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VENDITA DI PRODOTTI CON MARCHI CONTRAFFATTI E DETENZIONE DI MUSICASSETTE PRIVE DI TIMBRO SIAE - FATTISPECIE - INSUSSISTENZA DELLA VIOLAZIONE PER MANCANZA DELL'ELEMENTO MATERIALE DEL REATO.

( Cassazione - Sezione Quinta Penale - Sent. n. 2119/2000 - Presidente N. Marvulli - Relatore L. Toth )

Con sentenza del 3.6.1996 il Pretore di Roma dichiarava D.P.colpevole dei reati di cui agli artt. 474 C.P. (vendita di prodotti con marchi contraffatti) e 1 Legge n. 406/1981, in relazione all'art. 2 Legge n. 121/1987 (detenzione di musicassette sprovviste di timbro della SIAE);fatti commessi in Roma, il 3.2.1992).

Il Pretore, ritenuta la continuazione tra i reati,condannava l'imputato alla pena di cinque mesi di esclusione e lire 700.000 di multa, oltre alla confisca dei prodotti sequestrati e alle pene accessorie.

A seguito di gravame del prevenuto la Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 21.9.1998, confermava la decisione di primo grado.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quale motivo la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione, in quanto si sarebbe in presenza di un'ipotesi tipica di falso "impossibile o innocuo" essendo percepibile da qualsiasi acquirente di comune esperienza che la merce venduta dal D. non poteva certamente essere stata prodotta e distribuita, dati i prezzi praticati, dalle prestigiose ditte di livello internazionale cui si riferivano i marchi contraffatti (Wuitton, Cartier, Timberland, ecc.).

Non sussisteva pertanto - secondo tale tesi - l'elemento materiale del reato di cui all'art. 474 C.P.

Il motivo del ricorso è fondato.

E' giurisprudenza costante di questa Corte che in tanto un marchio contraffatto può trarre in inganno un compratore, così da integrare, in caso di vendita della merce, il reato contestato in questa sede, in quanto provenienza prestigiosa del prodotto costituisca l'unico elemento qualificatore o comunque quello prevalente per determinare nell'acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il prodotto stesso.

Qualora viceversa altri elementi del prodotto, quali la evidente scarsità qualitativa del medesimo o il suo prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comune di mercato, siano rivelatori agli occhi di un acquirente di media esperienza del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta di cui reca il marchio, la contraffazione di quest'ultimo cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del del compratore, sì da integrare il delitto contestato.

Nel caso di specie dalla stessa motivazione della sentenza impugnata si evince che la grossolanità della contraffazione era evidente per la diversità del colore dei marchi, i loro contorni, la loro collocazione sul prodotto, le cuciture, la grafica stessa, il materiale usato (cartone anziché pelle).

Anche sul piano logico la motivazione presenta evidente contraddizione laddove, dopo aver elencato tali significativi elementi di difformità rispetto ai marchi originali, conclude per la non rilevabilità di tali grossolanità da parte di persona particolarmente esperta". Viceversa di fronte ad elementi di grossolanità dei marchi di tale consistenza il giudice di merito avrebbe dovuto concludere per inidoneità dei marchi stessi a trarre in inganno una persona di media esperienza e diligenza.

Ne' si può ignorare sul piano dell'attuale costume che l'offerta da parte dei venditori ambulanti di prodotti "griffati" è ormai accolta dalla clientela con un diffuso e sottinteso scetticismo circa l'autenticità dei marchi, con un'accettazione implicita della provenienza aliena dei prodotti stessi, dato il loro prezzo e l'evidente approssimazione dei segni a quelli effettivi che la clientela di comune esperienza ben conosce nelle reali caratteristiche distintive.

Da quanto premesso discende l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto contestato al ricorrente non sussiste nella sua materialità.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte annulla l'impugnata sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.

 

 

 
 

 

09/04/2004  17:44:40 - La Griffe Contraffatta E I Circuiti Scadenti

                                             

Il Tribunale di Genova sancisce la liceita' della griffe contraffatta nel caso in cui la merce in oggetto sia commercializzata in circuiti scadenti e a prezzi considerevolmente piu' bassi del corrispettivo di marca

Genova - Consumatore avvisato mezzo salvato: una sentenza del Tribunale di Genova emessa dal giudice Elisabetta Vidali sancisce la liceita' della griffe contraffatta nel caso in cui la merce in oggetto sia commercializzata in circuiti scadenti e a prezzi considerevolmente piu' bassi del corrispettivo di marca. La sentenza si riferisce alla causa tra la Louis Vuitton Malletier e un imprenditore cinese, Guo Aihong, a proposito del sequestro di un container di ottomila pezzi imitati. Per intenderci, secondo il giudice, se la borsetta falsificata viene venduta da un ambulante a un prezzo ridicolo non si puo' parlare di truffa, poiche' il costo e il contesto sono palesemente rivelatori dell'origine dell'oggetto. Nessuno, nemmeno il consumatore piu' sprovveduto, potrebbe credere di aver comprato un articolo originale della prestigiosa griffe su un marciapiede e al prezzo di pochi euro. Diverso e' il caso in cui l'imitazione sia messa in vendita in un esercizio commerciale e allo stesso prezzo dell'originale. La decisione di Vidali e' innovativa e rappresenta un orientamento significativo in tema di contraffazione. [Il Marchio delle Idee]

