Invio
una sentenza di assoluzione di
19 pagine del giudice romano Valerio Savio interessante per il
discorso sulla depenalizzazione giurisdizionale.La Cassazione ha
accolto tale impostazione.
AVV.
Pasquale Vilardo
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TRIBUNALE
ORDINARIO DI ROMA
Settima
Sezione Penale Dibattimentale
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA, in
composizione monocratica,
in
persona del Giudice Valerio SAVIO,
a
definizione di GIUDIZIO ABBREVIATO
alla
pubblica udienza del
2.1.2003
ha
deliberato la seguente
SENTENZA
ex art. 442 c.p.p.
PUBBLICANDOLA
MEDIANTE LETTURA DEL DISPOSITIVO , IN ORDINE ALL’IMPUTAZIONE
FORMULATA DAL PUBBLICO MINISTERO NEI CONFRONTI DEL SEGUENTE
IMPUTATO
MOHAMMED
TIZIO
libero
presente
IMPUTAZIONE
reato
p. e p. dall’art. 14 comma 5 ter D.L.vo 286 / 1998 ( così come
modificato dalla legge 30.7.2002 n. 189 ) perché, senza
giustificato motivo , si tratteneva nel territorio dello Stato in
violazione dell’ordine impartito dal Questore di ROMA in data
22.12.2002 ed a lui notificato in pari data; in ROMA 31.12.2002
CONCLUSIONI
Pubblico
Ministero:
condannarsi l’imputato -- con attenuanti generiche e già
applicata la diminuente per il rito -- alla pena di mesi due e
giorni venti di arresto; con pena sospesa
Difesa:
assoluzione
per non avere commesso il fatto
MOTIVI
DELLA DECISIONE
1
--- La fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 14 comma 5
ter D.L.vo 286 / 1998, introdotta dall’art. 13 1° comma della
legge 30.7.2002 n. 189 .
1.1.
La fattispecie.
In
vigore dal 10.9.2002,
la norma statuisce che
“lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene
nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito
dal Questore ai sensi del comma 5 bis “ del medesimo
articolo
“ è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno . In tale
caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica “. Aggiunge
l’art. 14 comma 5 quinquies dello stesso D.L. che per tale reato
“è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e
si procede con rito direttissimo”.
Attesa
la “novità” dell’incriminazione, riguardante condotta in
precedenza non prevista dalla legge come reato, è necessario
premettere alla valutazione del caso specifico l’analisi della
fattispecie, in generale.
1.2.
La sussistenza di un valido decreto di espulsione amministrativa
emanato dal Prefetto ex art.
13 D.P.R. 25.7.1998 n. 286
quale parte essenziale dell’elemento oggettivo della
fattispecie.
Seppure
la fattispecie di cui all’art. 14 comma 5 ter in esame non
nomini il decreto di espulsione, il combinato disposto degli artt.
13 e 14 e l’intero sistema del D.P.R. 286 / 1998
rendono evidente come prima
essenziale parte dell’elemento oggettivo del reato in parola sia
l’essere l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis fondato
su un preesistente valido decreto di espulsione
“amministrativa” emesso dal Prefetto ex art. 13 commi 2 e 3
T.U. , del quale l’ordine costituisca mezzo di
esecuzione .
Anche
se nella legge non si rinvengono dati letterali di per sé
ostativi a ritenere che il reato in parola possa innestarsi altresì
su una procedura di esecuzione di espulsione “per motivi di
ordine pubblico o sicurezza dello Stato” decretata dal Ministro
dell’Interno ex art. 13 comma
1 T.U. (procedura in ordine alla quale nulla si dice circa le
modalità esecutive) , l’eccezionalità e la ratio
di tale espulsione “politica” rendono evidente e prevedibile
che in tali casi l’espulsione avverrà con modalità tali da
impedire che la fase esecutiva raggiunga lo stadio rilevante per
la fattispecie in disamina . Nell’ipotesi
fisiologica e “topica” , l’espulsione presupposta della
fattispecie di cui all’art. 14 comma 5 ter T.U. è e rimane
quindi quella “amministrativa”
del Prefetto di cui all’art. 13 commi 2 e 3 T.U.
( andando comunque rilevato che anche l’espulsione disposta dal
Giudice , con sentenza anche non irrevocabile , “a titolo di
sanzione sostitutiva “ di cui all’art. 16 1° comma T.U.,
anche quella “alternativa alla detenzione “ disposta dal
magistrato di sorveglianza di cui all’art. 16 5° comma T.U.
ed anche quella disposta “a titolo di misura di sicurezza
“ di cui all’art. 15 -- eseguibile con l’irrevocabilità
della sentenza -- devono nella legge essere eseguite ex artt. 13
comma 4 e 16 comma 7 T.U. con accompagnamento alla frontiera da
parte della forza pubblica, sì che a ben guardare, ove tale
accompagnamento non sia possibile, potrebbe nella prassi
impiantarsi anche per tali procedure la sequenza descritta
nell'art. 14 sfociante nell'ordine di cui al comma 5 bis di tale
disposizione :
essendo la permanenza in un centro di permanenza temporanea una
forma di detenzione , si ritiene peraltro che una simile prassi ,
finendo con l’estendere analogicamente oltre quelli previsti i
casi di tale detenzione , sarebbe senz’altro illegittima oltre
che difficilmente configurabile attesa la funzione di tali forme
di espulsione, sì che anche per questa via si giunge alla
conclusione che la fattispecie in esame possa riguardare solo la
procedura di esecuzione dell’espulsione “amministrativa” di
cui all’art. 13 T.U) .
Per
la giurisprudenza di legittimità, il
decreto di espulsione amministrativa del Prefetto non deve essere
preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui
all’art. 7 l. 7.8.1990 n. 241, avendo il decreto
emanato nei casi previsti dalla legge natura “di atto ad
emanazione vincolata e non discrezionale”, ed essendo per altro
verso garantito il contraddittorio seppure differito in sede
giurisdizionale ( v. ora comma 8 dell’art. 13 T.U. : così per
ultima CASS. Sez. I Civile n. 5050 del 9.4.2002 , che appare più
convincente sul punto di quelle altre pronunce che per motivare la
non necessità della comunicazione fanno piuttosto riferimento --
oltre alle “esigenze di celerità” , pure invero considerate
dall’art. 7 in questione e certamente apprezzabili nella
fattispecie in esame -- alla tesi invero discutibile secondo la
quale il decreto di espulsione non seguirebbe ad un seppur scarno
procedimento amministrativo “andando a formarsi nel momento in
cui la P.A. ne verifica i presupposti”: v. CASS. Sez. I Civile
19.12.2001 n. 16030 ; la questione appare peraltro risolvibile nel
senso opposto con riferimento all’espulsione dello straniero che
si sia trattenuto nel territorio dello Stato “quando il permesso
è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è
stato chiesto il
rinnovo” -- art. 13 comma 5 T.U. -- , caso in cui l’espulsione
segue diversa e meno scarna procedura
, con intimazione del Prefetto a lasciare il territorio
dello Stato entro il termine di 15 giorni , e nel quale da un lato
vi è certo un procedimento amministrativo vòlto ad accertare il
presupposto dell’espulsione e dall’altro non si pongono
esigenze particolari di celerità che impediscano il
contraddittorio anticipato garantito dall’art. 7 in parola ).
Il
decreto di espulsione amministrativa del Prefetto
-- “
motivato, immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o
impugnativa da parte dell’interessato” , art. 13 3° comma
T.U. – per
poter divenire elemento normativo della fattispecie di reato in
esame deve naturalmente essere stato emesso legittimamente.
In
primo luogo, deve essere stato emesso in presenza di una delle
situazioni di fatto previste dalla legge come legittimanti
l’espulsione, e “motivato” per quanto sinteticamente in
ordine alla loro sussistenza . Si
tratta delle situazioni di fatto di cui all’art. 13 comma 2 T.U.
(entrata nel territorio dello Stato in elusione del controllo di
frontiera, senza che sia avvenuto respingimento ; trattenimento
nel territorio dello Stato oltre i termini di validità del visto
di ingresso temporaneo senza che si sia richiesto permesso di
soggiorno nel termine prescritto, quando il ritardo non è dipeso
da casi di forza maggiore; trattenimento nel territorio dello
Stato quando il permesso di soggiorno è stato revocato o
annullato ovvero è scaduto da più di 60 giorni e non è stato
chiesto il rinnovo; appartenenza del soggetto ad una delle
categorie di soggetti pericolosi di cui agli artt. 1 l. 27.12.1956
n. 1423 e 1 l. 31.5.1965 n. 575, appartenenza da ritenersi
direttamente accertabile da parte del Prefetto, con valutazione
sindacabile dal Giudice Ordinario in sede civile come in sede
penale , anche agli
effetti in esame, come ogni altra valutazione relativa al
sindacato sulla discrezionalità utilizzata nell’emissione del
decreto di espulsione : cfr. CASS. Sez. I Civ. n. 12721 del
30.8.2002). E quanto alla motivazione sul punto, non può non
condividersi l’orientamento della Suprema Corte che richiede ,
per l’assolvimento dell’obbligo
previsto oltre che dall’art. 13 T.U. dall’art. 3 l. 241
/ 1990, una motivazione mai solo apparente, e
che l’atto contenga una esposizione delle circostanze di
fatto che hanno dato luogo all’adozione del provvedimento tale
da consentire di comprendere le ragioni dell’espulsione e a
quale delle ipotesi previste si sia voluto fare riferimento , e di
predisporre quindi una adeguata difesa dall’interessato in sede
giurisdizionale ( v. CASS. Sez. I
Civ. , sent. 6535
del 7.5.2002 , Ponych; v. ord. CASS. Sez. I Civ. 8513 del
14.6.2002, Gjetay ).
In
secondo luogo, il decreto del Prefetto
deve essere stato emesso nei confronti di persona riguardo
la quale non operi uno dei divieti di espulsione amministrativa
previsti dalla legge per ragioni legate alla richiesta di
riconoscimento dello status di rifugiato politico o comunque per
ragioni legate al soggetto , alla sua provenienza , alla sua età
e condizione personale ; e perché “motivato” per quanto
sinteticamente sul punto
( art. 19 1° e 2 ° comma
T.U.:
“in nessun caso può disporsi l’espulsione…verso
uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione
per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o
sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro
Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” ; ex art.
