TESTO,
CONTESTO E IPERTESTO NELLA FORMULAZIONE DELLE SENTENZE. VIE PER UNA
RIVOLUZIONE METODOLOGICA NELL'ARTE DELLO STILAR VERDETTI.
di
Gennaro Francione
Questo
breve saggio nasce da una serie di attacchi - per la verità ad opera di
una minoranza fortissima e conservatrice(c'è stata anche
un'interrogazione parlamentare) - subiti dallo scrivente per aver egli il
15 febbraio 2001 assolto quattro extracomunitari venditori di cd avendo
essi agito in stato di necessità.
A
difesa della pronuncia invocherò il consenso plebiscitario consultabile
liberamente in internet ma rilevato anche out cyberspace per una simpatia
e consenso popolare che dovunque mi hanno decretato per il verdetto.
Citerò,
quale buon viatico, qui il commento della giornalista Vera Ambra che sulla
rivista in rete
“Akkuaria” ha scritto: "La sentenza è un autentico capolavoro di
chiarezza. Un vero articolo artistico-informativo, per cui la riportiamo
integralmente dandovi due indicazioni per seguire il lato giuridico:
il Giudice deve dimostrare lo stato di necessità (bisogno
alimentare) e il danno minimo arrecato, cosa che fa prima con il numero
limitato di cassette vendute e poi ampliando il discorso ad internet che
permette già arte libera e gratuita.
Non si vede perché scaricare dai colossi in rete non è reato
mentre lo è il reatino di strada fatto da questi poveri extracomunitari. Una
sentenza dunque rivoluzionaria".
Ho
citato questo commento perché lusinghiero e lapidario, consentendomi di
esprimere i punti cardine di quei verdetti le cui bordate
"rivoluzionarie" - per usare un termine della giornalista - sono
solo la summa di tendenze insite in una magistratura moderna e al passo
coi tempi, che negli ultimi cinquant'anni col coraggio d'innovare ha
permesso di migliorare la vita sociale di questo paese, soprattutto
evitando verdetti sperequativi tra classi forti
e classi deboli. Ciò ad evitare una giustizia che sia funzionante
a livello repressivo, a senso unico, solo per i poveracci.
La
vecchia sentenza conservatrice emessa dai giudici penali corrisponde a uno
schema stereotipo dove il giudice è tenuto ad attenersi strettamente al
diritto, formulando verdetti secchi, strettamente descriventi il fatto e
il diritto violato, traendone la conseguenze di legge.
Dalla
detta formulazione sembra inequivocabile il principio per cui il giudice
debba attenersi strettamente alla legge senza deviazioni di sorta attuate
con metodologie non strettamente giuridiche. Concetto questo, secondo lo
scrivente, da ritenersi completamente superato alla luce delle nuove
epistemologie e tecnologie in dotazione ai giudici.
Non
esistono interpretazioni stricto
iure prima di tutto perché nella congerie delle 300.000 norme
italiane, a livello di pura metodologia esegetica, i giudici svolgono
interpretazioni complesse e diversificate degli stessi principi. In
secundis il divieto di ricorrere a eterometodologie è un falso
problema, perché di continuo il giudice fa ricorso
a contesti interpretativi altri, solamente che egli dà per
scontato quel che non è, cioè che i contesti d'interpretazione
socio-culturali siano costanti e uniformi, per lo più quelli accettati
dai giudici e dai benpensanti conservatori.
Quei contesti standardizzati creano quelli che Bacone chiama idola,
ovvero pregiudizi connessi a un determinato modo di pensare di un dato
gruppo sociale. Per usare una terminologia bergsoniana il giudice ipotizza
il contesto di una società chiusa, modello virtuale
e irreale, e sulla base di quello attua decisioni per lo più
standardizzate e conservatrici dello status quo.
Ex
contrariis il giudice per attuare vera giustizia deve avvalersi in maniera
dinamica dei contesti sociali in cui si sviluppano i fenomeni giuridici,
ciò sia nel macro che nel microsociale. Ciò perché il modello di società
in cui viviamo è più che mai aperto e
gravido, per cui una reale giustizia deve prendere coscienza delle
innumeri realtà che condizionano l'agire e il fare degl'individui, pronto
a creare verdetti irregolari per
far sì che di fatto la giustizia venga attuata non con un ligneo
susseguirsi di verdetti tutti eguali, ma al contrario con fluttuanti
sentenze diseguali proprio perché i contesti a monte dei casi mutano di
continuo. Ciò può portare alla conseguenza non solo che lo stesso fatto
è reato in una situazione e
non in un altra, attraverso l'uso esteso delle scriminati ad esempio, ma
addirittura che di fatto una norma venga disapplicata nel caso specifico dai giudici perché in
contrasto con le esigenze del popolo.
