TRIBUNALE
DI ANCONA
SEZIONE
DISTACCATA DI FABRIANO
Il Giudice, letti gli
atti del procedimento penale n. 30181/02 R.G. mod. 16, 1774/96-2 RGNR,
relativo all’imputato Possanza Antonio
Premesso
in fatto che il predetto imputato era evocato in giudizio per rispondere
del reato di cui all’art. 589 commi 1°,2° e 3° c.p. nonché
dell’art. 186 commi 1° e 2° del Codice della Strada (fatti del
16.2.96, in occasione di incidente stradale);
Che
questo Giudice chiedeva notizie circa lo stato mentale dell’imputato
mediante la trasmissione di documentazione dalle strutture sanitarie
pubbliche locali ;
Che a
seguito di ciò veniva acquisita documentazione da cui tra l’altro
risultava
-
che l’imputato era stato in cura presso il Centro di Salute
Mentale di Fabriano , essendo stato seguito continuativamente dal 28.1.97
al 2.12.98 , a seguito di diagnosi di “disturbo psicotico N.A.S.”
insorto durante l’espletamento del servizio militare
-
che alla data del 26.3.99 l’imputato risultava per i responsabili
del servizio psichiatrico pubblico affetto da “Disturbo Borderline di
Personalità”, quadro clinico caratterizzato da una modalità pervasiva
di instabilità delle relazioni interpersonali , dell’immagine di sé e
dell’umore e da una marcata impulsività” con “abusi saltuari di
sostanze stupefacenti ed alcool e, in periodi di elevata esposizione allo
stress, scompensi psicotici caratterizzati dal comparire di disturbi
dell’ideazione di tipo paranoide”
-
Che concorreva con il predetto quadro un disturbo post traumatico
da stress , che poteva “aver contribuito a slatentizzare i tratti
disfunzionali di personalità connessi al sottostante Disturbo di
Personalità “
-
Che una nota del 3.12.99 indicava una riaccentuazione dei sintomi
in concomitanza ad (altro ) incidente stradale avvenuto nel luglio ‘99.
-
Che era stato ricoverato presso il Servizio Psichiatrico di
Diagnosi e Cura di Jesi dal 13.9.99 al 16.9.99 , a seguito del
quale aveva ricominciato ad assumere una terapia farmacologica a base di
neurolettici ,ansiolitici e stabilizzanti dell’umore .
-
Che successivamente era stato ricoverato presso la stessa struttura
, inizialmente a livello volontario e poi con T.S.O., stante la sua
assoluta mancanza di collaborazione
-
Che successivamente era continuata la terapia farmacologica
-
Che la certificazione datata 13.3.00 a firma di medico della AUSL %
di Jesi dava conto di “un quadro clinico psicopatologico caratterizzato
da una condizione persistente di depersonalizzazione e derealizzazione ,
con frequenti episodi francamente psicotici”
Considerato
, in diritto ,che risulta dunque dalla predetta documentazione acquisita
che l’imputato , nel periodo successivo al tragico incidente , era
malato di mente . Risulta inoltre un quadro tale che imporrebbe di
approfondire se - per la gravità della malattia segnalata non da
consulenti di parte, ma da strutture pubbliche – la malattia mentale
stessa non fosse presente al momento del fatto (anche se qui potrebbe
venire in rilievo la nota controversia tra fattore scatenante , mera
concausa della malattia mentale ovvero malattia mentale “autonomamente
sviluppatasi”: ma per l’appunto ciò postulerebbe l’approfondimento
peritale accennato ).
Tale perizia ,in caso di
esito della stessa nel senso dell’infermità di mente al momento del
fatto , potrebbe essere risolutiva per escludere l’imputabilità .
E tuttavia, prima di
interrogarsi sull’opportunità o sulla necessità di una perizia
psichiatrica, questo Giudice deve porsi il problema fondamentale di come
utilizzare il concetto di malattia mentale rispetto al diritto positivo .
E tale diritto positivo ,
com’è noto , viene in rilievo , in primo luogo , il disposto
degli artt. 85-87-88-90 c.p. (v. anche art. 220 2° comma c.p.p.) .
L’indagine che deve
effettuare questo Giudice dev’essere subito alleggerita dalle questioni
più generali , che addirittura coinvolgono il modo d’essere di un
sistema penale.