19 2° comma , “non è consentita l’espulsione”
amministrativa nei confronti “degli stranieri minori di anni
diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario
espulsi”, degli stranieri in possesso di carta di soggiorno non
revocata ex art. 9 per condanna definitiva per i reati di cui
all’art. 380 c.p.p o per quelli non colposi di cui all’art.
381 cpp , degli stranieri conviventi con coniuge o con parente
entro il quarto grado “di nazionalità italiana”, delle donne
in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del
figlio cui provvedono e – per effetto di Corte Cost. 376 / 2000
– di chi sia coniuge di donna in tali condizioni
: è preferibile infatti la tesi per cui la legge nel dire
che l’espulsione “non è consentita” non pone tali divieti
solo con riguardo alla fase esecutiva ed all’ordine del
Questore, ma altresì con riguardo alla fase deliberativa della
medesima ed al decreto del Prefetto ).
In
terzo luogo, deve trattarsi di decreto di espulsione valido perché
emesso nei confronti di persona – “non pericolosa per la
sicurezza dello Stato” -- nei cui confronti non sia in corso la
procedura di sanatoria/ emersione del lavoro irregolare di cui
alle leggi 30.7.2002 n. 189 e 9.10.2002 n. 222 ( art. 2 commi 1
e 4 l. 222 / 2002
)
. Come è noto l’art. 33 della legge 189 / 2002 e
l’articolo 1 della legge 9.10.2002 n. 222 hanno istituito una
complessa procedura di sanatoria-emersione del lavoro irregolare
di tutti gli stranieri extracomunitari occupati nel periodo
10.6.—10.9.2002 nelle “attività di assistenza a componenti
della famiglia affetti da patologie o handicap che ne limitano
l’autosufficienza “ ovvero “nel lavoro domestico di sostegno
al bisogno familiare”, procedura che inizia con la dichiarazione
di emersione presentata dal datore di lavoro alla Prefettura e che
si conclude con la comunicazione della sussistenza di motivi
ostativi al rilascio ovvero con il rilascio di permesso di
soggiorno con contestuale revoca ex art. 2 comma 2 l. 222 cit.
degli eventuali provvedimenti di espulsione già adottati . Avendo
il combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art. 2 della legge
222 cit. stabilito che “fino alla data di conclusione della
procedura” di sanatoria “non possono essere adottati
provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale” nei
confronti dei lavoratori interessati, “salvo che risultino
pericolosi per la sicurezza dello Stato”, ne risulta che le due
leggi nell’istituire ed organizzare la sanatoria hanno inteso
introdurre nell’ordinamento un nuovo divieto di espulsione,
ulteriore a quelli di cui all’art. 19 del T.U. 286 / 1998 .
Ancora,
il decreto di espulsione deve essere valido perché contenente
l’indicazione delle modalità di sua impugnazione ( v.
artt..
13 comma 7 T.U. e art. 3 3° comma 3 prima parte D.P.R. 31.8.1999
n. 394 , ripetitivi della generale regola di cui all’art. 3 4°
comma l. 7.8.1990 n. 241).
Infine,
deve
trattarsi di decreto valido perché “sintetizzato” nel suo
contenuto (“anche mediante appositi formulari sufficientemente
dettagliati” ) e tradotto “allo straniero che non comprende la
lingua italiana” “nella lingua a lui comprensibile”
ovvero, “se ciò non è possibile”, “in una delle
lingue inglese, francese e spagnola”, “secondo la preferenza
indicata dall’interessato” ; nonché valido perché
“motivato” in ordine alle scelte al riguardo adottate
.
Si
tratta del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e
3 3° comma seconda parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394 ,
Regolamento di attuazione della legge. Si tratta del requisito di
legittimità dell’atto previsto da tali disposizioni per tutte
le “comunicazioni allo straniero” , preordinato ad assicurare
l’effettiva conoscibilità dei diversi provvedimenti ivi
indicati , requisito
che per la Corte Costituzionale (sentenza 198 del 16.6.2000) e per
la Corte di Cassazione (sentenza
9138 del 6.7.2001) costituisce presupposto di quell’esercizio in
concreto del diritto alla Difesa che l’art. 24 della
Costituzione garantisce a “tutti” e quindi anche allo
straniero non regolarmente soggiornante. Al riguardo, se
l’omessa traduzione in lingue diverse dall’italiano renderà
sempre illegittimo l’atto redatto solo in italiano comunicato a
persona che l’italiano non comprende, non può non condividersi
quella giurisprudenza di legittimità – v. ad es. sent. CASS.
SEZ. CIV. I,
n. 879 del 25.1.2002 -- che nell’interpretare l’art. 3 in
esame ritiene che la traduzione dell’atto nella lingua del paese
d’origine dello straniero o in altra lingua da lui ben
conosciuta , da effettuarsi anche in presenza del solo dubbio in
ordine alla comprensione della lingua italiana, possa essere
omessa, in favore della prevista traduzione in una delle lingue
“inglese, francese o spagnola” , secondo preferenza, solo
nelle ipotesi di mancata identificazione del Paese di
provenienza dello straniero o delle lingue a lui note, ovvero di
accertata provenienza da un Paese la cui lingua “per la sua
rarità non consenta l’agevole reperimento di un traduttore”.
Il decreto naturalmente dovrà nel caso dare conto in motivazione
, con clausole non di stile ma con riferimenti concreti alle fonti
dalle quali si è tratto il relativo convincimento, di come si sia
accertata la conoscenza della lingua italiana così come di ogni
altra situazione connessa alla lingua o alle lingue in cui il
provvedimento è stato formato . E se la totale carenza di
motivazione renderà
certamente illegittimo
il decreto di espulsione per violazione di legge – vale a dire
per violazione dell’obbligo di motivazione
statuito in generale dall’art. 3 l. 241 / 1990 ed in
particolare dall’art. 13 3
° comma T.U. – non può dubitarsi a sommesso avviso del
giudicante che competa al Giudice Ordinario di sindacare il
contenuto della motivazione sul punto e di ravvisare
l’illegittimità per eccesso di potere da travisamento di fatto
ogniqualvolta si dia atto in motivazione di situazione
legittimante la mancata traduzione che positivamente o per fatti
notori risulti infondata, quale ad es. nel caso di una motivazione
che dichiari “lingua
rara che non consente l’agevole reperimento di un traduttore”
la lingua polacca ( in ciò non condividendosi CASS.CIV. SEZ. I n,
5465 del 16.4.2002 che tale sindacato non riconosce al Giudice
Ordinario, non trattandosi come ritiene tale pronuncia di
sindacare “scelte della P.A. in termini di concrete possibilità
di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell’espellendo
“ ma di valutare nel merito in base ai dati noti agli atti o a
fatti notori la insussistenza di una situazione di fatto invece riconosciuta
come sussistente dalla P.A ).
Salvo
quanto si dirà infra
in punto di elemento soggettivo del reato e di “giustificato
motivo” , già in sede di valutazione della legittimità del
decreto di espulsione – e dell’ordine del Questore --
l’accertamento del Giudice sulla traduzione si ritiene debba
essere particolarmente rigoroso, dopo la prima fase di
“rodaggio” della legge non potendosi ammettere sul piano della
legittimità e della tutela dei diritti degli stranieri
, tenuto conto anche del fatto che si tratta della
traduzione di atti dal contenuto “seriale” , che si impiantino
prassi che , ad es. considerando idiomi “particolarmente rari”
le lingue europee non comunitarie o quelle dei Paesi dell’ex
Urss , si pongano di fatto da parte delle Prefetture come
disapplicazione della legge e della volontà garantista del
Parlamento .
Sul
piano processuale, già in sede di convalida
saranno dunque temi di prova tra gli altri la nazionalità
dell’arrestato , la sua lingua madre, in generale quali siano le
lingue da lui conosciute, nonché , laddove l’atto sia stato
tradotto in una sola delle lingue francese inglese o spagnola per
impossibilità di traduzione in altra lingua conosciuta
dall’interessato, se lo straniero abbia espresso preferenza per
una delle tre, e quale ( ciò in relazione al contenuto
dell’art. 3 3° comma DPR 394 / 1999 , specificante l’art. 13
comma 7 T.U., nella parte in cui appunto stabilisce che ove non
sia possibile tradurlo nella lingua madre od in altra lingua
conosciuta, l’atto debba essere tradotto in una delle lingue
inglese, francese o spagnola appunto “secondo la preferenza
indicata dall’interessato”: indicazione della quale ove
espressa dovrà darsi documentazione , ed alla quale dovrà farsi
riferimento nel decreto di espulsione, in motivazione).
Se
ogni vizio del decreto di espulsione può naturalmente essere
fatto valere in sede di ricorso in opposizione al Tribunale in
composizione monocratica del
luogo di emissione , l’illegittimità
del decreto di espulsione del Prefetto per emissione al di fuori
dei casi previsti dalla legge, per emissione nei confronti di
persona che non può per una qualche ragione essere espulsa , o
per difetti formali legati all’assenza di comunicazione delle
modalità di sua impugnazione o alla sua mancata traduzione in
lingua comprensibile all’interessato (ovvero per violazione di
legge per difetto di motivazione in ordine alla sussistenza di
tutti tali requisiti) rende il decreto disapplicabile nel giudizio
penale secondo i principi generali dell’ordinamento (
ex plurimis, cfr. CASS. SEZ. I , n. 29543 del 20.7.2001
) , ridondando altresì in illegittimità dell’ordine del
Questore emesso ex art. 14 comma 5 bis T.U.
Dalla
disapplicazione, laddove essa è possibile, discenderà nel merito
l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” ,
anche
eventualmente ex art. 129 c.p.p. , ed anche quindi a fronte di
richiesta di “patteggiamento” (
naturalmente , ex art. 129 c.p.p., ove si tratti di
situazione di
illegittimità immediatamente riconoscibile
da parte del Giudice senza dover compiere istruttoria alcuna (
come ad es. nel caso in
cui sia stata non solo allegata ma già provata documentalmente
nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto la
sussistenza di una delle situazioni di divieto di espulsione, ad
es. la pendenza di procedura di sanatoria-emersione ex art. 33 l.