Prima
di procedere nella disamina, analizzeremo la terminologia usata in questo
breve articolo. Si parte dal testo, vale
a dire il documento in sé, per passare al contesto e, infine,
all'ipertesto al fine di
individuare sentenze che, operando soprattutto su casi limite,
non debbono essere necessariamente conservatrici ma possono creare
un'autentica rivoluzione nello status quo.
Il
testo è l'insieme delle parole
che compongono un documento. Nel caso della giustizia il testo a mo' di
macchina stritolatrice ingloba
il fatto, tendendo a identificare la forma della parola esposta con la
vicenda in sé. Ciò significa sacramentare il documento che, per così
dire, rappresenta globalmente tutto quanto è predicabile, in quel caso,
sulla vicenda sottoposta a giudizio. Trattasi di un procedimento fittizio
che ha la funzione di circoscrivere l'indagine per il buon funzionamento
del sistema, bontà che naturalmente non è che una petitio
principii, perché la carta non può contenere tutta intera la realtà.
Per il procedimento autoconservativo della giustizia, per la fictio
iuris del documento ritenuto eguale alla realtà, il sistema
giudiziario mostra, comunque, di poter funzionare
e tanto basta, al di là del fatto che in concreto si commettano
molti errori giudiziari con casi diversi trattati in maniera analoga.
L'obbligo
di testualità nella formulazione delle sentenze implica un astratto
dovere di seguire la normativa e di applicarla
inderogabilmente in maniera uguale a tutti i casi sottoposti. Orbene la
testualità normativa delle sentenze è una folle corsa dietro la Fata
Morgana, prima di tutto perché il senso delle norme mai è chiaro
e ci sono oscillazioni d'interpretazione tra giudice e giudice, tra
Cassazione e Cassazione.
In
più anche nel referente normativo sicuro, ammesso e non concesso che esso
sia stato accettato dal consesso dei magistrati, la norma va sempre
applicata ai casi singoli che sono gravidi di sfumature e di contesti,
senza conoscere i quali il giudice non fa opera scientifica, in quanto
l'analisi delle circostanze reali richiede strumenti di esplorazione
multipli, che vanno dalla sociologia, alla psicologia, all'antropologia
etc. per cui solo un giudice multiforme e iperscienziato può realmente
districarsi nella complessità della materia
e riuscire a rendere
sostanziale giustizia.
Il
contesto, dal lat. contextu(m)
'nesso, legame', derivato di
'contexere', cioè 'contessere', è l'insieme delle parti di uno scritto o
di un discorso in relazione fra loro e con il tutto. Per estensione indica
il complesso delle circostanze e delle situazioni nelle quali un fatto o
un fenomeno si verificano, come ad esempio il contesto sociale, politico,
culturale.
Una
sentenza gravida, moderna, davvero democratica non può prescindere dal
contesto ovvero dalla specificità degli accadimenti retrostanti il caso
da esaminare sia in microcontesto che in macrocontesto.
Il
contesto particolare è stato ampiamente usato in materia sessuale. Così
certa giurisprudenza esplicitamente o implicitamente ha affermato che la
nudità dei genitali può assumere un diverso rilievo penale in funzione
del contesto oggettivo e soggettivo in cui è concretamente inserita: può
configurare un atto osceno, quando esprime, anche psicologicamente, un
istinto sessuale; ma può semplicemente costituire un atto contrario alla
pubblica decenza, quando è mero esercizio della funzione fisiologica
dell'urinare; o addirittura sfugge a qualsiasi rilevanza penale se è
inserita in un contesto pedagogico o didattico (es. durante una lezione di
anatomia o di educazione sessuale) ovvero in particolari contesti
settoriali (per es. di tipo naturista o salutista).
Un
caso di macrocontesto, ovvero
di contesto generale, lo riscontriamo nella famosa sentenza sulla strage
di Bologna emessa il 16 maggio '94.
