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                       COMUNICATO STAMPA

                 ASSOCIAZIONE RINASCIMENTO 2000

Il giorno 13 luglio 2001 il giudice dott. Gennaro Francione del Tribunale di Roma in veste monocratica, divenuto famoso per aver assolto extracomunitari venditori di cd contraffatti per aver essi agito in stato di necessità(bisogno di sfamarsi), ha pronunciato una clamorosa ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale ritenendo contro i principi della Costituzione la presenza delle parti civili nei processi penali. In particolare, ritiene il giudice Francione, quella presenza compromette il duello ad armi pari tra accusa e difesa sancito dall'art. 111 della Costituzione e già imperante nel rito anglosassone, squilibrando le forze in campo a favore dell'accusa.

Inoltre la presenza della parte civile può compromettere la ricerca della verità nei processi indiziari, pur essi precedentemente ritenuti aleatori e antiscientifici da Francione e sottoposti al vaglio sub iudice della Corte Costituzionale. Il fenomeno del pericolo di compromissione è tanto più vistoso quanto più il processo è eclatante e seguito da tutti i massmedia che creano una pressione considerevole sull'opinione pubblica alla ricerca del capro espiatorio.

Infine la presenza della parte civile compromette la celerità dei processi, che è necessario assicurare per evitare l'ennesima condanna dell'Italia presso la Corte di Strasburgo.Il processo, infatti, come si rileva da tutta la normativa primaria costituzionale e dal codice di procedura penale deve tendere in primis a un solo, veloce, inequivocabile scopo: dimostrare la colpevolezza dell'imputato, al di fuori di qualunque condizionamento e nella piena parità di forze e di metodologie tra accusa e difesa.

 

 

 

IL TRIBUNALE DI ROMA

 

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

 

RILEVA

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Tizio e Caia in via preliminare il P.M. e la difesa degl'imputati, avendo rilevato una possibile prescrizione del reato di lesioni di cui al capo a) e residuando il solo reato di detenzione e porto illecito di armi di cui al capo b), chiedevano congiuntamente l'estromissione per mancanza d'interesse nel residuo reato di cui al capo b) della parte civile ex. art 80 c.p.p. Il difensore di parte civile si opponeva, ritenendo doversi svolgere comunque un'istruttoria dibattimentale prima di emettere una sentenza di estinzione per il capo a), anche per accertare i danni civili subiti dalla parte offesa quanto meno in rapporto al capo b).

Essendosi il Giudice riservato sul punto, all'odierna udienza, in fase di scioglimento della riserva, si rileva come a monte della soluzione della questione sulla presenza della parte civile nel processo, si debba porre il quesito sulla costituzionalità della normativa che consente in parallelo con l'azione penale l'espletamento di quella civile.

Sul punto, il Giudice ritiene di sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale dei seguenti articoli del codice di procedura penale:

-Libro I - Titolo V: Parte civile, responsabile civile (artt. 74, 75,76,77-78-79-80-81-82-83-84-85-86-87-88-90-91-92-93-94-95),

- Libro II - Titolo V: Notificazioni alla parte civile e al responsabile civile (art. 154);

- Libro III - Titolo I: Prove inerenti la responsabilità civile(art. 187 3° co.);

-Libro VI: Titolo I - Giudizio abbreviato, patteggiamento, giudizio direttissimo (art. 441 co. 2-3 - art. 444 co. 2 relativamente alla costituzione di parte civile - art. 451 3° co. relativamente alla possibilità della parte civile di presentare testi senza citazione);

-Libro VII- Titolo II - Dibattimento (art. 491, limitatamente alle questioni preliminari attinenti gl'interessi civili - art. 505); Titolo III- Sentenza(artt. 538-539-540-541-543),

 

là dove tali norme prevedano la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale in possibile contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione.

Le norme citate appaiono prima facie in contrasto con l'art. 111 della Costituzione che nella nuova formulazione (LEGGE COSTITUZIONALE 23 novembre 1999 n. 2 - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 1999) detta: "La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge".

Pure nel sacrosanto rispetto dei diritti delle vittime dei reati, che possono comunque e meglio essere tutelati quando la sentenza penale sia definitiva, il processo è giusto quando si crei un duello ad armi e forze pari, per usare una terminologia tratta dal diritto anglosassone che esclude l'intervento di parti civili nell'adversary system puro. Nella gara leale ad armi pari l'intervento di un'altra parte, sia pur meritevole di tutela come accade per la vittima tendente a realizzare interessi morali e civilistici, provoca un indubitabile sbilanciamento del processo a favore dell'accusa.