189 / 2002 , o ancora nel caso in cui risulta che l’imputata
dovesse palesemente apparire già alla data del decreto
di espulsione in avanzato stato di gravidanza ).
L’assoluzione,
se ex 129 1° comma c.p.p. come si è detto anche di fronte ad
istanza ex art. 444 c.p.p., seguirà naturalmente la conclusione
dell’udienza di convalida dell’arresto di cui all’art. 558
c.p.p., ed avverrà in
limine o nel corso dell’obbligatorio giudizio
direttissimo, o dell’abbreviato, giudizi nel corso dei quali la
sussistenza nel caso di specie dei visti presupposti oggettivi e
soggettivi legittimanti l’espulsione diventeranno altrettanti
temi di prova per la Pubblica Accusa, oltre che , nel giudizio
abbreviato , con riferimento alla “decidibilità allo stato
degli atti”, anche per il Giudice ex art. 441 5° comma c.p.p. )
.
1.3.
--- La seconda
essenziale parte dell’elemento oggettivo della fattispecie : la
sussistenza, alla
data di emissione dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5
bis T.U. , della situazione di fatto legittimante la sua emissione
Ricostruendo
la normativa , ne risulta che il Questore può emanare l’ordine
di cui all’art. 14 comma 5 bis T.U. , presupposto del reato in
esame, non solo se sussista un preesistente valido decreto di
espulsione amministrativa bensì altresì solo nella piena
sussistenza di una complessa situazione di fatto che, nella
“fisiologia” della legge , rende l’ordine del Questore un
evento di natura eccezionale, un residuale ed ultimo strumento in
mano al Questore medesimo di fronte alla completa inefficienza
degli ordinari meccanismi amministrativi che
ordinariamente nello schema della legge devono portare
all’esecuzione dell’espulsione.
In
primo luogo, l’ordine
del Questore ex art. 14 comma 5 bis T.U. deve ritenersi sia
validamente emanabile solo ove
il decreto di espulsione del Prefetto sia giuridicamente
eseguibile , per non essere lo straniero attualmente sottoposto a
procedimento penale , ovvero per sussistenza del nulla osta
all’espulsione da parte delle A.G. interessate , nel caso
lo straniero sia sottoposto a “procedimenti penali”,
seppure non soggetto a custodia cautelare in carcere.
Infatti,
per l’art. 13 3° comma T.U. , “quando lo straniero è
sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di
custodia cautelare in carcere, il Questore, prima di eseguire
l’espulsione , deve richiedere “il nulla osta all’Autorità
Giudiziaria” ( “… che può negarlo solo in presenza di
inderogabili esigenze processuali valutate in relazione
all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti
nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi , e
all’interesse della persona offesa “ ), richiesta di nulla
osta in presenza della quale l’esecuzione dell’espulsione “è
sospesa fino a quando l’A.G. comunica la cessazione delle
esigenze processuali “ . Ed è solo dopo avere “ottenuto il
nulla osta” , magari per decorso del termine di 15 giorni dalla
richiesta senza che si sia provveduto , che il Questore – che
nel frattempo in attesa del suo rilascio può avere disposto il
trattenimento dello straniero in un centro di permanenza
temporanea – può ed anzi deve “provvedere all’espulsione
“, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica.
Osservatosi
come la sottoposizione a custodia cautelare in carcere o a
semplice procedimento penale sia costruita nella norma come
ostacolo non al decreto di espulsione ma alla sua concreta
eseguibilità , e come l’ordine ex art. 14 comma 5 bis T.U. sia
nella legge null’altro che una delle modalità esecutive
dell’espulsione decretata dal Prefetto, deriva necessariamente
da tale disposizione che la prima situazione di fatto che deve
sussistere perché il Questore possa legittimamente emanare tale
ordine -- e con esso eseguire l’espulsione -- non possa che
essere l’attuale non sottoposizione dell’espellendo a custodia
cautelare in carcere o anche solo a procedimento penale ( per
iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. ) ovvero ,
nel caso lo straniero pur non sottoposto a custodia cautelare in
carcere sia tuttavia indagato o imputato , l’intervenuto
rilascio del nulla osta, anche solo nella forma del
“silenzio-assenso”, da parte di tutte le Autorità Giudiziarie
interessate.
In
secondo luogo, l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis deve
ritenersi sia validamente emanabile solo in presenza di una
situazione di oggettiva impossibilità di esecuzione
dell’espulsione a mezzo accompagnamento alla frontiera con la
forza pubblica, unita ad una parallela e contemporanea situazione
di impossibilità di trattenere (o di trattenere ulteriormente )
lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, per motivi
oggettivi ovvero per decorso dei termini massimi di permanenza in
tali centri , di cui al comma 5 dell’art. 14 ( 30 giorni,
prorogabili a 60 ).
La
legge 189 / 2002 nel novellare ampie parti del T.U. 286 / 1998 ha
completamente innovato la disciplina dell’espulsione
amministrativa decisa dal Prefetto ai sensi dell’art. 13 .
Innanzitutto,
è stata prevista l’immediata esecutività del decreto di
espulsione emesso dal Prefetto, anche se “sottoposto a gravame o
ad impugnativa”.
In
secondo luogo, con l’abrogazione del comma 6 della precedente
versione dell’art. 13 , il decreto del Prefetto non contiene più
di regola l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato
entro quindici giorni ( ora prevista nell’ipotesi residuale
dell’espulsione dello “straniero che si è trattenuto nel
territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto
di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto
il rinnovo”, v. art. 13 comma 5: casi nei quali pure peraltro
“il Questore dispone l’accompagnamento immediato alla
frontiera…qualora il Prefetto rilevi il concreto pericolo che lo
straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento “).
Al
di fuori dei casi di cui all’art. 13 comma 5 appena visti, nuova
regola generale nel sistema della legge , secondo chiara
intenzione del legislatore, è che “l’espulsione è sempre
eseguita dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica”, accompagnamento che d’ordinario dovrà
nello schema della legge avvenire “con immediatezza” ( art. 14
comma 1 ) mediante “respingimento” o imbarco diretto sui
vettori o comunque mediante traduzione del soggetto al valico di
frontiera.
Potrà
tuttavia verificarsi che
l’accompagnamento immediato alla frontiera non sia in concreto
“possibile” per “indisponibilità di vettore o altro mezzo
di trasporto idoneo” ovvero “perché occorre procedere al
soccorso dello straniero”, “ad accertamenti supplementari in
ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero
all’acquisizione di documenti per il viaggio”. In tutti tali
casi, il Questore, comunque in funzione dell’attuazione di un
decreto di espulsione che nello schema della legge resta
eseguibile ed anzi da eseguirsi con accompagnamento alla frontiera
in ogni momento , appena possibile ( 14 comma 5 ultima parte ),
“dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo
strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea
ed assistenza più vicino” tra quelli costituiti
dall’Amministrazione dell’Interno ( 14 1° comma T.U. ), con
ordine da trasmettersi al Tribunale
Ordinario in composizione monocratica “senza ritardo e comunque
entro le 48 ore dalla adozione del provvedimento” , pena la sua
inefficacia, per la convalida che deve intervenire entro ulteriori
48 ore (anche in questo caso pena la “cessazione di ogni effetto
del provvedimento” ): ordine, che consente la permanenza nel
centro sino a trenta giorni, prorogabili sino a sessanta con
successivo provvedimento richiesto dal Questore al Tribunale .
E’
solo di fronte alla perdurante impossibilità di eseguire
l’espulsione con accompagnamento alla frontiera ed alla
parallela contemporanea impossibilità di trattenere ( o di
trattenere ulteriormente ) lo straniero in un Centro di permanenza
temporanea che viene nella legge legittimata l’emissione di quel
provvedimento ora divenuto di carattere eccezionale che è
l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis “di lasciare il
territorio dello Stato entro cinque giorni” : essendo dunque
necessario che si versi in una situazione in cui da un lato
tuttora non è possibile l’accompagnamento alla frontiera per
indisponibilità di vettore o mancata identificazione dello
straniero o permanenti necessità di soccorso
dello straniero o altre ragioni oggettive, ed in cui
dall’altro o è impossibile disporre il trattenimento in un
C.P.T. per indisponibilità di posti letto o altra ragione
oggettiva , ovvero è impossibile trattenere ulteriormente il
soggetto per scadenza dei termini anche prorogati di permanenza
fissati dal Giudice o dalla legge.
Soltanto
in compresenza di tali situazioni di fatto , e di motivazione che
dia conto in modo effettivo e senza clausole di stile della loro
sussistenza , l’ordine del
Questore di esecuzione del decreto di espulsione del
Prefetto potrà dirsi legittimamente emesso secondo il suo modello
legale, e potrà validamente costituire l’elemento normativo
della fattispecie di reato di cui all’art. 14 comma 5 ter , in
esame.
In
difetto della vista fattispecie legittimante, o anche solo della
motivazione sul punto, l’ordine ex art. 14 comma 5 bis sarà
illegittimo per violazione di legge ( vale a dire del combinato
disposto degli artt. 13 e 14 commi da 1 a 5 bis T.U., 3 l. 241 /
1990 ), disapplicabile
, tamquam
non esset nel giudizio penale. Venendo meno una parte
essenziale dell’elemento oggettivo della fattispecie ex art. 14
comma 5 ter, ne seguirà l’assoluzione dell’imputato “perché
il fatto non sussiste”, pur se trovato ancora in Italia dopo il
quinto giorno dalla notifica dell’ordine.