Nella stessa, accanto alle strutture tradizionali di decifrazione del
caso, vengono adoperati quelli che sono indicati come Elementi
di sussidio, tra cui particolarmente
interessanti per il nostro discorrere "i documenti della destra
eversiva", "i precedenti stragisti della destra", "le
voci che precedettero la strage", "le voci che seguirono la
strage", per poi giungere alle conclusioni sul contesto
politico-ideologico della strage: "L'esame condotto sul contesto
politico-ideologico della strage del 2 agosto ha visto l'emergere di due
risultanze...<Omissis> La prima è "che lo strumento stragista
costituiva un dato proprio della strategia di lotta eversiva e
terroristica della destra e che questa, fattualmente, alla strage più
volte aveva fatto ricorso." La seconda è che "prima e dopo la
strage del 2.8.80 più informazioni avevano segnalato la riferibilità del
fatto alla destra eversiva nella quale erano presenti preoccupanti
fermenti di rilancio, anche mediante attentati indiscriminati negli
obiettivi, tali da spargere un diffuso terrore e un bisogno di risposta
forte e autoritaria".
La
sentenza passa poi a forme di microcontesto esaminando: l'attitudine degli
imputati a commettere la strage; le personalità e i curricula; le voci
che dall'interno indicano gli imputati.
La
vastità e importanza date dalla sentenza
a questi elementi rende eufemistica la dizione di
"sussidiari" rivelando, invece, l'importanza chiave che essi
hanno avuto nella ricostruzione dell'intiera vicenda.
Il
contesto è stato ancora utilizzato per creare delle autentiche prove in
re di reato come accade nella fattispecie extra legem di
"concussione impropria o concussione ambientale".
E'
la concussione la cui prova viene trovata nel modo di essere e di operare
di una certa pubblica amministrazione per cui, chi abbia agito all'interno
di essa per ottenere della prestazioni,
dev'essere stato indotto naturaliter
a pagare una tangente per avere quanto gli spettava. Il tutto
sintetizzabile nella frase: "Il palazzo vuol essere corrotto".
Sono
intervenuti addirittura dei disegni di legge, poi non trasfusi nella legge
86/90, che intendevano
prevedere come forma autonoma di reato la concussione ambientale.
Orbene
da quanto esaminato il contesto è già stato usato in peius nei confronti degl'imputati per costruire delle autentiche
forme di configurazione criminosa extra
legem, arrivandosi addirittura a prevederne la configurazione come
ipotesi autonoma di reato e non si vede perché non si potrebbe applicare
il metodo in favor rei.
A
livello di microcontesto il favore
rei opera soprattutto nel senso di aumentare l'uso delle scriminanti
oggettive e soggettive.
La
sentenza di assoluzione degli extracomunitari venditori di cd
contraffatti(vedi sentenza allegata) è un tipico esempio di estensione
dello stato di necessità avendo gl'imputati agito sotto l'impellente
bisogno di sfamarsi.
Nel
campo dei reati merceologici la Suprema Corte ha più volte affermato che
la vendita di prodotti griffati e chiaramente contraffatti costituisce un
falso grossolano e, quindi, un non-reato. Infatti,
quando la grossolanità è rilevabile facilmente da chiunque, ne
deriva l'inidoneità dei marchi stessi a trarre in inganno una persona di
media esperienza e diligenza. Orbene la sentenza della Cassazione n.
2119/2000,
oltre a far rilevare l'insussistenza del reato nel caso di scarsità
qualitativa della cosa venduta o di prezzo eccessivamente basso rispetto
al prezzo comune di mercato, tali per cui l'acquirente di media esperienza
sia consapevole del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta
di cui reca il marchio, per avvalorare la tesi opera nell'ambito di un
macrocontesto, là dove afferma: "Né
si può ignorare sul piano dell'attuale costume che l'offerta da parte dei
venditori ambulanti di prodotti griffati
è ormai accolta dalla clientela con un diffuso e sottinteso scetticismo
circa l'autenticità dei marchi, con un'accettazione implicita della
provenienza aliena dei prodotti stessi, dato il loro prezzo e l'evidente
approssimazione dei segni a quelli effettivi che la clientela di comune
esperienza ben conosce nelle reali caratteristiche distintive".
