Contro perizia psichiatrica
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TRIBUNALE DI ANCONA

SEZIONE DISTACCATA DI FABRIANO

Il Giudice, letti gli atti del procedimento penale n. 30181/02 R.G. mod. 16, 1774/96-2 RGNR, relativo all’imputato Possanza Antonio

Premesso in fatto che il predetto imputato era evocato in giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 589 commi 1°,2° e 3° c.p. nonché dell’art. 186 commi 1° e 2° del Codice della Strada (fatti del 16.2.96, in occasione di incidente stradale);

Che questo Giudice chiedeva notizie circa lo stato mentale dell’imputato mediante la trasmissione di documentazione dalle strutture sanitarie pubbliche locali ;

Che a seguito di ciò veniva acquisita documentazione da cui tra l’altro risultava

-         che l’imputato era stato in cura presso il Centro di Salute Mentale di Fabriano , essendo stato seguito continuativamente dal 28.1.97 al 2.12.98 , a seguito di diagnosi di “disturbo psicotico N.A.S.” insorto durante l’espletamento del servizio militare

-         che alla data del 26.3.99 l’imputato risultava per i responsabili del servizio psichiatrico pubblico affetto da “Disturbo Borderline di Personalità”, quadro clinico caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali , dell’immagine di sé e dell’umore e da una marcata impulsività” con “abusi saltuari di sostanze stupefacenti ed alcool e, in periodi di elevata esposizione allo stress, scompensi psicotici caratterizzati dal comparire di disturbi dell’ideazione di tipo paranoide”

-         Che concorreva con il predetto quadro un disturbo post traumatico da stress , che poteva “aver contribuito a slatentizzare i tratti disfunzionali di personalità connessi al sottostante Disturbo di Personalità “

-         Che una nota del 3.12.99 indicava una riaccentuazione dei sintomi in concomitanza ad (altro ) incidente stradale avvenuto nel luglio ‘99.

-         Che era stato ricoverato presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Jesi   dal 13.9.99 al 16.9.99 , a seguito del quale aveva ricominciato ad assumere una terapia farmacologica a base di neurolettici ,ansiolitici e stabilizzanti dell’umore .

-         Che successivamente era stato ricoverato presso la stessa struttura , inizialmente a livello volontario e poi con T.S.O., stante la sua assoluta mancanza di collaborazione

-         Che successivamente era continuata la terapia farmacologica

-         Che la certificazione datata 13.3.00 a firma di medico della AUSL % di Jesi dava conto di “un quadro clinico psicopatologico caratterizzato da una condizione persistente di depersonalizzazione e derealizzazione , con frequenti episodi francamente psicotici”

Considerato , in diritto ,che risulta dunque dalla predetta documentazione acquisita che l’imputato , nel periodo successivo al tragico incidente , era malato di mente . Risulta inoltre un quadro tale che imporrebbe di approfondire se - per la gravità della malattia segnalata non da consulenti di parte, ma da strutture pubbliche – la malattia mentale stessa non fosse presente al momento del fatto (anche se qui potrebbe venire in rilievo la nota controversia tra fattore scatenante , mera concausa della malattia mentale ovvero malattia mentale “autonomamente sviluppatasi”: ma per l’appunto ciò postulerebbe l’approfondimento peritale accennato ).

Tale perizia ,in caso di esito della stessa nel senso dell’infermità di mente al momento del fatto , potrebbe essere risolutiva per escludere l’imputabilità .

E tuttavia, prima di interrogarsi sull’opportunità o sulla necessità di una perizia psichiatrica, questo Giudice deve porsi il problema fondamentale di come utilizzare il concetto di malattia mentale rispetto al diritto positivo .

E tale diritto positivo , com’è noto , viene in rilievo , in primo luogo ,  il disposto degli artt. 85-87-88-90 c.p. (v. anche art. 220 2° comma c.p.p.) .

L’indagine che deve effettuare questo Giudice dev’essere subito alleggerita dalle questioni più generali , che addirittura coinvolgono il modo d’essere di un sistema penale.

