Antonio Bevere è nato a Napoli il 3/9/40. In magistratura dal 1970, tenta di
mantenere un laico criticismo.
Il libro che lo consacra allo specifico letterario è La
giustizia in prosa e in versi(Nuove Ricerche-Ancona 1996) un'antologia critica assai
preziosa, con prefazione di Gaetano Insolera.
La giustizia con la sua drammaticità, i suoi paradossi, la sua
spettacolarità, con la sua iniquità storicizzata, con i suoi personaggi dal mutevole
ruolo (i governanti) e dall'immutabile ruolo (i governati), con il suo pubblico di
appassionati, mostra i suoi connotati eterni nelle immagini offerte dagli scrittori
di tutti i tempi.
Riporto qui di seguito due brevi segmento di scheda del suo
libro tratto dal Tocco e la Penna in versione estesa(la pubblicazione avviene come
si sa in forma ridotta).
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L'ironia (ma non solo): Sciascia
Anche Sciascia vede i magistrati nella loro quotidianità,
innanzitutto con ironia, con l'ironia che non piace ai rappresentanti del terzo potere (ma
anche, come vedremo, con laica ammirazione).
Ne Il contesto, Cres, il farmacista, è accusato di
avere tentato di uccidere la moglie, che si era salvata, perché "per
ispirazione" aveva dato al gatto una cucchiaiata di riso al cioccolato, preparato dal
marito. La bestiola aveva mangiato con gusto ed era rimasta rigida sul pavimento.
Durante il processo il procuratore Varga chiede se la moglie
fosse affezionata al felino domestico e il farmacista ammette l'affezione.
L'ispettore Rogas esaminando gli omicidi
trattati dal procuratore Varga e dal giudice Azar, mette insieme tutti i processi in cui entrambi avevano partecipato nei
rispettivi ruoli, per individuare eventuali vittime di errori giudiziari.
Scopre così l'uso di elementi di colpa(soprattutto i
precedenti) a casaccio, a fronte di prove di innocenza che pure avrebbero potuto assurgere
a elementi decisivi.
Per una par condicio rispetto all'ironia di Sciascia,
bisogna annoverare l'intervento liberatorio di Rogas, che, giunto ad Ales (luogo in cui
era stato rinvenuto cadavere il giudice Sanza) trova che "la polizia locale aveva
arrestato una decina di persone che non c'entravano per niente e si agitava a sorteggiare
tra queste il colpevole".
Richiama poi il rito, celebrato in genere dalla polizia di
"sacrificare lestamente, e persino con allegria, la reputazione delle persone che
ultime avevano visto vivo l'assassinato o che dalla sua morte cavavano profitto".