Un
altro caso tipico è l'estensione dell'ignoranza scusabile della legge
penale, da che il principio dell'ignorantia
legis non excusat è stato intaccato dalla Corte Costituzionale. Se i
giudici stessi non conoscono tutte le 300.000 leggi d'Italia e su quelle
migliaia che usano e conoscono litigano sull'interpretazione, come si può
pretendere che le conosca il comune cittadino? Così sono capitate ipotesi
di assoluzione del cittadino galantuomo che non denunziava il passaggio di
possesso dell'arma dal nonno defunto
a sé medesimo, nulla sapendo di quell'obbligo formale, ritenendo
sufficiente la iniziale denunzia "di famiglia".
Ritornando
alla sentenza dei cd il dato più "rivoluzionario" per citare
l'espressione della giornalista è, comunque, il riferimento al massimo
macrocontesto predicabile: la valutazione del popolo di un certo
comportamento che il legislatore consideri penalmente perseguibile.
Allo
scopo di minimizzare il danno arrecato alla società, lo scrivente ha
fatto riferimento a elementi contingenti e d'immediata ricezione(il numero
irrisorio di cd venduti) ma soprattutto al fatto che la legge repressiva
dei cd contraffatti appare oggi antipopolare e antistorica.
Nel
periodo della New Economy dell'Anticopyright in cui tutti scaricano musica
e programmi gratuitamente da Internet, in questo mondo in cui la gente ha
accettato in toto il diffuso mercato secondario di oggetti di piacere che
nella quotazione del mercato ufficiale le masse non si possono permette di
acquistare, il reato de quo appariva depenalizzato in
re, riducendosi la legge a un guscio vuoto di fronte alle piazze
d'Italia invase tranquillamente da prodotti falsi griffati. Pertanto
assolvere i venditori di cd contraffatti appariva il verdetto più giusto
per consentire agli extracomunitari di sopravvivere in un Stato
inerte di fronte a questi flussi di immigrati senza lavoro, consentendo
per così dire l'illecito meno grave(di fatto depenalizzato) anche per
impedire loro di ricorrere a forme di reato ben più grave.
La
macrocontestualizzazione in questo caso ha portato a un effetto
devastante, ma non per questo meno giusto, anche perché, se si afferma
questo potere del giudice, egli finisce per riassumere nella maniera più
esaltante il suo ruolo di mediatore globale tra il popolo e il legislatore
che può anche sbagliare nel fare leggi, non essendo il mandato
rappresentativo popolare la panacea con cui coprire tutti gli errori
normativi.
Per
chi ritenga questa funzione pericolosa, c'è sempre il vaglio del popolo
ma anche del consesso dei giudici a verificare se l'effetto depenalizzante
sia valido o meno, essendo ciò rimesso alla normale libera dialettica
della procedura nei vari gradi ma anche, in tal caso, all'ausilio dei
massmedia con internet in testa, onde verificare de
facto il consenso popolare o meno all'iniziativa del singolo
magistrato.
Tutto
questo sembra legato indissolubilmente all'aumento di comunicazione, con
ciò incrementando la propensione dei giudici verso sentenze più
democratiche, nel senso soprattutto di un controllo diretto ad opera del
popolo-utente, in questo caso dei cd, reso evidente dai numerosi fori di
discussione di rete, per la più gran parte favorevole al provvedimento.
Internet
ci porta anche all'ipertesto, essendo esso il regno di funzionamento
di reticolati e di nodi comunicativi.
L'ipertesto è un documento a struttura articolata, le cui parti sono
consultabili in ordine non
sequenziale attraverso collegamenti diretti o link.
Orbene
l'ipertesto è solo ai primi sviluppi in giurisprudenza. Lo si usa per
consultare decisioni dei giudici utilizzando parole chiavi ma il suo uso
diventerà sempre più massiccio con l'informatizzazione globale del
sistema, potendosi fare collegamenti tra persone, oggetti, situazioni etc.
dislocate nei più diversi punti dello spazio-tempo, come ad es. una
pistola che usata nello spazio A si rilevi essere la stessa usata a
migliaia di chilometri di distanza nello spazio B.
L'ipertesto
potrà essere usato anche per esplorare contesti. Nel senso cioè di
permettere al giudice indagini scientifiche, sociologiche, antropologiche
etc. su ambienti, avvenimenti etc. completamente estranei alla sua cultura
e/o alla sua conoscenza. Ad es. se un giudice nulla sa del fenomeno di
cyberundergroung, al cui interno si è sviluppato un
certo fenomeno diffamatorio, attraverso internet potrà svolgere la
ricerca allo scopo di edificare quel contesto che gli è indispensabile
per ricostruire il caso, naturalmente unitamente ad altri materiali di
prima mano, assenti nelle forme tradizionali(contatto diretto coi testi,
relazioni di P. G. etc.).
