BATTIATO, L'ANTIARTISTA DEL TAPPETO
di Agius & Francione
articolo
pubblicato su:
http://antiarte.studiocelentano.it/news/antiarte_battiato
.htm
http://www.akkuaria.it
Questo
articolo prende spunto dallo splendido concerto tenuto da Battiato allo
stadio del baseball di Anzio il 5 agosto 2001.
L'antiarte
di Battiato si presenta prima di tutto come un fenomeno di contaminazione
tra culture diverse. Diverse. Qualificazione che abbisogna di un
aggiornamento secondo la visione dell'antispecificità culturale, espressa
in saggi come quello del poeta albanese Visar Zithi Sulla non
migrazione della cultura di prossima pubblicazione sul sito dell'ANTIARTE
2000.
Al
di là delle forme apparenti di diversificazione etniche, culturali,
linguistiche trovanti negli slang e nei dialetti la loro massima
esemplificazione, esiste un continuum esterno e sotterraneo della cultura,
esaltato oggi dai massmedia e dalla comunicazione internettiana, che
permette di rilevare flussi unitari nello sviluppo dell'arte nei più
diversi personaggi e in ogni
parte del mondo. Questo fenomeno si avvale a livello esterno della
diffusione dei linguaggi di differenti culture; a livello intimo
fisiologico e psicologico si fonda sul sangue, portatore di
messaggi atavici misti, e sul tempo psichico universale,
portatore di messaggi analoghi nei punti più diversi del
tempo-spazio, secondo le linee goethiane dello Spirito del Mondo.
Battiato
è un esempio tipico di Homo Antiart perché pratica la contaminatio
a piene mani, ricorrendo ai linguaggi più diversi, sia a livello
semantico che di arte poetico-musicale per crearne un genus nuovo e del
tutto originale. In un'intervista in rete afferma: "Non occorre solo
scegliere fra tradizioni differenti me riuscire a farle convivere assieme
ed anche farle reagire"(L'artigianato della grazia a cura di
Alessandro Di Prima, intervista in rete tratta dalla rivista di
letteratura "Verso dove", numero 4/5 Inverno/Primavera '95/'96
http://www.fanbattiato.com/artigianato.html).
Partendo
dalla sua lingua madre, il siciliano, quel nobile dialetto i cui
poeti-notari nel '200 diedero inizio alla letteratura italiana, Battiato
avanza come gli antichi aedi che univano musica e poesia e sperimenta le
vie linguistiche più disparate. In Genesi utilizza per il testo
diverse lingue come il sanscrito e il persiano proprio perché come
confessa nell'intervista citata "non me la sentivo di raccontare in
italiano, avevo come il ribrezzo verso il melodramma tradizionale con
tutta la sua retoriche... non sono più tempi, viviamo un epoca
velocissima, abbiamo bisogno di sintesi".
Il
sangue siculo, paraitaliaco, frutto di contaminazioni arabo-normanne,
fonda l'apertura a messaggi musicali antiartistici che amalgamano la
tradizione mediterranea a quella turca, orientale in genere, fino a un
bagno nell'invadente significante inglese che modernizza - si fa per dire
- il linguaggio antico di Battiato come nella sua rinascimentale Temporary
road, nella magica cover di Hey Joe, nella surreale No time
No space, ma soprattutto nel grande successo del '98 Shock in my
town(cfr. Scarnecchia Paolo, Un arabo mitteleuropeo, in
Battiato. Testi e spartiti, Milano, Gammalibri, 1984).
Ad Anzio il trionfo dell'inglese è stato percepito dagli scriventi
in particolare con Ruby Tuesday, cantata in suggestivo concerto con
due belle e brave coriste.
La
cronistoria di Battiato rende edotti del suo inevitabile curriculum
antiartistico. Sin dai primi anni Settanta
partecipa attivamente alle correnti di ricerca e sperimentazione
europee, passando dalla
meccanica da drammaturgia classica (definita del viaggio) in opere
come Genesi e Gilgamesh alla recente produzione caotica.
L'autore nell'ultima fase opera su parole del filosofo Manlio Sgalambro e
si afferma ispirato da "paesaggi senza alcuna idea di movimento"
, quasi da "Moto browniano" dove antiartisticamente l'Io non
guida più le cose ma ne è guidato verso forme deprogettualizzate in nuce.
L'Io diventa così non più "il centro della scrittura ma uno
dei luoghi, o meglio una mappa dei luoghi. Ci potremmo ricollegare a tante
cose che Battiato ha scritto, canzoni in cui la geografia viene prelevata
in una specie di cut-up e poi rimontata in un'atmosfera che dà
l'immagine del tutto; è una forma questa di archetipo moderno, di mito
collettivo attraverso il quale si può comunicare a tutti"(Sgalambro
ne L'artigianato della grazia cit.).