Sul piano
processuale, l’impossibilità in concreto di eseguire
l’espulsione con accompagnamento alla frontiera e
l’impossibilità di trattenimento ( o di trattenimento ulteriore
) nel C.P.T. ( perduranti alla data di emissione dell’ordine ex
art. 14 comma 5 bis ) , e , prima ancora, l’attuale non
sottoposizione dell’espellendo a procedimento penale ovvero (in
caso di sottoposizione non congiunta a custodia cautelare in
carcere ) la sussistenza di nulla osta all’espulsione ( v. supra
) divengono quindi evidentemente nel giudizio direttissimo
altrettanti ineludibili temi di prova per la Pubblica Accusa, e ,
nell’eventuale giudizio abbreviato, in punto di “decidibilità
allo stato degli atti” ( 441 5° comma cpp) , altresì per il
Giudice ( in relazione all’impossibilità di trattenimento in un
C.P.T., dovrà ad es. provarsi per testi e/o per pubblici registri
il “tutto esaurito” nei Centri di possibile utilizzazione alla
data di emissione dell’ordine ex art. 14 comma 5 bis , o ,
sempre con riferimento a tale data, con certificato di carichi
pendenti relativo a tutti gli “alias” di un imputato,
l’assenza di procedimenti penali a suo carico ovvero il rilascio
dei relativi nulla osta ex art. 13 comma 3 T.U., ecc.).
Naturalmente, ove
l’insussistenza della fattispecie legittimante l’ordine ex
art. 14 comma 5 bis appaia già ad esito dell’udienza di
convalida “evidente” per l’una o per l’altra ragione,
l’assoluzione potrà e dovrà seguire immediatamente, anche di
fronte ad istanza di “patteggiamento”, ex art. 129 cpp .
Non essendo
evidentemente esigibile dall’Ufficiale di P.G. una pregnante
analisi di legittimità dell’ordine del Questore secondo i
profili appena esaminati (magari emersi solo nel corso
dell’udienza ex art. 558 cpp), anche per l’indisponibilità ,
nell’immediatezza, delle notizie indispensabili alla relativa
valutazione ( relative al nulla osta, alla situazione nei C.P.T.,
ai vettori ecc. ) , potrà naturalmente invece procedersi comunque
alla convalida dell’arresto eseguito in presenza degli altri
suoi presupposti di legge , applicandosi il principio
giurisprudenziale per il quale il giudizio di convalida va
effettuato valutando la flagranza in relazione ai fatti così come
sul posto e nell’immediatezza resisi percepibili e qualificabili
giuridicamente dagli operanti di P.G. .
1.4.
--- La terza parte dell’elemento oggettivo della fattispecie :
la sussistenza , nell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis
T.U. , di tutti i suoi requisiti formali di legittimità.
Per
potersi ritenere integrato l’elemento oggettivo della
fattispecie in esame, deve
ancora aversi prova che l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5
bis sia stato emesso
nel rispetto di tutti i suoi requisiti formali :
1)
motivazione
sulla sussistenza della fattispecie legittimante la sua emissione
(14 1° comma T.U. / art. 3 l. 241 / 1990 ) ;
2)
presenza
, nell’atto, dell’ “indicazione” relativa alle
“conseguenze penali della sua trasgressione” ( 14 comma
5 bis T.U.) ;
3)
presenza,
nell’atto, dell’ ”indicazione” delle modalità di sua
impugnazione” (artt. 13 comma 7 T.U. , 3 ultimo comma l. 241 /
1990 ) ;
4)
traduzione
dell’atto in lingua conosciuta dal destinatario ovvero secondo
le regole di cui al combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U.
e 3 comma 3 DPR 394 / 1999 , e motivazione in ordine alle scelte
adottate circa tale traduzione.
Emesso
che sia in presenza della complessa
fattispecie sostanziale legittimante la sua adozione esaminata nel
precedente paragrafo, perché possa validamente costituire
elemento normativo della fattispecie di cui al comma 5 ter
dell’art. 14 T.U. l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis
cit. deve ancora presentare una serie di requisiti formali.
Innanzitutto,
l’ordine deve essere congruamente motivato , in modo non
apparente e senza clausole di stile , in ordine alla sussistenza
di tutte le situazioni di fatto legittimanti la sua emissione ( se
si vuole , in ordine ai “presupposti di fatto ed alle ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione, in relazione alle risultanze
dell’istruttoria”, art. 3 1° comma l. 241 / 1990 ) . La
motivazione -- non
espressamente richiesta dall’art. 14 in esame, ma da ritenersi
ugualmente doverosa in relazione all’incidenza dell’atto sui
diritti dello straniero ed al generale principio posto per tutta
l’attività amministrativa dal cit. art. 3 l. 241 / 1990) –
dovrà così toccare le ragioni per le quali prima vi è stata
impossibilità di accompagnamento diretto alla frontiera (con
indicazione delle esigenze di soccorso o dei problemi di
identificazione nel caso verificatisi , dei problemi legati ai
vettori ,
ecc.) , e poi impossibilità di trattenimento ( o di ulteriore
trattenimento) nei centri di permanenza temporanea disponibili (
ad es. con indicazione di quelli che erano i posti-letto
disponibili nei centri ed il numero delle presenze, alla data
dell’ordine ex comma 5 bis dell’art. 14 T.U. ).
In
secondo luogo, e questa volta per espressa statuizione normativa,
deve essere presente nell’atto “l’indicazione delle
conseguenze penali della sua trasgressione” ( 14 comma 5 bis
T.U. ), indicazione la cui assenza – da ritenersi agli effetti
della sussistenza del reato non surrogabile con indicazioni
verbali da parte dei funzionari di Questura -- appare oltretutto
senz’altro valutabile , al di là dei profili di illegittimità
dell’atto per violazione di legge , e
a seconda delle concrete emergenze dei singoli casi e delle
caratteristiche personali dei singoli imputati, in punto di
possibile (in)sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato anche nella sua forma
colposa, ovvero in punto di possibile sussistenza di un
“giustificato motivo” nel trattenersi per mancata comprensione
delle gravi conseguenze di una tale condotta, ovvero ancora in
punto di possibile sussistenza di errore incolpevole “sul fatto
che costituisce il reato” (
47 c.p. ).
In
terzo luogo, seppure non prevista direttamente dall’art. 14
comma 5 bis T.U., deve ritenersi debba essere presente
nell’ordine del Questore altresì l’indicazione delle modalità
di sua impugnazione, indicazione imposta in via generale
dall’art. 3 u.c. l. 241 / 1990 per ogni atto amministrativo e
con norma speciale dall’art. 13 comma 7 T.U. tra gli altri
“per ogni atto concernente…l’espulsione…” ( dovendosi
ritenere condivisibile la prima interpretazione invalsa nelle
Sezioni Civili di questo Tribunale circa il fatto che l’ordine
del Questore ex art, 14 comma 5 bis , al di là del silenzio sul
punto di tale disposizione, sia impugnabile con quello stesso
ricorso al Tribunale in composizione monocratica previsto
dall’art. 13 8° comma T.U. per l’impugnazione del decreto di
espulsione del Prefetto: estensione
analogica che appare corretta sul piano logico, dovendosi ritenere
che il mezzo di gravame in parola utilizzabile contro il decreto
di espulsione sia a
fortiori utilizzabile contro l’ordine che del decreto
è concreta espulsione e che in concreto incide sui diritti dello
straniero; estensione analogica che appare interpretazione
costituzionalmente orientata nel sanare quella che altrimenti
rimarrebbe un’omissione in contrasto con le disposizioni della
Costituzione che garantiscono il diritto di tutela delle posizioni
di diritto e di interesse legittimo – art. 24 Cost. – nonché
con quelle che assicurano la razionalità delle disposizioni di
legge – art. 3 -- , tenuto anche conto del fatto che l’ordine
del Questore può costituire appunto condizione di un arresto
obbligatorio ).
Infine
, così come il decreto di espulsione, l’ordine del Questore
deve essere tradotto in una lingua “conosciuta” dallo
straniero ( 13 comma 7 T.U. ) , ovvero, ove non sia possibile , in
una delle lingue francese, inglese o spagnola , secondo la
preferenza indicata dall’interessato (ancora art. 13 comma 7,
specificato da art. 3
3 ° comma DPR 394 / 1999 ) . E qui le questioni si pongono negli
esatti termini già visti per il decreto di espulsione ( v. supra
sub 1.2. ).
Se
ogni vizio formale dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5
bis può naturalmente essere fatto valere in sede di ricorso in
opposizione al Tribunale in composizione monocratica
del luogo di emissione – secondo la detta estensione
analogica dello strumento previsto dall’art. 13 comma 8 T.U. per
l’impugnazione del decreto prefettizio , l’illegittimità
dell’ordine del Questore per difetti formali legati
all’assenza di motivazione sulla sussistenza della fattispecie
legittimante la sua adozione, o per difetti formali legati alla
mancata indicazione delle conseguenze penali della sua
trasgressione o alla mancata comunicazione delle modalità di sua
impugnazione, o per difetti formali legati alla sua traduzione
rende il decreto lesivo dei diritti dello straniero e
disapplicabile nel giudizio penale secondo i principi generali
dell’ordinamento ( ex plurimis, cfr. CASS. SEZ. I ,
n. 29543 del 20.7.2001
).
Dalla
disapplicazione, laddove essa è possibile, venendo meno
l’elemento normativo della fattispecie , discenderà nel merito
l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” ,
anche
ex art. 129 c.p.p. , ed anche quindi a fronte di richiesta di
“patteggiamento”, naturalmente ove si tratti di situazione
immediatamente riconoscibile
da parte del Giudice senza dover compiere istruttoria alcuna (
come certamente nei casi di mancata indicazione delle conseguenze
penali della trasgressione dell’ordine o di mancata indicazione
delle modalità di sua impugnazione, dati rilevabili dalla mera
lettura del provvedimento ; e così come
nel caso di difetto totale di motivazione sulla sussistenza
della fattispecie legittimante , o nel caso in cui già ad esito
dell’udienza di convalida risulti provata con certezza la
violazione delle norme sulla traduzione dell’ordine
).
L’assoluzione
potrà naturalmente seguire la convalida ed essere pronunciata in
limine o nel corso dell’obbligatorio giudizio
direttissimo, o dell’abbreviato.
Non essendo
evidentemente esigibile dall’Ufficiale di P.G. una pregnante
analisi di legittimità dell’ordine del Questore secondo i
profili formali appena esaminati – analisi che non può che
competere al Giudice Ordinario, anche per evitare possibili
disparità di valutazione e quindi di trattamento
– pur in presenza dei visti vizi formali potrà
naturalmente invece procedersi comunque alla convalida
dell’arresto eseguito dalla P.G. in presenza degli altri suoi
presupposti di legge
1.5.