Da
tutto il precedente discorrere è evidente che, nolente o volente, il
giudice non può fare a meno
del contesto. Ove egli ne respinga le connotazioni in effetti egli non fa
che accettarne comunque uno, stereotipo e tradizionale, presunto come
esistente, che potrebbe essere, invece, del tutto contrario al reale
background la cui sola ricostruzione permette una soluzione veritiera del
caso.
Noi
ci auguriamo che tutti i giudici diventino coscienti della necessità di
contestualizzare i loro verdetti, adeguandoli al mondo dinamico in cui
vivono. Li invitiamo a non limitarsi ad emettere in serie verdetti
canonici perché la mancanza di una verifica a monte, ovvero la carenza di
un'autocritica multanime del metodo, può portare
a decisioni che sembrano giuste nella loro reiterazione meccanica
ma che in effetti sono sbagliate.
Si
tratta di una piccola profonda rivoluzione in cui la sentenza perde la sua
connotazione asettica per diventare, in linea con l'espressione originaria
della giornalista, un autentico articolo
giudiziario-informativo.
Parafrasando
un detto di McLuhan "nelle sentenze il contesto è il
messaggio". Contesto da decifrare nel multilivello per dare un senso
autentico al messaggio di giustizia lanciato sul caso concreto.
ALLEGATO
Sentenza
emessa dal giudice Gennaro Francione - Tribunale di Roma contro 4
extracomunitari il 15 febbraio 2001.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Mohammed
Tizio, colto in possesso di cd sprovvisti di contrassegno SIAE e
abusivamente duplicati, è stato tratto a giudizio, chiamato a rispondere
dei reati di cui alla rubrica.
In
via preliminare il Giudice, dopo aver accertato che non risultano nelle
carte del P. M. atti tendenti a dimostrare che il prevenuto straniero
abbia altre forme di sostentamento oltre quella illecita rilevata,
invitava le parti a svolgere i loro rilievi, considerando che ricorresse
un caso di obbligo di immediata declaratoria di causa di non punibilità
ex art. 129 C.P.P. per aver l'imputato agito in stato di necessità
essendo mosso nella sua azione di venditore di cd contraffatti dalla
necessità di salvare se stesso dal pericolo attuale di un danno grave
alla salute e alla vita rappresentato dal bisogno alimentare non
altrimenti soddisfatto.
Essendosi
opposto il P. M. per la declaratoria de quo e avendo la difesa concordato,
il Giudice si ritirava in Camera di Consiglio per la decisione, rilevando
la sussistenza dell'esimente ex art. 54 c. p. sulla base delle seguenti
considerazioni.
In
via preliminare va notato che la vecchia giurisprudenza secondo cui
l'onere della prova incombeva all'imputato risulta superata dal nuovo 111
della Cost. e dal giusto processo instaurando per il quale, nella
paritaria posizione delle parti, è compito del giudice, in un rinnovato
spirito del favor rei, valutare anche d'ufficio già a monte qualunque
elemento possa escludere la responsabilità del prevenuto.
Nel
merito valga quanto segue.
La
consuetudine è una manifestazione della vita sociale che si concreta in
un'attività costante ed uniforme dello Stato-comunità (Tesauro). Ad essa
può essere attribuita funzione di mezzo d'interpretazione di principi e
norme (consuetudine interpretativa) ma anche di fatto idonea a
disapplicare la norma scritta (consuetudine abrogativa).
Il
nostro ordinamento considera contra legem la consuetudine abrogativa perché
contraria al dettato dell'art. 8 delle preleggi che comporta
l'applicabilità della consuetudine (usi) solo se richiamata da leggi e
regolamenti.
Nessuna
norma, invece, vieta la consuetudine interpretativa che anzi il magistrato
penale applica continuamente come nei processi indiziari ad esempio,
quando tenda a trarre conclusioni da comportamenti umani logici e regolari
individuati in un ambiente con un determinato background socioculturale.