http://www.studiocelentano.it/newsflash_dett.asp?id=6806

 

 
http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200508301346211178/200508301346211178.html
CONTRAFFAZIONI? NON C'E' FRODE SE CHI COMPRA SA CHE E' FALSO
BOLZANO - "L'acquirente è perfettamente a conoscenza che sta acquistando una imitazione" se ad una bancarella compra a prezzi bassissimi prodotti che possono richiamare marchi prestigiosi e solitamente carissimi.
E dunque produrre o vendere prodotti "usando forme e immagini che richiamano apparentemente griffe famose, ma tali (per qualità, particolari, prezzo, modalità di vendita) da non poter ingannare nessuno sulla loro natura, non può integrare né il reato di contraffazione del marchio del produttore né il reato di frode in commercio". E' questa la motivazione con cui il Tribunale del riesame di Bolzano, presieduto dal giudice Edoardo Mori, riferisce il quotidiano Alto Adige, ha dissequestrato centinaia di oggetti in pelle trovati nel magazzino di un grossista bolzanino che li aveva acquistati a sua volta da altri importatori e provenienti in particolare dalla Cina. Il sequestro era arrivato dopo controlli ad alcuni mercati rionali dove commercianti avevano messo in vendita la pelletteria avuta dal grossista.

Il grossista, ed il procedimento penale nei suoi confronti va avanti, è accusato del reato previsto dall'art. 474 del codice penale e cioé "introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi". In sostanza, chi mette in vendita oggetti evidentemente falsi ingannerebbe la pubblica fede. Ma questo non sempre avviene se chi compra "é perfettamente a conoscenza che sta acquistando una imitazione".
 
SENTENZA

 

 

IMPUTATO

 

 

Mohammed Tizio

 

libero contumace  

 

IMPUTAZIONE

reato di cui agli all’art. 474 c.p., per avere detenuto al fine di vendita n. 19 borse e n. 1 portafogli marcati “LOUIS VUITTON” , n. 4 borse marcate “FENDI” , n. 2 borse marcate “PRADA” e n. 2 borse marcate “GUCCI” tutte con il marchio contraffatto; accertato in ROMA, 9.2.2002

 

 

CONCLUSIONI

per il Pubblico Ministero: condannarsi l’imputato, con attenuanti generiche, a mesi X di reclusione ed euro ,00 di multa  / assoluzione perché il fatto non sussiste 

per la Difesa:     assoluzione perché il fatto non sussiste  ; in subordine, minimo della pena, generiche, benefici se concedibili

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

            A seguito della rituale notificazione del decreto di citazione diretta a giudizio validamente  emesso dal PM in data 12.11.2003 ( con il relativo effetto interruttivo del corso della prescrizione), il dibattimento si incardinava e si svolgeva dinanzi al giudicante con l’esame di uno dei testi di P.G. indotti dal P.M.,  con l’esame di alcuni dei consulenti tecnici del P.M. ( gli esperti delle imprese interessate dalle contraffazioni ) e con la dichiarazione di utilizzabilità degli atti e dei documenti acquisibili trasmessi con il fascicolo per il dibattimento o sulla cui acquisizione e lettura le Parti concordavano ( verbale di sequestro ). Il giudizio veniva quindi definito , in contumacia dell’imputato , all’udienza del giorno 17.1.2005, sulle conclusioni sopra riportate in intestazione.

 

L’imputato va assolto, con la formula indicata in dispositivo .

 

Con gli atti utilizzabili  , vale a dire con il verbale di sequestro e con la deposizione di  Caio, uno degli operanti di P.G. dal cui accertamento ha preso le mosse il presente procedimento -- si è in dibattimento  unicamente potuto apprendere  : 1) che il giorno 9.2.2002, in ROMA via Tuscolana , la persona oggi imputata – poi identificata  con permesso di soggiorno – veniva colta per strada da una pattuglia di P.G.  nell’atto di vendere i capi indicati in imputazione, che esponeva in vendita ai passanti su di un lenzuolo a terra in luogo pubblico , tenendone altri in un borsone; 2 ) che i le borse ed i portafogli in questione erano palesemente frutto di produzione imitativa dei famosi marchi originali internazionali indicati in imputazione, potendo apparire visibilmente anche ad occhio non esperto contraffazione degli stessi.

Il teste non è stato  in grado di asseverare quale sia stato il prezzo dei capi messi in vendita , e come gli stessi fossero confezionati all’atto del sequestro.

