Ecco che con una camicetta bianca e aria da
chansonnier scanzonato arriva il Califfo e si leva sul palco, tra
applausi e fischi del pubblico che reclamava un inizio più tempestivo
dello spettacolo.
Un sorriso e gli perdoniamo l'ora di ritardo,
essendo il concerto, previsto alle 21,30, slittato alle 22,30. Forse
il playboy cantore ha confuso il pubblico con una delle tante donne
che nel suo libro Il cuore nel sesso suggerisce di trattare da
posizione dominante, pronto a ribatterne colpo su colpo in
decuplicazione di omissioni e ritardi. Ma cosa gli avremo mai fatto
noi che puntuali alle 9,15 eravamo là per rendergli omaggio da quel
grande antiartista che è?
Il concerto si svolge piacevole anche se
preferiamo i brani classici, meno musicalmente quelli nuovi, anche se
ne apprezziamo il contenuto sperimentale e sociale.
Califano è un antiartista in nuce perché, come
leggiamo dalla sua biografia in rete (http://www.francocalifano.com/),
dimostra subito di sapere "quello che non si conosce",
ovvero "quello che nella vita non serve".
I giornali lo esaltano come personaggio
eccentrico: scrivono "Califano il Prévert di Trastevere",
"Brel romanesco", "Pasolini della canzone",
"Belli di quest'epoca", "Personaggio kafkiano".
Eppure, nonostante questi osanna, il Califfo li attacca. Anzi
antiartisticamente attacca tutto il sistema massmediale.
Come un vero antiartista ha in corpo una gioia di
vivere sotterranea, una filosofia di fondo che lo salva anche a fronte
delle vicissitudini esistenziali e giudiziarie che lo hanno attinto.
Non a caso Califano è stato insignito della Laurea Honoris Causa in
Filosofia all'università di New York "per aver scritto una delle
più belle pagine della Canzone Italiana", recita la motivazione.
Dunque filosofo stoico titolato... Il Califfo come "uomo può
sopportare, senza mai perdere il suo equilibrio e nemmeno quel sorriso
che ha resistito ad ogni maledizione, senza mai traformarsi in una
smorfia di dolore".
Per quanto riguarda il bilancio dell'artista, il
discorso si complica e l'antiartista esplode con l'attacco al sistema
piramidale del successo che esalta i pochi, gli eletti, spesso non i
migliori.
"Se si considera che nessuno è in possesso
di un curriculum come il mio, se penso a dove potrei essere se avessi
avuto la possibilità di poter contare su una consona promozione
televisiva e radiofonica, di stampa e politica, come l'hanno avuta i
miei colleghi, mi viene un po' di rabbia. Se penso che ho dovuto fare
sempre tutto da solo, il bilancio è senz'altro positivo...".
Questo il suo amaro ma dignitoso commento in rete, dove continua:
"In TV si parla di giovani, di droga, di eroi quali Tortora,
figura mitizzata. Mai nessuno che mi abbia chiamato, io, che sono
l'ultimo dei sopravvissuti al martirio civile, che ho subito sulla mia
pelle un massacro psichico, sono caduto tre volte e mi sono rialzato
con stile. Ritengo di meritare molto più successo di quanto ne ho
perché l'artista, troppo spesso e volutamente, è stato male e poco
ascoltato, mai raccontato come meriterebbe dai mezzi di
comunicazione... ".
Ora il vecchio maestro, che si definisce poeta
maledetto, ha trovato un'altra via marcusiana di rivoluzione:
rivolgersi ai giovani, come pubblico e come esecutori, assurgendo a
consigliere e talent scout. Esegue una serie di nuove canzoni create
ed eseguite in collaborazione con un gruppo di giovani musicisti che
danno particolare verve a lui, consumato artista.
Preferiamo il vecchio stile come detto, ma
accettiamo la sperimentazione e il coraggio del vecchio che
abbraccia i giovani. In questo nuovo lavoro discografico dal titolo
"Ma io vivo" prodotto da Elio Palumbo e Alberto Laurenti,
Franco Califano scopre il rap come mezzo per comunicare la sua rabbia,
le sue emozioni, la sua storia. Il brano più emblematico
antiartisticamente ci sembra il brano Razza bastarda, con cui
lancia un grido di protesta e denuncia contro l'ipocrisia e le
falsità della nostra società, il grido di chi si è sentito tradito
e abbandonato ma ha avuto la forza di alzarsi da solo. Ora il Califfo
vuole dire in maniera schietta e senza veli quello che pensa: "Io
intanto vado per la mia strada, senza fare marchette e a parlare di
vita. E' una cosa, credo, di saper fare meglio di tutti".
E il resto? "Tutto il resto è noia".
Esci dal concerto e c'è il mondo, coacervo di banalità totale.