incentra tutto in un'ora di quel pomeriggio, dalle 17,30
alle 18,30. Il palazzone a quell'ora è silenzioso: solo i portieri con figli, nuore e
suoceri passano le ore calde del giorno nel cortile d'ingresso, al fresco degli alberi e
delle due palme laterali. Intorno a una vasca rettangolare di stile fascista a mosaico
celeste se ne stanno più o meno seduti a far passare il tempo mordendo il cocomero: non
hanno visto nessuno, né entrare né uscire. Eppure la ragazza è entrata e di là deve
essere entrato anche l'assassino. A meno che l'omicida non stia già dentro una di quelle
mille stanze del condominio.
Vanacore, secondo gli inquirenti, è l'ultima persona ad aver visto Simonetta e
in più s'è contraddetto su alcuni vasi che diceva d'aver innaffiato nell'ora del
delitto. Poi, sui calzoni reca due macchioline sospette di sangue, e inoltre possiede le
chiavi dell'ufficio in cui lavora la vittima.
L'elemento cronologico e le contraddizioni sono i maledetti indizi contro cui
ci battiamo. L'uomo è pieno di contraddizioni e non si vede perché solo in prossimità
di un delitto, per di più di cui è sospettato, dovrebbe essere coerente. Non si capisce
poi perché circostanze di contiguità spazio-temporali, apparenti(ma possibile che nel
palazzo c'era solo il portiere?) dovessere avere un significato probante.
Prima analisi scientifica e finalmente siamo nella vera zona probatoria.
L'experimentum crucis scagiona il portiere. Le macchie di sangue si rivelano essere dello
stesso Vanacore che soffre di emorroidi.
La congettura iniziale descrive Vanacore invaghito di Simonetta che entra con
le chiavi nell'ufficio della ragazza, tenta di violentarla e nel raptus la uccide. Poi
pulisce tutto in attesa di far sparire il corpo. Il Tribunale della Libertà invece
rimanda a casa il portiere con tante scuse
Intanto ecco comparire un signor Y, misterioso collaboratore dell'architetto
Luigi Izzo, in vacanza all'Argentario. La polizia entra nello studio dell'architetto,
sequestra un asciugamano (sporco di sangue?) e sigilla la porta dell'appartamento. Si
collega il portiere con il signor Y: le cose si complicano, s'impasticciano e vanno per le
lunghe.
Entrano nell'inchiesta il datore di lavoro di Simonetta e altre persone, fino a
quando, grazie alla soffiata di un tizio dei servizi segreti, tale Roland Voller, viene
fermato un ragazzo, Federico Valle, figlio dell'avvocato Raniero, inquilino di lusso del
grande condominio dei misteri.
Lo spione rivela di aver sentito dire che il ragazzo era a via Poma nelle ore
del delitto e che quella sera aveva un braccio ferito.
Nuova congettura: il giovane ha ucciso Simonetta perché la ragazza era
l'amante del padre. Insomma gl'inquirenti sembrano degli scrittori di romanzi gialli che
le cose le inventano, invece che degli Scherlock Holmes che avanzano come un carro armato
a botta di prove scientifiche. Si cerca l'assassino senza ancora sapere per quale ragione
Simonetta è stata uccisa e secondo quali precise modalità.
La formulazione delle imputazioni, nel prosieguo delle indagini, giunge a una
sintesi per cui Valle diventa l'assassino e Vanacore il favoreggiatore, avendo pulito
l'appartamento dopo il delitto, asportando indumenti della ragazza, impossessandosi di
monili e di denaro per simulare una rapina.
Alla fine tutto crolla, partendo dal siluramento punto per punto delle
farneticazioni di Voller.
Il giudice rileva le carenze probatorie scientifiche come la mancata immediata
analisi su un tagliacarte che poteva essere l'arma del delitto, stigmatizzando l'operato
con l'analisi: "Gli esami non si fanno solo per ottenere risultati positivi". E'
il principio di falsificazione di Popper e la necessità di indagini a 360° in piano e in
tridimensione.
L'esame del sangue del Valle non risulta corrispondere a quello trovato sulla
porta e anche l'ipotesi avanzata che fosse frutto di una commistione dei sangui sul tipo
di quello del Valle e della Cesarone è priva di riscontri decisivi.
La consulenza del P. M. su eventuali cicatrice o residui di ferite sul Valle le
esclude, rilevando solo la presenza sul braccio di una formazione cutanea a sinusoide di
circa cinque centimetri
Viene svolta anche in maniera infruttuosa una perizia informatica sul computer
utilizzato dalla ragazza.
I due periti d'ufficio, professionisti esperti di informatica, sono convocati
dal giudice istruttore nel 1990 per verificare se nel computer dove Simonetta Cesaroni
stava lavorando era possibile trovare riferimenti a una certa password che, se si
dimostrasse che la ragazza ne era già a conoscenza, basterebbe a rivoluzionare
interamente il castello delle testimonianze e degli alibi, perché dimostrerebbe che è
morta almeno 2 ore prima di quanto si supponeva fino al momento.
Il fallimento è a monte da come si legge sul Messaggero: "Non si è
potuto provvedere alla prova richiesta perché si è trovato lo stabilizzatore, cui era
collegato il computer, con l'interruttore acceso ma la spia spenta, per cui gli
accumulatori si erano evidentemente scaricati; inoltre gli interruttori del computer,
della stampante e della memoria erano in posizione ON".
Il processo fallisce per carenza delle indagini scientifiche. Lo scrittore
Carlo Lucarelli, protagonista di Blu notte e giallista, intervistato su "La
Repubblica on line" annota: "Mi sembra che qualche errore sia stato compiuto,
soprattutto nella prima fase dell'inchiesta, quella del sopralluogo dell'appartamento. Ma
questo è un problema generale in Italia, perché manca la cultura del congelamento del
luogo del crimine. In Inghilterra, per esempio, questo è un principio sacro, da noi
invece attorno al cadavere si muovono mille persone e tutto è più difficile. Dopo tutto
i nostri carabinieri e poliziotti sono più bravi nel controllo del territorio, dipende
proprio dalla cultura dell'indagine".
Il giudice Cappiello "serenamente" come scrive alla fine della
sentenza dichiara l'improcedibilità specificando che non ritiene Valle e Vanacore
innocenti, ma piuttosto rileva la mancanza assoluta di prove sui fatti loro addebitati.
Una sconfitta per la Giustizia per il caso in sé; una Vittoria per i processi
del futuro che dovranno essere compiuti col potenziamento della prova scientifica, sia
nella testa degl'inquirenti che nei mezzi forniti dallo Stato per la scoperta certa dei
delitti.