Sempronio( per PRADA ) e Mavio ( per FENDI e LOUIS VUITTON ) , consulenti per i marchi indicati , hanno poi in aula confermato che i “pezzi” in sequestro, tutti privi del numero progressivo di serie che contraddistingue le produzioni “originali” nonché di certificazioni di autenticità e garanzia , tutti di scarsa qualità manifatturiera , sono certamente qualificabili -- per i materiali utilizzati, per le cuciture, per gli zip, per i tiranti , per l’assenza di packaging ( vale a dire del loro confezionamento standard per la casa di produzione) – come dei tentativi di riproduzione di prodotti originali , con marchi riportati quasi fedelmente. 

Un quadro , in cui il giudizio si presenta definibile solo con la formula indicata in dispositivo.

 Ritiene infatti il Tribunale che l’azione posta in essere dall’imputato integri un caso paradigmatico di reato impossibile per il fatto di essere , ai sensi dell’art. 49 2° comma c.p., assolutamente “inidonea” a determinare l’”evento pericoloso” punito dall’art. 474 c.p. come reato appunto “di pericolo”, vale a dire la possibile lesione della pubblica fede nella autenticità dei marchi industriali ( “intesa come affidamento dei consumatori nei marchi quali segni distintivi della particolare qualità e originalità del prodotto” secondo la definizione di CASS., II Sez.11.10-14.12.2000 n. 13031 ) e la contestuale possibile lesione degli interessi patrimoniali delle imprese titolari dei diritti di esclusiva sullo sfruttamento economico dei marchi medesimi .

 

Lo scarso pregio della manifattura dei capi sequestrati e la grossolanità della alterazione del marchio ( per riproduzione solo parziale / approssimativa del marchio stesso  nella sua configurazione emblematica e denominativa, per materiali usati, per tipo di cuciture e giunture , per posizione del marchio sul prodotto, ecc. ) – alterazione certo visibile ictu oculi all’occhio esperto, ma altresì sicuramente a quello del  consumatore un minimo avvertito e di media diligenza ed esperienza -- , l’assenza sui capi di codici identificativi o numeri di serie, l’assenza di ogni imballaggio o anche solo confezionamento “marcato”, la circostanza per cui gli stessi venivano offerti in vendita senza certificati di autenticità e senza garanzia , il basso prezzo di vendita , e ancora , e soprattutto, il contesto oggettivo e soggettivo dell’offerta al pubblico (offerta avvenuta su strada , da parte di soggetto straniero chiaramente non autorizzato e senza licenza, con prezzi non esposti ma soggetti a libera contrattazione , in situazione che non prevede il rilascio di scontrini fiscali) sono infatti tutti dati che non solo fanno escludere sul piano soggettivo la configurabilità della frode in commercio ma che altresì connotano l’azione posta in essere ed accertata dagli operanti come assolutamente “inidonea” in sé , sul piano oggettivo, nel senso di cui all’art. 49 2° c. c.p., a determinare l’”evento” “pericoloso” della fattispecie in esame,  a ledere il pubblico affidamento nei marchi e gli interessi economici dei titolari dei medesimi.

E infatti : da un lato costituisce dato assolutamente notorio anche al consumatore meno avveduto , e certamente a quello di media diligenza ed esperienza, che i capi originali dei marchi indicati in imputazione possono essere venduti solo in negozi a ciò autorizzati , che i capi stessi hanno un prezzo anche di dieci-venti volte superiore a quello richiesto su strada per capi come quelli in sequestro, che il prezzo degli originali non è contrattabile ed è fissato dalla casa di produzione e che del loro acquisto rimane traccia fiscale , che il “pezzo” originale è provvisto di codice identificativo , e viene venduto con imballaggio o almeno confezionamento anch’esso “marcato” e soprattutto con certificato di autenticità e quasi sempre con garanzia per vizi . E d’altro canto costituisce invece dato normativo il fatto che sia punita all’art. 474 c.p. non il mero “possesso” di capi dal marchio contraffatto bensì unicamente la loro “detenzione per la vendita”: con l’effetto che sul piano dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 474 cp l’ ”idoneità” della condotta – nel senso di cui all’art. 49 2° comma c.p. – ad integrare il pericolo-evento del reato va valutata con riferimento non alla sola qualità della contraffazione od alterazione ed alla sua più o meno incisiva idoneità ad ingannare, ma alla qualità della contraffazione/alterazione posta in relazione alle modalità della condotta con la quale si detiene per vendere o si “pone in vendita o si tenta di vendere il capo contraffatto: “inidoneo” a determinare l’evento pericoloso punito dall’art. 474 c.p. in altri termini non è in casi come quello in esame il “capo” in quanto tale, “inidonea” finisce invece con l’essere la complessiva condotta data dalla detenzione del capo a marchio alterato o contraffatto e dalla sua messa in vendita in un dato contesto e con date modalità, quali quelle “di strada” nel caso accertate , condotta certamente idonea a commerciare non tanto una plausibile contraffazione del capo originale ma una produzione di un altro tipo di capo , palese imitazione del corrispondente modello “griffato” , ad un pubblico in partenza diverso da quello economicamente in grado di comprare il capo originale ( circostanza quest’ultima che rende in concreto appunto  impossibile un effettivo e reale pericolo di lesione degli interessi economici della proprietà industriale, la vendita di imitazioni potendo in ultima analisi perfino essere una sorta di indiretta pubblicità del marchio, una pubblica sottolineatura del suo pregio , della sua idoneità a costituire status symbol,  della sua idoneità , per qualità, a essere oggetto di riproduzioni).