In altre parole , per
quello che qui interessa, non occorre in alcun modo occuparsi di tutte le
questioni che attengono
-
Alla pretesa duplicazione concettuale tra art. 42,1° comma ed art.
88 c.p. , sostenuta da parte della dottrina
-
Alla problematica relativa alla capacità di volere di cui agli
artt. 85 ed 88 c.p. come “libero volere” , intendendosi con questo la
capacità di agire “liberamente” il che comporta a sua volta il
quesito se possa ,almeno in parte, affermarsi che comunque la
norma sottenda il problema del “libero arbitrio” , il che è stato
espressamente escluso nella Relazione al codice, non avendo voluto il
legislatore prendere posizione sul punto ( affermando sostanzialmente che
trattasi di problemi metagiuridici) ma che parte della dottrina in
qualche modo ripresenta in sede ermeneutica, non ritenendo che la capacità
o l’imputabilità possa attenere ad altri che all’ “uomo
libero”
-
Alla problematica relativa alle finalità della pena (scuola
classica, scuola positiva, nuova difesa sociale ecc. ecc.).
Occorre invece prendere
le mosse dalla costante giurisprudenza in materia, la quale ,
sostanzialmente, e sia pure con qualche episodico precedente difforme, ha
un orientamento pacifico nel ricondurre l’infermità di mente ad una
“patologia” clinicamente accertata. Solitamente, ma non sempre , la
giurisprudenza esclude dal novero delle “infermità” psichiche quelle
che non si traducano nelle c.d. psicosi . Talvolta si assiste anche alla
specificazione, apprezzata da parte della letteratura psichiatrica forense
, che la malattia mentale deve essere stata causa specifica del reato e
non mero stato generale del soggetto : è questa , sotto varie forme , la
dottrina dell’incapacità di intendere e di volere come valore di
malattia .
Ricorrente è poi la
distinzione tra psicosi vera e propria e c.d. nevrosi la quale non darebbe
luogo a compromissione della capacità di intendere e di volere .
Quasi sempre, inoltre ,
v’è la sottolineatura circa la “base organica” della malattia
rilevante ex art. 88 e 89 c.p. .
Queste affermazioni si
trovano nella copiosa giurisprudenza degli ultimi 50 anni talvolta
affiancate talaltra, per così dire, “in ordine sparso “ , poiché
viene colto ora l’uno ora l’altro aspetto ovvero perché empiricamente
la giurisprudenza stessa cerca di risolvere gli stessi imbarazzi e
contraddizioni della cultura psichiatrica .
Su questi presupposti si
attesta anche la più recente giurisprudenza .
Si pone ora la questione
di chi, in primo luogo , debba accertare la malattia mentale , in ipotesi
penalmente rilevante . Il quesito sembrerebbe banale e pedestre , poiché
la risposta obbligata è che l’incapacità viene accertata dal giudice
sulla scorta delle risultanze processuali ed in primo luogo della perizia
psichiatrica . Ma, per l’appunto, deve essere chiaro su quali premesse
necessarie deve essere condotta la perizia psichiatrica . E allora , utile
conclusioni può essere quella secondo la quale la perizia non potrà mai
essere affidata ad un esperto nelle discipline psicologiche , perché la
psicologia si occupa delle condotte mentali in generale, mentre la
psichiatria si occupa della diagnosi (oltre che della cura) della malattia
mentale .
Inoltre, altra ulteriore
conseguenza, anch’essa apparentemente banale, è che la psichiatria,
come fonte di conoscenza umana, si pone esclusivamente come “scienza”.
Certamente il perito in
genere , può essere versato nella più varie forme di conoscenza umana ,
ivi comprese quelle a carattere artistico , ma la perizia psichiatrica non
può che porsi secondo criteri scientifici .
Una volta accertato che
il giudice deve ricorrere alla scienza psichiatrica , altra utile
specificazione è quella che attiene alla nozione stessa di scienza .
Senza volersi in alcun
modo addentrare, neppure per cenni , in questioni di filosofia delle
scienza, non si può tuttavia trascurare che lo stesso soggetto di
conoscenza media , tra i quali va annoverato lo stesso operatore del
diritto, deve utilizzare le acquisizioni che attualmente valgono per
quanto concerne la scienza .
La nozione di scienza ha
oggi abbandonato quel carattere di conoscenza assoluta ed universale alla
quale ambiva nei secoli precedenti , almeno come fine raggiungibile .
