Il Giudice dott. Gennaro Francione ha tentato in sede giudiziaria di
prospettare l'incostituzionalità del verdetto di colpevolezza a maggioranza.
In particolare ha proposto di sollevare questione d'incostituzionalità
dell'art. 527 c.p.p. là dove non prevede l'unanimità nel giudizio di colpevolezza.
Il sistema attuale è basato sulla maggioranza dei voti per determinare
la colpevolezza e, con richiamo ad analoga ordinanza d'incostituzionalità dello stesso
Giudice del Tribunale di Roma del 13 giugno 2000, appare incostituzionale in rapporto agli
artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione.
In quell'ordinanza si affermava l'esigenza di un giusto processo(art.
111 Cost.) garantendo il diritto di ogni cittadino imputato di avere lo stesso tipo di
processo, garantito da un sistema scientifico basato su prove e non su indizi.
Orbene come in scienza una legge è tale se tutti gli esperimenti
portano allo stesso risultato, da qualunque sperimentatore essi siano eseguiti, così i
verdetti di colpevolezza devono essere presi all'unanimità, bastando un solo dissenso per
scalfire l'evidenza dell'ipotesi base. Ciò varrebbe quanto meno in rapporto al favor rei
pur affermato nell'ultima parte dell'art. 527 c.p.p. in caso di parità di voti. D'altro
canto il favor rei impera anche nella revisione dei processi, prevedendo l'art. 629 c.p.p.
la possibilità di sottoporre a revisione solo sentenze di condanna e non anche di
assoluzione.
La norma dell'art. 527 c.p.p. citata appare in contrasto con l'art. 111
della Costituzione che nella nuova formulazione (LEGGE COSTITUZIONALE 23 novembre 1999 n.
2-pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 1999)detta: "La
giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge".
Il processo è giusto non solo quando vengano rispettate le posizioni
formali paritarie tra accusa e difesa, ma anche quando si realizzi nella sostanza una
rigorosa valutazione delle prove a carico degl'imputati, ad evitare ogni forma di alea che
comprometta la parità dei cittadini imputati di fronte alla legge, garantendo a tutti il
diritto di avere il processo per prove forti, che portino davanti a qualunque giudice al
medesimo risultato, e non per indizi. Infatti la citata norma costituzionale prosegue:
"Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
davanti a giudice terzo e imparziale". L'imparzialità e la terzietà del giudice è
garantita proprio da un sistema probatorio scientifico fondato sul setaccio critico che
salvaguardi i processi da ricostruzioni(indiziarie e congetturali, ma anche fondate su
prove) frammentarie quanto agli esiti che portino già all'interno di una stessa camera di
consiglio a conclusioni diverse dei componenti sulla responsabilità o meno del prevenuto.
La decifrazione concreta del giusto processo non si esaurisce nella
parità tra le parti processuali, dunque, e richiede l'applicazione nella valutazione
della prova di un criterio valido quale appare solo quello scientifico in un mondo reale
di eguali davanti alla legge.
La garanzia dell'eguaglianza(art. 3 cost.) nasce proprio dal rigore del
metodo epistemologico che esclude alee evidenti nel caso di voto a maggioranza dimostrante
che proprio che la colpevolezza non è un dato sicuro.
La scienza giudiziaria per essere tale deve adeguarsi a tale criterio
epistemologico di rilevazione dei dati di responsabilità all'unanimità. Infatti il
sistema attuale sembra prima facie anticostituzionale perché non garantisce né la
certezza del diritto e della prova, né l'eguaglianza dei cittadini davanti alla
legge(art. 3 Cost.), potendone compromettere ingiustamente la libertà(art. 2 e 13 Cost.).
Per ciò si è ritenuto che non è manifestamente infondata la
questione di incostituzionalità dell'art. 527 c.p.p. in rapporto agli artt. 2, 3, 13 e
111 della Costituzione