Che le modalità di vendita facciano necessariamente un tutt’uno con l’oggettività della contraffazione nel costituire complessivamente “l’azione” da valutarsi ai sensi dell’art. 49 2° c. cp come “idonea” o meno a determinare “l’evento pericoloso” punito dall’art. 474 c.p. come reato è poi ancora più evidente ove si pensi all’ipotesi degli stessi capi oggi in sequestro invece esposti al pubblico non  sul marciapiede ma nella vetrina di un elegante negozio autorizzato, imballati e confezionati con packaging originale , provvisti di codice identificativo falso e di certificato di autenticità e di garanzia altrettanto falso : situazione riferibile agli stessi capi ma evidentemente invece ben altrimenti idonea a ledere i beni giuridici protetti dalla fattispecie in esame  oltre che a costituire base di frode in commercio ( sostanzialmente in tal senso : CASS., Sez. V, 17.6.1999-23.2.2000 n. 2119 laddove afferma: “Un marchio contraffatto può trarre in inganno  un compratore, così da integrare, in caso di vendita della merce, il reato ex art. 474 c.p., solo se la provenienza prestigiosa del prodotto costituisce l’unico elemento qualificatore o comunque quello prevalente per determinare nell’acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il prodotto stesso. Qualora viceversa altri elementi del prodotto, quali la evidente scarsità qualitativa del medesimo o il suo prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comune di mercato  siano rivelatori agli occhi di un acquirente di media esperienza del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta  di cui reca il marchio, la contraffazione di quest’ultimo cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del compratore”).

Né può affermarsi , a sommesso avviso del giudicante, con CASS. II SEZ. 2.10-8.11.2001 n. 39863 , che non possa darsi rilievo, per ritenere come sopra il “reato impossibile”, alle modalità di vendita rivelatrici della contraffazione, “in quanto l’attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti  nella loro successiva utilizzazione “, dal momento che in tal modo si finisce con il dare decisivo rilievo ad un post factum del tutto estraneo alla condotta dell’agente (quale l’utilizzazione che degli oggetti fa l’acquirente nel tale o nel tal’altro contesto), e dal momento che l’anticipazione della rilevanza penale della condotta al momento della mera detenzione per la  vendita rende evidente come punto focale della fattispecie sia non il momento della successiva utilizzazione concreta che si fa del bene acquistato ma quello della sua offerta al pubblico e della sua commercializzazione: la lesione dell’affidamento dei consumatori nei marchi e degli interessi economici dei loro titolari essendo nelle ipotesi considerate dalla fattispecie e in caso di vendita di beni a marchio contraffatto con determinate modalità perfetta ed irrimediabilmente consumata  all’atto della messa in vendita , restando irrilevante ciò che accade dopo , la sussistenza di una effettiva vendita o addirittura l’utilizzo concreto – idoneo o meno a generare confusione – che del capo acquistato fa l’acquirente, soggetto oltretutto diverso dall’agente .

 

            Storicamente controverso in giurisprudenza è poi se, in presenza di una condotta quale quella accertata a carico dell’imputato, possano rilevarsi gli estremi del reato di ricettazione, e se i due reati possano concorrere.

            Al riguardo, deve innanzitutto rilevarsi come per far sì che la questione giuridica del concorso tra le due fattispecie sia anche solo configurabile sia necessario che in punto di fatto si possa escludere con certezza la partecipazione dell’agente-detentore-a-fine-di-vendita all’illecita contraffazione: l’ estraneità al delitto presupposto essendo parte essenziale dell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’ art. 648 c.p. : probatio diabolica, prova in tutta evidenza assente e non raggiungibile nel quadro probatorio in esame, con l’effetto che è nel caso inutile disporre la trasmissione degli atti al P.M. per procedere in ordine a tale reato.