Si può, infatti, creare un "pre-giudizio" inconscio nel giudice, una di quelle pressioni sotterranee che il filosofo inglese Francesco Bacone chiamava idola, ovvero le false conoscenze che ostacolano il sorgere di un pensiero limpido, tale da poter compromettere la serenità del decidere e l'oggettività del verdetto. Pericolo tanto più grave in un sistema come quello italiano dove vige ancora il principio della decisione indiziaria in cui la valutazione della convergenza e della forza degli indizi si basa non su un criterio rigorosamente scientifico(com'è solo nel processo per prove forti)ma su convinzioni tendenti a formulare logiche compatte ma astratte. Tale criterio è ritenuto non valido dalla moderna epistemologia popperiana ove non sorretto da prova scientifica, potendo portare quel metodo a conclusioni apparenti, grazie a procedure logiche ammantate di pseudomotivazioni solo astrattamente circolari e concludenti(cfr. ordinanza ancora sub iudice di rimessione atti alla Corte Costituzionale per incostituzionalità del processo indiziario e precisamente dell'art. 192 2° co. in rapporto agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Cost. avanzata dal dott. G. Francione - Trib. Roma in data 13 giugno 2000 Corte Cost. R. O. 0-653).

Orbene nel sistema ancora vigente per prove deboli la pressione inconscia e pur apprezzabile in nuce del rendere giustizia comunque alla vittima costituita parte civile, tanto più forte in processi eclatanti esaltati e seguiti da tutti i massmedia, può compromettere la serenità e la giustezza della decisione, che deve tendere in primis a un solo, veloce, inequivocabile scopo: dimostrare l'eventuale colpevolezza dell'imputato.

Il giusto processo richiamato dall'art. 111 della Cost. per essere tale deve svolgersi, dunque, tra duellanti ad armi pari che siano due. Infatti la citata norma costituzionale prosegue: "Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale". L'imparzialità e la terzietà del giudice è garantita proprio da un sistema rigoroso binario di parti volte unicamente a trattare il problema fondamentale della responsabilità penale di un soggetto, situazione prioritaria e immediata garantita dalla Costituzione per la compromissione della libertà degli individui, essendo le conseguenze civili trattabili solo in una fase secondaria. Infatti la Costituzione prevede esplicite dichiarazioni di tutela primaria per i diritti attaccati dalla normativa penale, compromettendo questa la libertà fisica e morale degl'individui, il che conferma la prevalenza della tutela della libertà personale sui diritti delle parti private. Oltre ai chiari rilievi penalistici degli articoli 24, 25, 26, 27 della Costituzione, l'art. 2 garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui va ricompresa la libertà personale affermata come inviolabile dall'art. 13. Ma soprattutto l'art. 3 della Costituzione impone di rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà dei cittadini, tutti poi avendo l'uguale diritto, ove imputati, di accedere ad un processo rapido e ad armi pari con l'accusa.

La posizione subordinata del processo civile in sede penale risulta anche dalla Relazione al progetto preliminare del Codice di procedura penale dove leggiamo: "Per quanto riguarda l'ammissione della parte civile nel processo penale, risulta dai lavori preparatori che essa è stata giustificata, non già sulla base della considerazione tradizionale secondo cui deve consentirsi la partecipazione al processo della persona nei cui confronti l'accertamento è destinato a valere come verità oggettiva, con forza di giudicato, ma sulla base di considerazioni di ordine meramente pratico, ispirato alla tutela degli interessi del danneggiato". Già nella prima relazione ministeriale al disegno di legge n. 2243 (IV legislatura) si affermava che "soppesati i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'attuale sistema" era "apparso conveniente" consentire l'esercizio dell'azione civile nel processo penale "ai fini di una maggiore prontezza nella tutela degli interessi civili".