--- Sempre
sull’elemento oggettivo della fattispecie: la sussistenza della
condotta incriminata: l’illecito “trattenimento nel territorio
dello Stato”.
Per
ritenere integrato il reato, superati i profili di legittimità di
decreto prefettizio ed ordine del Questore,
deve poi aversi prova della sussistenza della condotta incriminata
: il “trattenersi nel territorio dello Stato” in violazione
dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis
, oltre i cinque giorni ( liberi ) dalla sua notificazione,
da parte dello straniero espulso.
Se
nelle fattispecie di cui gli artt. 13 13° comma e 14 comma 5
quater T.U. è richiesto , per la sussistenza del reato, che si
abbia prova che lo straniero espulso trovato in Italia sia stato
effettivamente accompagnato alla frontiera o comunque sia
effettivamente uscito dal territorio dello Stato in esecuzione del
decreto di espulsione, e vi sia poi rientrato, l’uso nell’art.
14 comma 5 ter in esame del verbo “trattenersi” rende evidente
come ai fini di tale fattispecie tale prova non sia necessaria ,
essendo sufficiente
per ritenere integrata la condotta punita che lo straniero sia
trovato nel territorio dello Stato “in violazione dell’ordine
del Questore” “di lasciare il territorio dello Stato entro il
termine di cinque giorni”.
Circa tale
configurazione della condotta punita, deve ancora ritenersi:
1
) che la disposizione vada interpretata , in applicazione del
principio del favor
rei , e stabilendosi soltanto “il momento finale “
del termine ( 172 comma 5 cpp ) , nel senso più favorevole al
reo, e quindi nel senso che il termine di
cinque giorni vada inteso come termine espresso in giorni
“liberi” , e con riferimento al giorno non di
emissione ma di notificazione dell’ordine del Questore ( un
ordine emanato il 7 gennaio e notificato il giorno 8 gennaio farà
quindi scattare
il reato solo dalle ore 00.01 del 14 gennaio );
2)
che
la violazione dell’ordine del Questore possa essere riferita al
solo trattenersi nel territorio dello Stato oltre i cinque giorni
, e non ad altro ( ad es. : alle modalità con le quali si è
ritenuto di uscire dall’Italia, o alla destinazione scelta:
restando irrilevante che lo straniero si sia allontanato
dall’Italia da valico diverso e con destinazione diversa da
quella contenuta nell’ordine del Questore: si veda ad es. , nel
caso in esame , l’ordine del Questore all’imputato “di
lasciare il territorio nazionale attraverso la frontiera di
Fiumicino “, si suppone, ma non si dice, per via aerea
dall’Aeroporto Intercontinentale ubicato in tale Comune:
certamente insussistente sarebbe stato il reato ove l’imputato
fosse stato identificato in uscita dall’Italia, entro i cinque
giorni, ma in automobile, e, ad es. , da Gorizia ) ;
3)
che
il “territorio dello Stato” da lasciare nei cinque giorni
attesa la pregnanza del significato tecnico giuridico
dell’espressione non possa che essere quello definito
dall’art. 4 del
c.p. ( “il territorio della Stato è il territorio
della Repubblica e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello
Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come
territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano
soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge
territoriale straniera” ). Con l’effetto che da una doverosa
rigorosa interpretazione della disposizione in parola
in
favor rei deriva quindi – con esiti non direttamente
considerati e regolati dal legislatore della legge 189/2002, e con
qualche potenziale problema d’ordine pubblico ad es. per Piazza
S. Pietro –
che l’essere trovati al sesto giorno dall’ordine del Questore
ex art. 14 comma 5 bis nel territorio della Repubblica di S.
Marino o della Città del Vaticano non integri il reato in esame,
salvi i poteri di intervento dell’Autorità Italiana di Polizia
in tali territori, previsti dai Trattati in vigore tra la
Repubblica e tali Sovranità
.
Deve
poi aversi prova evidentemente che la persona contro cui si
procede sia la medesima persona fisica cui vennero notificati
decreto di espulsione prima e ordine del Questore poi.
Trattasi di tema di prova tanto ovvio quanto di necessario
rigoroso impegno probatorio da parte di P.G. e P.M. nei casi –
che per il reato in parola saranno la maggioranza – in cui non
si conoscono le effettive generalità dello straniero,
identificato in occasioni diverse con generalità sempre
diverse a mezzo dei rilievi ex art. 349 cpp. Casi, nei quali ,
anche ai fini della convalida dell’arresto in flagranza, deve
aversi evidentemente prova che al momento dell’arresto si fosse
già acquisita prova dell’identità del soggetto come persona
fisica tramite l’acquisizione di ogni possibile notizia o
documento disponibile ed innanzitutto tramite acquisizione
dell’elenco completo dei rilievi fotosegnaletici e
dattiloscopici operati sulla persona in occasione delle diverse
sue identificazioni in Italia, ed innanzitutto in occasione della
notificazione del decreto di espulsione e dell’ordine del
Questore .
A
differenza che per le fattispecie di cui all’art. 13 13° comma
e 14 comma 5 quater T.U. , nelle quali la flagranza non può
essere ravvisabile che nell’essere còlti dalla P.G. nell’atto
di rientrare in Italia dopo l’espulsione ( o subito dopo ), nel
reato in esame – reato
permanente, che punisce il mero “trattenersi” in
Italia – non si porranno di regola problemi relativi alla
ravvisabilità della flagranza, che può cessare solo con
l’uscita dal territorio dello Stato
dopo la scadenza del termine dei cinque giorni “liberi”
dalla notificazione dell’ordine del Questore.
Peraltro,
secondo la regola generale di cui all’art. 385 c.p.p.,
l’arresto in flagranza non può ritenersi consentito e quindi
convalidabile quando , tenuto conto delle circostanze del fatto ,
appare già nell’immediatezza ed in modo evidente da dati
concreti palesemente percepibili agli operanti che il
trattenimento in Italia è dipeso dalla sussistenza di una causa
di non punibilità (es.: palese ed incontestabile totale incapacità
di intendere e di volere del soggetto), ovvero da
una delle scriminanti “generali” del nostro sistema
penale ( es. stato di necessità, nei suoi ordinari contorni
normativi delineati dall’art. 54 c.p. : si pensi ad es. alla
prostituta del cui sfruttamento e della cui riduzione in schiavitù
la P.G. abbia sicura contezza da indagini in corso, che non si
allontana dall’Italia per le minacce di morte del racket, magari
operate in conversazioni intercettate
) .
1.6
---- La
sussistenza di un “giustificato motivo”.
Per
ritenere la responsabilità dell’imputato, anche dopo
l’accertamento della sussistenza dell’elemento oggettivo del
reato in tutti i suoi profili, deve potersi positivamente
escludere la sussistenza del “giustificato motivo” del
trattenimento sul territorio italiano che sia stato allegato dallo
straniero.
L’art.
14 comma 5 ter in esame punisce il trattenersi nel territorio
dello Stato in violazione dell’ordine del Questore di lasciarlo
entro cinque giorni solo ed unicamente ove tale condotta sia posta
in essere “senza giustificato motivo”.
La
norma non definisce in alcun modo il “giustificato motivo”, né
fornisce indicazioni circa i parametri per configurarlo, in tal
modo deliberatamente lasciando all’interprete ed in primo luogo
al Giudice il compito di riempire tale espressione di contenuto e
di trovare il punto di equilibrio e di contemperamento tra la
tutela dell’idoneità dell’ordine del Questore ex art. 14
comma 5 bis a garantire l’effettiva espulsione dello straniero
nei casi in cui non possa essere eseguita dalla forza pubblica ed
altri beni giuridici tutelati nell’ordinamento .
Il
legislatore , consapevole della gran varietà di situazioni
oggettive e soggettive che possono celarsi dietro una mancata
esecuzione dell’ordine del Questore, e dell’impossibilità di
regolarle direttamente con una apposita casistica , con tale
intelligente soluzione crea un meccanismo duttile, idoneo a
soluzioni “aperte” ad una applicazione , in sede
giurisdizionale, anche agli stranieri irregolari, di più di un
Istituto costituzionale.
Peraltro,
l’estrema indeterminatezza del concetto di “giustificato
motivo” da un lato innegabilmente pone il soggetto destinatario
del precetto – oltretutto straniero , e straniero
“irregolare” , quindi quasi per definizione legale estraneo
alle logiche
della legge italiana – nella concreta difficoltà di rendersi
conto di quale sia il comportamento doveroso cui attenersi per
evitare sanzioni penali e dall’altro altrettanto
incontestabilmente può rendere quantomeno nei casi dubbi non
pienamente verificabile secondo parametri oggettivi la correttezza
ermeneutica dell’operazione di sussunzione
( o non sussunzione ) del singolo caso alla fattispecie
astratta. Di fronte all’enorme discrezionalità che residua al
Giudice dal “giustificato motivo”, e tenuto conto che con
sentenza 34 del 1995 la Corte Costituzionale ebbe a dichiarare
l’illegittimità costituzionale , per violazione del principio
di tassatività della norma penale sancito dall’art. 25
Costituzione, dell’art. 7 bis l. 28.2.1990 n. 39 nella parte in
cui puniva con la reclusione lo straniero espulso che
genericamente “non si adoperava” per ottenere dalla competente
autorità diplomatica o consolare il rilascio del documento di
viaggio occorrente per lasciare l’Italia,
l’analoga questione di costituzionalità impostabile
sulla disposizione in esame con riferimento al principio di
tassatività certamente si delinea come non
manifestamente infondata ( seppure non come certamente
fondata: è infatti un dato di fatto che vi sono
nell’ordinamento fattispecie penali, quale l’art. 4 l. 110 /
1975 , od oggi di illecito amministrativo , quale l’art. 15 R.D.