In altre parole , per quello che qui interessa, non occorre in alcun modo occuparsi di tutte le questioni che attengono

-         Alla pretesa duplicazione concettuale tra art. 42,1° comma ed art. 88 c.p. , sostenuta da parte della dottrina

-         Alla problematica relativa alla capacità di volere di cui agli artt. 85 ed 88 c.p. come “libero volere” , intendendosi con questo la capacità di agire “liberamente” il che comporta a sua volta il quesito se possa ,almeno in parte,  affermarsi che comunque  la norma sottenda il problema del “libero arbitrio” , il che è stato espressamente escluso nella Relazione al codice, non avendo voluto il legislatore prendere posizione sul punto ( affermando sostanzialmente che trattasi di problemi metagiuridici)  ma che parte della dottrina in qualche modo ripresenta in sede ermeneutica, non ritenendo che la capacità o l’imputabilità possa attenere ad altri che all’  “uomo libero”

-         Alla problematica relativa alle finalità della pena (scuola classica, scuola positiva, nuova difesa sociale ecc. ecc.).

Occorre invece prendere le mosse dalla costante giurisprudenza in materia, la quale , sostanzialmente, e sia pure con qualche episodico precedente difforme, ha un orientamento pacifico nel ricondurre l’infermità di mente ad una “patologia” clinicamente accertata. Solitamente, ma non sempre , la giurisprudenza esclude dal novero delle “infermità” psichiche quelle che non si traducano nelle c.d. psicosi . Talvolta si assiste anche alla specificazione, apprezzata da parte della letteratura psichiatrica forense , che la malattia mentale deve essere stata causa specifica del reato e non mero stato generale del soggetto : è questa , sotto varie forme , la dottrina dell’incapacità di intendere e di volere come valore di malattia .

Ricorrente è poi la distinzione tra psicosi vera e propria e c.d. nevrosi la quale non darebbe luogo a compromissione della capacità di intendere e di volere .

Quasi sempre, inoltre , v’è la sottolineatura circa la “base organica” della malattia rilevante ex art. 88 e 89 c.p. .

Queste affermazioni si trovano nella copiosa giurisprudenza degli ultimi 50 anni talvolta affiancate talaltra, per così dire, “in ordine sparso “ , poiché viene colto ora l’uno ora l’altro aspetto ovvero perché empiricamente la giurisprudenza stessa cerca di risolvere gli stessi imbarazzi e contraddizioni della cultura psichiatrica .

Su questi presupposti si attesta anche la più recente giurisprudenza .

Si pone ora la questione di chi, in primo luogo , debba accertare la malattia mentale , in ipotesi penalmente rilevante . Il quesito sembrerebbe banale e pedestre , poiché la risposta obbligata è che l’incapacità viene accertata dal giudice sulla scorta delle risultanze processuali ed in primo luogo della perizia psichiatrica . Ma, per l’appunto, deve essere chiaro su quali premesse necessarie deve essere condotta la perizia psichiatrica . E allora , utile conclusioni può essere quella secondo la quale la perizia non potrà mai essere affidata ad un esperto nelle discipline psicologiche , perché la psicologia si occupa delle condotte mentali in generale, mentre la psichiatria si occupa della diagnosi (oltre che della cura) della malattia mentale .

Inoltre, altra ulteriore conseguenza, anch’essa apparentemente banale, è che la psichiatria, come fonte di conoscenza umana, si pone esclusivamente come “scienza”. 

Certamente il perito in genere , può essere versato nella più varie forme di conoscenza umana , ivi comprese quelle a carattere artistico , ma la perizia psichiatrica non può che porsi secondo criteri scientifici .

Una volta accertato che il giudice deve ricorrere alla scienza psichiatrica , altra utile specificazione è quella che attiene alla nozione stessa di scienza .

Senza volersi in alcun modo addentrare, neppure per cenni , in questioni di filosofia delle scienza, non si può tuttavia trascurare che lo stesso soggetto di conoscenza media , tra i quali va annoverato lo stesso operatore del diritto, deve utilizzare le acquisizioni che attualmente valgono per quanto concerne la scienza .

La nozione di scienza ha oggi abbandonato quel carattere di conoscenza assoluta ed universale alla quale ambiva nei secoli precedenti , almeno come fine raggiungibile .

Si può anzi dire , forse esagerando , che uno dei postulati della scienza moderna è proprio l’impossibilità di raggiungere tale fine (e si esagererebbe proprio perché tale affermazione ha in sé un'eccessiva  assolutezza).