Ove tale estraneità al delitto-presupposto possa ritenersi un fatto certo e provato, ritiene comunque sul punto il giudicante – sulla scorta della più condivisibile giurisprudenza di legittimità: cfr. CASS. Sez. V sent. 18.11.1999/14.1.2000 n. 5525 – che tra la fattispecie ex art. 474 c.p. e quella ex art. 648 c.p., se non sempre quantomeno  nel caso  in cui la ricezione da terzi dei capi contraffatti sia avvenuta nella piena consapevolezza della loro provenienza dal reato ex art. 473 c.p. e sia stata seguita dalla loro  messa in circolazione a scopo commerciale , intercorra certamente rapporto di specialità, il reato ex art. 474 c.p. essendo da un lato fattispecie plurioffensiva a tutela anche del patrimonio, le condotte di ricezione ed acquisto dei prodotti  a marchio alterato o contraffatto  costituendo dall’altro “antefatto imprescindibile e necessario della detenzione per la vendita , condotta quest’ultima che il legislatore ha ritenuto sufficiente incriminare per assicurare la tutela penalistica dei consumatori e ad un tempo dei titolari dei diritti patrimoniali nascenti dai marchi , lasciando l’ ‘acquistare’ ed il ‘ricevere’ quali antefatti non punibili “ ( cfr. la cit. sentenza): e ciò, dovendosi sul punto altresì considerare: a)  come la fattispecie ex art. 474 c.p. descriva delitto indiscutibilmente doloso , e come essendo delitto doloso – del cui elemento oggettivo fa espressamente parte l’estraneità alla illecita contraffazione punita ex art. 473 c.p. – lo stesso sia quindi delitto che necessariamente presuppone la piena consapevolezza nell’agente della provenienza da illecita contraffazione dei capi detenuti per la vendita , con l’ effetto che le condotte punite dall’art. 474 c.p.  – che non possono evidentemente non essere materialmente precedute da un “acquistare o comunque ricevere” – siano da ritenersi condotte che ove non esistesse l’ art. 474 c.p. in esame certamente ricadrebbero e sarebbero sussumibili sub art. 648 c.p. (a riprova del fatto che la fattispecie in esame e quella di ricettazione si trovano ad essere sul piano logico in rapporto di norma speciale/norma generale e che ex art. 15 c.p. vada esclusa l’ applicabilità della fattispecie generale di cui all’ art. 648 c.p. ); b ) come la fattispecie ex art. 474 c.p. descriva delitto che può essere integrato da una pluralità di condotte analiticamente indicate, ma mai dal mero “acquistare o comunque ricevere” pur nel dolo della ricettazione, ed evidenzi  quindi l’intenzione del legislatore di non punire il mero anche doloso acquisto di capi a marchio contraffatto non seguito da messa in commercio e di istituire un sistema sanzionatorio in cui , con innegabile razionalità interna, da un lato si punisce come reato non l’acquisto come tale di capi a marchio contraffatto ( proprio del consumatore, e che resta penalmente irrilevante) bensì l’acquisto concretamente seguito da un uso commerciale (che si vuole appunto reprimere) , ed in cui dall’altro si applica alle condotte in esame di cui all’art. 474 c.p., in consonanza al certo minimo allarme sociale che esse ingenerano ,  sanzioni meno gravi di quelle molto pesanti previste per la ricettazione di beni provenienti da delitti diversi da quello di cui all’art. 473 c.p. : complessiva intenzione del legislatore, questa, del resto in tal modo più o meno consapevolmente da sempre ricostruita anche dalla P.G. e dagli Uffici di Procura, che non provvedono ad incriminare per ricettazione il privato acquirente di un singolo capo, e che rende non utilizzabile , al fine di escludere l’individuato rapporto di specialità, l’argomento  -- v. CASS. SS.UU. 7.6.2001 n. 23427 -- che fa leva sulla ritenuta irragionevole minor sanzione dell’“assorbente” art. 474 c.p. , reato asseritamene connotato da maggiore disvalore, rispetto a quella dell’”assorbito” 648 c.p.

 

P.Q.M., IL TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA, visti gli artt. 530  e ss c.p.p. ,

 

1 ) assolve l’imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto non sussiste ;

2 ) dispone la confisca e la distruzione di quanto in giudiziale sequestro, a cura della P.G. operante.

 

                                                                      IL GIUDICE

                                                                        ( Valerio SAVIO )

 

Stessa decisione il giudice Laura Fortini di Roma la quale sottolinea l'impossibilità di lesione della proprietà industriale  proprio perché i prodotti originari e quelle copiati sono sicuramente riconoscibili, anzi usufruendo la casa madre di una pubblicità gratuita con lo smistamento dei secondi. Quindi non solo danno, poiché giammai i compratori per strada acquisterebbero prodotti, originari, ma addirittura vantaggio.

Sentenza nr. 585/2000 emessa in data 23.5 u.s. dal Tribunale di Benevento e relativa alle ipotesi delittuose di commercio di prodotti con marchi contraffatti e ricettazione.

La sentenza si rivela particolarmente interessante, collocandosi nel solco tracciato dalla nota pronunzia della V sezione penale della Suprema Corte del 17.6.1999-23.2.2000.

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N° 585/2000 Sent.

N° 22/2000 R.G. Tribunale

N° 4601/1999 N.R.