Si può anzi dire , forse
esagerando , che uno dei postulati della scienza moderna è proprio
l’impossibilità di raggiungere tale fine (e si esagererebbe proprio
perché tale affermazione ha in sé un'eccessiva assolutezza).
Requisito essenziale
della scienza moderna è che tutte le sue acquisizioni, per avere valore
,devono essere suscettibili di riscontro , che può essere
-
sia di natura assolutamente deduttiva : un matematico esegue una
dimostrazione ponendo all’attenzione della comunità matematica
tutti i passaggi attraverso i quali essa si svolge , in maniera tale che
la comunità stessa possa discutere il valore e l’importanza del
lavoro . Assolutamente emblematica in tal senso , e mediaticamente
importante perché giunto agli onori delle cronache giornalistiche è la
dimostrazione del c.d. ultimo teorema di Fermat , vale a dire la
dimostrazione che xn+yn=zn
non può dare alcuna soluzione in numeri interi per n maggiore di 2
.Tale dimostrazione, oltre ad essere contenuta in oltre 200 pagine, aveva
un errore nella sua prima formulazione , errore emendato proprio grazie
alla segnalazione dei matematici coinvolti nella verifica .
-
sia di natura in tutto o in parte empirica : viene annunciato un
nuovo e rivoluzionario farmaco ovvero un nuovo protocollo medico
nella cura del cancro ; la procedura di scoperta della molecola ovvero il
protocollo di cura deve essere messo a disposizione della comunità
scientifica per le verifiche sperimentali del caso ; altrimenti la
scoperta del farmaco e la pretesa cura non hanno valore scientifico e ,
poiché la medicina e la farmacologia
non hanno valore di conoscenza se non sub specie di scienza, non hanno
affatto valore .
Certamente lo sforzo
intellettuale,anche in tema di scienza, procede anche per altre vie,
non deduttive né induttive : una congettura si affaccia già pronta alla
mente del ricercatore, e solo dopo se ne trova la giustificazione mediante
il procedere razionale (la genesi di ciò è tuttora ignota) . Non può
essere sottovalutato questo dato, ma esso non appartiene direttamente alla
scienza .
La psichiatria deve porsi
come scienza, essendo una branca della medicina, e come tale deve avere
acquisizioni comunemente accettate dalla generalità degli esperti che
praticano tale disciplina . L’affermazione potrebbe sembrare azzardata
se si pone mente alle difficoltà in cui ancora si dibatte la psichiatria
e le discussioni non ancora sopite circa l’eziologia di determinati
fenomeni morbosi . Ma si tratta di difficoltà che appartengono in
maggiore o minore misura a tutti i rami delle scienze applicate e non per
questo i risultati cui pervengono le varie discipline non sono utilizzati
in maniera fruttuosa nella vita di tutti i giorni . Essi possono ed anzi
debbono essere utilizzati anche dal giurista . per quello che a noi
interessa, rimane accertato, alla luce delle moderne acquisizioni
1)
che la maggior parte delle malattie mentali hanno un’ accertata
concomitante carenza o eccesso di sostanze che fanno da mediatori
chimici nelle interazioni neuronali
2)
Che spesso vi sono una serie di fattori concausali che
possono prendere il nome di fattori scatenanti la malattia , senza i quali
a) la malattia avrebbe potuto anche non manifestarsi b) o avrebbe potuto
manifestarsi con minore gravità c) o avrebbe potuto manifestarsi più
tardivamente
3)
Che le malattie mentali , in precedenza classificate unitariamente
, abbisognano invece di importanti ed ulteriori specificazioni , per cui
,ad esempio , è corretto parlare di “spettro schizofrenico “ per dare
conto di una serie di manifestazioni patologiche, anche molto diverse tra
loro , riconducibili in quale maniera alla vecchia nozione di schizofrenia
4)
Che la comorbidità tra malattie mentali è un fenomeno più
accentuato di quanto in precedenza non si sospettasse (ad esempio,
depressione e disturbo ossessivo compulsivo, depressione e disturbi da
abuso di sostanze alcoliche, ecc.)