Requisito essenziale della scienza moderna è che tutte le sue acquisizioni, per avere valore ,devono essere suscettibili di  riscontro , che può essere

-         sia di natura assolutamente deduttiva : un matematico esegue una dimostrazione ponendo all’attenzione della comunità matematica  tutti i passaggi attraverso i quali essa si svolge , in maniera tale che la  comunità stessa possa discutere il valore e l’importanza del lavoro  . Assolutamente emblematica in tal senso , e mediaticamente importante perché giunto agli onori delle cronache giornalistiche è la dimostrazione del c.d. ultimo teorema di Fermat , vale a dire la dimostrazione che   xn+yn=zn non può dare alcuna soluzione in numeri interi per n maggiore di 2 .Tale dimostrazione, oltre ad essere contenuta in oltre 200 pagine, aveva un errore nella sua prima formulazione , errore emendato proprio grazie alla segnalazione  dei matematici coinvolti nella verifica .

-         sia di natura in tutto o in parte empirica : viene annunciato un nuovo e rivoluzionario  farmaco ovvero un nuovo protocollo medico nella cura del cancro ; la procedura di scoperta della molecola ovvero il protocollo di cura deve essere messo a disposizione della comunità scientifica per le verifiche sperimentali del caso ; altrimenti la scoperta del farmaco e la pretesa cura non hanno valore scientifico e , poiché la medicina  e   la   farmacologia   non hanno valore di conoscenza se non sub specie di scienza, non hanno affatto valore .

Certamente lo sforzo intellettuale,anche in tema di scienza,  procede anche per altre vie, non deduttive né induttive : una congettura si affaccia già pronta alla mente del ricercatore, e solo dopo se ne trova la giustificazione mediante il procedere razionale (la genesi di ciò è tuttora ignota) . Non può essere sottovalutato questo dato, ma esso non appartiene direttamente alla scienza . 

La psichiatria deve porsi come scienza, essendo una branca della medicina, e come tale deve avere acquisizioni comunemente accettate dalla generalità degli esperti che praticano tale disciplina . L’affermazione potrebbe sembrare azzardata se si pone mente alle difficoltà in cui ancora si dibatte la psichiatria e le discussioni non ancora sopite circa l’eziologia di determinati fenomeni morbosi . Ma si tratta di difficoltà che appartengono in maggiore o minore misura a tutti i rami delle scienze applicate e non per questo i risultati cui pervengono le varie discipline non sono utilizzati in maniera fruttuosa nella vita di tutti i giorni . Essi possono ed anzi debbono essere utilizzati anche dal giurista . per quello che a noi interessa, rimane accertato, alla luce delle moderne acquisizioni

1)      che la maggior parte delle malattie mentali hanno un’ accertata concomitante carenza o eccesso  di sostanze che fanno da mediatori chimici nelle interazioni neuronali

2)      Che  spesso vi sono una serie di fattori concausali che possono prendere il nome di fattori scatenanti la malattia , senza i quali a) la malattia avrebbe potuto anche non manifestarsi b) o avrebbe potuto  manifestarsi con minore gravità c) o avrebbe potuto manifestarsi più tardivamente

3)      Che le malattie mentali , in precedenza classificate unitariamente , abbisognano invece di importanti ed ulteriori specificazioni , per cui ,ad esempio , è corretto parlare di “spettro schizofrenico “ per dare conto di una serie di manifestazioni patologiche, anche molto diverse tra loro , riconducibili in quale maniera alla vecchia nozione di schizofrenia

4)      Che la comorbidità tra malattie mentali è un fenomeno più accentuato di quanto in precedenza non si sospettasse (ad esempio, depressione e disturbo ossessivo compulsivo, depressione e disturbi da abuso di sostanze alcoliche, ecc.)