Anche
la legge penale va interpreta alla luce del mondo concreto in cui si
sviluppa, con tensione dinamica e non statica ad evitare una discrasia tra
il dover essere normativo e quello reale. "La dottrina - come
leggiamo in Antolisei - è concorde nell'attribuire alla consuetudine la
più grande importanza nell'interpretazione della legge, specie nei
riguardi dei fatti che sono valutati in diverso modo nei vari ambienti
sociali" (F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale -
Giuffré Milano, 1969, p. 51-52, in cui si cita il Codex iuris canonici
<ca. 29>: Consuetudo est optima legum interpres). Secondo Antolisei
è addirittura da ammettersi la consuetudine integratrice o praeter legem
che sorga per integrare i precetti della legge qualora essa non si risolva
in danno dell'imputato (F. Antolisei, ibid.).
La
legge e la giustizia vanno applicate in nome del popolo ad esso spettando
la sovranità (art. 1 della Cost.) e il metro di questa sintonia è
proprio la rispondenza piena del popolo alle leggi penali emanate dal
Parlamento, il quale può andare "controcorrente" quando
contraddica lo spirito del comune sentire della popolazione che ad esso ha
dato mandato, incorrendo in tal maniera di fatto nella disapplicazione
della norma scritta.
Nel
caso di specie la norma repressiva di base, la protezione penalistica - e
non meramente civilistica del diritto d'autore - è desueta di fatto per
l'abitudine di molte persone di tutti i ceti sociali, che, in diuturnitas,
ricorrono all'acquisto di cd per strada o li scaricano da Internet. Anche
grossi network come Napster si sono mossi da tempo in senso anticopyright
e hanno permesso copie di massa dell'arte musicale. Fenomeno appena
sfiorato dalle recenti sentenze degli USA che si sono espresse nel senso
di regolamentare la materia della riproduzione di massa, ma con un
pagamento ridottissimo in un nuovo mercato dove il guadagno dei produttori
è quantificato su "minimi diffusissimi". In linea con questa
strategia si è espresso recentemente il Parlamento europeo con la
direttiva per "la protezione del diritto d'autore nella società
dell'informatica" avanzando al più l'ipotesi di un equo compenso per
gli autori per la diffusione globale della loro opera.
Il
fatto è che la strategia del regalo è uno dei punti centrali nel mondo
digitale, tanto che si parla di free economy, economia del gratis appunto,
o di gift economy, economia del regalo. "Nell'età dell'accesso si
passa da relazioni di proprietà a relazioni di accesso. Quello di
proprietà privata è un concetto troppo ingombrante per questa nuova fase
storica dominata dall'ipercapitalismo e dal commercio elettronico, nella
quale le attività economiche sono talmente rapide che il possesso diventa
una realtà ormai superata" (Vedi New economy in http://mediamente.rai.it/biblioteca).
Anche
la New Economy depone, dunque, nel senso dell'arte a diffusione gratuita o
a bassissimo prezzo, per rendere effettivo il principio costituzionale
dell'arte e la scienza libere (art. 33 della Cost.) e quindi usufruibili
da tutti, cosa non assicurata dalle attuali oligarchie produttive d'arte
che impongono prezzi alti, contrari a un'economia umanistica, con economia
anzi diseducativa per i giovani spesso privi del denaro necessario per
acquistare i loro prodotti preferiti e spinti, quindi, a ricorrere in rete
e fuori a forme diffuse di "pirateria" riequilibratrice.
L'azione
degli oligopoli produttivi appare quindi in contrasto con l'art. 41 della
Cost. secondo cui l'iniziativa economica privata libera "non può
svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana". Solo un'arte a
portata di tasca di tutti i cittadini e soprattutto dei giovani può
essere a livello produttivo umanitaria e sociale come richiesto dalla
Costituzione, per far sì che davvero tutti possano godere dei prodotti
artistici.
In
definitiva, se compito dello Stato ex art. 2 della Costituzione è
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono al
libero ed egualitario sviluppo della comunità, risulta la normativa
penalistica a favore del copyright tendenzialmente abrogata di fatto ad
opera dello stesso popolo per desuetudine, con azione naturale tendente a
calmierare le sproporzioni economiche del mercato capitalistico in
materia. Tale consuetudine non è quella abrogativa canonica ex lege ma di
fatto incide sull'interpretazione della norma penalistica, quanto meno nel
senso di far percepire al giudice quanto possa essere ridotta la forza
cogente di una norma espressa, imposta ma non accettata dalla maggioranza
del consesso sociale. Nel contempo permette di rilevare come ai fini
dell'enunciando stato di necessità il fatto del vendere cassette per
sopravvivere è più che proporzionato al pericolo connesso alla lesione
del copyright (art. 54 ult. parte co. 1).
