Il giudice-scrittore Luigi Grande, nasce il 13 maggio 1921 e
muore nel 1995, dopo brevissimo ricovero ospedaliero, a mezzogiorno nella stessa ora in
cui era nato.
La notizia mi giunge tramite il nostro comune amico Nino
Salvatore in una lettera datata 27 dicembre 1995, acompagnata da un trafiletto sul triste
evento "Morto Luigi Grande una vita per Cremona" su "La Provincia"
sabato 26 agosto 1995.
Il cuore mi si stringe. Una delle cose che rimpiangerò e di
cui la morte mi sarà eterna debitrice è di avermi privato del contatto di persona con
quest'uomo la cui grandezza e umanità potei apprezzare solo per telefono.
Riporto qui di seguito una scheda su un suo libro tratto dal Tocco
e la Penna in versione estesa
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Gli sbagli di vostro onore(Eurapress, Milano 1988) è un
viaggio straordinario attorno al "pianeta giustizia", stimolato dal referendum
sulla responsabilità dei magistrati.
L'autore si pone il dilemma se davvero l'infrazione alla norma
debba essere pagata necessariamente con la sofferenza della pena, e quindi più in
generale qual è il limite che demarca la giustizia dall'ingiustizia a fronte della
lentezza delle procedure(già stigmatizzata da Muratori due secoli fa) e soprattutto degli
errori inevitabili nell'attività giudiziaria(false testimonianze, distorta
rappresentazione della realtà, documenti alterati, abbagli collettivi e così via).
Il viaggio comincia da lontano, da quella sete di giustizia
antichissima espressa già in letteratura da Esiodo a Camus, dalla mitologia a
Dostojewskji a Flaubert.
Per fare questa disamina delle "nefandezze di Temi"
Grande passa in rassegna a partire dal capitolo "Temi: dea o bagascia", casi del
passato e del presente:i processi alle streghe, il rogo dei Templari ad opera di Filippo
IV il Bello, le purghe staliniane.
L'analisi talora si fa stringente come nel caso dell'errore
commesso a Venezia nel 1507. Dell'assassinio di Alvise Gnoso, insidiatore delle altrui
donne, fu dichiarato colpevole innocente un giovane fornaio(2), compiendosi così il più
drammatico sbaglio giudiziario, quello irreparabile che ha come effetto la morte. Dopo
infatti il patrizio Lorenzo Balbo confessò di essere stato lui l'autore dell'omicidio per
motivi di gelosia e di vendetta.
Da allora in poi il massimo organo giurisdizionale della
Serenissima, scandendo la rituale formula "recordève del povero fornaretto"
esortava ogni volta i consiglieri a meditare responsabilmente, prima di emettere
una sentenza..."(3).
Altro caso analizzato è quello della manzoniana Storia
della Colonna infame, coi giudici milanesi che, ottenebrati, nel 1630 condannarono a
orribili pene imputati innocenti quali erano i cosiddetti untori della peste. Quella
colonna eretta là dove era stata abbattuta la casa di uno degli "assassinati con la
spada della giustizia" rimase ben 148 a monito delle generazioni future, e invece
segno di quell'infame verdetto. "Confezionare la peste" era quello che
attualmente si definisce reato impossibile, almeno per quanto riguarda i tempi, perché
oggidì il crimine sarebbe attuabile con le armi della guerra batteriologica.
La procedura probatoria, usata scorrettamente o in maniera non
cauta, è stato spesso uno dei fattori maggiormente influenti sugli errori giudiziari.
Grande si riferisce in particolare alla confessione estorta da giudici-boia(4) con la
tortura fisica, definita da Cesare Beccaria "infame crogiuolo della verità" e
stigmatizzata da Pietro Verri nel suo Osservazioni sulla tortura.
Ma viene ripudiata anche la tortura morale, attuata ad esempio
con l'arresto di un teste ritenuto falso o reticente in udienza(5) o mascherata dai
vantaggi connessi alle attuali normative sul pentitismo, trasformate da sistemi
eccezionali di "incitamento alla fellonia" a prassi. Inoltre, osservando
strumenti di tortura nel castello di Gand Grande non può fare a meno di ricordare la
"crucifissione" nel letto di contenzione usato nei manicomi criminali, di cui
dà tragica testimonianza un carcerato-poeta, Alfredo Bonazzi nel suo libro Ergastolo
Azzurro.