5)      Che la “summa divisio” tra nevrosi e psicosi , ancora molto radicata nella terminologia comune, è praticamente abbandonata , mentre il termine nevrosi viene ancora utilizzato , soprattutto dalla psichiatria di scuola europea , ma semplicemente come termine equivalente a “sindrome” o “malattia” e senza quella valenza spiccatamente “psicodinamica” assegnatale soprattutto dalla psicanalisi

6)      Che la gravità delle malattie mentali non si manifesta (solo) in termini di qualità , cioè in relazione ad un tipo di malattia, ma anche e soprattutto in relazione al tipo di intensità nell’ambito delle stessa malattia

7)      Che per talune malattie la familiarità è molto accentuata, il che depone  per l’origine genetica della predisposizione a questo tipo di malattie  : appare corretto parlare di predisposizione in tutti i casi in cui la malattia dipenda dall’interazione di una serie di geni e non dal difetto di un solo gene, per cui il meccanismo complesso di interazione tra i geni coinvolti potrebbe essere influenzato in maniera più o meno positiva dagli stimoli ambientali

8)      Che anche per le malattie di marcata origine genetica , non può darsi luogo ad alcun determinismo rozzamente inteso, per intendersi secondo i canoni  più rudi della scuola positiva di fine ottocento , sia perché , come detto , la malattia sarebbe in ogni caso poligenica e sempre , in questa ipotesi ,diviene importante il contributo ambientale, sia perché, trattandosi di geni non tutti a carattere dominante, essi possono risentire del positivo influsso dell’allele, in ipotesi sano, portato dal genitore non affetto .

9)      Che, infine, anche la dicotomia tra malattia “a base organica” o “biologica” e malattia “a base funzionale “ (o espressione equivalente ) , tende ad essere abbandonata . Tutte le recenti acquisizioni delle neuroscienze e della biomedicina danno conto di una complessità tale dell’organismo vivente che immaginare una mente ad un piano superiore ed un corpo confinato nel sottoscala è un’ipotesi del tutto infruttuosa . Nel campo della psichiatria , i progressi della misurazione sperimentale danno conto di eccesso o difetto di determinate sostanze proprio in correlazione a determinati stati patologici , per cui la mancanza di riscontro su base fisica di determinati disturbi psichici non può essere preso per fondare la dicotomia in parola .

10) Che gli apporti della psicodinamica e della sociologia possono essere    senz’altro utilizzati  nella diagnosi e nella cura della malattia mentali , senza voler ridurre la psichiatria a mera dimensione biologica , sia per le innegabili influenze dell’ambiente cui sopra si è fatto cenno, sia perché la complessità della materia, cui attualmente le neuroscienze non possono fornire tutte le risposte (né si sa se lo potranno fare in futuro) impongono una sorta di pragmatismo eclettico . Ovviamente per un’utile fruizione di tali contributi va abbandonato ogni dogmatismo da parte di tutti .

Appare chiaro che oggi la scienza e la scienza in generale e la psichiatria in particolare non può essere la stessa del 1930 . Già questo comporterebbe un grave attacco alla validità  dei presupposti scientifici della normativa recata dagli artt. 85-88-89 c.p.

Infatti, tanto per fare un esempio, la ricorrente distinzione operata dalla giurisprudenza tra malattia “in senso proprio “ ovvero malattia che ha base clinica , la quale comporta  l’infermità rilevante per escludere o diminuire la capacità di intendere e di volere, e    “i disturbi della personalità , le nevrosi ,ecc. “ riecheggia chiaramente, quando non   riprende pari  pari , la  terminologia   desueta di cui sopra, al punto 9. Qui, ovviamente, non  si  discute  se un soggetto con disturbo di personalità , psichiatricamente classificabile come tale , debba o meno essere considerato incapace di intendere e di volere : il discorso , piuttosto ,è metodologico , nel senso che appare inesatto in partenza negare la qualifica di malattia mentale al disturbo di personalità .Non si capisce perché il disturbo di personalità interessi la psichiatria se non è rapportabile alla nozione di malattia mentale , se non usando la battuta rinvenibile in  un celebre manuale di psichiatria forense, vale a dire che gli psichiatri ,nella loro ansia classificatoria, debbono trovare un’etichetta per qualsiasi manifestazione comportamentale . Il che, comunque , rimane una battuta, ed anche poco al di sopra di quella secondo cui per lo psichiatra sono tutti pazzi, ed il primo pazzo è lui stesso .In realtà rimane l’assoluta difficoltà di conciliare le risultanze della scienza psichiatrica con asserzioni che si rinvengono nella giurisprudenza le quali danno come premesse scontate affermazioni che sono in contrasto con quanto sopra richiamato . Come mero esempio ricordiamo che Cass. Sez. I,n. 4029/92 stabilisce che la sindrome ansioso depressiva non è associabile ad alcuna entità nosologica  .Si rinviene, in tale affermazione , la traccia di una tripartizione tutt’ora in voga in dottrina ed in giurisprudenza, secondo la quale vi sarebbero tre distinti paradigmi circa i “modelli” di malattia mentale :

