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LA FINE DEL SINDACATO FRANCESE
di GIUSEPPE PENNISI
La salma di François Malraux - mi assicurano - si sta rivoltando nella tomba; iscritto "de la prémière heure" alla Cgt (Conféderation Générale du Travail, la cugina francese della Cgil), l'autore de "La condition humaine" e de "L'espoir", grande frequentatore dei festival di Avignone e di Aix en Provence, dall'aldilà non capisce proprio cosa stanno facendo i suoi nipotini. Anche il riposo eterno di Giuseppe Di Vittorio è turbato da quanto avviene in Francia: tra i "vecchi" della Cgil ci sono coloro che ricordano come la sera andasse spesso a cena ad una pizzeria super-economica di Via Genova 26 portando con sé libri di poesia (da Catullo a Ramuz).
Cosa sta succedendo al di delle Alpi? In giugno, l'ondata di scioperi contro la proposta di riforma della previdenza (peraltro approvata dall'Assemblea Nazionale dopo un dibattito di soli 19 giorni) è stata frenata dalla "marcia dei 60.000", in gran parte dipendenti privati ed autonomi perché si ponesse fine ai privilegi pensionistici del pubblico impiego e di alcune categorie particolarmente forti nella Cgt. In luglio, però, ne è iniziata un'altra che sta mettendo a repentaglio i festival e le manifestazioni culturali della République. I lavoratori dello spettacolo, iscritti alla Cgt (con il colorito supporto di centri sociali, non global e black bloc), impediscono l'andata in scena di rappresentazioni.
Spieghiamo perché. In Francia vige un sistema di assicurazioni sociali "occupazionali"; non solo ogni categoria ha il proprio regime ma se lo gestisce, tramite fondi amministrati dai rappresentanti delle imprese e dei lavoratori. Il fondo "indennità di disoccupazione" dei "lavoratori intermittenti" (categoria a cui appartiene gran parte di coloro che operano nello spettacolo) è da anni in profondo rosso. Le altre categorie hanno i guai occupazionali loro e fanno orecchie da mercante alle richieste di "solidarietà". La ragione del disavanzo è strutturale: prevede indennità a salario quasi pieno se si lavora per 512 ore ogni 12 mesi; per molti era diventato un sistema per lavorare tre mesi l'anno ed essere pagati per 12 (un meccanismo forse sostenibile, sulle spalle degli africani, quando la Francia era un potere coloniale). Il 26 giugno il Medef (la Confindustria francese) e le tre maggiori organizzazioni sindacali hanno firmato un accordo per rendere il meccanismo leggermente più restrittivo; si avrà titolo alle indennità se si lavorerà 512 ore ogni 10 mesi.
Apriti cielo! I cugini della Cgil (ed i loro variopinti alleati) hanno scatenato il putiferio. Due indicazioni. Ancora non si sa se il Festival di Avignone (che attira ogni anno 300.000 spettatori) potrà avere luogo. Ancora più grave quanto successo al Festival Internazionale d'Arte Lirica di Aix-en-Provence (80.000 biglietti venduti e tutto esaurito già da fine maggio). Doveva aprire il 4 luglio. Il Direttore Generale Stéphane Lissner (da sempre vicino alla sinistra) ha chiesto ai suoi collaboratori (di tutti i gradi e professioni) di decidere: 17 su 632 hanno risposto che avrebbero scioperato. In due dei tre luoghi di spettacolo, però, tutti i lavoratori, all'unanimità, hanno scelto di andare in scena. Dimostranti Ggt (con i loro ormai soci) hanno tentato di impedire, anche fisicamente, a Pierre Boulez (altro nume e della musica e della sinistra) di alzare la bacchetta e dirigere.
Mesta fine di un sindacato che si è progressivamente auto-escluso dalla società, e quindi dalla cultura e dall'azione riformista. Non solo in Francia. Come sa, il vostro "chroniqueur" che dalla Provenza in questi giorni guarda l'Italia con il cannocchiale.
mercoledì 9 luglio 2003
http://62.110.253.162/approfondimenti/index.aspx?id=316568&Sectionid=2&Editionid=5 |
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