 

TRIBUNALE DI BENEVENTO

RITO MONOCRATICO

-------------

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

L'anno 2000, il giorno 23 del mese di maggio

il Giudice dr. Rosario BAGLIONI

con l'intervento del P.M. in persona del dott. Marcella Pizzillo ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

(artt. 544 e segg. 549 c.p.p.)

nella causa penale

CONTRO

................. ................. nato in Senegal il 20.6.1968. Domicilio eletto in Napoli al Corso Novara n. 3.

Libero-contumace.

IMPUTATO

In ordine al reato p. e p.

A)     dall'art. 474 c.p. perché, quale esercente commercio ambulante, deteneva per vendere ovvero poneva in vendita n. 129 cappellini con segni distintivi vari tra cui FILA e NIKE contraffatti;

B)     dall'art. 648 c.p. perché, al fine di trarne profitto per sé o per altri, acquistava o comunque riceveva conoscendone la illecita provenienza  il materiale di cui sopra, abusivamente contraffatto da altri.

Accertato in Benevento il 2.7.1999.

CONCLUSIONI

Il P.M. chiede la condanna ad anni due e mesi uno di reclusione e lire 1.500.000 di multa.

L'Avv. Luigi A.M. Ferrone chiede l'assoluzione perché il fatto non sussiste e, in subordine, per il capo B), derubricazione nelle ipotesi di cui all'art. 712 c.p. ovvero 648, co. 2, c.p. Minimo della pena con benefici.

MOTIVAZIONE

................. ................. è stato tratto a giudizio per rispondere di entrambi i reati contestati in rubrica.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale, in contumacia dell'imputato, escussi i testi di lista, P.M. e difesa hanno concluso nei termini in epigrafe trascritti.

L'imputato va dichiarato responsabile del reato di ricettazione, sia pure nella forma più lieve prevista dall'art. 640, co. 2, c.p., mentre va mandato assolto dal reato di cui al capo A) della rubrica perché il fatto non sussiste.

Ed invero, le deposizioni rese dai testi ................. e ................., entrambi appartenenti al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Benevento, nonché il verbale di sequestro in atti, hanno dimostrato inequivocabilmente che il prevenuto, compiutamente identificato, è stato sorpreso mentre deteneva per la vendita 129 cappellini con marchi contraffatti Nike e Fila.

I testi hanno, infatti, precisato che i cappellini erano indubbiamente esposti al pubblico per la vendita ("erano adagiati su un panno") e che la falsità era rilevabile immediatamente ("era rilevante ed evidente a prima vista"), anche per la qualità scadente del materiale utilizzato per la contraffazione, al punto tale da consentire ad una persona di normale esperienza di accorgersi dell'inganno.

Queste, in breve, le risultanze dell'istruttoria dibattimentale.

Alla luce di quanto sopra esposto, sussistono validi elementi per ritenere provato unicamente il reato di ricettazione, oggetto del capo B) della rubrica, sia pure nella forma attenuata prevista dal capoverso della citata norma, con la conseguenza che deve ritenersi superata ogni eventuale altra questione relativa alla possibilità del concorso tra le due fattispecie criminose contestate.

Ed invero, la condotta di ricezione o di acquisto di prodotti con marchi contraffatti (contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa che ha invocato un recente orientamento della Cassazione che, in contrasto con l'indirizzo prevalente, ha ritenuto le opere abusive o con marchi contraffatti, in quanto risultato di lavorazioni o manipolazioni di cose materiali, prodotto e non provento di reato, onde nell'ipotesi di detenzione per la vendita di opere abusivamente duplicate non sussisterebbe il delitto di ricettazione, con riguardo al momento della ricezione o dell'acquisto di tali opere, per la mancanza nel caso in esame del reato presupposto) integra il reato di ricettazione in quanto il materiale per cui è causa deve ritenersi provento del reato compiuto dal produttore e l'imputato, nel momento in cui lo ha ricevuto, non poteva non accorgersi e, comunque, non poteva non essere a conoscenza della provenienza illecita dello stesso.

La ricettazione appare, comunque, di speciale tenuità, sia per il valore della merce, in verità esiguo, che per le qualità soggettive del reo, che è del tutto incensurato.

In applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., si stima pena adeguata alla concreta gravità del fatto quella di mesi quattro di reclusione e lire 200.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali (pena base, mesi sei di reclusione e lire 300.000 di multa, ridotta per la concessione delle attenuanti generiche a quella sopra indicata).

La mancanza di precedenti penali induce ad applicare il beneficio della sospensione condizionale.

A diverse conclusioni è, invece, possibile pervenire in ordine al reato di cui all'art. 474 c.p.