-         Il paradigma medico o nosografico elaborato da Kraepelin verso l’inizio del novecento , secondo il quale il malato di mente sarebbe tale al sussistere di una specifica ed accertabile malattia fisica del sistema nervoso centrale . La disamina della malattia si svolge attraverso l’essenziale apporto di criteri di classificazione trasposti in “tavole nosografiche “, per cui il disturbo psichico è riconducibile ad una malattia mentale solo se nosograficamente inquadrabile

-         Il paradigma psicologico , variamente definito , ma comunque improntato alla valorizzazione dell’universo interiore dell’individuo, della psicodinamica , del “vissuto”, ecc.

-         Il paradigma sociologico , per cui la malattia di mente è riconducibile agli influssi dell’ambiente , o della società . Nelle sue teorizzazioni più estreme , il paradigma sfocia in quella che è stata chiamata “antipsichiatria”

Il secondo ed il terzo paradigma, per le considerazioni sopra fatte, non appartengono al metodo scientifico . La loro validità va cercata in altri campi del conoscere . I loro eventuali apporti alla scienza psichiatrica sono di contenuto empirico , talora importanti ma non sistematici . Non possono venire in rilievo per essere confutati o confermati, perché sfuggono, per la loro stessa essenza al momento della verifica sperimentale (secondo l’ormai ben noto insegnamento di Popper).

Il primo paradigma faceva certamente parte integrante della migliore scienza psichiatrica nel 1920 o nel 1930 , ma appartiene oggi alla storia della scienza .

Attualmente la scienza psichiatrica pone le sue fondamenta su sistemi di classificazione a carattere pragmatico , rispetto ai quali sono fondamentali il Manuale c.d. DSM (diagnostic and statistic manual of mental disorder )nelle sue successive versioni, nonché la corrispondente versione a cura dell’OMS ICD.

L’elemento saliente che caratterizza queste versioni è la costante revisione dei dati e delle classificazioni , che da un lato sottolinea il carattere ateorico delle stesse e dall’altro dà conto di un’elaborazione continua della materia in relazione alle acquisizione che via via vengono fatte .

Accedendo a tali impostazioni , che non possono trovare alternative secondo la migliore scienza ed esperienza attuale , si comprende come il metodo nosografico era correttamente preso in esame quale presupposto dell’infermità psichica dal legislatore del 1930 (la relazione al Re vi fa indiretto ma chiaro accenno) , ma non può essere il presupposto scientifico attuale .

Ma ammettendo che l’impianto complessivo costituito dagli artt. 85-88-89 , i quali poggiano , nell’applicazione ed interpretazione ,su premesse che  non si discostano molto dalle  premesse proprie di  una scienza psichiatrica vecchia di 70 anni ,possa in qualche modo superare le enormi riserve sulla sua ragionevolezza , il punto veramente dolente riguarda l’art. 90 c.p. , il quale può essere letto sia quale norma autonoma sia in lettura integrata con il disposto degli articoli riguardanti l’imputabilità . In altre parole , il lettore (e l’interprete) può scegliere di leggere  , in un primo tempo , gli artt. 85-88-89 c.p. , e ne ricaverà che non è imputabile chi ,nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità , in uno stato di mente tale da escludere la capacità di intendere e di volere .Di seguito  l’art. 90 c.p. può essere letto come una sorta di interpretazione autentica del disposto normativo di cui agli artt. 85-88-89 c.p. , nel senso che “gli stati emotivi o passionali “ non possono mai configurare quell’infermità che comporta una stato di mente tale da escludere (o anche solo di scemare) la capacità di intendere e di volere . In tal modo v’è un complesso normativo di unitaria lettura, quello degli artt. 85-88-89-90 c.p. . Ma il lettore può anche intendere l’art. 90 c.p. come lo intende autorevole corrente dottrinale, e cioè che vi siano “stati emotivi o passionali “ che alterano il funzionamento della psiche in maniera patologica . E di fronte a questa possibilità , due sono le opzioni , cioè ammettere che vi sia uno stato “emotivo o passionale” che comporta l’infermità/incapacità ovvero che , in ogni caso, operi una fictio juris secondo la quale, seppure lo stato emotivo o passionale comporta un’incapacità di intendere o di volere , tale incapacità assoluta o parziale non è giuridicamente valutabile .