5)
Che la “summa divisio” tra nevrosi e psicosi , ancora molto
radicata nella terminologia comune, è praticamente abbandonata , mentre
il termine nevrosi viene ancora utilizzato , soprattutto dalla psichiatria
di scuola europea , ma semplicemente come termine equivalente a
“sindrome” o “malattia” e senza quella valenza spiccatamente
“psicodinamica” assegnatale soprattutto dalla psicanalisi
6)
Che la gravità delle malattie mentali non si manifesta (solo) in
termini di qualità , cioè in relazione ad un tipo di malattia, ma anche
e soprattutto in relazione al tipo di intensità nell’ambito delle
stessa malattia
7)
Che per talune malattie la familiarità è molto accentuata, il che
depone per l’origine genetica della predisposizione a questo tipo
di malattie : appare corretto parlare di predisposizione in tutti i
casi in cui la malattia dipenda dall’interazione di una serie di geni e
non dal difetto di un solo gene, per cui il meccanismo complesso di
interazione tra i geni coinvolti potrebbe essere influenzato in maniera più
o meno positiva dagli stimoli ambientali
8)
Che anche per le malattie di marcata origine genetica , non può
darsi luogo ad alcun determinismo rozzamente inteso, per intendersi
secondo i canoni più rudi della scuola positiva di fine ottocento ,
sia perché , come detto , la malattia sarebbe in ogni caso poligenica e
sempre , in questa ipotesi ,diviene importante il contributo ambientale,
sia perché, trattandosi di geni non tutti a carattere dominante, essi
possono risentire del positivo influsso dell’allele, in ipotesi sano,
portato dal genitore non affetto .
9)
Che, infine, anche la dicotomia tra malattia “a base organica”
o “biologica” e malattia “a base funzionale “ (o espressione
equivalente ) , tende ad essere abbandonata . Tutte le recenti
acquisizioni delle neuroscienze e della biomedicina danno conto di una
complessità tale dell’organismo vivente che immaginare una mente ad un
piano superiore ed un corpo confinato nel sottoscala è un’ipotesi del
tutto infruttuosa . Nel campo della psichiatria , i progressi della
misurazione sperimentale danno conto di eccesso o difetto di determinate
sostanze proprio in correlazione a determinati stati patologici , per cui
la mancanza di riscontro su base fisica di determinati disturbi psichici
non può essere preso per fondare la dicotomia in parola .
10)
Che gli apporti della psicodinamica e della sociologia possono essere
senz’altro utilizzati nella diagnosi e nella cura della malattia
mentali , senza voler ridurre la psichiatria a mera dimensione biologica ,
sia per le innegabili influenze dell’ambiente cui sopra si è fatto
cenno, sia perché la complessità della materia, cui attualmente le
neuroscienze non possono fornire tutte le risposte (né si sa se lo
potranno fare in futuro) impongono una sorta di pragmatismo eclettico .
Ovviamente per un’utile fruizione di tali contributi va abbandonato ogni
dogmatismo da parte di tutti .
Appare chiaro che oggi la
scienza e la scienza in generale e la psichiatria in particolare non può
essere la stessa del 1930 . Già questo comporterebbe un grave attacco
alla validità dei presupposti scientifici della normativa recata
dagli artt. 85-88-89 c.p.
Infatti, tanto per fare
un esempio, la ricorrente distinzione operata dalla giurisprudenza tra
malattia “in senso proprio “ ovvero malattia che ha base clinica , la
quale comporta l’infermità rilevante per escludere o diminuire la
capacità di intendere e di volere, e “i disturbi
della personalità , le nevrosi ,ecc. “ riecheggia chiaramente, quando
non riprende pari pari , la terminologia
desueta di cui sopra, al punto 9. Qui, ovviamente, non si
discute se un soggetto con disturbo di personalità ,
psichiatricamente classificabile come tale , debba o meno essere
considerato incapace di intendere e di volere : il discorso , piuttosto ,è
metodologico , nel senso che appare inesatto in partenza negare la
qualifica di malattia mentale al disturbo di personalità .Non si capisce
perché il disturbo di personalità interessi la psichiatria se non è
rapportabile alla nozione di malattia mentale , se non usando la battuta
rinvenibile in un celebre manuale di psichiatria forense, vale a
dire che gli psichiatri ,nella loro ansia classificatoria, debbono trovare
un’etichetta per qualsiasi manifestazione comportamentale . Il che,
comunque , rimane una battuta, ed anche poco al di sopra di quella secondo
cui per lo psichiatra sono tutti pazzi, ed il primo pazzo è lui stesso
.In realtà rimane l’assoluta difficoltà di conciliare le risultanze
della scienza psichiatrica con asserzioni che si rinvengono nella
giurisprudenza le quali danno come premesse scontate affermazioni che sono
in contrasto con quanto sopra richiamato . Come mero esempio ricordiamo
che Cass. Sez. I,n. 4029/92 stabilisce che la sindrome ansioso depressiva
non è associabile ad alcuna entità nosologica .Si rinviene, in
tale affermazione , la traccia di una tripartizione tutt’ora in voga in
dottrina ed in giurisprudenza, secondo la quale vi sarebbero tre distinti
paradigmi circa i “modelli” di malattia mentale :
-
Il paradigma medico o nosografico elaborato da Kraepelin verso
l’inizio del novecento , secondo il quale il malato di mente sarebbe
tale al sussistere di una specifica ed accertabile malattia fisica del
sistema nervoso centrale . La disamina della malattia si svolge attraverso
l’essenziale apporto di criteri di classificazione trasposti in
“tavole nosografiche “, per cui il disturbo psichico è riconducibile
ad una malattia mentale solo se nosograficamente inquadrabile
-
Il paradigma psicologico , variamente definito , ma comunque
improntato alla valorizzazione dell’universo interiore dell’individuo,
della psicodinamica , del “vissuto”, ecc.
