«Sono un giudice e ho delle idee politiche»
28 gennaio 2003
ENZO ALBANO*
Il ministro Guardasigilli avverte i venti di guerra che spirano impetuosi e ne dichiara una sua personale, utilizzando il mezzo più consono a questa maggioranza governativa, una delle innumeri tribune televisive. Il nemico dichiarato di questa guerra preventiva è quella parte della magistratura che con le sue dichiarazioni e i suoi comportamenti dimostra un legame inopportuno con la politica. I patriots del signor ministro sono i procedimenti disciplinari, già pronti e minacciosi sulle rampe di lancio, i suoi alleati, tutta la maggioranza di governo, che al di là di reali o presunte divisioni, ha fatto quadrato e ha dichiarato la sua solidarietà totale alle esternazioni del Guardasigilli. Comprendere sino in fondo i reali obiettivi e la tempistica di questo attacco non è facilissimo né immediato. Secondo qualche commento della sinistra ufficiale, le dichiarazioni sarebbero da mettere in correlazione con la guerra aperta dai legali di Berlusconi contro il pool milanese. Può anche darsi, ma tutto sommato non convince. Altra chiave di lettura è quella secondo cui l'attacco sarebbe un tassello della più ampia strategia di questa maggioranza di mettere finalmente la mordacchia a tutti quelli che non pensano che una vittoria nelle elezioni sia un lasciapassare ed una legittimazione per un imperio assoluto, privo di controlli, di principi inderogabili, di garanzie. Una magistratura libera ed indipendente rappresenta l'istituzione di garanzia che, per il suo essere diffusa e corpuscolare, è certamente più riottosa ed indisciplinata ai comandi del principe. Anche questa è una lettura possibile e, certamente, non lontana dal vero, ma anch'essa non soddisfa.
Il ministro attacca i magistrati e per fare ciò non ricorre ad armi nuove e sofisticate, ma rispolvera il vecchio armamentario della «politicizzazione», con i suoi, anch'essi desueti, corollari dell'invasione di campo, della necessità di limitare la libertà di manifestazione del pensiero, dell'urgenza di eman
in proposito. Va da sé che queste accuse valgono esclusivamente per quelli che la pensano diversamente dal signor ministro e dalla sua sempre taciturna maggioranza, gli altri (pochi per fortuna) non solo hanno diritto di parlare, ma se sono particolarmente fedeli e affidabili si possono anche guadagnare qualche seggio parlamentare, dal quale naturalmente tuoneranno contro «la politicizzazione» della magistratura e prepareranno leggi contro la libertà di pensiero degli altri giudici. Se, però, si vuole andare più a fondo all'azione del ministro, è forse possibile scorgere il vero nemico su cui l'insieme della strategia ricade. Questo nemico occulto è senza ombra di dubbio chi pensa che un altro mondo sia possibile, un altro mondo diverso e opposto da quello perseguito da questa maggioranza parlamentare e da buona parte della sinistra ufficiale, un mondo da cui sia bandita la guerra (santa, giusta, necessaria, preventiva che sia), un mondo che assicuri i diritti essenziali a tutti. Il vero nemico sembra essere allora il movimento antiglobalizzazione, contro di cui, questa volta in straordinaria consonanza, politica e magistratura sembrano marciare. Le iniziative giudiziarie di Cosenza, Napoli, Potenza e soprattutto Genova appaiono fortemente allineate con il tentativo di criminalizzazione del movimento, operato dalle forze di governo. La prova più evidente di questa opinione è data dal fatto che gli unici nomi di magistrati che si sono fatti dopo l'attacco del signor ministro sono stati quelli di magistrati, che, per un motivo o per un altro, erano stati accostati al movimento. Le successive smentite, naturalmente, nulla tolgono alla virulenza ed alla strumentalità degli attacchi, ma indicano altre modalità del percorso di guerra: è sufficiente minacciare un uso mirato dello strumento disciplinare e, magari, far circolare qualche nome.
Il ministro sa bene che, almeno fino ad oggi, un eventuale procedimento disciplinare non avrebbe molte speranze di successo; sa bene che è operazione un tantino antistorica regre
agna Charta e negare il diritto di manifestazione del pensiero a chicchessia, ma, intanto, la minaccia è partita e c'è, da subito. In definitiva le dichiarazioni del ministro possono avere insieme tutti questi scopi in una sostanziale eterogenesi dei fini e si presentano, per dirla da giurista, come una fattispecie plurioffensiva. Non sappiamo naturalmente se siamo ricompresi nel libro nero, se, più presto che tardi, avremo l'attenzione affettuosa del signor ministro e se dovremo difenderci in sede disciplinare; se così non fosse ci permettiamo di autodenunciare la nostra volontà di continuare ad occuparci di politica , anche senza mai far parte di nessun partito e cercando di conservare sempre un'autonoma capacità di giudizio. Ci sembra questo, infatti, l'unico modo per tentare di fare il giudice nella maniera meno burocratica possibile. Non ci faremo pertanto intimidire dalle minacce di procedimenti disciplinari, tenendo presente la lezione di Totò, che ladro, minacciato con una pistola da Fabrizi, gli rispondeva che la pistola poteva essere usata solo a scopo intimidatorio e lui non si sarebbe fatto intimidire. Non si può non essere d'accordo con chi sostiene che se un uomo non difende sino in fondo le sue idee o non valgono a niente le idee o, quello che è peggio, non vale niente lui.
*Presidente XI sezione,Tribunale penale di Napoli
|
|