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Magistrati
su Misura
Gian Carlo Caselli
Se non son pazzi non li vogliamo. Non è il titolo di un film. È un
paradosso suggerito dalla lettura del progetto di riforma dell'ordinamento
giudiziario. Il testo approvato dalla Camera impone test di idoneità
psicoattitudinale all'esercizio della professione per gli aspiranti
magistrati, anche in relazione alle specifiche funzioni indicate (PM o
giudice) nella domanda di ammissione.
Ora, siccome il progetto è fortemente voluto dalla maggioranza
governativa (al punto di "blindarlo" ricorrendo al voto di
fiducia alla Camera );- poiché il Capo della maggioranza, Silvio
Berlusconi, sostiene ( intervista del 4 settembre 2003 allo "Spectator"
e alla "Voce di Rimini") che per fare il magistrato bisogna
essere malati di mente, che chi fa questo lavoro è antropologicamente
diverso dal resto della razza umana; delle due l'una: o siamo in presenza
di una clamorosa smentita del Capo da parte della maggioranza, oppure -
per doverosa coerenza con il pensiero del premier - i test vanno intesi
nel senso che servono a verificare la presenza di almeno un pizzico di
follia: altrimenti addio ad ogni speranza di vincere il concorso.
Lasciando da parte i paradossi (e le contumelie istituzionali) il punto è
che i test attitudinali sono certamente utili nel fornire indicazioni di
massima per l'orientamento professionale e lavorativo. Ma se uno ha già
deciso di fare il magistrato e addirittura ha già superato la prova
scritta (i test infatti si dovrebbero fare prima dell'orale) a che servono
i test? In ogni caso, non sono codificati gli indicatori clinici e
comportamentali che individuano la figura del magistrato e meno che mai la
distinzione fra inquirente e giudicante. Per cui occorrerebbe prima di
tutto procedere a questa preliminare operazione di codifica. Ma chi
saranno coloro cui sarà affidato tale compito? Con quali criteri verranno
eletti o selezionati? Chi selezionerà e come i futuri selezionatori? A
quali parametri di giudizio sarà ispirato il loro intervento? In
sostanza: c'è il fondato timore che i test servano a reclutare solo chi
corrisponda ad un certo modello di magistrato, omogeneo ai selezionatori,
con esclusione a priori di chiunque manifesti tendenze verso un'autonomia
o indipendenza considerate (non si sa bene in base a cosa) eccessive.
Poiché la maggiore o maggiore idoneità è misurabile solo sul campo, in
base all'esperienza maturata con l'effettivo svolgimento delle funzioni,
anticipare il giudizio è pericoloso: apre la pista al reclutamento di
magistrati sempre più disposti alla burocratizzazione e gerarchizzazione.
Ma è proprio questo l'obiettivo di fondo della (contro)riforma
dell'ordinamento. In punto efficienza tutto rimane come prima (vale a dire
che la vergogna di una giustizia che non funziona continua tal quale, come
se l'unica filosofia conosciuta fosse quella - rovinosa - del tanto peggio
tanto meglio.). Nello stesso tempo, il progetto di nuovo ordinamento
giudiziario disegna scenari che possono causare gravi scompensi
all'equilibrio democratico del sistema. Di colpo, si tornerebbe agli anni
Cinquanta. Quando la magistratura era un corpo separato, collocato
culturalmente, ideologicamente e socialmente nell'orbita del potere
politico dominante. Sarebbe troncato il cammino che in questi ultimi
tempi, soprattutto a partire dagli anni Novanta, era ed è univocamente
indirizzato (sia pure con alti e bassi, ritardi e polemiche) a tradurre in
cifra di effettività il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge. La scritta che campeggia nelle aule dei Tribunali tornerebbe
ad eccitare la fantasia di comici e cabarettisti. Pronti a cogliere le
miserie di una magistratura costretta a fare la faccia feroce con i
poveretti, mentre ogni riguardo tornerebbe ad essere tributato a
lorsignori. Con inesorabile compressione della possibilità di rendere un
servizio ispirato all'interesse generale. Possono raccontarcela come
vogliono: ma la posta in gioco, col nuovo ordinamento, è proprio questa.
E non è questione di destra o sinistra, ma questione di democrazia.
Per dimostrarlo, c'è solo l'imbarazzo della scelta fra gli infiniti
esempi che il progetto di nuovo ordinamento offre. Separazione delle
carriere, emarginazione del CSM, previsione di controlli gerarchici
rigorosissimi per i magistrati del PM, consistenti aperture al controllo
politico del ministro sull'attività giudiziaria che non gli sia gradita.:
son tutti punti su cui converrà ritornare. Per ora, limitiamoci ad una
significativa "chicca".
L'anno giudiziario, se passa la (contro)riforma, comincerà con una
relazione del Ministro alle Camere "sull'amministrazione della
giustizia nel precedente anno e sulle linee di politica giudiziaria per
l'anno in corso": ora, la distinzione fra "amministrazione"
e "politica giudiziaria" offre spazi a direttive che il Ministro
- in pratica - potrebbe ritenersi legittimato a formulare con riferimento
all'attività giurisdizionale.
Con rischi di profonda alterazione dell'equilibrio fra i poteri dello
stato e di riduzione dell'indipendenza della magistratura che sono di
tutta evidenza. Soltanto dopo la relazione del Ministro alle Camere (dopo:
perché la "linea" tracciata dal Ministro possa essere
recepita?) si svolgeranno in Cassazione e nelle varie Corti d'appello le
cerimonie di inaugurazione, ma a parlare sarà il Presidente, non più il
Procuratore generale. Non è che cambi molto, salvo che il Presidente
della Corte, per l'obbligo di "terzietà" che contraddistingue
in modo speciale i magistrati della giudicante, per forza di cose sarà -
come dire - un po' meno rappresentante dello Stato di come può invece
essere il capo dei PM. Certo è che la variante introdotta sembra
risentire ancora oggi del fatto che un paio d'anni fa un Procuratore
generale osò ripetere per ben tre volte un certo verbo. Qualcuno deve
aver pensato che un cartellino rosso ai Procuratori generali, ora per
allora, può ancora riparare l'affronto. Ma è un cartellino rosso che la
dice lunga sul modello di magistrato che si vorrebbe imporre.
I test, serviranno a reclutare solo chi corrisponda a un certo modello,
con esclusione di chi manifesti tendenze verso l'autonomia.
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Da l'Unità 08 Agosto 2004 |
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