La giurisprudenza di Cassazione può , grosso modo , suddividersi in 3 filoni

-         V’è un gruppo di sentenze che affermano che gli stati emotivi o passionali non possono mai rilevare ai fini dell’incapacità di intendere o di volere ( sez. I, n.1319/67; n. 316/68 ; sez. II,n. 3707/76 ; sez. III,n. 467/79 ; sez. I,n. 2897/83 ; sez. IV,n. 14358/90 ; sez. I,n. 7523/91 ; n. 4029/92; n. 4954/93 ; 967/98 ,sez. VI , n. 7845/97 )

-         V’è un gruppo di sentenze che affermano che gli stati emotivi o passionali possa anche comportare uno squilibrio psichico tale da poter dar luogo alla malattia mentale :di solito tale evenienza è vista come “eccezionale” (sez. I,n. 739/72 ; n. 4123/73 ; sez. III, n. 800/60 ; n. 2511/80 ; n. 9357/80 ; n. 6710/83 ; sez. V,n. 2123/85  ;sez. VI,n. 2285/85 ;sez. I,n. 9084/87 ;sez. V,n. 8660/90 ; sez. I,n. 1347/91 )

-         V’è infine un gruppo di sentenze che sembrano tentare una specificazione dello stato emotivo o passionale ,rilevante per escludere o diminuire la capacità di intendere e di volere , quale “manifestazione”di una vera e propria patologia      ( sez. sez. I, n. 10911/76 ; sez. III, n. 2439/64 ; sez. VI,n. 153/82; sez. I,n. 12429/94 ; n. 3170/95 ; n. 5885/97 )

 

In realtà , leggendo i repertori e più ancora confrontando le motivazioni per esteso  , si ha talvolta la netta impressione che il contrasto sia meramente terminologico ed in realtà la giurisprudenza sia preoccupata di dare risposte adeguante al caso concreto , spesso di valenza delicata . In realtà si tratta di sforzi veramente ammirevoli ,sol che si consideri che la nozione di  “stati emotivi o passionali”  è uno strumento che seriamente non può avere alcuna utilizzazione . Il legislatore del 1930 utilizzava il vocabolario che poteva avere a disposizione che era quello di certa criminologia e  psichiatria di fine ottocento e di inizio del novecento. Certamente, a loro  volta  tali espressioni attingono più al romanzo popolare dell’ ottocento che ad un proficuo metodo scientifico  .

Oggi ,comunque, nessun equivoco è più possibile . Si può certamente convenire con chi dice che in tali casi le espressioni più o meno infelici non devono essere preclusive all’utilizzazione delle situazioni sottostanti , che non possono che avere un carattere convenzionale . Il fatto è che la convenzione creatasi poggia su basi scientificamente scorrette  .

Il giurista e l’operatore del diritto deve certamente farsi carico di questa discrepanza tra scienza come oggi va intesa e scienza come presupposta dal legislatore del 1930, dalla giurisprudenza e dalla dottrina : “questa Corte non intende certo escludere che il sindacato sulla costituzionalità delle leggi , vuoi per manifesta irragionevolezza vuoi sulla base di altri parametri desumibili dalla Costituzione , possa e debba essere compiuto anche quando la scelta legislativa si palesi in contrasto con quelli che ne dovrebbero essere i sicuri riferimenti scientifici o la forte rispondenza alla realtà delle situazioni che il legislatore ha inteso definire . Nella materia del diritto penale , anzi , questo specifico riscontro di costituzionalità deve essere compiuto con particolare rigore, per le conseguenze che ne discendono sia per la libertà dei singoli che per la tutela della collettività “ (Corte Cost. sentenza n. 114 del 9-16/4/98 ) .