Nel caso di specie, avendo i testi chiaramente evidenziato la grossolanità delle falsificazioni, in considerazione della scarsa qualità del prodotto e del prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comunemente praticato nel mercato, l'azione posta in essere deve ritenersi inidonea e, quindi, tale da non trarre in inganno: in sostanza la punibilità del reato deve ritenersi esclusa quando manca la possibilità dell'inganno ossia quando il falso è così grossolano da essere percepito da chiunque e non soltanto da una persona di particolare preparazione e competenza.

Nel caso che ci occupa, alla luce delle caratteristiche della merce, già ampiamente sopra descritte, ci si trova in presenza di un'ipotesi tipica di falso innocuo ed impossibile, essendo lo stesso percepibile da qualsiasi acquirente di comune esperienza, con la conseguenza che la contraffazione cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del compratore.

Discende che l'imputato va mandato assolto dal reato di cui all'art. 474 c.p. perché il fatto non sussiste.

La merce in sequestro va comunque confiscata e distrutta, non essendone possibile la commercializzazione.

P.Q.M.

 

IL GIUDICE

Letto l'art. 530 c.p.p. assolve l'imputato dal reato di cui al capo A) della rubrica perché il fatto non sussiste.

Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara ................. ................. colpevole del reato di cui all'art. 648, co. 2, c.p. (così qualificata l'imputazione di cui al capo B) della rubrica) e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione e lire 200.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa.

Ordina la confisca e la distruzione del corpo di reato in sequestro.

Motivazione in giorni quaranta.

Benevento 23 maggio 2000

IL GIUDICE

Dott. Rosario Baglioni

 

Depositato in cancelleria il 26.6.2000

Il collaboratore di cancelleria

http://www.diritto.it/sentenze/magistratord/sent585_2000.html

 

 

    MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Mohammed Tizio è  stato tratto a giudizio, chiamato a rispondere del reato  di cui alla rubrica.

All'odierno dibattimento, su richiesta di assoluzione delle parti,  ritiene il Tribunale di dover adottare la seguente decisione.

Si tratta di prodotti con marchio ***  chiaramente contraffatti come si rileva dalle consulenze acquisite.

Orbene il prevenuto va mandato assolto in quanto si è in presenza di un'ipotesi tipica di falso "impossibile o innocuo" essendo percepibile da qualsiasi acquirente di comune esperienza che la merce venduta  non poteva certamente essere stata prodotta e distribuita, dati i prezzi bassi presumibilmente praticati, dalle prestigiose ditte di livello internazionale cui si riferivano i marchi contraffatti.

Non sussiste, pertanto,   l'elemento materiale del reato di cui all'art. 474 C.P. secondo una recente sentenza della Cassazione (Sezione Quinta Penale - Sent. n. 2119/2000 - Presidente N. Marvulli - Relatore L. Toth )la quale richiama la giurisprudenza costante della Corte secondo cui  in tanto un marchio contraffatto può trarre in inganno un compratore, così da integrare, in caso di vendita della merce, il reato contestato in questa sede, in quanto la provenienza prestigiosa del prodotto costituisca l'unico elemento qualificatore o comunque quello prevalente per determinare nell'acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il prodotto stesso.

Qualora viceversa altri elementi del prodotto, quali la evidente scarsità qualitativa del medesimo o il suo prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comune di mercato, siano rivelatori agli occhi di un acquirente di media esperienza del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta di cui reca il marchio, la contraffazione di quest'ultimo cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del compratore, sì da integrare il delitto contestato.

Nel caso di specie è evidente la grossolanità della contraffazione rilevabile in re ipsa. Tale grossolanità era rilevabile facilmente vista la natura del venditore e il presumibile modo di vendita per strada, donde l'inidoneità dei marchi stessi a trarre in inganno una persona di media esperienza e diligenza. "Né si può ignorare sul piano dell'attuale costume che l'offerta da parte dei venditori ambulanti di prodotti "griffati" è ormai accolta dalla clientela con un diffuso e sottinteso scetticismo circa l'autenticità dei marchi, con un'accettazione implicita della provenienza aliena dei prodotti stessi, dato il loro prezzo e l'evidente approssimazione dei segni a quelli effettivi che la clientela di comune esperienza ben conosce nelle reali caratteristiche distintive"(così cit. sentenza).

Di conseguenza solo in ipotesi di truffa o frode in commercio attuata col  garantire la genuinità dei prodotti,  riuscita e contestata, si potrebbe configurare il reato de quo, come non è nel caso di specie.

Più in generale la decisione va ancorata alla teoria dell'anablabe (dal greco ana + blabe= senza danno) ovvero dell'ancoraggio della punizione di un reato a un concreto danno arrecato, secondo insegnamenti della giurisprudenza soprattutto in  ipotesi di falso.

Ad abundantiam va specificato che le case i cui prodotti sono stati contraffatti non sono soggetti passivi del reato che concerne unicamente la fede pubblica  e, quindi, tutela le persone che  quei prodotti acquistano, pur potendo far valere parallelamente quelle case interessi civilistici per il danno subito nella contraffazione

Ergo il prevenuto va mandato assolto dal reato sopradetto  con la formula il fatto non costituisce reato con confisca di quanto in sequestro.

