http://www.giurcost.org/decisioni/2001/0302o-01.html
ORDINANZA N.302
ANNO
2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
-
Cesare RUPERTO, Presidente
-
Fernando SANTOSUOSSO
-
Massimo VARI
-
Riccardo CHIEPPA
-
Gustavo ZAGREBELSKY
-
Valerio ONIDA
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Carlo MEZZANOTTE
-
Fernanda CONTRI
-
Guido NEPPI MODONA
-
Piero Alberto CAPOTOSTI
-
Annibale MARINI
-
Giovanni Maria FLICK
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 192, comma 2,
del codice di procedura penale, promosso nell'ambito di un
procedimento penale dal Tribunale di Roma, con ordinanza emessa
il 13 giugno 2000, iscritta al n. 653 del registro ordinanze
2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
45, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 20 giugno 2001 il Giudice relatore
Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 30 giugno 2000 il Tribunale di
Roma, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del codice di
procedura penale, in quanto prevede che l’esistenza di un fatto
possa essere desunta da indizi;
che il
rimettente premette di essere chiamato a giudicare un soggetto
imputato del furto di un paio di occhiali, a carico del quale
sono state raccolte mere prove indiziarie, non sufficienti per
ritenere accertata la condotta contestata e, in particolare, che
la res furtiva sia sicuramente identificabile negli occhiali, di
marca largamente diffusa, trovati in possesso dell’imputato;
che
peraltro il giudice a quo sostiene che la prova indiziaria,
formalmente introdotta solo nel vigente codice di rito - essendo
nel sistema del precedente codice un prodotto di elaborazione
giurisprudenziale -, é epistemologicamente inappagante, posto
che, alla stregua degli approdi cui é pervenuta la filosofia
della scienza in materia, l’esistenza di un fatto non potrebbe
mai essere desunta da indizi, quand’anche "gravi, precisi e
concordanti", essendo invece a tal fine necessario procedere
"non solo alla verifica dei dati ma alla loro rigorosa
falsificazione, in prova e controprova attraverso la
processazione di ulteriori dati che potrebbero scalfire
l’ipotesi base", così da realizzare un sistema di accertamento
giudiziale basato unicamente "su prove (non indizi), sicure e
fortissime", e, soprattutto, su "prove scientifiche";
che,
secondo il rimettente, stanti tali premesse, la norma impugnata
sarebbe in contrasto con l’art. 111 [primo comma] della
Costituzione, nella nuova formulazione recata dalla recente
legge costituzionale, che, affermando il principio del giusto
processo nell’attuazione della giurisdizione, implica non solo
l’esigenza della parità tra le parti ma anche l’adozione di un
criterio di rigorosa valutazione delle prove a carico degli
imputati: "ad evitare ogni forma di alea che comprometta la
parità dei cittadini imputati di fronte alla legge, avendo tutti
il diritto di avere il processo per prove forti, che portino
davanti a qualunque giudice al medesimo risultato, e non per
indizi";
che a
tale conclusione dovrebbe pervenirsi anche sulla base
dell’ulteriore disposizione [secondo comma] del medesimo art.
111, che impone lo svolgimento del processo nel contraddittorio
tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e
imparziale, atteso che la imparzialità e terzietà del giudice é
assicurata solo da un "sistema probatorio scientifico […] che
salvaguardi i processi da pure ricostruzioni logiche (indiziarie
e congetturali)";
che,
inoltre, il processo indiziario, non garantendo la "certezza del
diritto e della prova", non assicurerebbe nemmeno l’eguaglianza
dei cittadini davanti alla legge, con conseguente lesione
dell’art. 3 Cost., dato che la garanzia dell’eguaglianza "nasce
proprio dal rigore del metodo epistemologico";
che,
infine, potendo la prova indiziaria "compromettere ingiustamente
la libertà" dei sottoposti al processo per effetto di
carcerazioni preventive anche lunghe, sarebbe ravvisabile, a
parere del rimettente, anche la lesione degli artt. 2 e 13
Cost.;
che
nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile
o, in subordine, infondata.
Considerato che, a prescindere da ogni valutazione sulla
esattezza delle concezioni "epistemologiche" illustrate dal
giudice a quo, la richiesta soppressione della norma impugnata
non condurrebbe a eliminare la prova indiziaria dal panorama
conoscitivo del processo penale;
che,
infatti, la prova indiziaria, compenetrata nella risalente
tradizione processuale, non solo italiana, costituiva già
legittimo fondamento del convincimento del giudice nella vigenza
del codice di rito abrogato, come riconosce lo stesso
rimettente;
che
con l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. il legislatore del 1988
ha solo inteso porre dei limiti al discrezionale apprezzamento
dei dati indiziari, introducendo un parametro legale di
valutazione probatoria analogo a quello recato dall’art. 2729
del codice civile (v. Relazione Prog. prel., p. 61);
che,
pertanto, l’accoglimento della questione, risolvendosi nella
soppressione di tale regola limitativa, produrrebbe un risultato
antitetico a quello perseguito dal giudice a quo, in
contraddizione con le sue premesse argomentative;
che,
per di più, il rimettente illustra gli elementi di prova a
carico dell’imputato in modo da lasciare intendere che si tratta
di indizi non concludenti per una affermazione di colpevolezza,
sicchè la eliminazione della norma impugnata, contrariamente a
quanto puntualizzato nell’ordinanza, non potrebbe incidere sul
contenuto della sua decisione;
che
sotto entrambi i profili la questione é pertanto manifestamente
inammissibile.
Visti
gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13
e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l’ordinanza
in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 12 luglio 2001.
Cesare
RUPERTO, Presidente
Guido
NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2001.