18.6.1931 n. 773 , che da decenni utilizzano il “giustificato
motivo” quale limite
di validità del precetto penale e che hanno superato
il vaglio di costituzionalità sulla base della tesi secondo cui
“il giustificato motivo” è concetto che opera al di fuori
della fattispecie propriamente detta, al di fuori della situazione
di fatto considerata come illecita dalla norma penale , alla quale
solo si ritiene possa riferirsi il principio di tassatività , e
secondo cui tale concetto avrebbe quindi natura di “eccezione”
-- da provarsi quindi nella sua sussistenza in punto di fatto da
parte di chi la deduce – idonea a “paralizzare” la rilevanza
penale della fattispecie vera e propria cui si riferisce : v.
CASS. , VI Pen., 29.10.1984 n. 9369 , e CASS.VI Pen. 22.12.1989 n.
17777 ).
Per
quanto si dirà infra,
attesa la possibilità nel presente giudizio di un immediato
proscioglimento dell’imputato ex art. 129 c.p.p. perché “il
fatto non sussiste” per illegittimità sia del decreto di
espulsione che dell’ordine del Questore, tale questione di
costituzionalità appare comunque nel caso non
rilevante , nel senso di cui all’art. 23 l. 87 /
1953.
Nel
merito, proprio per l’indeterminatezza della formula, le
situazioni considerabili quale “giustificato motivo” potranno
evidentemente essere le più diverse, ed appare inutile tentarne
una analitica casistica.
Può
peraltro osservarsi , in generale, come
il “giustificato motivo” non possa non essere nella norma che
concetto molto più ampio dello “stato di necessità” anche
putativo e delle ordinarie “cause di giustificazione” o non
punibilità – le une e le altre naturalmente
ordinariamente applicabili anche alla fattispecie in esame secondo
i principi generali, nella loro generale configurazione normativa
– e come esso possa
afferire sia a situazioni oggettive sia a condizioni personali del
soggetto .
La
Costituzione , ed il T.U. 286 / 1998 offrono comunque spunti
ermeneutici per riempire di significati la formula in parola, con riferimento
ai diritti fondamentali della persona ( in linea di
massima, difficile appare invece nel sistema la possibilità di un
contemperamento tra l’interesse pubblico istituito con gli artt.
13 e 14 del T.U. e gli interessi solo patrimoniali
dell’individuo : ma anche qui, la casistica potrà forse fornire
qualche caso in cui tale contemperamento possa essere secondo
ragionevolezza impostabile ).
“Giustificati
motivi” di mancata esecuzione dell’ordine del Questore saranno
così innanzitutto ad es., pur come si è detto al di fuori dello
“stato di necessità” in senso tecnico,
l’esigenza di ricevere “soccorso” sanitario , l’
”indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto
idoneo “, o l’essere lo straniero – magari a seguito di sua
iniziativa ed interessamento -- in attesa di rilascio da parte
dell’autorità Consolare del suo Paese di documenti o titoli di
viaggio idonei ed anzi necessari all’esecuzione dell’ordine
del Questore : non vedendosi
come situazioni che nella legge legittimano ed anzi
obbligano il Questore a non eseguire l’accompagnamento alla
frontiera – v. art.
14 1° comma T.U. -- possano diventare situazioni in cui sia
esigibile dallo straniero la condotta di andarsene dall’Italia
con mezzi propri.
“Giustificato
motivo” dell’essersi trattenuti in Italia in violazione
dell’ordine del Questore potrà essere , anche al di fuori dello
“stato di necessità” , la condizione ( provata, o
ragionevolmente considerabile come sussistente ) di persona da
terzi obbligata a prostituirsi o comunque da terzi soggetta a
sfruttamento sessuale , per i notori rischi che un allontanamento
improvviso per uscire dall'’Italia può determinare per reazione
dei soggetti sfruttatori magari associati a delinquere.
La
salute essendo nel sistema “fondamentale diritto
dell’individuo” e
quindi di chiunque senza distinzione – art. 32 Cost. -- anche al
di fuori dello “stato di necessità” e dell’esigenza di
ricevere “soccorso” costituirà certamente “giustificato
motivo “ del mancato allontanamento una condizione di salute
precaria, incompatibile con un viaggio lungo e magari
difficoltoso.
“Giustificato
motivo” sarà l’ assoluta indigenza, e comunque
l’indisponibilità di mezzi economici sufficienti ad un viaggio
in condizioni dignitose per la persona.
“Giustificato
motivo” sarà la sussistenza di una delle situazioni di divieto
di espulsione di cui all’art. 19 T.U. 286 / 1998 , o della
situazione di divieto di espulsione discendente dalla pendenza di
procedura di sanatoria/emersione dal lavoro irregolare di cui alle
leggi 189 e 222 del 2002 , situazioni che siano state per
qualsivoglia motivo pretermesse al momento dell’emanazione dl
decreto di espulsione .
Anche
al di fuori delle situazioni integranti le fattispecie di divieto
di espulsione – lo stato di gravidanza, l’accudire un figlio
sotto i sei mesi , “la convivenza con parente entro il quarto
grado o con coniuge di nazionalità italiana”: art. 19 T.U. –
costituirà certamente “giustificato motivo” , in una
Repubblica che “riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio” ed il “diritto del genitore
di istruire ed educare i figli” , e che “protegge la maternità
e l’infanzia “ ( artt. 29-31 Cost. ), pena
l’incostituzionalità della norma in esame, l’essersi
trattenuti per continuare la convivenza con il coniuge non “di
nazionalità italiana” regolarmente soggiornante o anche
irregolare ma non espulso ( coniuge che ben potrebbe essere oltre
che extracomunitario anche cittadino di altro Paese dell’Unione
Europea ), o per continuare la convivenza con il figlio minore che
per una qualche ragione non possa in concreto seguire il genitore
espulso.
“Giustificato
motivo” potrà essere costituito dall’esposizione , nel Paese
di destinazione, a concreti e dimostrati rischi di applicazione
della pena di morte.
“Giustificato
motivo” potrà essere il fondato timore dell’agente – basato
non su mere illazioni o congetture ma su dati di fatto in qualche
modo notori o verificabili – che l’espulsione
possa esporre a rischi di persecuzione per motivi di razza
, di sesso , di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali o sociali.
“Giustificato
motivo” non potrà invece essere , nello schema della legge, e
nell’opinione di chi scrive, la mancata comprensione
dell’ordine del Questore legittimamente tradotto solo in inglese
o francese o spagnolo nei casi di impossibilità di traduzione
nella lingua madre del destinatario od in altra lingua ad egli
sconosciuta, dal momento che , condivisibile o meno che sia la
soluzione, legittima o meno che la stessa sia sul piano
costituzionale, la legge consente appunto che decreto del Prefetto
ed ordine del Questore possano essere in ultima analisi – di
fronte all’impossibilità di traduzione in lingua conosciuta
all’interessato – formulati , a preferenza del destinatario,
in una di tali lingue: la mancata comprensione potendo casomai
avere rilievo in punto di (in)sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato , anche nella sua dimensione colposa, ovvero
in punto di errore sul fatto che costituisce il reato ( 47 c.p. ).
Sul
piano processuale, se è certo che almeno talune delle situazioni
integranti “giustificato motivo”
possono essere di natura tale da essere immediatamente ed
indiscutibilmente rilevabili nella loro sussistenza già
nell’immediatezza da parte degli operanti senza bisogno di
particolari valutazioni o accertamenti (es., le palesemente gravi
condizioni di salute , impedenti un immediato espatrio ; la
soggezione al racket della prostituzione già nota , alla P.G.
specificamente operante , da precedenti indagini ) , con
l’effetto da rendere in tali casi non convalidabile l’arresto,
è altrettanto evidente che di regola le situazioni integranti
“giustificato motivo” verranno in considerazione , dopo la
fase di convalida , nel giudizio direttissimo. Esse in dati casi
dovranno essere necessariamente allegate dall’interessato ( ad
es. quelle derivanti da legami familiari, o da situazioni di
esposizione a rischi di persecuzione nel Paese di origine ), in
altri casi potranno essere rilevate direttamente dal Giudice (
quelle legate all’indigenza, all’indisponibilità di vettore,
alle condizioni sanitarie , alla sussistenza di una delle
fattispecie di divieto di espulsione ). In un caso come
nell’altro, rilevate d’ufficio o allegate che siano
dall’interessato, le situazioni di possibile riconduzione al
“giustificato motivo” diventano altrettanti temi
di prova per le Parti e per i poteri officiosi del
Giudice ex artt. 441 5° comma e 507 c.p.p.
La
sussistenza del “giustificato motivo” – o la mancanza,
insufficienza, contraddittorietà della prova della sua
insussistenza – porterà all’assoluzione “perché il fatto
non costituisce reato”.
1.7.
– La sussistenza dell’elemento soggettivo della
fattispecie, nella sua forma dolosa ovvero colposa.
Il
reato di cui all’art. 14 comma 5 ter T.U. 286 / 1998 è reato
contravvenzionale, con l’effetto che l’agente può risponderne
anche solo a titolo colposo
( 42 u.c. c.p. ). E , attesa la struttura della fattispecie , è
proprio in relazione alla ipotesi di violazione nella sua forma
colposa che possono porsi gli unici problemi applicativi.
Al riguardo, deve
ritenersi che nei casi in cui il decreto del Prefetto e l’ordine
del Questore siano stati notificati allo straniero in testo non
tradotto nella lingua madre dell’interessato od in lingua a lui
comprensibile ( laddove possibile ) e nemmeno in
inglese/francese/spagnolo , ovvero nei casi in cui – impossibile
la traduzione in lingua nota -- tali atti siano stati
legittimamente tradotti a richiesta dell’interessato in una
delle lingue inglese o francese o spagnola però a lui non note (
secondo l’esaminato combinato disposto degli artt. 13 comma 7
T.U. e 3 comma 3 DPR 304 del 1999 ) , lo straniero bene possa
allegare e dimostrare la sua mancata comprensione del contenuto
dell’ordine del Questore e con essa quella difettosa
rappresentazione della realtà – idonea a determinarlo a
trattenersi in Italia oltre i cinque giorni dalla notifica
sull’erroneo presupposto di non avere ricevuto ordine di
allontanarsene in tali ristretti termini – che rende
“l’errore sul fatto che costituisce il reato” ( art. 47 c.p.