Quindi a parte il diritto generico per chiunque di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ivi compresi naturalmente quelli civili(art. 24 Cost.), considerazioni puramente pragmatiche e non di previsione specifica costituzionale hanno portato a inserire la parte civile nel processo penale, senza tener conto che è proprio quella presenza che rallenta l'azione penale, i cui principi di celerità efficiente sono espressi in varie norme di diritto internazionale, come l'articolo 6.1 della Convenzione Europea dei diritti umani, che sancisce il diritto per ogni cittadino a un processo equo in tempi ragionevoli, e di diritto interno, trovando il culmine nell'art. 477 c.p.p. che prevede al 1° co. la regola chiave dell'esaurimento del dibattimento in una sola udienza e inoltre al 2° co.: "Il giudice può sospendere il dibattimento solo per assoluta necessità e per un termine massimo che, comprese tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi".

La priorità e l'esclusività del processo penale improntato a un sistema rigorosamente bipartisan(per usare un termine inglese), prevalente ed escludente la contemporaneità dell'azione civile, risponde a esigenze di celerità della procedura che viene invece appensantita allo stato attuale dalla stessa presenza delle parti private costituite. Infatti l'inserimento dell'azione civile nel processo penale di tipo accusatorio comporta gravi complicazioni, perché introduce un nuovo oggetto di giudizio, ampliando correlativamente l'ambito delle prove, comporta altre notifiche alle parti accessorie e nuovi avvisi ai loro difensori, che parteciperanno all'assunzione delle prove in contraddittorio, così da ostacolare l'attuazione dei caratteri di celerità e concentrazione che sono tipici dell'attuale processo.

Per tutto ciò, ritenuto che l'esperimento dell'azione civile nel processo penale squilibra la forza delle parti in gioco e comunque compromette l'economia, la concentrazione e la celerità dei processi penali, ritiene quest'ufficio che non è manifestamente infondata la questione di incostituzionalità delle norme all'inizio citate in rapporto agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione.

Poiché l'attuale giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità richiedendosi a questo giudice di procedere con la presenza della costituita parte civile, vanno rimessi gli atti alla Corte Costituzionale sospendendo il processo in attesa della decisione della Corte sul punto.

 

                           P.Q.M.

 

vista la L. cost. 9 febbraio 1948 n. 1(G. U. 20-2-1948 n. 43) e la legge 11 marzo 1953 n. 87

dichiara non manifestamente infondata la questione di

incostituzionalità dei seguenti articoli del codice di procedura penale:

 

-Libro I - Titolo V: Parte civile, responsabile civile (artt. 74, 75,76,77-78-79-80-81-82-83-84-85-86-87-88-90-91-92-93-94-95),

- Libro II - Titolo V: Notificazioni alla parte civile e al responsabile civile (art. 154);

- Libro III - Titolo I: Prove inerenti la responsabilità civile(art. 187 3° co.);

-Libro VI: Titolo I - Giudizio abbreviato, patteggiamento, giudizio direttissimo (art. 441 co. 2-3 - art. 444 co. 2 relativamente alla costituzione di parte civile - art. 451 3° co. relativamente alla possibilità della parte civile di presentare testi senza citazione);

-Libro VII- Titolo II - Dibattimento (art. 491, limitatamente alle questioni preliminari attinenti gl'interessi civili - art. 505); Titolo III- Sentenza(artt. 538-539-540-541-543),

 

là dove le dette norme prevedano la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale in relazione agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione.

Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.

Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Ordina trasmissione della presente ordinanza per conoscenza al Presidente del Tribunale di Roma.

 

Così deciso in Roma 13 luglio 2001

 

                                  IL GIUDICE

                              Gennaro Francione

 

 

ORDINANZA N.364

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare

RUPERTO

Presidente

- Riccardo

CHIEPPA

 Giudice

- Gustavo

ZAGREBELSKY

"

- Valerio

ONIDA

"

- Carlo

MEZZANOTTE

"

- Fernanda

CONTRI  

"

- Guido

NEPPI MODONA

"

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

"

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Francesco

AMIRANTE

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187, comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, 543 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 2001 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di D.M.A. ed altra, iscritta al n. 883 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 13 luglio 2001, il Tribunale di Roma — chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di esclusione della parte civile, formulata dal pubblico ministero e dagli imputati nel corso di un processo penale nei confronti di persone imputate dei reati di lesioni personali e di detenzione e porto illecito di armi — ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono «la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale»;

che ad avviso del rimettente, le norme impugnate contrasterebbero con i principi del «giusto processo», di cui all’art. 111 Cost., a fronte dei quali il processo deve tradursi in un «duello ad armi e forze pari»;