L'azione
di depenalizzazione strisciante e non legalizzata del fenomeno trova
appiglio de iure condendo nei lavori della Commissione ministeriale per la
riforma del codice penale (istituita con D.M. 10 ottobre 1998) che nel
progetto preliminare di riforma del codice penale avanza il principio
della necessaria offensività del fatto, e soprattutto, quello della sua
irrilevanza penale.
La
Commissione ha preso innanzitutto atto del fatto "che il principio di
necessaria offensività costituisce ormai connotato pressoché costante
dei più recenti progetti riformatori. Esso ha trovato ingresso nello
schema di legge-delega Pagliaro, che in uno dei primi articoli, collocato
non a caso subito dopo la enunciazione del principio di legalità, invita
a "prevedere il principio che la norma sia interpretata in modo da
limitare la punibilità ai fatti offensivi del bene giuridico" (art.
4 comma 1). Ed è stato enunciato a tutto campo nel Progetto di revisione
della seconda parte della Costituzione, licenziato il 4 novembre 1997
dalla Commissione Bicamerale: "non è punibile chi ha commesso un
fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una
concreta offensività".
La
Commissione ritiene che, al di là delle opinioni specifiche di ciascuno
sulle modalità di inserimento di tale principio nel codice, le posizioni
sopra enunciate esprimano la esigenza insopprimibile di ancorare, anche
visivamente, la responsabilità penale alla offesa reale dell'interesse
protetto, nel quadro di un diritto penale specificamente finalizzato a
proteggere i (più rilevanti) beni giuridici".
Anche
sul campo della concreta offensività la New economy ha dimostrato come
addirittura la diffusione gratuita delle opere artistiche acceleri
paradossalmente la vendita anche degli altri prodotti smistati nei canali
ufficiali, e se ciò vale nello spazio virtuale di Internet deve valere
anche nello spazio materiale con vendita massiccia di prodotti-copia che
alimentano l'immagine e la vendita dello stesso prodotto smistato in via
"legale".
Naturalmente
in questa sede la depenalizzazione in re, per mancanza di una reale offesa
al copyright (tutelabile al più civilmente ma non penalmente), non può
essere ancora invocata e lo si potrà probabilmente con la riforma del
codice penale, ma il dato acquista rilievo di fatto ai fini di stabilire
la proporzione dell'azione svolta dai venditori di cd con l'offesa
arrecata ai diritti d'autore.
In
tema di stato di necessità, a fronte dei dubbi interpretativi suscitati
dall'espressione "danno grave alla persona", ancora la
Commissione succitata ci illumina avendo proposto di "chiarire quali
beni siano effettivamente "salvabili" (lo schema di legge-delega
Pagliaro sembra considerare rilevanti agli effetti della esimente tutti
gli interessi personali propri o altrui, siano essi oggetto di pericolo di
un danno grave o non grave, attengano alla integrità fisica o a quella
morale della persona, compensando tuttavia questo ampliamento con una
drastica delimitazione della scriminante sul terreno della
proporzione)".
Quanto
ai venditori di cd per strada è fatto notorio che trattasi di soggetti
privi di lavoro, in condizioni spesso di schiacciante subordinazione. Notoria
non egent probatione, i fatti notori non richiedono prova dal momento
che la nozione di fatto de quo rientra nella comune esperienza. Si
aggiunga che dalle carte processuali non emergono elementi per dedurre che
il prevenuto avesse altre forme di sussistenza e si può, quindi,
presumere che la vendita del prevenuto oggi incriminato sia fatta
esclusivamente per il proprio sostentamento vitale.
Nel
caso di specie è innegabile che il venditore di cd è un extracomunitario
che agisce spinto dal bisogno di alimentarsi. Una vecchia giurisprudenza
escludeva lo stato di necessità per chi agisca spinto da necessità
attinenti all'alimentazione "poiché la moderna organizzazione
sociale, venendo incontro con diversi mezzi ed istituti agli indigenti,
agli inabili al lavoro e ai bisognosi in genere, elimina per costoro il
pericolo di restare privi di quanto occorre per <omissis> il loro
sostentamento quotidiano" (Cass. Sez. III 24 maggio 1961, P. M. c. De
Leo, Giust. Pen. 1962, II 81, m. 68).
