MOTIVI DELLA DECISIONE
TIZIO è
stato tratto a giudizio, chiamato a rispondere del reato
di cui alla rubrica.
All'esito
dell'odierno dibattimento ritiene il Tribunale di dover adottare la
seguente decisione.
A carico
dell'arrestato sussistono elementi in ordine reato de quo
come emerge dalla confessione resa(con la precisazione che non
era uscito dalla casse) e dalla testimonianza dell'operante m.llo CAIO
che descrive compiutamente i fatti. TIZIO fu sorpreso dall'addetta
antitaccheggio SEMPRONIA(sentita come teste) a prendere tranche di
prosciutto, per un valore di 87 euro, nascoste nei pantaloni. Fu fermato
dopo le casse dall'addetta e dalla guardia giurata.
Orbene va
accolta la richiesta del P. M. di assoluzione del prevenuto, non
potendosi escludere ai sensi dell'art. 530 3° co. c.p.p. che l'azione
criminosa fu dettata dall'indigenza per soddisfare i primari bisogni
alimentari.
Non si può
escludere, quindi, come espressamente sottolineato dal P. M., che il
prevenuto fosse spinto nella sua azione dalla necessità di salvare se
stesso dal pericolo attuale di un danno grave alla salute e alla vita
rappresentato dal bisogno alimentare non altrimenti soddisfatto.
Una
vecchia giurisprudenza escludeva lo stato di necessità per chi agisca
spinto da necessità attinenti all'alimentazione
"poiché la moderna organizzazione sociale, venendo
incontro con diversi mezzi ed istituti agli indigenti, agli
inabili al lavoro e ai
bisognosi in genere, elimina per costoro il pericolo di restare privi di
quanto occorre per
<omissis> il loro sostentamento quotidiano"(Cass. Sez. III 24
maggio 1961, P. M. c. De Leo, Giust.
pen. 1962, II 81, m. 68).
Trattasi
di giurisprudenza
riferentesi a un contesto sociale diverso da quello attuale dove
l'entrata in massa di extracomunitari e la diffusione allarmante della
povertà anche tra i nostri connazionali rende praticamente impossibile
predicare l'esistenza di organizzazioni atte ad accogliere e a nutrire
davvero tutti gl'indigenti. E, quindi, più che mai si pone il problema
di affrontare modi e forme del sostentamento di queste persone,
rendendosi necessario ampliare il concetto di stato di bisogno quando
vengano da essi commesse infrazioni minime al consesso sociale,
soprattutto in materie ai limiti del danno puramente civile, ove questo
stesso mai esista. Ciò è tanto più vero ove si pensi che il
fondamento della scriminante è stato colto nell'istinto della
conservazione, incoercibile nell'uomo(Maggiore, Diritto
Penale, Parte generale, 5a ed., Bologna 1951, p. 319).
Tale
inquadramento risponde anche a
principi fondamentali garantiti dalla Costituzione come i diritti
inviolabili dell'uomo(art. 2 della Cost.), in cui è da ricomprendersi
il diritto a nutrirsi, e il
diritto alla salute(art. 32 della Cost.) compromesso naturalmente in
chi, non riuscendo a procurarsi un lavoro normale suo malgrado, non
abbia i mezzi minimi per il suo sostentamento alimentare. Le norme
costituzionali testé citate rendono anche edotti della gravità del
danno(attuale e continuato) derivante alla persona dalla mancanza
assoluta di mezzi per sostentarsi, altro requisito richiesto dalla
giurisprudenza costante(Cass. sez. III, 4 dicembre 1981, n. 10772) per potersi configurare lo stato di necessità
da mettere in rapporto col danno in concreto arrecato.
Più in
generale la decisione va ancorata alla teoria dell'anablabe
(dal greco ana + blabe= senza danno) ovvero dell'ancoraggio della punizione di un
reato a un concreto danno arrecato, secondo insegnamenti della
giurisprudenza soprattutto in ipotesi
di falso. Nel caso concreto
nessun danno ne è derivato essendo stata recuperata la refurtiva di
poco valore.
In conclusione, necessitas
non habet legem, quindi. Difetta l'antigiuridicità del
comportamento incriminato perché il comportamento fu dettato dallo
scopo di alimentarsi e soprattutto per mancanza del danno sociale
rilevante ai fini penalistici.
Pertanto s'impone l'assoluzione.
P.Q.M.
visto l'art. 530 3° co. c.p.p.
assolve TIZIO dal reato ascrittogli
perché il fatto non costituisce reato
per aver agito in stato di necessità ex art. 54 c.p..
IL GIUDICE
Dott. GENNARO FRANCIONE