che l’intervento nel processo penale di una parte ulteriore, che mira a realizzare «interessi morali e civilistici», provocherebbe, infatti, uno «sbilanciamento» a favore dell’accusa, potendo generare nel giudice una «pressione inconscia» — correlata all’aspirazione a rendere comunque giustizia alla vittima del reato — tale da compromettere la serenità e la correttezza della decisione: e ciò tanto più in un sistema processuale come quello italiano, che ammette decisioni su base indiziaria e nel quale la valutazione della convergenza e della forza degli indizi non si fonda «su un criterio rigorosamente scientifico»;

che l’imparzialità e la terzietà del giudice sarebbero assicurate solo da un sistema rigorosamente «binario» di parti che contendano in via esclusiva sul tema della responsabilità penale: tema che, nella cornice della Costituzione, assume un rilievo prioritario rispetto alla salvaguardia dei diritti delle parti private, in quanto incidente sulla libertà fisica e morale dell’individuo;

 che, al riguardo, verrebbero segnatamente in rilievo gli artt. 2 e 13 Cost., e soprattutto l’art. 3 Cost., che impone di rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà dei cittadini, tutti avendo poi l’eguale diritto, ove imputati, di accedere ad un processo rapido e ad armi pari con l’accusa;

che l’inserimento dell’azione civile in un processo di tipo accusatorio — introducendo un nuovo thema decidendum, ampliando l’ambito delle prove e rendendo necessari ulteriori adempimenti processuali (quali notifiche ed avvisi) — comprometterebbe, inoltre, i principî di economia, concentrazione e celerità del processo stesso;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che il Tribunale rimettente sottopone a scrutinio di costituzionalità trentatré articoli del codice di procedura penale di contenuto eterogeneo;

che, in prevalenza, si tratta di disposizioni concernenti l’esercizio dell’azione civile nel processo penale: disposizioni che peraltro, da un lato, si riferiscono anche a profili privi di qualsiasi attinenza con la decisione che il rimettente è chiamato ad assumere nel giudizio a quo; e, dall’altro lato, non coprono l’intero ventaglio delle disposizioni del codice di rito concernenti la predetta azione;

che tra le norme impugnate figurano, tuttavia, anche disposizioni che non riguardano affatto la tematica dianzi indicata, ma ineriscono in via esclusiva alla persona offesa dal reato e agli enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato (artt. da 90 a 95, e 505 cod. proc. pen.): soggetti, questi, ben distinti, nella sistematica del codice, dalla parte civile;

che, pertanto, non è dato ravvisare, tra le norme impugnate, quella reciproca, intima connessione che sola consente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, di coinvolgere nello scrutinio di costituzionalità un intero complesso normativo (cfr., ex plurimis, sentenza n. 156 del 2001; ordinanze nn. 81 e 286 del 2001);

che d’altra parte — come correttamente rilevato dall’Avvocatura dello Stato — il quesito di costituzionalità si risolve, nella sostanza, in una mera critica, a livello di politica giudiziaria, di una scelta «di sistema» (quella del possibile cumulo) operata dal legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, in tema di rapporti fra azione civile e azione penale relative al medesimo fatto: scelta che il rimettente vorrebbe veder sostituita da una soluzione di tipo diverso, in assunto preferibile (quella della separazione assoluta);

che, sotto entrambi i profili, la questione deve essere dunque dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

 

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2002.

 

 

 
 

La Corte Costituzionale sfugge al quesito chiave quando parla "di una scelta «di sistema» (quella del possibile cumulo) operata dal legislatore".

Non sottopone  a vaglio critico la detta scelta di sistema alla luce degli specifici riferimenti costituzionale del giudice di Roma,  col che in paradoxo il Tribunale delle Leggi si rimette alla scelta di comodo dei politici, glissando con formule ancora "di comodo", per non affrontare il preciso e dettagliato vaglio costituzionale delle norme attaccate.

Il Parlamento non può legiferare pragmaticamente ma sempre deve rispettare i principi fondamentali della Costituzione, violati - secondo il giudice di Roma - con l'azione civile infilata a forza al processo penale.

Politicamente l'insaccamento è stato fatto dal Parlamento, e politicamente(non giuridicamente)  l'insaccamento è stato confermato dalla Corte.

(Gigi Trilemma)

 

 

IL COMMENTO

di Francesco Giuseppe Catullo

http://lalegge.ipsoa.it/NEWS/Trib.%20Roma%2013%20luglio%202001%20(giusto%20processo)%20(catullo).htm