) . E che altresì possa allegare la natura non colposa di tale
mancata comprensione: apparendo arduo , per ritenere anche solo la
colpa nella forma della “negligenza”, costruire a carico di
chi si trova nella condizione di straniero non regolarmente
soggiornante ed espulso – magari indigente ed in precaria salute
-- un obbligo di diligenza nel farsi rapidamente tradurre
nell’ambito di pochi giorni da terzi in lingua nota l’ordine
del Questore, obbligo non previsto da alcuna disposizione, e
condotta in concreto non esigibile.
Per altro verso,
ove l’ordine del Questore , in violazione del comma 5 bis
dell’art. 14 T.U. , non rechi “l’indicazione delle
conseguenze penali della sua trasgressione”, deve ritenersi lo
straniero possa legittimamente allegare una scusabile -- perché
“inevitabile” --
ignoranza della legge penale
(art. 5 c.p., come interpretato da Corte Cost. 364 / 1988 )
. Da un lato trattasi infatti di uno di quei reati definibili –
secondo le formule della giurisprudenza in materia – come “di
pura creazione legislativa”, “senza riscontro nella coscienza
collettiva” o “nelle norme di civiltà”, di uno di quei
reati estranei alla collettiva consapevolezza della
“devianza”, e d’altro canto trattasi di norma rivolta allo
straniero irregolarmente entrato in Italia
e la cui espulsione è in via di esecuzione
, vale a dire a chi per
definizione può essere ritenuto estraneo a
quell'obbligo di informazione e di conoscenza circa i precetti
legislativi (posto a carico di tutti i cittadini e più in
generale di tutta la comunità regolarmente soggiornante sul
territorio nazionale) che è alla base della regola per cui
“nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge
penale”: del che il legislatore dell’art. 14 comma 5 ter è
del resto perfettamente consapevole , proprio per avere
espressamente previsto che l’ordine del Questore contenga
l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione (
il tutto, salva naturalmente la valutazione del Giudice caso per
caso , rimanendo possibile ogni prova contraria anche di ordine
logico circa la conoscenza comunque avuta del precetto penale,
prova da valutarsi anche tenendo conto del periodo più o meno
breve di pregressa permanenza in Italia dello straniero al momento
della notifica dell’ordine; e salvo del pari quanto si è detto
in ordine all’illegittimità dell’ordine che non contenga
l’indicazione in parola ).
2
--- L’insussistenza del reato nel caso specifico
2.1.
--- Lo svolgimento del giudizio.
Il
giorno 30.12.2002, in via delle Terme di Diocleziano in ROMA (
vicino alla stazione Termini ), alle ore 23 circa, l’attuale
imputato veniva visto da alcuni agenti di P.G. colpire alle mani
con un coccio di bottiglia un cittadino rumeno, che peraltro non
presentava querela. Sprovvisto di documenti, veniva quindi
accompagnato in Questura per essere fotosegnalato . Dagli
accertamenti identificativi di rito , che terminavano la mattina
successiva, emergeva che l’uomo – che aveva nell’occasione
declinato le generalità con le quali si procede – era la stessa
persona fisica cui in data 22.12.2002 era stato notificato ordine
del Questore di ROMA emesso ex art. 14 comma 5 bis D.L. vo 286 /
1998 “di lasciare il territorio nazionale
attraverso la frontiera di FIUMICINO entro il termine di
cinque giorni dalla notifica” , ordine seguito al decreto di
espulsione amministrativa emanato dal Prefetto di ROMA il
14.9.2002 “ex art. 13 comma
2 lett. b) T.U. 286 / 1998 “. Il sedicente Mohammed Tizio veniva
quindi arrestato, alle ore 12.00 del 31.12.2002, per il reato di
cui in imputazione.
All’ udienza di
convalida , cui il
P.M. presentava l’arrestato
in stato di detenzione (evidentemente ritenendo inapplicabile
l’art. 121 disp.att. c.p.p. nonostante la natura
contravvenzionale del reato e l’impossibilità giuridica di
richiedere misure cautelari ), udienza svoltasi con la presenza
dell’interprete di lingua romena ( unico idioma conosciuto
dall’arrestato) e conclusasi il 2.1.2002 alle ore
10.15 ,
ascoltatosi il Sovr.te di Polizia di Stato Caio , uno degli
operanti --
che riferìva quanto sopra in ordine agli accertamenti
sfociati nell’arresto – veniva interrogato l’imputato, che ,
dopo essersi dichiarato di lingua nazionalità e cittadinanza
romene, dopo avere allegato di non comprendere la lingua italiana
o lingue diverse dal romeno (
neanche per iscritto ), dopo avere ammesso di essere non
regolarmente soggiornante in Italia e di essere stato arrestato in
settembre per tentato furto, dopo avere escluso la pendenza con
riguardo alla sua persona di
procedura di sanatoria-emersione dal lavoro irregolare ex l.
189/2002, e dopo avere allegato di essere in Italia da solo senza
parenti senza fissa dimora e senza lavoro
, nel merito giustificava
il suo non essersi allontanato dall’Italia nei 5 giorni indicati
dall’ordine del Questore per aver capito il contenuto di tale
atto, con l’aiuto di altri connazionali , “solo dopo 4-5
giorni” , “per non aver trovato un mezzo disponibile per
partire” per la Romania , per aver tentato di trovare un lavoro
in Italia.
L’ arresto in
flagranza veniva quindi convalidato, ritenendosi la correttezza e
la legittimità delle valutazioni e delle decisioni prese dalla
P.G. nella situazione di fatto descritta per come la medesima si
era resa percepibile e giuridicamente qualificabile agli operanti
nell’immediatezza e sul posto ( presenza in Italia di persona
raggiunta da ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis cit.
apparentemente valido, a otto giorni dalla sua notifica ).
L’imputato
chiedeva quindi di essere immediatamente giudicato con rito
abbreviato non condizionato alla acquisizione di ulteriori fonti
di prova, e con udienza pubblica. Il Giudice disponeva il rito
abbreviato. L'imputato non rendeva ulteriori dichiarazioni, le
Parti concludevano come riportato in intestazione.
2.2.
--- L’illegittimità del decreto di espulsione del Prefetto
emesso il 14.2.2002 nei confronti dell’imputato per violazione
del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. 286 / 1998 e 3
3° comma D.P.R 394 / 1999, e per totale difetto di motivazione in
ordine alla scelta delle lingue di redazione dell’atto .
E’ agli atti
decreto di espulsione amministrativa, redatto in italiano ed in
inglese, emesso dal
Prefetto di ROMA nei confronti dell’imputato il 14.9.2002 del
seguente testuale tenore:
“Il
Prefetto della Provincia di ROMA, ESAMINATI gli atti dai quali
risulta che GAINARU Ionut Gabriel, nato il 7.4.1983, di nazionalità
ROMANIA, è stato rintracciato in data odierna dai CC di
Grottaferrata; CONSIDERATO che il predetto ha dichiarato di essere
entrato in Italia il 5.8.2002 e di non aver regolarizzato la
posizione di soggiorno ai sensi dell’art. 5 comma 2 del D.L. 286
del 25.7.1998; RITENUTO che il presente provvedimento costituisca
atto dovuto e non discrezionale, per cui, vista l’urgenza di
adottarlo, si omette la comunicazione prevista dagli artt. 7 e 8
della legge 241 del 7.8.1990; LETTO l’art. 13 comma 2 lettera b)
e comma 4 del D.L. 286 / 1998, così come modificato dalla legge
30.7.2002 n. 189 , DECRETA : il cittadino sopra generalizzato è
espulso, il presente provvedimento è immediatamente esecutivo
anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte
dell’interessato; l’espulsione è eseguita dal Questore della
Provincia ove lo straniero è rintracciato con accompagnamento
alla frontiera a mezzo della forza pubblica…”. (
seguono le indicazioni riguardo alle sanzioni previste dall’art.
13 comma 13 T.U. per chi, uscito dall’Italia, vi rientra prima
di 10 anni senza autorizzazione del Ministro dell’Interno,
l’indicazione delle modalità di impugnazione dell’atto,
l’indicazione relativa alla possibilità di chiedere
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, seppure con
l’evitabile pressapochismo di fare riferimento alla abrogata
“legge 217/1990” ).
Per quanto sopra
sub 1.2. , tale decreto è da ritenersi illegittimo per violazione
del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3 3° comma
seconda parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394, perchè lesivo quindi del
diritto di Difesa garantito dall’art. 24 Costituzione anche allo
straniero non regolarmente soggiornante , e per totale difetto di
motivazione in ordine alle lingue nelle quali è stato redatto.
Emanato nei
confronti di persona indicata nell’atto come “di nazionalità
romena” , l’atto, per essere valido , ed in applicazione della
citata condivisibile giurisprudenza di legittimità ( v. sub 1.2.
) , doveva in alternativa: 1 ) essere redatto in romeno, nella
lingua madre del destinatario, dandosi atto in motivazione di come
si fosse ritenuta attendibile la dichiarazione di nazionalità
romena e di come si fosse ritenuto sussistente anche solo il
dubbio circa la comprensione da parte dell’interessato della
lingua italiana; 2 ) ovvero , per essere redatto – come è stato
redatto – nelle sole lingue italiana ed inglese, doveva dare
conto in motivazione del perché si fosse ritenuta “non
possibile” la traduzione in lingua “comprensibile”
all’interessato : e quindi del perché si fosse ritenuta non
attendibile la dichiarazione di nazionalità romena o più in
generale del perché si fosse in ipotesi ritenuta non accertata la
effettiva nazionalità dell’interessato , ovvero del perché ,
pur ritenendosi accertata la nazionalità romena, si fosse
ritenuta “non possibile” la traduzione in romeno “quale
lingua che per la sua rarità non consente l’agevole reperimento
di un traduttore”: in entrambi i casi, dando atto poi altresì
della “preferenza” espressa dall’interessato per l’inglese
anziché per lo spagnolo o per il francese, secondo quanto
previsto dall’art. 3 comma 3 DPR 394 / 1999.