-
Il paradigma sociologico , per cui la malattia di mente è
riconducibile agli influssi dell’ambiente , o della società . Nelle sue
teorizzazioni più estreme , il paradigma sfocia in quella che è stata
chiamata “antipsichiatria”
Il secondo ed il terzo
paradigma, per le considerazioni sopra fatte, non appartengono al metodo
scientifico . La loro validità va cercata in altri campi del conoscere .
I loro eventuali apporti alla scienza psichiatrica sono di contenuto
empirico , talora importanti ma non sistematici . Non possono venire in
rilievo per essere confutati o confermati, perché sfuggono, per la loro
stessa essenza al momento della verifica sperimentale (secondo l’ormai
ben noto insegnamento di Popper).
Il primo paradigma faceva
certamente parte integrante della migliore scienza psichiatrica nel 1920 o
nel 1930 , ma appartiene oggi alla storia della scienza .
Attualmente la scienza
psichiatrica pone le sue fondamenta su sistemi di classificazione a
carattere pragmatico , rispetto ai quali sono fondamentali il Manuale c.d.
DSM (diagnostic and statistic manual of mental disorder )nelle sue
successive versioni, nonché la corrispondente versione a cura dell’OMS
ICD.
L’elemento saliente che
caratterizza queste versioni è la costante revisione dei dati e delle
classificazioni , che da un lato sottolinea il carattere ateorico delle
stesse e dall’altro dà conto di un’elaborazione continua della
materia in relazione alle acquisizione che via via vengono fatte .
Accedendo a tali
impostazioni , che non possono trovare alternative secondo la migliore
scienza ed esperienza attuale , si comprende come il metodo nosografico
era correttamente preso in esame quale presupposto dell’infermità
psichica dal legislatore del 1930 (la relazione al Re vi fa indiretto ma
chiaro accenno) , ma non può essere il presupposto scientifico attuale .
Ma ammettendo che
l’impianto complessivo costituito dagli artt. 85-88-89 , i quali
poggiano , nell’applicazione ed interpretazione ,su premesse che
non si discostano molto dalle premesse proprie di una scienza
psichiatrica vecchia di 70 anni ,possa in qualche modo superare le enormi
riserve sulla sua ragionevolezza , il punto veramente dolente riguarda
l’art. 90 c.p. , il quale può essere letto sia quale norma autonoma sia
in lettura integrata con il disposto degli articoli riguardanti
l’imputabilità . In altre parole , il lettore (e l’interprete) può
scegliere di leggere , in un primo tempo , gli artt. 85-88-89 c.p. ,
e ne ricaverà che non è imputabile chi ,nel momento in cui ha commesso
il fatto era, per infermità , in uno stato di mente tale da escludere la
capacità di intendere e di volere .Di seguito l’art. 90 c.p. può
essere letto come una sorta di interpretazione autentica del disposto
normativo di cui agli artt. 85-88-89 c.p. , nel senso che “gli stati
emotivi o passionali “ non possono mai configurare quell’infermità
che comporta una stato di mente tale da escludere (o anche solo di
scemare) la capacità di intendere e di volere . In tal modo v’è un
complesso normativo di unitaria lettura, quello degli artt. 85-88-89-90
c.p. . Ma il lettore può anche intendere l’art. 90 c.p. come lo intende
autorevole corrente dottrinale, e cioè che vi siano “stati emotivi o
passionali “ che alterano il funzionamento della psiche in maniera
patologica . E di fronte a questa possibilità , due sono le opzioni , cioè
ammettere che vi sia uno stato “emotivo o passionale” che comporta
l’infermità/incapacità ovvero che , in ogni caso, operi una fictio
juris secondo la quale, seppure lo stato emotivo o passionale comporta
un’incapacità di intendere o di volere , tale incapacità assoluta o
parziale non è giuridicamente valutabile .