Alla fine i magistrati hanno trincerato le loro cattive
comprensioni dietro il "dire che si son visti o letti uno o più
articoli di legge. Ma a volte la legge serve da schermo per chiudersi alla
comprensione"(6). Basta sapere di aver rispettato le regole del gioco e ci si sente
la coscienza a posto.
Ma vi è poi tutta una serie di citazioni dotte, di esperienze
di viaggi, come la visita allo Spielberg in cui soffrirono tanti patrioti italiani, prima
fra tutti Silvio Pellico, per cui si offre spunto di rilettura delle Mie prigioni.
Come non ricordare l'amputazione della gamba di Maroncelli e l'offerta come compenso di
una rosa al chirurgo, che pianse...
Un volo ed eccoci alle latomie di Siracusa, all'Orecchio di
Dioniso, dove erano detenuti gli ateniesi catturati al tempo della spedizione in
Sicilia durante la guerra del Peloponneso. Il tiranno ponendosi presso una fessura in alto
poteva sentire anche i sussurri dei prigionieri e questo ripugna all'autore.
Grande trasfonde qui la sua passione che era propria dei
clerici vagantes. Armatosi di una roulotte è arrivato con moglie e due bambine fino ai
fiordi norvegesi alla ricerca del mondo, dei suoi sensi, delle sue meraviglie.
Alla fine il tono del libro non è certo melodrammatico, ma
tenuto sulla linea di un'amichevole conversazione, pregna dell'ammonimento a riflettere,
ponendosi quasi sopra agli avvenimenti pur tragici. Grande invoca la necessità "che
la giustizia non si risolva nel proprio contrario"(l'ingiustizia)o in
un'immagine sgangherata di essa(la disgiustizia) o in mera utopia(la fantagiustizia)(7).
Davvero un bel libro "denso di umanità e di umanesimo, di
citazioni storiche e letterarie, di digressioni fate di ricordi, di esperienze, di
meditazioni". Ed è questo che lo rende gradevole, che ne fa una lettura avventurosa
attraverso le implacabili contraddizioni delle cose umane e delle leggi, spesso
discutibili, che le riflettono"(8).
Insomma alla bellezza letteraria e "persino stilistica con
quelle idee che si accalcano mentre l'autore scrive, per cui ne derivano parentesi e
incisi"(9), si aggiunge una forza divulgativa, essendo valido per tutti, con "la
nozione calata dentro la realtà della vita, della sua storia e dei suo presente sempre in
evoluzione. Leggerlo è un'avventura dello spirito..."(10).
1) L. Muratori, Dei difetti della giurisprudenza, pubb.
nel 1742, cit. ne Gli sbagli etc. p. 120.
2)Il fatto dette spunto al drammone di Dall'Ongaro Il
fornaretto di Venezia
3)Vedi "Nuova Antologia" - Ferruccio Monterosso -
gennaio-marzo 1990. Il triste aneddoto è riportato anche da G. Ghirotti, La
magistratura, Vallecchi- Firenze,1959, p. 68.
4)Così bolla il Manzoni i giudici che applicarono la tortura
nel processo agli untori.
5)Grande cita il caso di Salvatore Gallo, narrato da Corrado
Pallenberg in Culla del diritto tomba della giustizia(Palazzi - Milano, 1973).
Sulle confessioni estorte con le pressioni della polizia e del magistrato inquirente,
dettate da captatio benevolentiae, riduzioni di tempo del processo per poi ritrattare in
udienza etc. vedi G. Ghirotti, La magistratura, op. cit., p. 78-79. Là si nota
come in America un giudice siede anche di notte preso le sedi di polizia, per verificare
le condizioni legali degli arresti operati.
6)Ibid., p. 41.
7)P. 24-25.
8)Dalla bandella di quarta.
9)Ibid.
10)Ibid.