Ritiene questo Giudice che la base scientifica su cui poggia la normativa del 1930 , nonché le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali pressoché dominanti , sia “incontrovertibilmente erronea” ovvero “raggiunga un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo un’interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice “ (per usare le espressioni della decisione appena richiamata).

D’altro canto , che le acquisizioni della scienza debbano imporre una rivisitazione degli istituti giuridici appare ugualmente ovvio (v. ,in tema di accertamenti per escludere o affermare la paternità , quanto viene affermato da Corte. Cost.,n. 170/99 ; n. 134/85 ). Quando però la rivisitazione non può porsi in termini di diversa applicazione, pur sempre compatibile con il dettato della norma , ma la nuova acquisizione scientifica configge con la norma stessa, è quest’ultima a dover venire meno .

 

Occorre ora sottolineare nettamente  che le conclusioni alle quali perviene la scienza psichiatrica sono di carattere neutro rispetto alla problematica generale  garantismo/   repressione, perché non attengono al livello di risposta penale rispetto al fatto criminoso  ma al “come” la malattia mentale , eventualmente causa di non imputabilità viene accertata . Del resto , anche oggi la giurisprudenza non ha difficoltà ad ammettere che non tutte le infermità mentali danno luogo all’incapacità di intendere e di volere .

Resta da vedere se l’eliminazione di norme così importanti , almeno apparentemente, possa creare seri problemi al sistema penale (questo giudice infatti denuncia non solo l’art. 90 , ma il completo impianto normativo costituito dagli artt. 85-88-89-90, oltre all’appendice processuale costituita dall’art. 220, 2° comma  cpp ).

A parte l’ovvia considerazione secondo la quale, se si parte dal presupposto da cui procede questo rimettente, secondo cui trattasi di strumenti normativi sostanzialmente  inservibili , non si vede come la loro eliminazione potrebbe  provocare danni , occorre dire che quanto ripugna alla coscienza sociale, quanto attiene alla possibilità dell’uomo di scegliere tra valore e disvalore, ecc. ecc. , potrebbe benissimo essere spostato sul terreno dell’applicazione dell’art. 42 c.p. .

 Già il legislatore del 1930 osserva che mentre l’art. 85 regola la generica capacità di agire nel campo penale senza riferimento ad un determinato fatto concreto , l’art. 42 prevede l’effettiva volontà del caso concreto , per cui si tratterebbe di “due posizioni diverse della volontà . Nella capacità di diritto penale o imputabilità , la volontà è considerata al momento della possibilità . Nella effettiva responsabilità penale la volontà è considerato nel momento della sua attuazione “ (Relazione al Re , n. 26) . Oltre a ciò, il giurista potrebbe utilmente rinunciare ad ogni definizione o pre-definizione della infermità mentale , eliminando così tutti gli imbarazzi che attengono alle prese di posizione più o meno metafisiche .

Di conseguenza, questo Giudice ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 85-88-89-90 c.p. in quanto presuppongono una nozione di infermità , nella specie psichica, superata dalle nuove acquisizioni della scienza ed in quanto tale , non utilizzabile in alcun modo , e pertanto contrastanti con il criterio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Cost. nonché in quanto , utilizzando una nozione di infermità come sopra descritta , precludono al giudice il potere-dovere della motivazione dei suoi provvedimenti giurisdizionali , poiché l’iter logico di tale argomentazione sarebbe irrimediabilmente inficiato dalla incongruità della nozione di infermità comunemente utilizzata .

 

P.Q.M.

 

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 85-88-89-90 c.p. , per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. .

Sospende il procedimento ed ordine l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale .

Dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due camere, dandosi atto che né è stata data  lettura in udienza per gli altri soggetti destinatari .

 

Fabriano li 13.2.03                                           il Giudice

                                                                   Dr. Cesare Marziali

rip. da http://www.ctu.it/perizia/marziali.htm

 

Vedi anche 

Metodologia peritale

Per una critica epistemologica alla perizia psichiatrica forense, come tentativo di ricondurla a dei criteri di scientificità

di Prof. Saverio Fortunato*
(specialista in criminologia clinica, vicepresidente Collegio Toscano Periti Esperti Consulenti
-Organo riconosciuto giuridicamente dal Ministero di Grazia e Giustizia- )

http://www.ctu.it/sommario/perizia_psichiatrica.htm