La giurisprudenza di
Cassazione può , grosso modo , suddividersi in 3 filoni
-
V’è un gruppo di sentenze che affermano che gli stati emotivi o
passionali non possono mai rilevare ai fini dell’incapacità di
intendere o di volere ( sez. I, n.1319/67; n. 316/68 ; sez. II,n. 3707/76
; sez. III,n. 467/79 ; sez. I,n. 2897/83 ; sez. IV,n. 14358/90 ; sez. I,n.
7523/91 ; n. 4029/92; n. 4954/93 ; 967/98 ,sez. VI , n. 7845/97 )
-
V’è un gruppo di sentenze che affermano che gli stati emotivi o
passionali possa anche comportare uno squilibrio psichico tale da poter
dar luogo alla malattia mentale :di solito tale evenienza è vista come
“eccezionale” (sez. I,n. 739/72 ; n. 4123/73 ; sez. III, n. 800/60 ;
n. 2511/80 ; n. 9357/80 ; n. 6710/83 ; sez. V,n. 2123/85 ;sez. VI,n.
2285/85 ;sez. I,n. 9084/87 ;sez. V,n. 8660/90 ; sez. I,n. 1347/91 )
-
V’è infine un gruppo di sentenze che sembrano tentare una
specificazione dello stato emotivo o passionale ,rilevante per escludere o
diminuire la capacità di intendere e di volere , quale
“manifestazione”di una vera e propria patologia
( sez. sez. I, n. 10911/76 ; sez. III, n. 2439/64 ; sez. VI,n. 153/82;
sez. I,n. 12429/94 ; n. 3170/95 ; n. 5885/97 )
In realtà , leggendo i
repertori e più ancora confrontando le motivazioni per esteso , si
ha talvolta la netta impressione che il contrasto sia meramente
terminologico ed in realtà la giurisprudenza sia preoccupata di dare
risposte adeguante al caso concreto , spesso di valenza delicata . In
realtà si tratta di sforzi veramente ammirevoli ,sol che si consideri che
la nozione di “stati emotivi o passionali” è uno
strumento che seriamente non può avere alcuna utilizzazione . Il
legislatore del 1930 utilizzava il vocabolario che poteva avere a
disposizione che era quello di certa criminologia e psichiatria di
fine ottocento e di inizio del novecento. Certamente, a loro volta
tali espressioni attingono più al romanzo popolare dell’ ottocento che
ad un proficuo metodo scientifico .
Oggi ,comunque, nessun
equivoco è più possibile . Si può certamente convenire con chi dice che
in tali casi le espressioni più o meno infelici non devono essere
preclusive all’utilizzazione delle situazioni sottostanti , che non
possono che avere un carattere convenzionale . Il fatto è che la
convenzione creatasi poggia su basi scientificamente scorrette .
Il giurista e
l’operatore del diritto deve certamente farsi carico di questa
discrepanza tra scienza come oggi va intesa e scienza come presupposta dal
legislatore del 1930, dalla giurisprudenza e dalla dottrina : “questa
Corte non intende certo escludere che il sindacato sulla costituzionalità
delle leggi , vuoi per manifesta irragionevolezza vuoi sulla base di altri
parametri desumibili dalla Costituzione , possa e debba essere compiuto
anche quando la scelta legislativa si palesi in contrasto con quelli che
ne dovrebbero essere i sicuri riferimenti scientifici o la forte
rispondenza alla realtà delle situazioni che il legislatore ha inteso
definire . Nella materia del diritto penale , anzi , questo specifico
riscontro di costituzionalità deve essere compiuto con particolare
rigore, per le conseguenze che ne discendono sia per la libertà dei
singoli che per la tutela della collettività “ (Corte Cost. sentenza n.