Nulla di tutto
questo. Il decreto , dopo aver indicato l’imputato non come
“di dichiarata nazionalità romena” bensì cime “di
nazionalità romena” ,
non contiene una parola sull’argomento, sul perché della
redazione nelle sole lingue italiana ed inglese.
GAINARU Ionut
Gabriel , dal canto suo , ha dichiarato di parlare e comprendere ,
anche per iscritto, la sola lingua romena , e di essere di
nazionalità e cittadinanza romena. Di più, ha dichiarato di
avere compreso non il decreto del Prefetto ma addirittura anche
l’ordine del Questore del 22.12.2002 non prima di “4-5 giorni
“ dalla notifica di quest’ultimo.
Per quanto in
atti, aveva diritto ad una traduzione in lingua romena, certo
idioma “non particolarmente raro” al punto da rendere
impossibile ad una Autorità quale il Prefetto di ROMA
il rapido reperimento di un traduttore ( ciò a
prescindersi dal fatto che trattasi di atto dal contenuto per il
90 % standardizzabile e quindi traducibile una volta per tutte
dall’Ufficio in appositi modelli). Anche a voler dare per
provata – perché non contestata ed implicitamente affermata
dagli atti – l’avvenuta notificazione del decreto di
espulsione all’imputato ( notificazione invero non documentata
agli atti ) , la mancata traduzione del decreto deve ritenersi
abbia certamente leso il diritto
di GAINARU Inout Gabriel di comprenderlo , di predisporre una
Difesa e di impugnarlo nei ristretti termini di cui al comma 8
dell’art. 13 T.U.
Il decreto di
espulsione deve quindi essere disapplicato, e per ciò solo,
venendo meno una parte essenziale dell’elemento oggettivo della
fattispecie, l’imputato va assolto “perché il fatto non
sussiste”.
2.3.
--- L’illegittimità, per diversi profili, dell’ordine del
Questore emesso il 22.12.2002 ai sensi dell’art. 14 comma 5 bis
T.U. 286 / 1998. L’assenza di prova in ordine alla sussistenza ,
al 22.12.2002, della situazione di fatto legittimante la sua
emissione.
Quanto
detto al paragrafo precedente potrebbe esimere dall’aggiungere
una sola parola alla presente motivazione.
Per completezza,
appare opportuno rilevare altresì quelli che sono nel caso i
profili di illegittimità dell’ordine del Questore notificato
all’imputato il 22.12.2002 ex art. 14 comma 5 bis T.U.
Questo il testo
del decreto, anch’esso redatto nelle sole lingue italiana ed
inglese:
“IL
QUESTORE DELLA PROVINCIA di ROMA, ESAMINATI gli atti dai quali si
rileva che GAINARU Ionut Gabriel , di nazionalità romena, è
stato rintracciato in data odierna da personale della POLFER
TERMINI; CONSIDERATO che il predetto risulta espulso dal
Territorio dello Stato con le generalità di GAINARU Ionut Gabriel
nato il 7.4.1983 in ROMANIA giusta decreto di espulsione del
Prefetto di ROMA emesso in data 14.9.2002; RILEVATO che in data
odierna non è stato possibile trattenere lo straniero presso il
Centro di Permanenza Temporanea per indisponibilità di posti;
visto l’art. 14 comma 5 bis, 5 ter, 5 quater del D.L. 286 /
1998, così come modificato dalla legge 189 / 2002, ORDINA al
predetto cittadino straniero di lasciare il Territorio Nazionale
attraverso la frontiera di Fiumicino entro il termine di cinque
giorni dalla notifica del presente atto; copia dello stesso è
rilasciato allo straniero che è tenuto ad esibirla agli Uffici di
Polizia di Frontiera all’atto di lasciare il Territorio
Nazionale . Lo straniero che senza giustificato motivo si
trattiene nel territorio dello Stato in violazione del presente
ordine è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno . In tal
caso si procede ad una nuova espulsione con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica. L’arresto è
obbligatorio e si procede per rito direttissimo “.
Rilevatosi come
l’illegittimità del decreto di espulsione prefettizio travolga
in ogni caso la legittimità dell’ordine di esecuzione del
Questore , osservatosi
incidentalmente come nell’ordine in esame la traduzione in
inglese susciti diverse perplessità potendo determinare lesivi
equivoci (si veda l’avvertimento per cui in caso di arresto per
il reato in esame si verrà “summarily tried” –
“sommariamente processati” -- con fuorviante erronea e
minacciosa traduzione di “giudizio direttissimo” ) , e
rilevatosi come
l’atto contenga una cogente indicazione del valico dal quale lo
straniero deve lasciare il territorio dello Stato assolutamente
non prevista dalla legge ( il Questore accompagna lo straniero con
la forza pubblica al valico ritenuto più idoneo, ma , ove sia
costretto ad emanare l’ordine ex comma 5 bis dell’art. 14 deve
ritenersi lo straniero sia “libero” di andarsene con il mezzo
e dal valico preferiti ) , diversi sono nel caso i profili di
illegittimità formale dell’ordine ravvisabili:
1)
innanzitutto
, l’ordine è redatto nelle sole lingue italiana ed inglese , e
non vi è una parola di motivazione in ordine al perché di tale
modo di procedere ( violazione del combinato disposto degli artt.
13 comma 7 T.U.—3 comma 3 DPR 394/1999 e dell’art. 3 comma 4
l. 241/1990: e si rimanda a quanto si è detto al paragrafo
precedente per il decreto di espulsione );
2)
in
secondo luogo, in violazione degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3
ultimo comma l. 241 / 1990 , l’ordine non contiene
l’indicazione relativa alle modalità di sua impugnazione (certo
per il silenzio della legge sul punto, v. supra
sub 1.4: da ritenersi quindi la più veniale delle mancanze )
3)
trattandosi
di persona sprovvista di documenti e di generalità incerte, del
tutto carente è la motivazione in ordine alle modalità con le
quali si è accertato che la persona destinataria dell’atto sia
la stessa persona fisica destinataria del decreto di espulsione
14.9.2002 del Prefetto di ROMA ( sarebbe stata sufficiente nel
caso l’indicazione delle date e dei luoghi dei precedenti
rilievi fotosegnaletici del soggetto, ed in particolare di quelli
operati il 13-14.9.2002 );
4)
totale
è l’assenza di motivazione sulla sussistenza della situazione
di fatto legittimante l’emanazione dell’ordine ex comma 5 bis
dell’art. 14 : ci si limita ad affermare apoditticamente, che
“in data odierna non è stato possibile trattenere lo straniero
presso il Centro di Permanenza Temporanea per indisponibilità di
posti” – tra l’altro senza neanche indicare di quale Centro
si parli e del perché non se ne sono considerati altri – ma non
si dice una parola sulle ragioni per le quali al 22.12.2002 vi
fosse impossibilità di accompagnamento diretto alla frontiera a
mezzo della forza pubblica, né una parola sulla eseguibilità
giuridica del decreto di espulsione per insussistenza di
procedimenti penali cui GAINARU fosse sottoposto o per intervenuto
nulla osta delle A.G. procedenti ( v. paragrafo 1.3.: motivazione
nel caso oltremodo necessaria, risultando che l’imputato sia
stato arrestato il 15.9.2002 per tentato furto ).
Al
di là dei profili di legittimità formale dell’atto e dei vizi
di motivazione, ad esito del giudizio abbreviato è dato
poi naturalmente di rilevare , in questo quadro, come
difetti la prova della sussistenza in fatto della fattispecie
legittimante l’emissione dell’ordine . Non è infatti provata
l’impossibilità al 22.12.2002 di accompagnamento alla frontiera
a mezzo della forza pubblica ( per indisponibilità di vettore o
per altra ragione ), non è provata per quella data l’allegata
indisponibilità di posti-letto nei Centri di Permanenza
Temporanea utilizzabili, non è provato che l’A.G. procedente a
seguito dell’arresto per tentato furto aggravato del 15.9.2002
abbia rilasciato al Questore di ROMA il nulla osta
all’espulsione ai sensi dell’art. 13 comma 3 T.U. , non
essendo anzi provato neanche che il Questore lo abbia richiesto
( il Giudice non ha ritenuto di disporre accertamenti
ufficiosi su tutti tali punti , ai sensi dell’art. 441 comma 5
c.p.p. , attesa la doverosità, per quanto sinora dettosi, di una
immediata assoluzione ex art. 129 c.p.p. ).
Con
l’illegittimità dell’ordine ex art. 14 comma 5 bis emesso il
22.12.2002 nei confronti dell’imputato , venendo meno una
ulteriore parte dell’elemento oggettivo del reato , anche per
questa via, e a
prescindersi dall’illegittimità del decreto del Prefetto , non
può che seguire assoluzione “perché il fatto non sussiste”.
2.3.
--- Ulteriori osservazioni.
L’obbligo
di procedere ad una immediata assoluzione dell’imputato “perché
il fatto non sussiste” – derivante dall’illegittimità del
decreto di espulsione e dell’ordine di esecuzione del Questore ,
e dalla loro disapplicazione
-- esime da ogni analisi relativa alla sussistenza nel caso
dell’elemento soggettivo del reato, o di un “giustificato
motivo” del trattenersi ( quest’ultimo peraltro prima
facie rilevabile per quanto in atti nella condizione di
assoluta indisponibilità di mezzi economici e di trasporto, ma
anche di riferimenti personali,
in cui al momento del fatto versava l’imputato,
oltretutto senza documenti e titoli di viaggio ) .
Va
solo sottolineato ancora come tale possibilità di immediata
assoluzione renda in senso tecnico comunque non
rilevante al di là del merito la questione di
costituzionalità dell’art. 14 comma 5 ter T.U. , nella parte in
cui prevede il “giustificato motivo” , per violazione del
principio di tassatività della norma penale , sinteticamente
discussa supra
sub 1.6.
p.
q. m. , il Tribunale Ordinario di Roma, in composizione
monocratica, visti gli artt. 129, , 442, 530 e ss c.p.p.,
1
) assolve l’imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto non
sussiste;
2
) indica in giorni sessanta il termine per il deposito della
motivazione.
IL GIUDICE
( dott. Valerio SAVIO )
DEPOSITATA
20 febbraio 2003