P.Q.M.

 

visto l'art. 469, 530  c.p.p.

assolve Mohammed Tizio dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.

Confisca del materiale in sequestro e distruzione dello stesso.

 

IL GIUDICE

                                  GENNERO FRANCIONE

 

 

 

Vu cumprà, il lavoro «nero» di Milano

In difesa dei "vu' cumprà" scendono in piazza "Antiarte 2000: la rivoluzione dell'estetica nel cyberspazio" (www.antiarte.it/antiarte) e "Eugius: Unione Europea Giudici Scrittori" (www.antiarte.it/eugius), che formano il "Pro Vu' cumprà", i quali dichiarano: «In una visione di massimo cosmopolitismo, non possiamo che essere favorevoli all'integrazione degli stranieri e alla creazione di attività parallele ai grandi mercati per sfamare questa gente che volenti o nolenti ci dobbiamo tenere».

http://www.diversamenteabili.info/Engine/RAServePG.php/P/62361DIA0300/M/87611DIA0110

 

http://www.net1news.org/acquistare-orologi-taroccati-non-%C3%A8-reato-penale.html


Inviato da Angelo Greco il 26-06-2012 21:19
SOCIAL:
Acquistare orologi taroccati non è reato penale
A causa di un mancato adempimento della legge italiana rispetto a quanto sancito dalla Comunità Europea, in Italia costituisce reato civile e non penale l'acquisto di orologi contraffatti.

Inviato da Angelo Greco il 26-06-2012 21:19
SOCIAL:
Acquistare orologi taroccati non è reato penale
A causa di un mancato adempimento della legge italiana rispetto a quanto sancito dalla Comunità Europea, in Italia costituisce reato civile e non penale l'acquisto di orologi contraffatti.
Acquistare orologi taroccati non è reato penale
SOCIAL:

Nonostante la direttiva europea n. 2004/48/CE punisca penalmente colui che acquista un prodotto che sia la contraffazione di un altro, tale sanzione non si applica in Italia. Il nostro Paese, infatti, non ha ancora ratificato detta disciplina comunitaria. Per cui, a tutto voler concedere, si potrebbe solo parlare di un inadempimento dello Stato italiano agli obblighi comunitari, ma senza alcuna conseguenza per la fedina dei privati cittadini. Con l’effetto, di non poco conto, per cui chi acquisti, anche attraverso e-commerce, prodotti taroccati (per esempio, degli orologi riportanti un marchio falso) non potrà essere punito penalmente per ricettazione (art. 648 c.p.) o per acquisto di cosa di sospetta provenienza (art. 712 c.p.), ma solo con una sanzione amministrativa (quella prevista dal D.L. 14.03.2005 n. 35).
Lo ha recentemente stabilito una importante sentenza delle sezioni unite della Cassazione (Cass. sent. n. 22225/12 del 08.06.2012), cui è seguita, pochi giorni dopo, un’altra rilevante pronuncia, sempre in materia di contraffazione, emessa dalla Corte di Appello di Palermo.
Il collegio siciliano ha scagionato un venditore extracomunitario di prodotti contraffatti che, adagiata la mercanzia su un telo, aveva allestito il proprio negozio sulla pubblica via. Secondo il tribunale, il reato di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) si configura solo quando la contraffazione è talmente evidente da indurre in errore la massa dei consumatori circa l’origine e la produzione della merce stessa, facendola ritenere “originali”. È bene, invece, fugare il ricorrente equivoco secondo cui la tutela penale in materia di contraffazione sia volta a tutelare l’azienda titolare del marchio contraffatto. In realtà, la legge intende piuttosto proteggere i consumatori, affinché non abbiano a comprare prodotti di qualità diversa rispetto a quella stimata. La funzione dei marchi, difatti, è proprio quella di offrire una corrispondenza tra un bene e il suo produttore.
E non v’è dubbio – hanno sostenuto i giudici – che nessuno potrebbe essere portato a ritenere che un Rolex originale possa essere venduto da un extracomunitario, fuori da una gioielleria, a un prezzo irrisorio.
Un’altra posizione originale sul tema della contraffazione l’ha portata avanti il giudice Gennaro Francione, “legalizzando” tutta una serie di condotte lesive del copyright sulla scorta di un presunto “stato di necessità”: necessità che avrebbe condotto il reo – quasi sempre una persona di scarse possibilità economiche – a procurarsi di che vivere attraverso la contraffazione.
Il principio firmato dalla Corte di Appello di Palermo potrebbe da oggi essere applicato anche alla rete internet. Il che, se coordinato alla sentenza della Cassazione citata in apertura, finirebbe per sdoganare tutta una serie di acquisti fatti comunemente sul web. Sempre che, dietro l’occasione pubblicizzata dal sito internet, non si nasconda una truffa. Ma questa è un’altra storia.