114 del 9-16/4/98 ) .
Ritiene questo Giudice
che la base scientifica su cui poggia la normativa del 1930 , nonché le
elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali pressoché dominanti , sia
“incontrovertibilmente erronea” ovvero “raggiunga un tale livello di
indeterminatezza da non consentire in alcun modo un’interpretazione ed
una applicazione razionali da parte del giudice “ (per usare le
espressioni della decisione appena richiamata).
D’altro canto , che le
acquisizioni della scienza debbano imporre una rivisitazione degli
istituti giuridici appare ugualmente ovvio (v. ,in tema di accertamenti
per escludere o affermare la paternità , quanto viene affermato da Corte.
Cost.,n. 170/99 ; n. 134/85 ). Quando però la
rivisitazione non può porsi in termini di diversa applicazione, pur
sempre compatibile con il dettato della norma , ma la nuova acquisizione
scientifica configge con la norma stessa, è quest’ultima a dover venire
meno .
Occorre ora sottolineare
nettamente che le conclusioni alle quali perviene la scienza
psichiatrica sono di carattere neutro rispetto alla problematica generale
garantismo/ repressione, perché non attengono al livello di
risposta penale rispetto al fatto criminoso ma al “come” la
malattia mentale , eventualmente causa di non imputabilità viene
accertata . Del resto , anche oggi la giurisprudenza non ha difficoltà ad
ammettere che non tutte le infermità mentali danno luogo all’incapacità
di intendere e di volere .
Resta da vedere se
l’eliminazione di norme così importanti , almeno apparentemente, possa
creare seri problemi al sistema penale (questo giudice infatti denuncia
non solo l’art. 90 , ma il completo impianto normativo costituito dagli
artt. 85-88-89-90, oltre all’appendice processuale costituita
dall’art. 220, 2° comma cpp ).
A parte l’ovvia
considerazione secondo la quale, se si parte dal presupposto da cui
procede questo rimettente, secondo cui trattasi di strumenti normativi
sostanzialmente inservibili , non si vede come la loro eliminazione
potrebbe provocare danni , occorre dire che quanto ripugna alla
coscienza sociale, quanto attiene alla possibilità dell’uomo di
scegliere tra valore e disvalore, ecc. ecc. , potrebbe benissimo essere
spostato sul terreno dell’applicazione dell’art. 42 c.p. .
Già il legislatore
del 1930 osserva che mentre l’art. 85 regola la generica capacità di
agire nel campo penale senza riferimento ad un determinato fatto concreto
, l’art. 42 prevede l’effettiva volontà del caso concreto , per cui
si tratterebbe di “due posizioni diverse della volontà . Nella capacità
di diritto penale o imputabilità , la volontà è considerata al momento
della possibilità . Nella effettiva responsabilità penale la volontà è
considerato nel momento della sua attuazione “ (Relazione al Re , n. 26)
. Oltre a ciò, il giurista potrebbe utilmente rinunciare ad ogni
definizione o pre-definizione della infermità mentale , eliminando così
tutti gli imbarazzi che attengono alle prese di posizione più o meno
metafisiche .
Di conseguenza, questo Giudice ritiene rilevante e
non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 85-88-89-90 c.p. in quanto presuppongono una nozione di
infermità , nella specie psichica, superata dalle nuove acquisizioni
della scienza ed in quanto tale , non utilizzabile in alcun modo , e
pertanto contrastanti con il criterio di ragionevolezza di cui all’art.
3 della Cost. nonché in quanto , utilizzando una nozione di infermità
come sopra descritta , precludono al giudice il potere-dovere della
motivazione dei suoi provvedimenti giurisdizionali , poiché l’iter
logico di tale argomentazione sarebbe irrimediabilmente inficiato dalla
incongruità della nozione di infermità comunemente utilizzata .
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli
artt. 85-88-89-90 c.p. , per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. .
Sospende il procedimento ed ordine
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale .
Dispone che la presente ordinanza sia
notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei
Ministri e comunicata ai Presidenti delle due camere, dandosi atto che né
è stata data lettura in udienza per gli altri soggetti destinatari
.
Fabriano li 13.2.03
il
Giudice
Dr.
Cesare Marziali
rip. da http://www.ctu.it/perizia/marziali.htm