Il contatto con la
psiche collettiva si evidenzia nella stretta aderenza alle filosofie
misteriche e peculiarmente con l'esoterismo sufi, trasfuso nel pensiero di
Gurdjieff che aveva usato proprio la musica come metafora del senso
prodigioso ed enigmatico dell'universo. L'album Echoes of sufi dances
del 1985 è il primo chiaro segno dell'influenza su Battiato della musica
dei dervisci, una chiave di volta della sua costruzione musicale che si può
definire un'eterna rotazione attorno all'ottava alla ricerca di un centro
di gravità permanente. La sua è una musica "di frontiera",
operante a cavallo tra la composizione colta, la canzone e la musica
etnica, che, col vorticare derviscico annullante la coscienza, attinge
miracolosamente temi e tinte
da tutta una serie di esperienze dal banale al tragico, dall'eros al
thanatos. Una ricerca oscillatoria che arriva e conquista collaboratori e
pubblico, come plasticamente reso da Sgalambro,
in una recente intervista: "La musica mi ha introdotto in un
mondo disperato, dove c'è la morte ma anche la ricerca di quel
divertimento che Pascal odiava con tutte le sue forze"(Filippo
Poletti, Battiato, direttore di coscienza, su “Il Nuovo” 6
agosto 2001 http:// www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,58289,00.html.
L'Antiarte
di Battiato si pone come sfida allo Spazio che restringe, ma anche come
guerra al Tempo che sommerge e apparentemente distrugge. L'uroboros
antiartistico, come un serpente che si morde la cosa, rende contigui spazi
lontanissimi, come pure fa tangere segmenti cronici apparentemente
distantissimi. E come l'Antiarte
attinge anche al passato ritenendo che l'avanguardia non debba
necessariamente rinnovarsi verso il futuro, ma è una conditio
di grazia per cui riesce a rinnovare con lo spirito del nuovo tempo
anche stilemi passati se non morti, così Battiato lancia la sua sfida
all'opera lirica che raggiunge l'acme in Gilgamesh, che debutta con
successo al Teatro dell'Opera di Roma il 5 giugno 1992.
La
contaminatio in questo pronipote dei padri del
deserto(l'espressione è di Luca Cozzari, in
Franco Battiato pronipote dei padri del deserto, Ed. Zona,
Rapallo <Genova>, 2000) in chiave antiartistica è comunque un
tendere continuo a un'evoluzione dello spirito di cui la forma - in tal
caso musicale, semantica - è solo un mezzo come si può ricavare dalle
stesse parole dell'autore: "Socrate influenzò Platone, che influenzò
Aristotele, che non fu capito da Avicenna, secondo Averroè, che attaccò
Al Ghazali, che influenzò Farid ad din 'Attar, che attaccò i filosofi
greci. Io che sto diventando sabbia del deserto, ringrazio i venti che mi
cambiano forma e punto di osservazione, un ideale perseguo, anacronistico
e ridicolo: il miglioramento".
In
copertina di Ferro battuto si allude visivamente al socialismo,
mentre nel cd si dice che "il canto è potere". L'Antiarte è
potere. L'Antiarte che predica di dare agli artisti quello che non hanno
mai avuto, il potere appunto ma non come acquisizione della poltrona, ma
come conquista di un semplice tappeto. Il tappeto di Aladino, là sul
tessuto dei sogni che fa volare il mondo affranto dalla vecchia etica
verso una nuova costruzione sfavillante e al contempo lunare in cui
l'estetica di un mondo finalmente sferico e
non più piramidale rende probabilisticamente tutti, drogati dalla
creatività, migliori. Ancora Sgalambro di rete, alle prese egli stesso
con le nuove forme di una filosofia breve espressa in musica, rivela: "Il canto è
questo: redime, lega di più, fa trionfare passioni. Li vediamo tutti quei
ragazzi brufolosi ai concerti sciogliersi nel volto e toccare il
paradiso".
Battiato
resta seduto sul suo solito inseparabile tappeto, espressione in metafora
fisiologica dello "stop gurdjieffiano". Egli non muovendosi e limitandosi a stare, a
cantare, muove tutto perché "alcune idee che si sviluppano, vanno a
sedere tra la gente anche senza che lo sappiano..."(Battiato ne L'artigianato
della grazia cit..). Là sul tappeto, Franco da
solo a celebrare il suo rito iniziatico, parasufico, in unione
mistica con tutti e col Tutto, grazie a uno spirito di antiarte
antiaccademica che nel punto
nevralgico del concerto opera una fusione tra filosofia, parola e musica.
"A stare da soli, tra le proprie sbarre, ci si accorge, per dirla
alla Hegel, che tutto è legato tramite passaggi... <tramite>
i dirupi, i salti mortali, tante cose scollate"(Sgalambro ne L'artigianato
della grazia cit..). Tutto scivola col maestro Cantore di Jonia,
irrefragabilmente, senza moto
apparente, verso la Rivoluzione dell'Ottava.