Trattasi
di giurisprudenza riferentesi a un contesto sociale diverso da quello
attuale dove l'entrata in massa di extracomunitari rende praticamente
impossibile predicare l'esistenza di organizzazioni atte ad accoglierli e
a nutrirli in massa. E quindi più che mai si pone il problema di
affrontare modi e forme del loro sostentamento, rendendosi necessario
ampliare il concetto di stato di bisogno quando vengano da essi commesse
infrazioni minime al consesso sociale, soprattutto in materie ai limiti
del danno puramente civile, ove questo stesso mai esista. Ciò è tanto più
vero ove si pensi che il fondamento della scriminante è stato colto
nell'istinto della conservazione, incoercibile nell'uomo (Maggiore,
Diritto Penale, Parte generale, 5a ed., Bologna 1951, p. 319).
Tale
inquadramento risponde anche a principi fondamentali garantiti dalla
Costituzione come i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 della Cost.), in
cui è da ricomprendersi il diritto a nutrirsi, e il diritto alla salute
(art. 32 della Cost.) compromesso naturalmente in chi, non riuscendo a
procurarsi un lavoro normale suo malgrado, non abbia i mezzi minimi per il
suo sostentamento alimentare. Le norme costituzionali testi citate rendono
anche edotti della gravità del danno (attuale e continuato) derivante
alla persona dalla mancanza assoluta di mezzi per sostentarsi, altro
requisito richiesto dalla giurisprudenza costante (Cass. sez. III, 4
dicembre 1981, n. 10772) per potersi configurare lo stato di necessità da
mettere in rapporto col danno in concreto arrecato.
In
conclusione, tenendo anche conto che ex art. 4 della Cost., è compito
dello Stato garantire il diritto al lavoro e promuovere le condizioni che
rendano effettivo questo diritto, non c'è fine di lucro illecito
"penalmente" in chi venda per strada cd a prezzo ridotto (in
linea con la New Economy) al fine di procurarsi da mangiare, con azione
accettata e condivisa dalla maggioranza del consesso sociale.
Quell'azione, formalmente contra legem, è scriminata da uno stato
di necessità (art. 54 c.p.) connesso alla sopravvivenza degli
extracomunitari entrati nel nostro paese senza alcuna regolamentazione
lavorativa, essendo la loro attività di venditori operanti per
sopravvivere assolutamente necessaria per sopravvivere e proporzionata al
pericolo di danno (minimo se non inesistente visto il numero modesto di
cassette contra legem trovate) arrecato ai produttori.
Necessitas
non habet legem, quindi. Difetta l'antigiuridicità del comportamento
incriminato per mancanza del danno sociale rilevante ai fini penalistici,
anche se non si può escludere un risarcimento civilistico alla SIAE ex
art. 2045 c.c. da coltivare e realizzare eventualmente in sede civile.
Si
ordinerà confisca e distruzione del materiale in sequestro.
P.Q.M.
visto
l'art. 129 C.P.P. assolve Mohammed Tizio dai reati ascrittigli perché i
fatti non costituiscono reato per aver agito in stato di necessità ex
art. 54 c.p..
Ordina
confisca e distruzione del materiale in sequestro.
Così
deciso in Roma il 15.2.2001
IL GIUDICE
GENNARO
FRANCIONE
Clicca
su http://www.akkuaria.com/curiosita/francione.htm
Clicca
su http://www.comune.bologna.it/iperbole/2agost80/s16-5i.htm
Cfr. 1995/1996 Università
degli Studi di Roma "La Sapienza" Laurea in Giurisprudenza
(105/110). Tesi di Laurea su "Concussione per induzione",
analizzando in particolare la problematica dei "vizi
storici" dello Statuto penale della Pubblica Amministrazione, le
leggi di riforma n. 86/90 e n. 181/92 e la fattispecie extra legem di
"concussione impropria o concussione ambientale" (cattedra
Prof. F. Coppi). Clicca si
http://www.diritto.it/articoli/penale/cv_amati.html
Sezione
Quinta Penale - Presidente N. Marvulli - Relatore L. Toth.