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LA CONSULTA HA DECISO: QUESTO PROCESSO INDIZIARIO S'HA DA FARE
di
Gigi Trilemma
La Corte Costituzionale con Ordinanza n. 302-Anno 2001
ha respinto la richiesta del giudice Gennaro Francione di
dichiarare l'incostituzionalità del processo indiziario.
(vai
sotto per il provvedimento)
Un'occasione
perduta per abbandonare definitivamente i processi letterari e dare definitivo spazio al processo scientifico basato su
prove certe e non su indizi. Dispiace il sistema sbrigativo con cui la
Consulta ha risolto la questione epistemologica, evitando di affrontare
il quesito cruciale sulla metodologia stessa della prova là dove
afferma che intende "prescindere da ogni valutazione sulla esattezza
delle concezioni epistemologiche illustrate dal giudice a quo" senza
altro aggiungere. Il giudice proponente invitava invece proprio a
fare ciò, cioè a decidere non con i criteri tautologici del formalismo
giuridico ma basandosi sui principi della moderna epistemologia, che
sola può definire ciò che è certo e ciò che è falso in qualunque
procedimento volto a raccogliere prove su fatti.
La verità è che "la prova indiziaria - come
detto nell'ordinanza della Consulta - è compenetrata nella
tradizione processuale, non solo italiana", è ed è estremamente
arduo rimuovere concezioni ataviche in quanto il sistema tende a ritornare
perennemente su se stesso e ad autogiustificarsi. Ciò si evidenza anche
nel prosieguo della scarna ordinanza là dove si afferma "che con
l'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. il legislatore del 1988 ha solo inteso
porre dei limiti al discrezionale apprezzamento dei dati indiziari,
introducendo un parametro legale di valutazione probatoria analogo a
quello recato dall'art. 2729 del codice civile (v. Relazione Prog.
Prelim.., p. 61); e pertanto,
l'accoglimento della questione, risolvendosi nella soppressione di tale
regola limitativa, produrrebbe un risultato antitetico a quello perseguito
dal giudice a quo, in contraddizione con le sue premesse
argomentative".
Qui si cade in una petitio principii: il problema non è di
rendere illimitato l'uso del processo indiziario, ma di eliminarlo
del tutto quando solo su di esso si basi il convincimento del
magistrato, ritornando alla regola base espressa dalla norma: il processo
si fa per prove. Ciò per i pericoli connessi a questa procedura per la
libertà delle persone, più che mai garantito dal pari diritto ad avere
tutti un processo per prove e non per indizi, anche alla luce - secondo il
proponente Francione - del nuovo art.111 della Costituzione che garantisce
l'imparzialità dei giudice.
Col ragionamento formale e col rispetto apparente del
criterio limitativo della legge, richiedente indizi gravi, precisi e
concordanti, qualunque ammasso indiziario può essere
usato dal giudice sia pur in buona fede, grazie all'illimitatezza del suo
libero convincimento, per verdetti di condanna.
Insomma, noi siamo d'accordo con Francione: se un
indizio è uguale a zero, mille indizi, un milione di indizi
sono uguali a zero. Questa è la sentenza della scienza moderna di
cui, e ci dispiace, la
Consulta non ha voluto tener conto.
Ma il seme contro le ordalie logiche è gettato.
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ORDINANZA
N.302 ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: - Cesare RUPERTO Presidente - Fernando SANTOSUOSSO
Giudice - Massimo VARI " - Riccardo CHIEPPA " - Gustavo
ZAGREBELSKY " - Valerio ONIDA " - Carlo MEZZANOTTE " -
Fernanda CONTRI " - Guido NEPPI MODONA " - Piero Alberto
CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI " - Giovanni Maria FLICK " ha pronunciato la
seguente ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 192, comma 2, del
codice di procedura penale, promosso nell'ambito di un procedimento penale
dal Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 13 giugno 2000, iscritta al
n. 653 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2001 il Giudice relatore
Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 30 giugno 2000 il Tribunale di Roma, in
composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13
e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 192, comma 2, del codice di procedura penale, in quanto
prevede che l’esistenza di un fatto possa essere desunta da indizi;
che il rimettente premette di essere chiamato a giudicare un soggetto
imputato del furto di un paio di occhiali, a carico del quale sono state
raccolte mere prove indiziarie, non sufficienti per ritenere accertata la
condotta contestata e, in particolare, che la res furtiva sia sicuramente
identificabile negli occhiali, di marca largamente diffusa, trovati in
possesso dell’imputato;
che peraltro il giudice a quo sostiene che la prova indiziaria,
formalmente introdotta solo nel vigente codice di rito - essendo nel
sistema del precedente codice un prodotto di elaborazione
giurisprudenziale -, è epistemologicamente inappagante, posto che, alla
stregua degli approdi cui è pervenuta la filosofia della scienza in
materia, l’esistenza di un fatto non potrebbe mai essere desunta da
indizi, quand’anche "gravi, precisi e concordanti", essendo
invece a tal fine necessario procedere «non solo alla verifica dei dati
ma alla loro rigorosa falsificazione, in prova e controprova attraverso la
processazione di ulteriori dati che potrebbero scalfire l’ipotesi base»,
così da realizzare un sistema di accertamento giudiziale basato
unicamente «su prove (non indizi), sicure e fortissime», e, soprattutto,
su «prove scientifiche»;
che, secondo il rimettente, stanti tali premesse, la norma impugnata
sarebbe in contrasto con l’art. 111 [primo comma] della Costituzione,
nella nuova formulazione recata dalla recente legge costituzionale, che,
affermando il principio del giusto processo nell’attuazione della
giurisdizione, implica non solo l’esigenza della parità tra le parti ma
anche l’adozione di un criterio di rigorosa valutazione delle prove a
carico degli imputati: «ad evitare ogni forma di alea che comprometta la
parità dei cittadini imputati di fronte alla legge, avendo tutti il
diritto di avere il processo per prove forti, che portino davanti a
qualunque giudice al medesimo risultato, e non per indizi»;
che a tale conclusione dovrebbe pervenirsi anche sulla base
dell’ulteriore disposizione [secondo comma] del medesimo art. 111, che
impone lo svolgimento del processo nel contraddittorio tra le parti, in
condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, atteso che la
imparzialità e terzietà del giudice è assicurata solo da un «sistema
probatorio scientifico […] che salvaguardi i processi da pure
ricostruzioni logiche (indiziarie e congetturali)»;
che, inoltre, il processo indiziario, non garantendo la «certezza del
diritto e della prova», non assicurerebbe nemmeno l’eguaglianza dei
cittadini davanti alla legge, con conseguente lesione dell’art. 3 Cost.,
dato che la garanzia dell’eguaglianza «nasce proprio dal rigore del
metodo epistemologico»;
che, infine, potendo la prova indiziaria «compromettere ingiustamente la
libertà» dei sottoposti al processo per effetto di carcerazioni
preventive anche lunghe, sarebbe ravvisabile, a parere del rimettente,
anche la lesione degli artt. 2 e 13 Cost.;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
Considerato che, a prescindere da ogni valutazione sulla esattezza delle
concezioni "epistemologiche" illustrate dal giudice a quo, la
richiesta soppressione della norma impugnata non condurrebbe a eliminare
la prova indiziaria dal panorama conoscitivo del processo penale;
che, infatti, la prova indiziaria, compenetrata nella risalente tradizione
processuale, non solo italiana, costituiva già legittimo fondamento del
convincimento del giudice nella vigenza del codice di rito abrogato, come
riconosce lo stesso rimettente;
che con l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. il legislatore del 1988 ha
solo inteso porre dei limiti al discrezionale apprezzamento dei dati
indiziari, introducendo un parametro legale di valutazione probatoria
analogo a quello recato dall’art. 2729 del codice civile (v. Relazione
Prog. prel., p. 61);
che, pertanto, l’accoglimento della questione, risolvendosi nella
soppressione di tale regola limitativa, produrrebbe un risultato
antitetico a quello perseguito dal giudice a quo, in contraddizione con le
sue premesse argomentative;
che, per di più, il rimettente illustra gli elementi di prova a carico
dell’imputato in modo da lasciare intendere che si tratta di indizi non
concludenti per una affermazione di colpevolezza, sicché la eliminazione
della norma impugnata, contrariamente a quanto puntualizzato
nell’ordinanza, non potrebbe incidere sul contenuto della sua decisione;
che sotto entrambi i profili la questione è pertanto manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9,
secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 192, comma 2, del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione,
dal Tribunale di Roma con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 12 luglio 2001.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2001.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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